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Full text of "Poeti italiani dell'età media ossia Scelta e saggi di poesie dai tempi del Boccaccio al cadere del secolo XVIII"

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Poeti  italiani  delVetà  media  ossia 
Scelta  e  saggi  di  poesie  dai  tempi ... 

Terenzio  Mamiani  della  Rovere 


J7.  e  ,  /S 


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BIBLIOTECA  SCELTA 


POETI  DELL'  ETÀ  MEDIA 


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S/.  e  ,  /S 


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BIBLIOTECA  SCELTA 


POETI  DELL'  ETÀ  MEDIA 


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DALLA  STAMPERIA  DI  CRAPELET 

ROE    DE   YAUGUURD,  9 


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IPAmifASn)  TSA%>Z.S^Wu) 


POETI  ITALIANI 

DELL'  ETÀ  MEDIA 

OSSIA 

SCELTA  E  SAGGI  DI  POESIE 

DAI  TEMPI   DEL  BOOCACaO  AL  CADERE  DEL  SECOLO  XVIll 


PARIGI 
BAVB&Yy   UBASllIA  XSVSLOFSA 

3,     QUAI     IIALAQCAIS,     AD     PREMIER    ÉTAGE 
PRÈ8  LE  PONT  DE8  ART8 

1848 

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PREFAZIONE. 


SI 

La  presente  Raccolta  Ta  parte  d'un' altra  mollo  maggiore  con  la 
quale  tener  dee  proporzione  ed  accordo.  Perciò  non  si  maravigli  il 
lettore  se  qui  dal  poema  del  Mondo  creato, in  fuori,  egli  desidera 
i  versi  deli'  Ariosto  e  del  Tasso ,  e  non  legge  alcuna  rima  di  ottime 
poetesse,  ne  saggio  veruno  di  componimenti  drammatici.  Tutto  ciò 
viengli  offerto  distintamente  in  altri  volumi  di  questa  Biblioteca 
scelta.  E  nondimeno  la  dovizia  del  nostro  Parnaso  è  tale  che  pur 
sottratti  que'  larghi  tesori,  ne  rimangono  altri  d' insigne  bellezza  e  di 
gran  valsente.  In  questi  splende  sopratutto  una  sfoggiata  varietà , 
invidiabile  a  molte  letterature  straniere ,  e  la  quale  a  noi  è  piaciuto 
di  far  più  visibile  ordinando  il  libro  per  generi  e  specie  di  poesia. 
Ben  sappiamo  che  ancora  in  tal  forma  dì  distribuzione  e  di  ordina- 
mento accadono  molte  inconvenienze ,  perchè  sovente  le  specie  sono 
distinte  e  sceverate  dall'abito  estrinseco  e  accidentale  anziché  dal- 
l'intrìnseco  e  sostanziale.  E  per  modo  d'esempio  eì  si  vedrà  in 
questo  libro  che  i  componimenti  morali,  in  luogo  di  mostrarsi  tutti 
adunali  nella  classe  lor  peculiare ,  vengono  ripartili  in  più  d' una , 
dappoiché  la  diversità  grande  e  palpabile  della  forma  ci  ha  mossi  a 
pome  parecchj  fra  le  poesie  pindariche  ed  oraziane  ed  altri  fra  le 
morali  propriamente  denominale.  Però  di  tal  difetto  sentiamo  dovere 
più  presto  avvertire  i  lettori  che  chiedere  scusa  e  indulgenza;  con- 
ciossiachè  non  conosciamo  maniera  alcuna  d'ordinamento  in  cui 
non  s'incontrino  alquanti  svantaggi  e  disconci ,  ed  esse  tutte  sono 
trovate  meglio  per  comodo  della  memoria  e  come  mezzi  di  para- 
gone, che  qual  genuino  ritratto  delle  vere  differenze  e  disgregazioni 
delle  cose.  In  ciascuna  specie  poi  di  poetare  da  noi  registrata,  i 
componimenti  (come  delta  il  senso  naturale)  si  succedono  secondo 
i  tempi  degli  autori ,  il  che  fa  scorgere  con  massima  agevolezza 
qualmente  la  materia  medesima,  e  non  di  rado  li  stessi  concetti,  col 
variare  dei  tempi  variino  la  significazione  e  l'aspetto  e,  più  che  air 
tro,  il  modo  particolare  con  cui  sono  espressi. 


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MIEF  AZIONE. 


SII 


Ma  per  quello  che  8^  appartient  a  Uilta  ittsiene  la  collezione  dei  ge- 
neri ,  e  in  ciascuno  d' essi  alla  scelta  dei  nomi  e  per  ciascun  nome  alla 
scella  dei  versi,  noi  vogliamo  con  alquante  parole  renderne  ragione  al 
lettore  e  definire  un  pò*  per  minuto  le  considerazioni  e  i  rispelli  diversi 
con  cui  V  abbiamo  condotta.  In  prima  sarebbe  stato  nel  piacer  nostro, 
di  non  escludere  dalla  Raccolta  o  ninna  o  pochissime  di  quelle  com- 
posizioni a  cui  sia  toccato  di  riscuotere  lode  assai  generale  e  durevole. 
Che  per  verità  primo  giudice  naturale  de'  suoi  poeti  è  il  popolo  in 
mezzo  di  cui  quelli  cantano ,  e  rarissimo  accade  che  nelle  rime  ap- 
plaudite comunemente  e  non  troppo  fugacemente,  una  qualche  note- 
vol  bellezza  non  sia  riposta  o  d*  immagine  o  d'affetto  o  di  elocuzione. 
Ne'  difetti  medesimi  loro  (quando  avviene  che  n'abbiano  e  sieno 
frequenti  e  più  che  leggieri)  appare  uno  sfoggio  di  fantasia  e  d'in- 
gegno e  un  siffatto  abuso  dell'  arte,  per  giungere  al  quale  fa  bisogno 
aver  sortito  fÌBu;ollà  gagliarde  e  non  ordinarie,  il  che  à  veduto  l'Ita- 
lia singolarmente  nelle  poesie  del  Marino.  Ma  dovendo  la  Collezione 
nostra  capir  tutta  in  un  sol  volume,  e  cionondimeno  dar  saggio  del 
poetare  di  quattro  secoli ,  a  noi  è  convenuto  cogliere  unicamente 
qualche  porzione  del  più  bel  flore  e  sciegliere  e  vagliare  eziandio 
nel  buono  e  neir  ottimo. 

Non  ostante  cotale  necessità,  abbiam  procacciato  di  porre  in 
vista  tutte  le  varietà  di  stile  un  poco  notabili  e  persino  ogni 
combinazione  o  nuova  o  difficile  cosi  di  metro  come  di  rime, 
benché  in  ciò  volemmo  restare  assai  parchi ,  potendosi  di  leg- 
gieri scambiare  la  novità  con  la  bizzarìa  e  la  stravaganza.  Oltre- 
ché toma  a  gran  follia  l'andare  in  accatto  di  maggiori  malagevo- 
lezze ed  angustie  in  un'  arte  già  per  sé  medesima  la  più  malagevole 
di  quante  ne  esercita  V  uomo.  Il  mondo,  innanzi  ogni  cosa,  chiede 
bella  poesia  e  maravigliasi  volentieri  delle  difficoltà  occorse  per  via 
e  con  felicità  superate ,  ma  non  di  quelle  che  il  poeta  fabbrica  per 
ostentazione  e  capriccio  ;  il  bello  é  sempre  difficile ,  ma  mollo  manca 
che  r  inversa  proposizione  sempre  si  avveri.  Certo  é  poi  che  quando 
i  poeti  fanno  studio  e  apparato  di  tal  sorta  di  bravura ,  annunziano 
quasi  sempre  la  decadenza  dell'arte.  Ma  v^à  eziandio  certi  popoli 
d'ingegno  sottile  e  abbondante  d'arguzie  a'  quali  simili  ricercatezze 
vengono  facilmente  in  piacere.  E  sembra  che  ciò  incontri  per  ap« 
punto  negli  Arabi ,  la  cui  poesia  sfoggiò  molto  presto  in  lavori  strani 


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PREFAZIONE.  HI 

di  ritmo,  io  immagfinetle  e  in  bisiicci  non  guarì  dìsrormi  da  quei 
trìti  oraameoti  di  meandrì  e  traforì  che  girano  per  le  pareti  e  le 
Tolte  degli  alcazari.  Dagli  Arabi  si  travasò  il  mal  gusto  ne*  Catalani 
e  ne'  Provenzali ,  e  una  vena  non  troppo  scarsa  ne  Tu  derivata  ne* 
prìmi  nostri  verseggiatori.  Dante  egli  pure  non  se  ne  astenne  affatto, 
e  noi  stupiamo  in  pensare  che  a  quel  genio  sovrano  venisse  scritta 
la  canzone  lambiccatissima  della  Pietra.  Sa  ognuno  che  nel  seicento, 
con  lo  scadere  dell'arte,  ricomparvero  quelle  freddure  e  mattie,  e 
ogni  cosa  Tu  piena  di  acrostici,  d*  anagrammi,  d'allitterazioni  e 
altrettali  scempiezze.  Ma  per  buona  ventura  colesta  sorta  vanissima 
di  pedanteria  non  sembra  ai  moderni  pericolosa,  e  dico  ai  moderni 
italiani ,  perchè  appresso  gli  stranieri  non  ne  mancano  escmpj ,  e 
molti  anno  letto  in  un  vivente  poeta  francese  di  gran  nomea  certi 
caprìcci  di  metri  e  di  rime  i  quali  dimostrano  come  in  lui  siensi  ve- 
nuti rinnovando  tutti  gli  umori  eie  vertigini  dei  seicentisti.  E  nem- 
manco  ci  pare  immune  dalle  stranezze  di  cui  parliamo  quel  conce- 
pimento del  Goethe  di  ordire  la  tragedia  del  Fausto  con  questa 
singoiar  legge  che  ogni  scena  fosse  dettata  in  metro  diverso  ed  una 
altresì  in  nuda  prosa ,  onde  potesse  affermarsi  che  ninna  maniera 
del  verseggiare  ed  anzi  dello  scrivere  umano  (per  quanto  ne  è  ca- 
pace il  tedesco  idioma)  mancasse  a  quel  dramma  ;  nuova  maniera  e 
poco  assai  naturale  e  graziosa  di  porgere  idea  e  figura  del  pan- 
teismo. 

Ma  tornando  alla  nostra  Scelta,  qui  ne  cade  acconcio  il  notare  che 
quantunque  gl'Italiani  mostrinsi  oggidì  molto  sazj  e  fastidili  del 
sonetto  f  come  di  forma  vieta  e  troppo  dai  mediocri  ingegni  abu- 
sata, nientedimeno,  esso  deve  occupare  non  picciola  parte  d'una 
Raccolta  la  qual  sia  fedele  rappresentatrice  delle  più  vecchie  e  rad  icato 
consuetudini  del  nostro  Parnaso.  Noi  peraltro  arbitriamo  di  avere 
trascelto  di  quella  specie  i  più  belli  e  più  celebrati  componimenti,  e 
alcnni  pochi  eziandio  che  brillano  di  falsa  luce  ,  ma  pur  son  piaciuti 
troppo  universalmente  e  per  troppo  tempo,  come  il  sonetto  famoso 
del  Maggi:  Sciogli,  Eurilla,  dal  lido;  e  sta  qui  ad  esempio  di  quel 
sentir  manierato  e  di  quello  stile  lezioso  che  proseguì  a  farsi  am- 
mirare dai  medesimi  restauratorì  delle  Lettere  classiche,  e  della  sem^ 
plicità  antica,  come  stimarono  di  essere  il  Grcscimbeni  ed  i  suoi  col- 
leghi e  Mecenati.  In  fine  facemmo  luogo  a  parecchj  sonetti  solo 

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fgrchè  dMUfiMlirio  <«> ioggà,  imont  e  p«rUcol>pe mei geoere ;  edi 
qseiliaeiio  i  MulÉanrini  ilei  Caro,  i  Feiìfeinici  del  CaBaregi «  if^i 
altri  die  aimmmoko  fcane^  deaaaikhirci  wmetli  Itlarici. 

k  noi  sembrò  parhnente  buon  senno  di  accogfiere  m  questo  libro 
ogni  ooaiposizioBe  in  coi  fosse  an  cominctamento  ed  an  saggio , 
tuttoché  imperfetto,  d* alcun  nuòvo  abito  di  poesia,  stato  in  prò- 
ceaaa  lU  tempo  con  arte  più  fina  e  con  maggior  felicita  coltiTSio. 
Gasi  ci  i  parso  di  dorer  registrare  due  odi  del  Tasso  seniore,  per- 
chè mostrano  aperto  il  prìnio  introdursi  nella  lirica  nostra  volgare 
d'ima  imitaùooe  pie  stretta  d'Orazio  e  de'  latini  elegiaci.  Con  fai 
nedeaiasa  coasiderazioae  dcbbe  accettarsi  lo  squarcio  non  brerc 
che  diamo  della  Teseide  del  Boccaccio ,  e  qualche  altro  dettato  forse 
mancbcTole  e  rozzo ,  mm,  primitivo  ed  esemplare.  Per  lo  contrario, 
qualunque  poeta  che  poco  o  nulla  del  proprio  aggiunse  alle  attrai 
invenzioni ,  ovvero  non  seppe  con  bel  prodigio  dcft'arte  iunorare  e 
riflgio\*anire  le  cose  antiche ,  fu  da  noi  ragionevolmente  esdoao  e 
tadntone  il  nome.  Qo^sto  a  fatto  che  nella  poesia  Pastorale  (per 
fenìre  a  un  caso  specificato)  da  Bernardino  Baldi  si  passi  tosto  e 
senza  alcun  interponimento  ai  sonetti  del  Menzini  e  dcHo  Zappi ,  nò 
incontrisi  altra  composizione  di  moderni  bocoKci  ;  stantecfaè  qnei 
sonetti  sono  il  sol  fiore  campestre  (a  così  domandarlo)  che  spnntò 
leggiadro  e  odoroso  nell'Arcadia  romana ,  benché  vi  si  radunassero 
infiniti  verseggiatori ,  né  d'altro  per  ordinario  vi  si  discorresse  che 
di  greggi  e  capanne.  LeggMMÌ  pare,  faUa  innanzi  prowttione 
d' eroica  pazienza ,  V  egloghe ,  gì'  idillj  e  le  canzonette  alia  Mtoe  ^«tvi 
recitate  per  lunghi  anni ,  e  crediamo  che  ninno  si  richiamerà  4eifai 
nostra  sentenza;  e  per  via  d'esempio,  le^^i  il  Veronese  ^Noqid, 
principale  di  quella  schiera,  e  dicasi  con  iscfaieilena  se  bene  gli 
competeva  il  grido  e  la  fama  che  mosse  di  aè  con  le«ie  fradde  ed 
affettate  canzoni. 

Convenicntissimo  è  poi ,  e  quasi  non  oooorre  avvertirlo ,  €ke  ab- 
biamo anteposto  sempre  le  composizioni  più  «ucooae  e  istmtlive 
alle  meno  ;  quindi  Teleganza  sola  mai  non  ci  à  bastato  per  tilalo  di 
ammissione  ;  o  per  lo  manco,  à  dovuto  eataafolgorare  d' nna^màa, 
e^ d'una  venuatà  esemplare  «  (perfetta.  Cbnoaoatanie  gli  è  afiitto 


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del  tempi  pie  hMB,  ao»  ÌMDvptpi  dft  q«eilD 
lÈÈà  a  pwagoae  deUa  ingtea»  td  aadie  taliwlls  della  iranene.  Ha 
BOB  dof^ta  aìlriiPeaU  accudcfo  laddove  al  pcuaiaie  amaa»  foroao 
A  di  iwoa'ora  appiccati graviana»  pion^ e idbbncatfmìUD catene, 
e  dove  agU  affeUi  proToKli  e  gagliardi ,  appena  i^NutaTaao ,  w  vo- 
leu  recise  tuUe  le  barbe.  Ma  coloro  che  dimeaCidii  di  queste  a»- 
aere  condizioni  d' Italia  entraao  a  spiegare  la  troppa  nM)llexza  e  h 
ridondanza  del  nostro  Parnaso  riferendone  le  cagioni  al  clima  vo- 
lattooso,  alla  soverchia  Tacitila  del  comporre  e  al  predominio  del 
material oiondo  sullo  spirituale,  e  deUa  forma  sull'idea ^ scordano  o 
diacoiu»coBo  a  torlo  non  solo  la  poesia  intera  dei  Latini  padri  no- 
stri^ ma  la  sacra  cpopeja  di  Dante»  della  quale  si  convien  dire,  e  con 
molto  maggior  fondamento,  quello  che  de'  poemi  d'Omero  a£Eeraia- 
Tane  i  Greci»  starvi  cioè  incluso  tutto  il  senno  ed  il  sapere  della 
civiltà  antica.  Che  anzi  per  quella  poca  di  cognizione  la  quale  pen^ 
siamo  di  avere  attinta  dai  libri  e  dall' esperienza  intomo  alla  tempera 
de^*ingegpi  e  all'indole  delle  nazioni,  diremo  assai  Crancamoite 
cbeio  niun  paese  quanto  in  Italia  puossi  veder  meglio  comaiista  ed 
unificata  la  idea  con  la  forma  e  il  profondo  sentire  col  vivissimo  im^ 
raaginare,  e  in  ninno  veder  associato  con  più  saldi  legami  la  scienza  e 
f  intuizione,  equcUo  che  da'  filosofi  si  suol  domandare  mondo  subbiet- 
tìvo  e  mondo  obbiettivo  ;  conciossiachè  principal  carattere  del  genio 
italiano  è  la  lega  inlima  e  l'equilibrio  delle  opposte  facoltà;  laddove 
nel  Norte  la  potenza  astrattiva  e  speculativa  predomina  e  fassi  tiranna; 
ed  anche  agi' Inglesi ,  popolo  di  mento  elevata  e  caldissima,  accade 
troppo  sovente  di  trasformare  in  psicologia  la  lirica  e  la  drammatica; 
né  pel  grande  studio  che  anno  posto  più  volto  nel  greco,  nel  latino , 
e  peranche  nell' italiano,  senesi  condotti  a  senlire  ed  a  possedere  la 
bellezze  e  gli  arlificj  più  fini  ed  occulti  della  simmetria,  deUa  propor- 
zione, della  dignità,  del  decoro  e  della  compiuta  e  continua  conve- 
aevolezza,  ed  a  toccar  l' eccellenza  suprema  dell'eleganza  e  dell'atti- 
cismo ;  o  ciò  almeno  si  può  asserire  senza  ombra  di  dubbio ,  che  non 
mai  tali  doti  sooosi  lor  fatte  connaturali  e  spontonee. 

Pnncipalmento  abbiamo  curato  di  scegliere  quelle  rime  che  inten- 
dono alla  educazione  civile ,  e  ne  infiammano  ad  amare  la  patria  econ 
^regie  opere  glorificarla.  Ma  tali  rime  per  isventura  non  riescono  le 
più  numerose  e  le  più  celebrate  ;  e  per  alto  d' esempio ,  noi  pigiama 
dairAlamauni,  degno  poeta  e  degnissimo  cittadino,  un  sonetto  pdi- 


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Vr  PREFAZIONE. 

lieo  che  in  DÌuna  Raccolta  abbiamo  incontrato  e  da  nessuno  l'abbiam 
sentilo  mai  menzionare,  e  cionondimeno,  per  la  politezza  dello  stile 
e  maggiormente  assai  per  la  magnanimità  del  concetto,  merita  di 
gire  innanzi  a  moltissimi  altri  stati  prescelti  e  applauditi,  non  ostante 
la  frivolezza  del  lor  subbietto,  meritevole  per  lo  manco  di  silenzio  e 
dimenticanza.  Quante  lodi  invece  non  si  udirono  fare  e  quante  ri- 
stampe non  si  annoverano  delle  ottave  di  quel  medesimo  Fiorentino 
sulla  morte  di  Narcisso  cambiato  in  fiore? 

SVI. 

Questa  noncuranza  deflettori  per  la  Civile  poesia  scusa  in  gran 
parte  i  poeti  e  significa  la  ragione  perchè  cantassero  eglino  così  di 
rado  le  cose  italiane  e  poco  piangessero  le  nostre  sventure,  poco 
s'infiammassero  de*nostri  lunghi  e  affannosi  dcsiderj.  Non  può  nò 
deve  il  poeta  scompagnarsi  mai  troppo  dalle  opinioni  e  dai  sentimenti 
comuni  deiretàsua;  che  da  questi  principalmente  move  Testro  suo, 
di  questi  accende  e  innamora  le  moltitudini;  d'ogni  altro  pensiero 
ed  afietto,  ove  li  possieda  e  li  senta  egli  solo,  avrà  pochi  intendi- 
tori, pochissimi  lodatori ,  e  la  Tavella  delle  Bluse  langue  e  muor  sulle 
labbra  se  non  suona  ad  orecchie  benevole  e  a  cuori  profondamente 
commossi.  Altre  volte  avviene  che  i  concelli  e  le  passioni  civili 
quantunque  non  tacciano  dentro  al  petto  di  molti ,  nientedimeno 
mal  si  adattano  alla  poesia,  perchè  non  consolati  da  alcuna  spe- 
ranza né  infuocali  da  sdegno  generoso  e  potente,  né  promossi  e  no- 
bilitati da  successi  gloriosi  e  da  splendide  sventure.  Tale,  a  nostro 
giudicio,  fu  il  caso  de' poeti  italiani  dagli  ultimi  anni  del  secolo 
decimoquinto  sino  al  Parini  e  a  Vittorio  Alfieri.  Questo  disperare 
della  salute  pubblica  e  veder  la  patria  non  pure  infelice  e  serva  degli 
stranieri,  ma  prostrata  e  invilita  e  fatta  quasi  spregievole  agli  occhi 
proprj,  indusse  altresì  la  persuasione  che  non  s'ascondesse  nella 
poesia  un'arte  educatrice  del  popolo  e  un  organo  de' più  cfiicaci  per 
iscaldarlo  a  senlimenii  di  grandezza  morale  e  politica,  ma  fosse  in 
quel  cambio  una  industria  gentile  e  un  grazioso  intrattenimento  per 
consolarsi  dei  mali  comuni,  scuotendone  via  il  pensiero,  ricreandosi 
con  fantasie  molliformi  e  leggiadre,  trasportando  tutto  l'animo  per 
entro  un  mondo  aflatlo  ideale  e  porgendo  pascolo  alle  afiezioni  private 
e  luce  ed  appariscenza  a  molli  accidenli  della  vita  ordinaria.  Tal  de- 
viare della  poesia  dall' ufficio  suo  gravissimo  di  prima  e  solenne  arte 
civile,  è  abito  già  vecchio  assai  e  comune,  oso  dire,  a  tutte  le  nuove 


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PREFAZIONE.  tll 

letterature.  Imperocché  non  si  vede  che  altrove  la  cosa  abbia  proce- 
duto meglio  che  a  casa  nostra.  La  prepotente  fortuna  e  grandezza  degli 
Spagnuoli  attempi  di  Carlo  Y  e  di  Filippo  11  appena  à  suggerito  ai 
lirici  loro  qualche  ode ,  e  uno  o  due  drammi  al  Lopez  e  al  Calderon, 
mentre  diluviavano  da  ogni  banda  le  egloghe  e  le  redondillas,  i  sonetti 
e  le  canzoni  alla  petrarchesca.  ^eWAraucana,  medesimo ,  nota  un 
buon  critico  castigliano,  se  v^à  qualcosa  di  ben  descritto,  ciò  sono 
gl'Indiani  e  non  gli  Spagnuoli.  In  Inghilterra  il  Milton  Gerissimo  re- 
pubblicano e  segretario  eloquente  del  gran  Cromveilo,  à  quasi  sempre 
poetato  di  cose  mistiche  e  teologiche  e  nulla  v'  à  di  politico ,  nulla 
d'inglese  e  di  patrio,  né  nel  Paradiso  perduto  y  nò  in  altri  suoi  canti. 
In  fine  chi  sMndurrebbe  a  pensare,  qualora  il  fatto  certo  e  patente 
non  l'insegnasse,  che  in  Francia,  innanzi  al  Voltaire,  mai  non  cor- 
resse alla  mente  d*  alcun  insigne  drammatico  di  porre  in  iscena  un 
caso  e  un  gesto  di  patria  istoria  ;  né  per  altro  i  nipoti  di  Carlo  Magno 
e  i  soldati  di  Luigi  XIV  dovessero  impietosirsi  e  spandere  lacrime 
se  non  per  le  nuore  di  Priamo  e  le  sventure  della  casa  d*Àtreo? 

S  VIL 

Ma  ciò  menerebbe  tropp' oltre  il  discorso,  e  però  tornando  a  fare 
rassegna  delle  considerazioni  che  ajutarono  a  compilare  il  presente 
libro,  per  ullimo  noteremo  che  ci  à  parso  bene,  quante  volte  T am- 
piezza soverchia  del  componimento  non  l'impediva ,  darlo  ai  lettori 
nella  sua  interezza;  e  però  eziandio  in  fatto  di  poemi  avranno  essi 
tutto  intero  il  Mondo  creato  del  Tasso  e  YAngeleide  del  Valvasone; 
avranno  le  Stanze  del  Poliziano,  le  Api  del  Ruccllai,  il  Podere  del 
Tansillo,  la  Poetica  del  Menzini ,  V Invito  del  Mascheroni  ;  e  olire  a 
queste  dannosi  loro  molle  composizioni  non  brevi ,  come  le  Ottave 
del  Martelli ,  il  Celeo  del  Baldi,  il  Ditirambo  del  Redi  e  simili  altre. 
Dove  poi  ci  é  stalo  forza  di  troncare  il  dettato  e  produrre  di  soli 
frammenti,  abbiam  procacciato  con  diligenza  che  fossero  tali  da 
chiudere  in  sé  medesimi  una  parte  compiala  e  perfetta  dell' opera 
onde  sono  levati;  e  talvolta  abbiamo  fatto  seguire  l'uno  all'altro 
parecchj  brani ,  in  tutti  insieme  i  quali  un  sol  pensiero  e  un  solo  di- 
segno si  vien  ripigliando  dall'autore.  Cosi  del  poema  del  Fortiguerri 
furono  tolti  ed  uniti  que' brani  dove  il  carattere  mollo  strambo  e 
molto  vero  di  Ferautle,  é  si  maestrevolmente  ritratto  e  spiegato.  La 
qual  cosa  abbiamo  voluta  non  pure  a  vantaggio  e  onor  de' poeti, 
quanto  a  soddisfazione  dei  leggitori.  A' poeti  toma  molte  volte  assai 


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ym  PBRFAZ10N& 

bene  che  deUe  opere  loro  Tengan  moBlraie  inìicamente  le  perii  i 
f^  condotte  ;  e  Virgilio  medesimo  desiderò  di  essere  tramandato 
ai  posteri  come  il  torso  del  Belvedere ,  il  qual  fa  stupire  ognuno  delie 
rimaste  bellezze  e  fa  infiDÌtamente  rimpiangere  ciò  ebe  è  perduto; 
laonde  (e  questo  sia  detto  per  incidenza)  riuscirà  sempre  a  gloria 
grande  e  invidiata  d'Italia  che  )a  Gerusalemme  del  Tasso  con^pi^ 
tanto  più  bella  e  mirabile  quanto  più  in  lei  si  contempla  e  consideim 
intentivamente  la  perfezione  del  tutto.  Ma  ne*  leggitori  è  certo  biso- 
gno inleliettualc  di  cogliere  runilà  dei  concetti  e  delle  composi- 
zioni ,  e  lor  sembra  nelP  opere  d*arte  di  non  gustare  cosi  pienamente 
come  desiderano  il  bello  in  ciascuna  parte  diffuso ,  qualora  non  sia 
paragonalo  e  giudicato  insieme  col  tutto. 

svili. 

Ma  chiederà  forse  taluno  perchè  in  questa  nostra  scelta  sia  rice- 
vuto per  intero  il  Mondo  creato  del  Tasso,  dove  in  sul  principiare 
dicemmo  che  sì  le  rime  di  lui  e  sì  quelle  dell'Ariosto  ne  sarebbero 
escluse.  Similmente  si  chiederà  la  ragione  perchè  diasi  intera  VAn- 
geleide  del  Valvasone  conosciuta  da  pochi  e  da  pochi  lodata,  e  in 
egual  modo  parerà  strana  la  preferenza  nostra  per  qualche  altro 
nome  e  scrittura.  Noi  primamente  diciamo,  in  risguardo  del  Tasso, 
che  d'un  poeta  tragrande  siccome  eg}i  è,  questa  Biblioteca  del  Bau- 
dry  dee  di  necessità  contenere  le  opere  più  solenni.  E  di  fatto  la  Geru- 
iolemme  sia  nel  volume  de' Quattro  Poeti  Maggiori;  e  in  quella  ri- 
stampa che  d*  esso  volume  s'adempirà  fra  non  mollo,  compariranno 
aggiunte  le  liriche  più  celebrate  del  sommo  epico.  Nel  volume  poi 
del  Teatro  scelto  italiano,  altra  ripartizione  di  essa  Biblioteca ,  leg- 
gerannosi  V  Aminta  ed  il  Torrismondo,  A  compiere  pertanto  la  col- 
lezione dei  capolavori  del  Tasso  accadeva  di  dar  luogo  in  questa 
Raccolla  al  Mondo  creato,  poesia  nobilissima  e,  con  fermezza  il  di- 
ciamo, degna  di  più  alta  fama  che  forse  non  gode.  Sono  nel  Mond^ 
creato  rivestili  d'abito  spendidissimo  i  più  rumorosi  sistemi  ddla 
metafisica  antica  e  della  teodicea  cristiana,  insieme  con  tutto  do 
cbe  di  vario  e  dotto  e  di  più  inmiaginoso  e  poetico  suggerivano  le 
storie  naturali  d'Eliano,  d'Aristotele,  di  Teofrasto^  di  Plinio  »  di 
Dioscoride.  Che  se  gran  parte  e  forse  anche  la  maggiore  di  qudk 
dottrine  è  venuta  meno,  debbesi  ridurre  a  mente  che  ciò  non  à  posto 
in  dimenticanza  e  nemmanco  à  scemato  gloria  a  Lucrezio  ed  al  suo 
poema;  conciossiachè  ogni  discreto  lettore  procaccia. di  situar  L'in- 


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t^ttelto  lidie  condiaoDi  dei  tenpi  e  Deircurdiiie  delle  oognizioiii  in 
cai  terivei»  il  poeta.  OIU*c  a  di  che,  quella  magnificenza  coniinua  di 
pensieri  e  di  siile  che  appare  nel  Mondo  ereaio,  e  queir  aura  biblica 
iaflieme  e  platonica  che  spira  in  ciascuna  pagina  con  tanta  solennità 
e  con  A  vera  caldezza  di  sentimento,  sono  pregi  che  sopravivono 
al  ouUare  deUe  opinioni;  e  d'altra  parte  compensano  più  che  assai 
qualche  negligenza  di  elocuzione ,  e  la  poca  varietà  e  lo  scarso  arti- 
ficio nella  testura  dello  sciolto,  il  quale  pur  nondimeno  se  a  petto  a 
qfoello  del  Caro  riesce  monotono  e  languido,  lasciasi  infinitamente 
addietro  lo  sciolto  del  Trissino  e  dell'Alamanni.  Noi  non  bremo 
discorso  molto  difierente  per  YAngeleide  del  Yalvasone,  la  qual  re- 
putiamo senza  paura  d'inganno,  una  gemma  delle  più  rare  e  lucenti 
del  nostro  antico  Parnaso.  E  di  fermo ,  a  guardare  con  diligenza , 
dopo  V  Ariosto  e  il  Tasso,  in  qual  mai  poema  del  cinquecento  trovasi 
una  maggiore  altezza  e  pellegrini tà  di  pensieri  e  (come  dicesi  mo- 
dernamenle)  una  più  spiccala  originalità?  Forse  che  lo  siila  non 
vince  di  franchezza  e  di  robustezza  pressoché  tutti  i  contemporanei? 
Certo,  il  Valvasone  è  meno  forbito  ed  armonioso  del  Tansillo,  meno 
fluido  del  Tasso  seniore,  meno  corretto,  proprio  e  limato  de' più 
corretti  e  limaii  rimatori  toscani;  ma  non  per  ciò  si  capisce  come 
questa  minor  perrezione  di  forma,  abbia  potuto  oscurare  nella  opi- 
nione de*  raccoglitori  e  de*  critici  il  gran  pregio  dell' invenzione. 
Che  il  Milton  siasi  giovato  délV Angeleide  non  so,  quantunque  fra  i 
due  poemi  si  vengan  trovando  molli  e  singolari  riscontri  che  non  è 
beile  a  credere  casuali  ;  ma  questo  io  so  bene  che  a  rispetto  della 
guerra  degli  angeli  episodicamente  introdotta  nel  Paradiso  perduto, 
il  Yalvasone  non  perde  nulla  ad  esser  letto  dopo  T  Inglese  e  con 
quello  essere  paragonato;  il  che  non  avviene  del  sicuro  né  per 
V  Adamo  dell' Andreini  né  per  la  Strage  degl'Innocenti  del  cavaliere 
■srìno,  due  componimenti  che  dicesi  aver  suggerito  a  Milton  pa- 
recchj  pensieri  e  T  ideal  grandezza  del  suo  Lucifero. 

S  »x. 

Quanto  è  poi  a  qualche  altra  più  breve  composizione  prescelta 
da  noi  ed  avuta  in  pregio  contro  forse  il  giudicio  de'  passati  racco- 
l^iari,  direma  assai  volentieri  che  a  noi  non  par  bella  quell'  ardi- 
temm  troppo  frecpsenle  ne'  moderni  scrittori  di  contradire  alla  sen- 
tOKa  coniane;  imporocchè  ciò  si  compie  assai  volte  per  desiderio 
di  paiec  nagolare  e  onde  si  ammiri  il  senno  acutisaitto  e  coraggioso 


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X  PREFAZIONE. 

del  critico.  Ma  d'altra  parte  quando  la  virtù  prepotente  dell' intimo 
aehso  ne  persuade  e  ne  sforza,  e  un  esame  attento,  ripetuto  ed  illu- 
minato ne  riconduce  e  conrerma  nel  Tatto  giudicio,  a  noi  non  sem- 
bra lodevole  l'ostinarsi  a  dererire  o  per  timidezza  o  per  inopportuna 
modestia  alla  opinione  dei  più.  La  quale  poi  non  molto  di  rado 
mantiensi  viva  per  solo  vigore  deirabilo  e  per  quella  innata  pigrizia 
degl'intelletti  di  recarsi  a  indagare  il  vero  da  sé  medesimi.  Se  per- 
tanto in  questa  Raccolta  s'imbatteranno  i  lettori  in  alcune  rime  che 
il  pubblico  non  à  curate  o  non  tenute  per  ottime,  ciò  è  proceduto  non 
da  voglia  puerile  di  profferire  nuovi  e  inaspeltati  giudicj ,  ma  uni- 
camente dall'amore  di  verità  e  da  quell'ufficio  gravissimo  che  sem- 
bra incombere  agli  studiosi  di  riparare  dal  canto  loro  agli  oltraggi 
e  caprìcci  della  Fortuna ,  la  quale  si  meschia  più  Torse  che  non  si 
crede,  nella  distribuzione  della  celebrità  e  nel  prospero  o  sventurato 
successo  dei  libri. 

SX. 

Con  questi  rispetti  e  considerazioni  abbiam  noi  condotto  e  ordi- 
nato il  presente  volume,  onde  sia  specchio  veritiero  benché  com- 
pendioso della  poesia  italiana  dell'età  media;  nel  che  fare  ci  siamo 
giovati  pochissimo  del  giudicio  de* nostri  migliori  crìtici  e  precet- 
tisti; che  anzi  in  leggendoli  ordinatamente  e  secondo  i  tempi,  ci 
venne  osservato  (cosa  che  per  addietro  non  ben  sapevamo)  la  crìtica 
letteraria  incominciata  in  Italia  con  Dante  essere  morta  col  Tasso  e 
gli  amici  suoi;  e  come  cadde  con  quel  mirabile  intelletto  la  nostra 
supremazia  nel  ministero  delle  Muse,  cosi  venne  meno  la  vera  filo- 
sofia estetica;  e  il  nuovo  dell'arte  non  Tu  capito,  l'antico  fu  dalla 
pedanteria  svisato  e  agghiadato.  L'arte  critica  antica  ebbe  ultimi 
promulgatori  due  grandi  ingegni ,  il  Muratori  e  il  Gravina.  Della  crì- 
tica nata  dipoi  con  le  nuove  speculazioni  e  con  le  nuove  forme  di 
poesia,  non  conosciamo  in  Italia  alcun  degno  scrittore  e  rappresen- 
tatore.  Ai  tempi  del  Tasso,  T autorità  per  certo  era  di  soverchio  pre- 
valente e  le  poetiche  tiranneggiavano;  ma  chi  ben  considera  la 
sostanza  degli  scritti  polemici  del  cinquecento  e  nota  quelli  segna- 
tamente dettati  a  proposito  della  Gerusalefnme,  dee  confessare  che 
appresso  de' letterati  mai  la  notizia  de' classici  non  fu  cosi  vasta  e 
così  famigliare,  né  le  dottrine  grammaticali  più  affinate  e  compiute, 
né  la  filologia  greca  e  latina  più  profonda  e  diffusa;  e  mai  nella  in- 
telligenza e  nell'interpretamento  degli  antichi  gran  precettori  non 


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PREFAZIONE.  XI 

fa  spiegato  aUrettaiHo  acume,  larghezza,  erudizione,  luce  di  filo* 
sofia,  senso  squisito  d'ogni  eleganza. 

Né  sembra  inutile  afiatlo  per  risuscitare  la  buona  critica ,  il  porre 
d'innanzi  agli  occhj  un  volume  in  cui  voltando  non  molte  facce  si 
poBsa  scorgere  e  comparare  il  vario  andamento  che  ebbe  in  Italia  la 
volgar  poesia  dal  Boccaccio  iiiGno  al  Varano  ed  al  Gozzi.  E  perchè 
intomo  ai  pregi  di  lei,  come  intorno  ai  difctli,  sono  i  pareri  diffe- 
renUssimi  nel  nostro  secolo ,  mancando  per  intero  la  comunanza  dei 
documenti  e  del  gusto,  essendo  le  tradizioni  interrotte  e  dimenti- 
cate, e  dominando  (massime  nella  menle  de' giovani)  le  esletiche 
oltramontane,  io  non  so  indovinare  aflalto  dò  che  i  lettori  di  questo 
libro  sieno  per  sentire  e  per  giudicare  del  suo  contenuto.  Quindi  mi 
arbitro  di  qui  esporre  in  brevi  parole  il  criterio  definito  ed  univer- 
sale ch'io  n'ò  cavato,  riconducendo  ogni  cosa  a  pochi  principj  de- 
dotti (a  quel  che  mi  pare)  dalle  originali  fonti  della  storia  e  della 
filosofia. 

S  XI. 

La  poesia  canta  o  T  amore  e  T altre  passioni  umane,  e  ciò  che  versa 
sulla  moralità  delle  nostre  opere,  ovvero  canta  le  armi  e  le  geste 
civili  e  politiche  d'uno  o  di  più  eroi ,  come  d*una  o  di  più  nazioni, 
ovvero  canta  la  religione  e  le  cose  oltramondane  e  celesti.  A  tali 
subbietti  di  poemi  e  di  liriche  devesi,  per  creder  mio,  aggiunger  la 
scienza,  la  quale  in  mente  de' poeti  acquista  vaghezza  di  colori  e  di 
affetti ,  e  con  ciò  scende  dalle  cattedre  e  divien  nu Jrimento  e  ricrea- 
mento  del  popolo.  L' ingegno  poetico ,  in  versificare  ciascuno  di  quei 
subbietti,  tende  a  spiegare  una  novità,  un* altezza  e  una  leggiadria 
suprema  di  concetto,  di  sentimento,  di  fantasia  e  di  stile.  Dove  man- 
casse l'una  di  tali  eccellenze,  Tarte  sarebbe  diffettosa  e  quindi  in- 
crescevole. Di  presente  noi  diciamo  che  la  riunione  e  composizione 
migliore  e  più  nuova  di  tutte  quelle  materie  trattabili  e  la  sintesi 
altresì  più  perfetta  del  pensiero,  della  immaginazione,  dell'affetto  e 
della  elocuzione,  è  senza  contrasto  apparita  in  Dante  Alighieri.  Ne* 
poemi  d'Omero,  la  passione  profonda  d* amore,  ed  in  generale  quel 
sentir  delicato  e  molteplice  che  il  progredito  incivilimento  pro- 
muove, è  piuttosto  in  germe  ed  in  facoltà  che  altramente.  In  essi  del 
pari ,  è  deficienza  della  vita  meditativa  e  interiore,  e  a  lato  a  molta  e 
finissima  scienza  pratica,  quella  positiva  e  speculativa  dei  dotti  non 
vi  si  scorge.  La  fantasia  v'è  ammiranda,  e  neVi*  Iliade  segnatamente 


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XII  PR£FAZIOKK. 

fa  sbatordire,  ma  a* avvolge  tra  cose  meno  difficili  a  rìvealire  di  aplen- 
dide  immagiai ,  perchè  tutte  di  lor  natura  sod  figurate  e  belle  di  |^ 
mitiva  bellezza.  In  fine  lo  stile  omerico  usa  per  istrumcnto  il  vagUa- 
aimo  di  tutti  gì*  idiomi  e  s'adorna  della  semplicità  maestosa  de'  teasfi 
eroici ,  ma  non  ancora  conosce  la  metà  dei  parliti  e  degli  artifiq 
onde  si  ottiene  la  copia  la  varietà»  il  numero  e  l'deganza* 

Dopo  Omero  nessun  poeta ,  per  mio  giudicio,  può  alzarsi  a  compe- 
tere con  r Alighieri,  salvo  Guglielmo  Shakspeare,  gloria  massiosa 
deir Inghilterra,  E  per  fermo,  ne' drammi  di  lui  l'animo  e  la  vita 
umana  vcngon  ritratti  così  al  vero  e  scandagliati  e  disaminati  co» 
nel  profondo,  che  mai  noi  saranno  di  più.  Ila  le  condizioni  peculiari 
della  drammatica,  e  T  indole  propria  degl'ingegni  settentrionali  im- 
pedirono a  Shakspeare  di  raggiungere  quella  perfetta  unione  di 
subbietti  e  di  facoltà  onde  facciamo  discorso.  E  veramente  nelle 
composizioni  sue  la  religione  si  mostra  sol  di  lontano  e  molto  di 
rado,  e  tra  le  specie  diverse  e  delicatissime  d'amore  ivi  entro  àigaS^ 
ficate,  manca  quella  eccelsa  e  spirilualissima  di  cui  si  scaldò  l'amanle 
di  Beatrice.  11  sapere  positivo  e  speculativo  similmente  vi  fa  difetto, 
e  la  natura  esteriore  v'è  si  poco  descritta  quanto  poco  si  lascian  di- 
stinguere i  paesaggi  e  le  architetture  nel  fondo  dc'quadri  storiali. 
In  fine,  la  elocuzione  che  sempre  è  viva  e  spontanea  e  insuperabile 
sempre  di  proprietà  e  d' energia ,  diviene  alcune  volte  negletta  e  pro- 
saica nò  va  esente  dai  falsi  tropi  e  dalle  scurrilità. 

Nel  tutto  insieme  poi  de*  drammi  shakspiriani  desiderasi  quel  cor- 
retto e  finito,  quella  proporzione  e  armonìa ,  quella  sobrietà  e  sod- 
tezza  continua,  che  solo  al  Genio  d* alcuni  popoli  meridionali  è  dato 
sentire  ed  effettuare  con  piena  felicità. 

S  X". 

Toccato  un  poco  dei  subbietti  della  poesia ,  e  numerate  le  qualità 
e  le  doti  che  principalmente  le  si  appartengono ,  seguita  il  cooaide- 
rare  la  persona  medesima  del  poeta ,  le  condizioni  e  lo  stato  della 
sua  mente  e  le  attinenze  di  lui  con  la  ragione  dei  tempi ,  deUacivillà 
e  del  popolo  in  mezzo  a  cui  vive;  le  quali  coso  noteremo  i 
mente  no'  lor  gradi  supremi  e  nelle  intime  opposaioni.  Coi 
che  il  miracolo  della  poesia  consiste  principalmente  neU^eaercttaie 
insieme  quelle  virtù  deH'  ingegno  che  sembrano  in  discordanza  e  ia 
conflittazione,  e  Dell'esercitarle  altresì  con  intensione 
d*  energia. 


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IÌIEFA2I0NE.  Xni 

DidaHio  adunque  che  taWdta  il  poeta  è  dall'ispirazione  allacciato 
e  padroneggiato  8i  forte,  da  non  saper  bene  sottomettersi  alPaite  ed 
alla  meditazione.  Da  simile  sovrabbondanza  d^  istinto  e  scarsità  di 
rìllesaone  e  di  scienza,  derivano  i  canti  primitivi  delle  nazioni  mi 
qoafi  ò  tanta  rozzezza,  negligenza  e  imperizia,  quanta  inimitabile 
aenplicità,  eCBcacia  e  caldezza.  Altre  volte ,  e  molto  più  tardi  assai 
£  cpelle  età  iniziatrici  ed  eroiche,  il  troppo  incivilirsi  dei  po- 
poli aumentando  di  soverchio  Posservazione  e  la  critica  e  alBnan- 
dovisi  l'arte  ogni  giorno  di  più,  per  effetto  medesimo  dell'eser- 
cizio e  dell'esperienza  e  per  desiderio  dì  novità,  mena  il  poeta  a 
aoordar  forse  troppo  l'aorea  semplicità  degli  antichi,  il  sincero 
aspetto  ddla  natura  e  i  veri  e  spontanei  moti  dell*  animo.  Queste 
differenze  chi  ben  le  guarda  e  chi  le  assume  in  gradi  e  aspetti  di- 
versi ,  fonno  superiore  e  inferiore  ad  un  tempo  Virgilio  ad  Omero  y  e 
sovrappongono  poi  ambidue  agli  epici  tutti  della  media  grecità  e 
latinità.  11  prodigio  dell'umano  ingegno  consiste ,  senza  dubbio ,  a 
tener  il  mezzo  di  tali  due  termini,  o  a  dir  più  chiaro,  consiste  a 
nantener  viva  la  6amma  pura  e  spontanea  dello  antiche  ispirazioni , 
e  aggiungere  a  ciò  tutto  il  meglio  che  inducono  dentro  il  cuore  e 
dentro  i  pensieri , la  riflessione  e  speculazione  ,  la  critica  e  l'arte,  il 
sapere ,  Tuso  e  Tesperienza  oltremodo  cresciuti ,  T istruzione  e  i  me- 
lodi propagati  ed  assotligliati.  Ora ,  Dante ,  al  mio  giudicare ,  acco- 
sta e  concilia  per  appunto  in  maniera  portentosa  cotali  estremi  ;  ed 
e^i  è  il  sommo  poeta  (come  direbbero  i  metafisici)  intuitivo  e  rifles- 
sivo. Ancora,  su  questo  doppio  carattere  dell'intuizione  e  della  ri- 
lessione ,  egli  è  da  notare  che  l'una  esprime  più  volentieri  la  natura 
Bniversale  e  comune,  e  T altra  invece  la  propria  e  individuale. 
Quando  un  popolo  intero  si  fa  poeta ,  e  ciò  è  a  dire ,  quando  in  lui 
signoreggiano  profonde  e  comuni  credenze  ed  affetti,  in  guisa  ch'ei 
si  raccoglie  con  lo  spirito  e  vivesi  tutto  o  nelle  rammemoranze  glo- 
nose  della  sua  storia  o  nelle  speranze  e  promesse  magnifiche  del- 
Favvcuire ,  colui  il  quale  si  consacra  peculiarmente  alle  Muse  non  è 
{MÙ  quivi  che  un  interprete  e  un  banditore  delle  ispirazioni  comuni ,  • 
e  sostiene  officio  simile  a  quel  degli  araldi  che  in  nome  e  con  le  pa- 
nrie  di  tutti  favellano  ;  se  non  che  il  poeta  trova  più  felice ,  più  calda 
e  meglio  ornata  «ignificazione  di  ciò  che  il  popolo  intero  pensa , 
ricorda  e  desidera.  Quuido  per  lo  contrario  non  v*è  più  vera  citta- 
dinanza, e  le  opinioni  e  gii  affetti  comuni  son  dileguali  in  gran 
parie,  e  ad  essi  succedono  a  grado  a  grado  sentimenti  e  cogitazioni 


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\1V  PREFAZIONE. 

o  affatto  particolari  e  proprie  o  d' una  porzione  soltanto  di  popolo , 
e  che  nientedimeno  la  cultura  deli*  intelletto  e  dell'arie  non  cade  ma 
si  propaga  e  si  riforbisce;  allora  sorge  una  poesia  o  troppo  indivi- 
duale e  affatto  fantastica,  o  troppo  boriosa  e  accademica,  ignota  e 
inaccessibile  al  volgo,  più  elegante  che  passionata,  più  dotta  ed 
arguta,  che  vasta,  efficace  ed  originale.  Dopo  ciò,  egli  divien  mani- 
festo che  quella  mente  fortunata,  la  qual  sa  ritrarre  ed  anzi  scolpire 
i  pensieri  varj,  gì*  istinti  e  le  passioni  speciali  del  secol  suo,  e  ri- 
flette come  specchio  lucente  T indole  e  le  istituzioni  tutte  quante 
della  vita  sociale  e  politica  di  cui  partecipa,  quella  mente,  io  dico, 
alla  quale  avviene  per  tutto  questo  di  dilettare  e  commovere  così 
bene  il  volgo  come  i  patrizj ,  i  dotti  come  gì*  illetterati ,  e  che  cio- 
nondimeno imprime  in  ciascuna  pagina  il  suggello  dell* animo  pro- 
prio e  i  concetti ,  le  opinioni  e  le  dottrine  sue  personali ,  a  segno  che 
il  poetare  di  lei  risplenda  d*una  novità  nò  prima  nò  dopo  uguagliata, 
colai  mente  sovrana  raggiunge  del  sicuro  V  ultima  perfezione  della 
poetica,  e  l'arte  sua  similissima  alla  natura,  offre  a  un  tempo  me- 
desimo la  suprema  bellezza  individuale  ed  universale.  E  qui  pure  io 
non  m' imbatto  in  altro  divino  ingegno  in  cui  si  ravvisi  attuala  la 
grande  eccellenza  di  cui  parliamo ,  eccetto  Dante  Alighieri.  Da  ul- 
timo accade  soventi  volte  che  all'animo  del  poeta  non  sia  tutta  pre- 
sente la  solennità  e  importanza  del  suo  magistero  e  dei  6ni  morali  e 
civili  a  cui  dee  voltarlo.  Ma  colui  per  lo  certo  accostasi  in  ciò  alla 
perfezione  dell'arte,  il  qual  sente  di  lei  cosi  intera  la  dignità,  l'aN 
tezza,  la  proficuità  e  la  morale  bellezza  che  la  fa  istrumento  efficace 
di  educazione  pubblica  e  veicolo  di  sapienza;  e  tanto  vuol  con  esso 
istruire  quanto  dilettare,  e  chiama  sé  stesso  sacerdote  del  vero  e 
della  rettitudine ,  e  canta  quasi  profeta  per  mezzo  al  popolo  e  tra- 
manda alle  più  lontane  generazioni  la  fiamma  de'  suoi  magnanimi 
affetti  e  la  luce  de'  suoi  apotegmi.  E  qui  di  nuovo  a  chi  mai  può 
tornar  difficile  il  confessare  che  Dante  abbia  a  rispetto  di  ciò  supe- 
rato tutti  i  poeti  del  mondo  ? 

S  XIII. 

A  raccogliere  la  sostanza  del  fin  qui  detto,  noi  primamente  con- 
cluderemo che  il  compiuto  e  1*  ottimo  della  poesia  consiste  in  rac- 
chiudere dentro  ai  poemi  con  vaga  e  proporzionata  unità  di  compo- 
lEfizione  tutto  quanto  il  visibile  ed  il  pensabile  umano  perciò  che  in 
ambedue  è  più  bello  e  più  commovente;  e  consiste  inoltre  a  ritrarre 


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MfiPàZiaifB.  XV 

cotesto  sobbietto  ■mplwiìnio  e  «aiitertale  con  la  aiaggiore  novità  e 
k  waaeffM  leggiadiìa  di  coBoepimenlo,  di  iaiitasia,  d'affetto  e  d'ek>- 
coxioiie  che  posn  mai  conaeguÌTBL  li  conoepiiiieato  cori  Bel  com- 
pleaso  come  nelle  aeoleiiBe  partioolarì,  dee  riuscir  aoataanoao  ed 
inaspettato  e  pieno  dì  recondita  dottrina  e  saggezza;  Taffetto  dee 
correre,  quanto  è  possibile,  per  tutti  i  gradi  e  le  differenze,  e  toc- 
care il  sommo  della  tenerezza  e  compassione  e  il  sonmio  della  terri- 
bilità. Dee  rimmaginazione  abbracciare  lo  spirituale  e  il  corporeo, 
il  mondano  e  il  sopramoudano,  talché  in  compagnia  dell'affetto  e 
con  la  scienza  deUa  vita  e  della  natura,  descriva  e  rappresenti  le 
meraviglie  esteriori,  i  secreti  dell'animo  e  le  visioni  della  Fede.  In 
fine  tutti  tre  insieme,  il  concepimento,  l'immaginazione  e  l'affetto 
debbono  far  consuonare  la  massima  idealità  con  la  massima  concre- 
tezza, onde  ogni  cosa  peculiare  riveli  per  virtù  di  poesia  uno  splen- 
dido universale  e  sia  al  tempo  medesimo  un  ritratto  e  un  archetipo. 
Noi  fermammo  dopo  di  ciò  che  ad  attingere  tal  perfezione  era 
spediente  sortire  un  abito  d'intelligenza  si  privilegiato  e  divino  da 
poter  collegare  con  una  intuizione  arcana  e  vivissima  la  meditazione 
e  la  scienza ,  e  con  la  impetuosità  e  caldezza  dell'  estro,  il  freddo  e 
squisito  finim^to  dell'arte.  Di  costa  poi  alla  descrizione  ed  enume- 
razione di  queste  doti  e  attributi,  a  noi  fu  lecito  di  pronunziare  che 
tutte  appaiono  impresse  e  tutte  operanti  nella  Divina  Commedim 
meglio  che  in  qualunque  altro  poema ,  e  la  quale  è  però  da  conside- 
rarsi come  il  più  alto  prototipo  dell'eccellenza  poetica,  qualora  vo- 
glia la  mente  dall'astrazione  scendere  al  fatto  e  considerar  nel  con- 
creto quel  massimo  accostamento  all'  idea  che  sino  a  qui  son  riuscite 
di  adempiere  le  Lettere  umane.  Noi  fermammo  eziandio  che  debbo  il 
sonuno  poeta  parlare  al  cuore  e  all'intelletto  d' ogni  ragion  di  lettori, 
e  farsi  q>ecchio  tersissimo  del  comune  sentire  »  e  serbare  dò  nondi- 
meno ben  rilevata  e  ben  contornala  la  effigie  del  proprio  animo  e 
della  propria  natura.  In  6ne  ricercasi  dall'ottimo  poeta  che  piena- 
mente concepisca  la  grandezza  e  magni6cenza  degli  ufficj  e  de'  fini 
suoi ,  e  che  a  questi  venga  di  continuo  concordata  e  proporzionata 
la  scdta  materia. 

§  XIV. 

Con  la  scorta  di  tali  considerazioni  e  la  vista  di  tal  modello  a  noi 
basterà,  perdiè  si  colga  la  ragion  poetica  vera  dell'eia  media  ita- 
Hana,  il  venire  accennando  per  ordine,  prima  le  tendenze  morali  e 

e 


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XVI  PREFAZIONE. 

ciyili,  e  le  condizioni  qualitative  de*  tempi  ;  appresso,  l'elezione  dei 
subbietli  e  il  carattere  mentale  degli  scrittori.  Ogni  rimanente  sarà 
supplito  dalla  perspicacia  ed  erudizione  dei  leggitori,  i  quali  reche- 
ranno pure  agevolmente  ai  principj  medesimi  le  osservazioni  e  i 
giudicj  espressi  da  noi  nell'anterior  parte  di  questo  discorso. 

S  XV. 

Nello  spegnersi  del  secolo  xv,  quando  le  Lettere  e  la  poesia  volgare 
incominciarono  a  risorgere  e  ritiorire,  un  elemento  vi  si  accoppiò 
non  nuovo  ma  notabilmente  cresciuto,  e  ciò  fu  lo  studio  e  l'amore 
grande  della  classica  erudizione,  e  un  ossequio  e  un'ammirazione 
forse  soverchia  per  gli  scrittori  greci  e  latini.  Ma  si  badi,  che  guar- 
dandosi al  tutto  insieme  della  volgar  poesia ,  dal  primo  comparir 
suo  nella  corte  di  Federico,  a  questi  nostri  presenti  giorni,  ei  si 
vedrà  manifesto  che  il  culto  degl'  Italiani  inverso  le  Lettere  greche  e 
latine  fu ,  di  rado  assai ,  intermesso ,  e  sempre  fra  noi  è  stato  a  gran 
pezza  più  fervoroso ,  più  tenace  e  più  famigliare  che  appresso  qua- 
lunque altro  popolo;  non  rinasce  adunque  e  non  prospera  esso  in 
Italia  per  matta  superstizione  o  per  cagioni  transitorie  ed  acciden- 
tali, ma  conserva  e  profonda  le  ultime  sue  radici  nel  sentir  proprio 
e  costitutivo  della  mente  e  dell'animo  nostro.  Tal  culto  à  fatto  in- 
fra l'altre  cose  che,  a  rispetto  dell' eleganza  e  dell' atticismo,  mai  non 
siamo  stati  dalle  nazioni  moderne,  non  che  superati ,  ma  nemmanco 
raggiunti;  e  pure  in  questi  ultimi  tempi  in  cui  la  poesia  inglese  e 
tedesca  sembra  soverchiare  la  nostra,  per  novità  e  veemenza  di 
pensamenti  e  di  affetti,  nella  sola  Italia  è  tuttora  ricoverato  il  per- 
fetto buon  gusto  e  il  senso  delicatissimo  della  greca  venustà;  e  quivi 
ancora  qualche  dettator  fortunato  procaccia  d'intingere  la  sua  penna 
nell'oro  di  Virgilio.  Né  già  per  questo  vogliam  negare  che  più  d'una 
voltalo  studio  e  la  imitazione  dei  capolavori  antichi,  non  abbiano 
ne'  nostri  scemato  novità  e  spontaneità ,  involle  le  lor  fantasie  nelle 
viete  immagini  mitologiche;  dato  allo  stile  freddezza  ed  affettazione. 
Solo  desideriamo  che  si  rifletta  gli  studj  classici  (come  suolsioggi 
domandarli)  essere  stati  a  ciò  più  presto  occasione  e  concomitanza 
di  quello,  che  cagione  prossima  ed  efSciente.  Mai  la  notizia  e  medi- 
tazione dell'eccellenza  antica  non  à  nociuto  agl'ingegni  veramente 
grandi  in  secolo  pur  grande  e  animoso.  Dante  non  mandava  egli 
alla  memoria  tutto  Virgilio ,  e  noi  chiamava  dottore  e  maestro  suo? 
Chi  più  versato  nella  latinità  del  Petrarca,  che  di  quella  fu  primo  e 


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PREFAZIONE.  XVII 

solenne  ristoratore?  Di  Lettere  greche  e  latine  sinudri  il  Boccaccio 
fin  da  fanciullo ,  e  in  compagnia  d'esse  compiè  la  vita;  le  quali  cose 
non  impedirono  che  Dante,  in  ogni  suo  scritto,  e  il  Petrarca  nel 
Canzoniere  e  ne'  Trionfi,  e  il  Boccaccio  nel  Novelliere,  nella  Ftam- 
metta,  nel  Corbaccio  e  in  qualcun* altra  prosa  non  sien  riusciti  ori- 
ginalissimi. Quelli  pertanto  i  quali  osan  dire  che  la  illustrazione  e 
scoperta  di  molti  volumi  antichi  succeduta  nel  secolo  xv,  e  Tardore 
vivissimo  recato  allora  nella  filologia  greca  e  latina,  tornò  in  somma 
sventura  per  lo  svolgimento  libero  ed  originale  delle  Lettere  nostre 
volgari,  scambiano  troppo  le  cagioni  apparenti  e  fortuite  con  le 
reali  ed  intrinseche.  Di  fatto,  egli  ò  da  ricordare  che  ne*  tempi  me- 
desimi di  Lorenzo  de*  Medici ,  due  impulsi  ricevette  la  poesia  ita* 
liana,  e  per  due  strade  diverse  prese  cammino;  Tuna  fuUe  aperta 
dal  Poliziano,  Taltra  dal  bizzarro  ingegno  del  Pulci.  Ora,  in  costui 
non  trovasi  egli  somma  novità  e  franchezza  di  poetare  e  tanto  spirito 
di  rivolta  centra  tutti  i  documenti  dei  rettori  antichi,  quanto  il  suo 
Margutte  ne  mostra  contra  le  cose  più  sante?  E  quella  serie  lunghis- 
sima di  poemi  cavaliereschi  che  dal  Ciriffo  Calvaneo  scende  giù  fino 
al  Bicciardello^  non  si  scosta  pur  tutta  nella  sostanza  e  nelle  forme 
dal  poetar  greco  e  latino?  Nel  Furioso  medesimo  quanti  sono  i 
luoghi  dove  l'Ariosto  apertamente  imita  e  copiagli  antichi?  Non 
son  molti  del  sicuro,  e  non  tali  giammai  che  tolgano  a  quel  poema 
il  pieno  carattere  di  novità  e  noi  facciano  difierentissimo  dalla  poe- 
sia classica.  Ciò  nondimeno ,  perchè  ai  tempi  del  Pulci  il  gran  moto 
repubblicano  rallentavasi  da  ogni  banda,  e  gì* intelletti  più  culti  e 
più  ardili  cessavano  dall*  infiammarsi  dei  sentimenti  e  delle  passioni 
comuni  ;  però  accadde  che  il  Pulci  impresse  nella  volgar  poesia  un 
carattere,  nuovo  bensì,  ma  troppo  diverso  da  quello  che  abbiam 
notato  nell* Alighieri.  Ben  si  vede  da  ogni  pagina  del  Morgante  che 
il  Pulci  è  poeta  di  corte  e  fa  dell'arte  sua  un  nobile  ed  elegante 
trastullo.  Egli  ricrea  le  scelte  brigate  fiorentine  con  le  avventure  ca- 
valleresche, e  a  quelle  anime  voluttuose  ed  argute,  e  spoglie  oggimai 
delle  credenze  e  passioni  gaglianle  dei  padri ,  egli  sa  soddisfare  con 
la  sottile  ironiae  la  befia  leggiadra  e  dissimulata;  e  mentre  il  comune 
interesse  e  la  dignità  delle  plebi  s* affievolisce,  egli  compiace  allo 
spirito  individuale  de*patriq  e  de' doviziosi  mercatanti,  i  quali  scor- 
dando quasi  la  patrìae spregiando  la  modestiadel  vivere  repubblicano, 
avvisavano  nei  casi  de'  paladini  quel  che  possa  l'audacia,  la  forza  e 
r accorgimento  d'un  uomo  per  giungere  alla  potenza  e  al  dominio. 


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XVIIl  PUrAZMXfB. 


S  XVI. 


D^akra  parto,  il  Poliziano  nelle  ottaTe  deOa  Giostra  ineornhicio 
un  Terseggiare  raffinatissimo,  e  quasi  a  cfire ,  aristocratico  e  signo- 
rile; tutto  impregnato  di  latino  e  di  greco,  anzi  greco  e  latino 
espresso  in  eleganti  tocì  italiane;  il  quale  pie  non  è  accostevole  al 
popolo ,  e  tìtc  d'arte  e  d'ingegno  pia  assai  che  d'inspirazione.  Vede 
ognuno  pel  semplice  paragone  dei  htti ,  quanto  mai  dissomiglino  in 
fra  di  loro  i  Tersi  del  Poliziano  e  quelli  del  Pulci  ;  e  solo  in  ciò  si 
raCRrontano  che  per  ambedue  la  poesia  dantesca  sì  grande,  si  ma- 
schia, si  nazionale,  è  tenuta  in  disparte. 

S  xvii. 

Nella  stessa  corte  de'  Medici ,  ed  anzi  nelle  rime  stesse  di  Lorenzo 
il  Magnifico,  rinacque  il  petrarcheggiare ,  genere  di  poesia  «he,  de- 
rivato in  parte  dai  Provenzali,  fecesi  proprio  d'Italia,  e  durowi, ai 
pud  dire ,  per  cinque  secoli  ;  conciossiachè  ad  Eustachio  Manfredi , 
ben  si  compete  il  nome  e  la  lode  di  ottimo  petrarchista.  E  però  le 
Muse  vereconde  e  soavi ,  ma  stanche  ed  esauste  degli  amanti  pla- 
tonici, mandarono  in  sul  finire  il  canto  del  cigno ,  dettando  a  quel 
gentil  Bolognese  la  immortale  canzone  ;  Ihnna,  negli  occhi  vostri. 
Certo  in  tal  foggia  di  poetare  riapparsa  nel  cadere  del  quattrocento 
m  compagnia  deir altre  da  noi  ricordate ,  la  imitazione  divenne  più 
ancor  manifesta  e  servilo ,  e  (come  gli  accade  pur  sempre)  andò  co- 
piando il  peggiore;  né  studiossi  di  ricalcare  eziandio  in  ciò  le  orme 
dantesche,  e  partecipare  a  quella  passione  ingenua  quanto  profonda, 
e  a  quel  candore  e  a  quella  semplicità  efficace  di  stile  che  adorna  di 
grazia  ineffabile  tutto  quanto  il  Canzoniere  del  gran  Ghibellino.  Ma 
qui  pur  noteremo  che  simile  imitazione  non  procedo  per  nulla  dal 
soverchio  amore  dell* antichità  e  dal  troppo  sfogliare  greci  e  latini 
volumi  ;  bensì  ebbe  luogo  e  si  dilatò  per  difetto  (  di  poi  sempre  cre- 
sciuto) d'un' alta  poesia  comune  ed  intuitiva.  E  nemmanco  è  da 
credere  che  il  gir  sonettando  alla  petrarchesca  sia  tanto  durato  in 
Italia,  e  tanto  siasi  divulgato  per  cagioni  accidentarie,  o  per  sola 
povertà  d'ingegno  e  aridezza  di  vena.  Il  cuore  tra  noi  sente  assai  di 
leggieri  la  voglia  impaziente  di  significare  in  versi  gli  affetti  gentili 
ond'è  mosso  ;  e  per  quale  anima  non  passò  più  o  meno  intensivo  il 


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nvàziom.  xa 

geotil  fuoco  d'amore?  e  nello  spegnersi  della  vita  cirile,  e  nel  ere* 
acere  da  ogni  banda  l'ozio  lascivo  ìb\  ricchi  e  dei  culti ,  la  galan- 
terìa non  fu  rassegnata  forse  tra  le  nostre  precipue  occupazioni  ? 
D'altra  parte  quel  mantello  e  quei  veli  che  dal  Petrarca  rìcev&  in 
dooo  l'Amore ,  il  quale  s* aggirava  tutto  nudo  fra  i  Greci  »  die  a  eia- 
senno  facoltà  di  pubblicamente  parlare  de'  propr]  affetti  salvo  il  pu- 
dore» la  convenienza  e  la  dignità;  ed  anzi  procacciando  alle  amate 
donne  bella  e  incolpevole  fama.  Oltre  a  ciò ,  quel  platonizzare  del 
Petrarca  confacevasi  molto  bene  con  T altra  condizioue  essenziale  e 
qualitativa  della  mente  italiana,  che  è  di  cercare  in  qualunque  cosa 
la  bellezza  squisita  e  non  qual  s'incontra  comunemente,  o  si  può 
immaginare  da  ingegni  materiali  e  bizzarri ,  ma  qual  dee  risultare 
dalla  perfezione,  e  comporre  un  modo  eccelso  di  leggiadria  che 
segni  l'ultimo  termine  dell' idealità,  e  però  conduca  il  pensiero  per 
Io  mondo  invi>ibile  degli  archetipi ,  e  svegli  nel  cuore  le  più  sublimi 
aspirazioni  ond'esso  è  capace.  La  qual  tendenza  degl'Italiani  com- 
parisce dispiegata  e  manirestissima  io  tutte  le  arti ,  crea  la  maggior 
meraviglia  delle  tavole  di  Michelangelo  e  di  Raffaclle ,  e  a  noi  con- 
serva, pure  in  questi  nostri  miseri  tempi  (sia  qui  notato  per  inci- 
dente), il  privilegio  della  scoltura,  come  d' un'arte  solenne  che  di 
necessità  porta  seco  sceltezza  e  nobiltà  tragrande  e  perfetta  di  con- 
cepimento e  di  forma. 

S  xviii. 

In  qoeUe  scorcio  adunquodi  secolo  tre  laaniere  distinte  di  poetare 
iniziale  o  rifatte,  e  furono  la  romanzesca  del  Pulci ,  la  clas^ 
i  del  Poliziano  e  la  petrarchesca;  e  di  queste  in  prìncipal  modo 
à  rivesti  la  susseguente  letteratura ,  eccetto  alcune  nuove  specie  di 
lirica  delle  qjòali  farem  parola  più  avanti.  Per  vero ,  alcuni  altri  com- 
peaiaMiità  furono  dettati  in  quella  rinascenza  medicea  che  raddur 
1  ai  posaoBo  né  al  genere  petrarchesco ,  né  al  classico ,  nò  al  ro- 
» ,  coinè  certe  ballate  e  canzoni  pastorali ,  come  la  Beca  del 
P«ki  e  la  Neneia  del  Magnifico ,  e  alcuni  Rispetti  e  pochi  altri  simili 
li  ed  amenità  che  erano  pure  le  bellissime  creazioni  e  gemme 
ì  del  nostro  Parnaso,  vaghi  fiori  d' ingegno  pieni  di  verità  e  sem- 
plicilà,  jtteni  di  greca  fragranza  e  di  popolari  concetti  e  yaswoni. 
ih>i>i^  he§àB  la  nostra  letteratura,  se  quel  Gare  naturale»  affetiuoae 
esflendìdo,  tonto  di  evidenza  e  di  graaia  natia,  fosse  stato  introdoUe 
Bi  naiarie  pia  vaate  e  fià  nobili  l 


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XX  PREFAZIONB. 

S  XIX. 

Ma  ripigliando  il  breve  confronto  impreso  da  noi  tra  i  poeti  volgari 
dell'età  media  e  il  prototipo  sublime  dell'arte  che  ci  fornisce  la  Di- 
vitia  Commedia,  noi  non  esiteremo  a  dire  che  la  poesia  dantesca 
tentò  di  risorgere  in  parte  col  Tasso ,  e  propriamente  a  rispetto  della 
gravità  e  solennità  dei  pensieri  e  dei  documenti ,  e  per  quell'ufficio 
suo  d* esprimere  e  invigorire  le  comuni  aspirazioni  e  gli  afTetli  eroici 
d'un* età  e  d'una  nazione,  e  di  toccare  i  fini  più  alti  e  più  profitte- 
voli dell' epopeia,  e  insomma  riuscire  in  tutto  una  poesia  civile ,  re- 
ligiosa e  sapiente.  A  ninno  è  nascosto  che  da  Paolo  IV  in  poi,  la 
Religione  veslì  in  Italia  un  abito  di  severità  e  un  rigor  di  dottrine , 
tanto  più  stretto  e  geloso,  quanto  l'eresia  cresceva  all'intorno  in 
Europa  e  radicavasi  forte  in  Germania ,  in  Inghilterra ,  in  Isvizzera  e 
in  altre  regioni  settentrionali.  Nò  già  debbe  credersi  che  in  quel 
torno  di  tempo  T  ortodossia  cattolica  non  acquistasse  veramente 
maggiore  intensione  di  fede  e  di  sentimento  nella  parte  più  pia  e 
meno  infralita  degl'Italiani.  A  questi  doleva  eziandio  assaissimo  ve- 
der declinare  ogni  giorno  la  forza  e  l'autorità  teocratica ,  della  quale 
stando  la  sede  e  lo  splendor  principale  appresso  di  noi ,  tutta  la  pa- 
tria comune  riscuotevano  lustro  e  potenza  ;  e  maggiormente  parca 
necessario  di  conservare  e  consolidare  quel  principio  d' autorità,  in 
quanto  che  in  Italia  tulle  le  altre  vie  di  potere  e  di  predominio  si 
dileguavano.  Col  desiderio  poi  di  ritirare  inverso  alle  origini  sue  il 
papato ,  procedevano  di  pari  passo  altri  sentimenti  e  principj ,  dai 
quali  si  procacciava  di  fieramente  resistere  ad  ogni  spirito  d'innova- 
zione e  rimettere  in  fiore  antiche  opinioni  e  istituti.  E  come  le  demo- 
crazie in  Italia  erano  tutte  crollate  e  solo  perduravano  le  aristocrazie, 
e  i  baroni  moltiplicavano;  così  entrò  nel  cuore  di  molti  il  pensiere 
che  alle  plebi  dovea  stringersi  forte  il  freno  e  ogni  cosa  dovea  spe- 
rarsi dalla  saggezza  degli  ottimati  e  dei  principi.  Oltre  a  ciò,  nel  co- 
mune pericolo  s'erano,  come  ognun  sa,  concordali  alla  meglio 
l'imperatore  e  il  pontefice;  del  che  era  nato  che  mentre  in  Italia 
spegnevasi  di  più  in  più  il  vigor  popolare  e  le  franchif^ie  repubbli- 
cane ,  sembravano  crescere  per  lo  contrario  e  spander  radice  i  privi- 
legi feudali  e  una  specie  ambigua  di  cavalleria  principesca  e  corti- 
giana. L'autorità  poi  che  sforzavasi  di  risorgere  da  tutte  parti  e 
sofibcare  le  novità  temerarie,  tiranneggiava  non  pur  la  scienza  sulle 
cattedre,  ma  eziandio  l'arto  nelle  accademie,  curvandola  sotto  il 


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PKEFAZIONÉ.  X\I 

peso  delle  teoriche  e  dei  precetti  ;  è  il  culto  inverso  i  capolavori  an- 
Ucbi  tanto  più  s'accostava  a  superstizione ,  quanto  l'Italia  nel  suo 
rapido  declinare  tenea  più  preziose  e  più  venerande  le  ricordanze 
del  suo  passato. 

Di  tali  tutte  cose  fu  rappresentatore  fedele  il  Tasso,  anima  pia  e 
generosa,  ma  in  cui  (non  so  dir  come)  nulla  v'era  di  popolare. 
Qaindi  egli  s'infervorò  della  maestà  teocratica  dei  pontefici  e  aderì 
alla  nuova  cavalleria  cortigiana  e  feudale  ;  quindi  pure  accettò  con 
zelo  e  con  osservanza  scrupolosa  l'ortodossia  cattolica,  e  nella  vila 
intellettuale  come  nella  civile,  fu  dair autorità  dei  metodi  e  degli 
esempi  signoreggiato.  Da  ciò  prese  nudrimento  e  moto  il  divino 
estro  suo  e  uscirono  le  maraviglie  della  Gerusalemme.  Pieno  ancora 
la  fantasia  della  battaglia  di  Lepanto ,  e  sperando  che  un'altro  Marco 
Antonio  Colonna  rinnovasse  con  più  ragione  quel  simulacro  degli 
antichi  trionfi  che  poco  innanzi  avea  rallegrate  le  vie  di  Roma,  dettò 
quel  poema  non  senza  fiducia  di  persuadere  i  principi  della  cristia- 
nità a  desistere  dalle  loro  discordie  e  ripetere  con  più  senno  e  virtù 
le  gesta  eroiche  delle  crociate  ;  adempiendo  ogni  cosa  sotto  il  gran 
patrocinio  del  padre  e  pastore  comune  dei  popoli ,  benedicente  in 
Vaticano  alle  sacre  bandiere.  Ancora  confidavasi  d'innamorare  e 
princìpi  e  gentiluomini  di  quei  costumi  cavallereschi  e  magnanimi, 
de'  quali  fin  dall'infanzia  s'era  venuto  componendo  in  mente  una 
norma  e  un  idolo  cosi  difibrme  dal  vero  come  pien  di  vaghezza  e 
d*appariscenza ,  ed  a  cui  pretendeva  di  dar  fondamento  scientifico 
con  un  misto  di  dottrine  platoniche  e  aristoteliche,  come  da  più 
d'uno  de' dialoghi  suoi  si  raccoglie.  Insomma,  a*  di  nostri,  in  cui 
abbonda  più  la  invenzione  dei  nomi  che  delle  cose,  verrebbe  in 
Francia  ed  in  lughilterra  denominato  gran  poeta  conservatore. 

Sxx. 

Nel  Tasso  poi  sono  tutti  i  pregi  e  tutta  quanta  la  luce  e  magnifi- 
cenza della  poesia  classica ,  e  spiccano  altresì  in  lui  alcuni  attributi 
speciali  del  genio  italiano  in  ordine  al  bello.  In  perpetuo  si  ammirerà 
nella  Liberata  ciò  che  l'arte,  i  precetti  e  la  dottrina  possono  fare, 
ajntati  e  avvivati  da  una  stupenda  natura  poetica.  Quivi  toccò  il 
sommo  Gaudio  quel  maestoso  decoro  e  quella  sceltezza  e  nobiltà  di 
compo»zione  e  di  forma  propria  degl' Italiani,  più  forse  ancora  che 
de'  Greci  medesimi,  e  la  quale  può  riputarsi  che  in  noi  proceda  per 
abito  e  per  tradizione  della  grandezza  romana,  e  per  quel  severo  ed 

e. 


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XXll  PRETAZIONB. 

illustre  di  eoiiceiti  e  di  senUmenti  che  nelle  scuole  di  Piltagora  trova 
ì  principi  suoi  remotissimi.  Ugualmente  nel  Tasso  ^à  piena  sod- 
disfazione quel  desiderio  conlinuo  dell*  ingegno  italiano  che  nel^ 
l'opere  d*arte  apparisca  da  ogni  lalo  e  in  qualunque  cosa  Y unità  e 
l'armonia ,  la  convenienza  e  la  forbitezza.  Ma  d'altra  parte  non  è  nei 
poemrsuoi  la  novità  e  la  creazione  altissima  della  Divina  Commedia, 
non  la  energia  tanto  semplice  quanto  vera  e  terribile  degli  affetti  e 
del  lor  linguaggio ,  non  la  concisa  evidenza  delle  descrizioni  che  fa 
dello  stile  dantesco  una  perpetua  scultura  e  cesellatura.  Mancavi 
similmente  quella  continua  contemperanza  del  reale  con  V  ideale ,  e 
del  proprio  e  individuo  col  comune  ed  universale.  Ma  T  amore  so- 
verchio dello  scelto  e  dello  squisito,  la  obbedienza  non  sempre  legit- 
tima alle  prescrizioni  dei  retori ,  il  comporre  freddo  e  compassato , 
e  con  in  mente  modelli  troppo  discosti  dalla  natura  e  per  troppa 
dignità  e  magnificenza  uniformi ,  cominciato  aveano  a  predominare 
in  Italia  pure  innanzi  del  Tasso ,  e  venivano  ammanierando  eziandio 
le  scuole  di  Raffaello  e  di  Michelangelo.  Sotto  quelle  esagerazioni  e 
quei  pesi  affogò  la  drammatica,  e  si  falsificò  in  buona  parte  il  teatro 
stesso  pastorale  ove  fin  da  prima  comparve  gran  novità  e  gran  leg- 
giadria ,  ma  tutta  fondata  sopra  V  idea  di  tempi  e  di  uomini  che  mai 
non  furono,  e  a  cui  le  volgari  opinioni  negando  fede,  toglievano 
verosimiglianza.  Dai  pastori  di  Virgilio  già  troppo  azzimati,  ebbero 
nascimento  quelli  di  Sanazzaro,  e  tutta  la  bucolica  nostra  italiana, 
se  tu  n'eccettui  il  Baldi,  fu  elegante,  ma  fattizia;  e  del  certo  non 
meritava  che  gli  stranieri ,  massime  gli  Spagnuoli ,  si  sbracciassero 
ad  imitarla. 

S  XXI. 

Dicemmo  che  allato  alla  scuola  latinizzante  e  accademica  del  Po- 
liziano e  del  Sanazzaro,  aprissi  quella  del  Pulci,  tutta  libertà  e 
scioltezza;  e  da  lui  cominciò  la  serie  de'  poeti  romanzeschi,  i  quali 
attingendo  ai  racconti  e  alle  tradizioni  straniere ,  e  trattando  materie 
alienissime  dalle  storie  e  dai  costumi  italiani ,  seppero  ciò  nondi- 
meno ,  per  sola  virtù  d'ingegno ,  produrre  poemi  invidiabili  a  quelle 
nazioni  nel  cui  seno  la  cavallerìa  era  sorta  e  fiorita.  Ma  se  in  costoro 
move  gran  maraviglia  la  sonuna  bravura  e  Tinesapribile  fecondità 
della  fantasia,  dall'altra  parte,  come  notammo,  sono  da  deplorare 
le  poco  gravi  e  civili  tendenze  dell* arte,  le  quali,  più  si  procede 
oltre  nei  tempi,  e  più  lasciansi  riconoscere,  talché  infine  cMmbat* 


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HIEPAZIONE.  XXW 

titmo  Del  MiceiardeUa,  oye  la  Mum  non  vuole  altro  &re  ebe  rìdere 
e  piacevolmeole  buriarsi  degli  uomini  e  forse  anche  un  poco  del 
Cielo.  Splende  fra  essi  come  gran  Sole  TAnoato,  se  forse  non  è  da 
dire  che  egli  non  appartiene  ad  alcuna  scuola  ed  è  unico  piuttosto 
che  primo.  Ma  paragonando  il  Furioso  all'idea  dell'  ottima  poesia  qui 
aopra  deKneata  e  &  cui  dicemmo  essere  Dante  un  ritratto  maravi- 
fgàfmamente  condotto  e  il  più  prosiimo  all' originale ,  a  noi  sembra 
di  poter  aentenziare  che  ritraendo  rocchio  dai  fini  solenni  e  sapienti 
MI' arte,  e  divisando  in  essa  non  più  che  l'intento  immediato  di 
mover  diletto  ed  esprimere  ogni  ragione  di  bello,  quel  poema  cele- 
bratismmò  a'  accosta  meglio  di  tutte  l'altre  composizioni  italiane  ai 
pregi  della  Divina  Commedia.  Se  non  che,  l'Ariosto  significò  la 
commedia  umana  quale  la  veggtamo  rappresentarsi  nel  mondo,  lad- 
dove Dante  fece  primo  subbietto  suo  il  sopramondano ,  e  in  esso 
figurò  e  simboleggiò  le  cose  terrene.  E  come  il  gran  Fiorentino  nelle 
fogge  variatissime  de'  tormenti  e  delle  espiazioni  dipinse  i  variatisi 
simi  aspetti  delle  indoli  e  delle  passioni ,  il  simile  adempiva  V  Ariosto 
sotto  il  velo  dei  portenti  magici  e  delle  strane  avventure.  Ma  certo 
qual  narrazione  di  fatti  umani  riuscirà  più  vasta ,  più  immaginosa  e 
più  moltiforme  di  quella  dell' Orfane^ /uriojo.^  Quivi  sono  guerre 
tra  più  nazioni^  nascimenti  e  ruine  di  molti  regni,  conflitto  sangui- 
noso di  religione  e  di  culto,  infinita  diversità  e  singolarità  di  co- 
stumi, e  tutto  il  Ponente  e  il  Levante  per  larga  scena  e  strepitoso 
teatro  di  colali  imprese  e  catastrofi.  Quivi  sono  dipinte  la  vita  pri* 
vaia  e  la  pubblica,  le  corti  e  le  capanne,  i  castelli  ed  i  romitaggi  ; 
quivi  s'intrecciano  gradevolmente  la  cronica ,  la  novella  e  la  storia , 
e  ciò  che  il  dramma  à  di  patetico,  Tepopeia  di  maestoso,  il  ro- 
manzo di  fantastico.  Però  io  credo  veramente  che  sieno  pochi  gli 
aspetti  e  gli  accidenti  dell' esterior  natura,  poche  le  colleganze  e 
gl'inviluppi  dei  casi ,  poche  infine  le  differenze  e  le  tempre  dei  ca- 
ratteri e  degli  appetiti  che  nel  Furioso  non  abbian  luogo ,  e  tutte  con 
magisterio  insigne  ed  inarrivabile  vi  vengou  ritratte.  Quivi  è  pure 
la  evidenza,  la  sicurezza  e  la  incantevole  flessibilità  del  pennello 
dantesco  e  quella  intuizione  immediata  e  lucente  della  verità  e  bel- 
lezza di  tutte  le  cose  che  dalla  inspirazione  si  origina  e  qualifica 
peculiarmente  il  sommo  poeta.  Quivi  per  ultimo  è  quella  difficile 
significatone  dell'universale  e  comune  nel  particolare  e  nel  proprio, 
sicché  in  ogni  personaggio  ariostesco  appare  ben  definita  e  spiccata 
una  forma  esemplare  e  una  speciale  e  vivente  individualità  ;  e  mentre 


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XXIV  PREFAZIONE. 

il  sopranalurale  (rascende  di  iaoto  la  realità  e  si  spazia  in  un  infinito 
fantaslico ,  it  complesso  degli  accidenti  e  il  parlare  e  operare  degli 
uomini  procede  con  tale  verità  e  naturalezza  che  fa  verisimile  T im- 
possibile. Ma  nella  Divina  Commedia  la  intuizione  si  mescbia  in 
guisa  stupenda  con  la  più  viva  coscienza  di  sé  medesima  e  con  la 
profonda  e  incessante  meditazione.  Del  pari ,  nella  Divitm  Commedia 
con  la  rappresentazione,  può  dirsi,  di  tutto  il  creato  e  con  la  imma- 
gine fedele  del  secolo  e  della  civiltà  in  mezzo  a  cui  fu  dettata ,  sem- 
pre vi  si  scorge  Y  orma  e  lo  stampo ,  a  così  domandarlo ,  dell'  animo 
e  del  genio  dantesco ,  e  tutta  la  persona  del  gran  Ghibellino  vi  sta 
improntata.  Nel  Furioso,  la  fantasia  par  sottomettere  a  sé  ogni  cosa 
e,  come  avviene  singolarmente  appresso  di  Omero,  l'arte  vi  giace 
nascosta  e ,  a  volte,  piglia  T aspetto  della  negligenza  e  della  srego- 
latezza ;  e  similmente ,  la  persona  e  il  carattere  del  poeta  rimanvi 
occulto  e  ignorato ,  salvo  che  un  poco  il  rivelano  le  narrazioni  e 
descrizioni  non  sempre  caste,  e  quel  leggier  sorriso  e  quella  blanda 
ironia  che  per  tutto  il  poema  si  sparge  e  vince  in  grazia  e  in  dissimu- 
lazione il  cantor  del  Morgante. 

S  XXIl. 

Non  credo  che  in  veruna  straniera  letteratura  possa  come  nella 
nostra  volgare  annoverarsi  una  sequela  così  sterminata  di  poemi 
eroici  e  di  romanzeschi,  parecchj  de'  quali  brillerebbero  di  gran 
luce,  ove  fossero  soli  e  non  li  soverchiasse  la  troppa  chiarezza  di 
Dante,  dell'Ariosto  e  del  Tasso.  Né  reputo  presuntuoso  il  dire  che 
per  esempio  la  Croce  racquistata  del  Bracciolini  o  il  Conquisto  di 
Granata  di  Girolamo  Graziani ,  sostengono  bene  assai  il  paragone  o 
con  YAraucana  dell' Ercillao  coi  medesimi  Lusiadi  9\  quali  anno 
accresciuta  non  poca  fama  le  sventure  e  le  virtù  del  poeta;  e  per 
simile,  io  giudico  che  YAmadigi  del  Tasso  il  vecchio  o  Y  Orlando 
innamoratoAA  Berni,  non  temono  di  gareggiare  con  la  Regina  Fata 
di  Spenser  e  con  quanto  di  meglio  in  tal  genere  anno  prodotto 
l'altre  nazioni.  Ma  non  é  da  tacere  che  in  quasi  tutti  questi  nostri 
poemi  riconoscesi  agevolmente  o  l'uno  o  T altro  dei  tipi  che  nel 
Furioso  e  nella  Gerusalemme  ricevettero  perfezione,  ed  a  cui  poca 
giunta  di  novità  e  poche  profonde  mutazioni  si  fecero  dagl'ingegni 
posteriori  ;  e  ne^  poemi  eroici  singolarmente  a  ninno  é  riuscito  di  ben 
causare  i  difetti  del  Tasso ,  molti  in  quel  cambio  li  esagerarono. 
Deesi  peraltro  sceverare  da  tutti  essi  il  Trissino ,  al  quale  molti  anni 


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PREFAZIONE.  XXV. 

avanti  del  cantore  di  Goffredo,  venne  desiderio  di  schiudere  agl'Ita- 
liani la  via  illustre  e  regìa  dell'epopea,  e  trattar  materie  più  conve- 
nienti alla  dignità  e  sapienza  delle  Muse.  Fu  il  Trissino  ing^pno 
austero  e  animoso,  ma  freddo  ed  inelegante,  e  cosi  alla  cicca  passio- 
nato della  semplicità  e  maestà  omerica  da  non  ravvisare  che  i  carat- 
teri della  poesia  primitiva  sono  in  qualunque  altro  tempo  inimitabili 
affatto,  e  che  gli  uomini  e  i  casi  da  Omero  descritti  toccavano  il 
aopraumano  e  il  divino,  dove  quelli  descritti  nella  Italia  liberata 
non  d*altro  sentivano  che  d*una  civiltà  tutta  guasta  ed  intenebrata. 
Né  la  scelta  medesima  del  subbietto  fu  secondo  ch'egli  pensava, 
molto  italiana  e  molto  civile;  e  piacendogli  ad  ogni  modo  di  poetare 
della  liberazione  d'Italia,  come  a  lui  Vicentino  non  venne  in  me- 
moria la  lega  lombarda?  Ma  già  cotal  tema  (quale  ne  sia  stata  mai 
la  cagione)  a  niun  poeta  illustre  italiano  affacciossì  al  pensiero  né 
prima  né  dopo  il  Trissino  e  il  Tasso ,  e  solo  ne*  volumi  del  Muratori 
incontrasi  qualche  antico  verseggiatore  che  ne  cantò  rozzamente  e 
con  depravato  latino  ;  tanto  poco  gli  affetti  ed  i  pensamenti  nostri 
attuali  somigliano  a  quelli  de'  nostri  avi. 

S  XXIII. 

Dal  Tasso  in  poi  le  sorti  d'Italia  ruinarono  ancor  maggiormente, 
o  a  parlare  più  esalto,  col  processo  del  tempo  la  piaga  del  comune  ser- 
vaggio sentir  facevasi  più  profonda  e  inguaribile,  e  T  universale  stem- 
peramento degli  animi  palesavasi  di  più  in  più  nel  tenore  del  vivere  * 
e  nella  novità  dei  costumi.  Ogni  grande  e  generoso  affetto  era  muto,  e 
i  popoli  procacciavano  di  ripararsi  da  tutte  specie  di  tirannidi ,  ineb- 
brìandosi  di  piaceri  e  brigando  e  bamboleggiando  tra  frivole  occu- 
pazioni di  teatri ,  di  giostre,  di  novendali ,  di  paramenti  e  di  pompe. 
E  ciò  non  pertanto  é  così  scolpila  e  naturata  negl' Italiani  la  forma 
del  bello  e  così  continuo  il  desiderio  di  imitarlo  e  d'esprìmerlo,  che 
Tarte  non  si  estingueva,  ma  bene  si  corrompeva.  L'ìmmoderata 
fantasìa  suppliva  ai  Bacchi  pensieri;  T affettazione  e  la  bizzarrìa,  al- 
l'ingenua e  subita  ispirazione,  l'abbondanza  lutulenta  e  verbosa, 
all'antica  sobrietà,  i  colori  vistosi  ed  il  liscio,  alli  schietti  e  parchi 
ornamenti  del  vero.  Ognuno  à  in  mente  che  caposchiera  e  maestro 
di  tal  sorta  di  poetare  fu  principalmente  il  Marino,  al  quale  peraltro 
non  é da  imputare  colpa  maggiore  che  dell'aver  lusingato  e  secon- 
dato più  che  troppo  il  suo  secolo;  e  a  dir  più  giusto,  egli  riusci  per 
appunto  strepitosamente  grande  e  famoso  »  perch'ebbe  natura  con- 


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XKVl 

¥«ùealìiMBa ft  qtteRa  ^lamdi  tenpie  di  gusto;  ùomàomimdkè  %\ 
vmm  Bella  leUtrattira  il  medtstmo  che  Macchie? cUo  Tiene  inee^ 
gMDdo  a  rispetto  dcUa  politica.  Scwabile  mi  si  fa  il  Maarinsv  e  sca- 
sabili  gV  italiani ,  ^nand'  ìf^  consideto  h>  stalo  di  ler  namna  sotto 
il  cmiMe  dominio  degli  Spagnooli,  e  fieramente  mi  sdegno  con 
qnesti  medesimi  che  nella  patria  la<*o  ancor  A  potente  e  si  fortunata, 
plandtvano  a  qoe^  delirj  e  incensavano  il  Gongora  ^  meno  ingegnoso 
assai  del  Marino  e  di  lui  più  strano  e  affettato.  In  fine  gioverà  il 
licordaro  che  all'Italia  serva,  scaduta  e  dilapidata,  rimaneva  pur 
tanto  ancora  di  prevalenza  iutellctiuale  appresso  l'altre  nazioni,  che 
dtf  trionfi  più  insigni  e  delle  lodi  (ùù  sperticate  del  cavaUer  Marino 
ffurono  autori  i  Francesi,  e  per  lungo  tempo  assai  nessuno  de'Ior 
poeti  seppe  al  tutto  purgarsi  della  letteraria  corruzione  venuta  d'oltre 
Alpe;  testimonio  lo  stesso  Cornelio,  alto  e  robustissimo  ingegno,  ma 
nd  cui  siile  nondimeno  avria  dovuto  il  Boileau  ri  trovare  assai  spesso 
di  quel  medesimo  talco  del  quale  parevangK  luccicare  i  versi  del 
Tasso. 

S  XXIV. 

Dal  Marino  incominciò  a  propagarsi  nel  mondo  una  poesia  fan- 
tastica e  meramente  coloritrice  la  quale  cerca  l'arie  solo  per  Tarte, 
lassi  specchio  indiflerente  al  falso  ed  al  vero,  alle  cose  buone  ed  alle 
malvage,  alle  vane  e  giocose  come  alle  grandi  e  inslruttive;  sente 
tutti  gli  affclti,  e  nessuno  con  profondila,  e  neiressere  suo  natu- 
rale» canta  di  Adone,  come  di  Erode  e  così  delle  favole  greche  come 
delle  bibliche  narrazioni.  In  tal  guisa  quella  poesia  dantesca  da  noi 
contemplala  e  alla  quale  convien  sempre  tornare  con  T  occhio  della 
mente,  se  prima  del  Marino  già  compariva  incompiuta  e  dispersa, 
e  con  l'Ariosto  risorgeva  solo  in  alcune  sue  doti ,  e  col  Tasso  nelle 
intenzioni  finali  e  nella  dignità  ed  elevazione  platonica,  ei  si  può 
dire  che  nel  poema  delV  Adone  più  non  lasciava  riconoscere  alcuna 
propria  sembianza. 

S  ^xv. 

qnealo  eorrospimesto  ésU'aiie  dal  dìodersi  dd  dnqne- 
»  a  ttttlo  quasi  il  secolo  xvn.  E  ciò  nondiflaeno  iorirao*  in  tale 
■rtervalio  tre  ingegni  eminenti  che  mantennero  alla  Urica  noatra 
hcHe  maggioranza  sa  quella  dl^alkre 


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»  ad  inft  eoa  me  tt  CUabreim»  tt  FUicait  ed  U  €«di  IW  i^ 
GUabrenifo  Tlialmregdaia  di  tre  imoTe  eorone  j^lkbe;  efaà  n^ 
rMwte  ndle  sue  nuoii  nacque  e  ({randeggiò  prima  la  caoione  firn» 
darica»  poi  la  caazoae  aaacreoaiica  e  infine  il  aeniioiie  oraziano; 
Bè  mal  s'apporrebbe  colui  cbe  aUribuìaae  al  Chiabreia  eiiaQ|)io  la 
riBBovaaioiie  del  Ditirambo.  InleUeito  ardilo,  iuTenlivo  e  gagliardo^ 
occbaioai  integro  del  guaio  e  severo  dell'animo,  foca  nelle  odi  sua 
fipaUulare  quel  tanio  di  poesia  civile  che  i  tempi  e  le  sventure  d'Ita- 
Kn  tl&  concedevano.  Per  tutto  dove  sorgeano  (aviUe  di  valore  ita- 
lìsM^  0  aperanae  d'italiana  gloria  accorreva  quello  spirito  generosa 
ooai  le  i^iìrlande  d^r inni,  sema  mai  parte{^(iare  peruna provincia 
o  per  na  governo,  ma  invilaado  ogni  gente  della  Penisola  a  ricor» 
darsi  ne'lor  fatti  e  consiglj  dd  comune  sangue  latina  Egli  Ligure, 
e  accolto  e  onoralo  da  un  popolo,  che  avea  combattuto  a  Cimata  ed 
a  Malamooco,  spandeva  lodi  magaifiebe  sui  Veneaiaai  morii  nelta 
giMrffe  contro  al  Turco  i  e  mentre  V  Europa  e  gran  porzione  abreaà 
d^*  Italia  stavau  indifierente  a  guardare  quella  lotta  sproponionala 
e  aangttiiMsissima  in  cui  TinCdice  Veoena  scemava  ogni  anno  di 
fone,  di  tesoro,  d*  autorità,  di  dominio,  Tanima  gentile  del  Savnwsao 
la  c<Miaoiava  co'  sum  versi  degni  mollo  spesso  éeì  cedro. 

S  XXVI. 

11  Filicaja  venne  a  tempi  ancor  più  infelici ,  e  quando  più  non  era 
poaaibile  di  discuoprire  ne' suoi  Fiorentini  un  segno  e  un  vestigio 
pure  dell'antica  fierezza  repubblicana.  Ma  il  sènso  del  bene  morale  e 
la  piala  rdlgiosa  fervevano  cosi  profondi  nell'  animo  suo  che  basta- 
roBO  a  farlo  po^a.  E  mai  nò  in  questa  nostra  patria,  né  fuori  sonoai 
laiile  canzoni  cosi  ben  teasperale  di  splendore  pindarico  e  di  maestà 
acriitafalecomequelle  del  Filicaja;  onde  costui  veracemente  avrd:ibe 
laacate  le  ultime  cime  ddla  lirica  nostra  dove  i^' impeto  del  senti- 
BMato  e  alla  beUezza  e  sublimità  del  concetto  si  conformassero  sem- 
pt»  la  purità  e  Teleganza  del  dire.  Nel  Guidi  poi ,  che  è  il  terzo  de*na- 
miaati,  si  ripetè  un  fatto  veduto  a  quando  a  quando  in  Italia  e  il 
yrnle  le  straniere  letterature  poco  o  nulla  conoscono,  io  voglio  dire 
naamsste  io  cui  la  iavenzione  e  la  vi^hezza  dei  pensieri  è  scarsa  e 
noft  Mpassa  i  termÌBi  del  mediocre,  e  quella  dello  stile  èfprandia- 
sì«a  e  ragginaga  la  perfisnone;  e  meramente  uA  Guidi  alUto  a  oon- 
aaMi  ed  a  aentimoMi  spesso  comuni  e  rettoriei ,  splende  una  iorma 
san  snficr abile  di  novhà,  di  beUazza  e  magnificenza.  E  d'altra  parte 


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XXVIII  PREFAZIONE. 

che  poteva  egli  un  poeta  costretto  a  voltare  in  versi  le  latine  omelie 
di  Clemente  XI  e  a  cantare  le  leggi  dei  pastori  d'Arcadia?  Abitava  in 
Roma,  e  delle  ruine  romane  pasceva  continuo  gli  occhi ,  e  da  questa 
vera  e  sola  grandezza  che  avca  dinanzi ,  trasse  le  immagini  e  i  pen- 
samenti migliori  e  più  vigorosi.  Ma  la  decadenza  trista  ed  irreparabile 
del  pontificato  non  volea  vedere  o  pur  non  poteva  ;  di  quindi  quel 
suo  fare  iperbolico  e  quel  suo  vestir  di  gran  nomi  e  di  gran  parole 
le  picciolo  cose.  Certo,  se  ad  Alessandro  Guidi  fosse  toccato  di  vivere 
in  seno  di  una  nazione  forte  e  gloriosa,  non  ostante  la  poca  fecon- 
dità e  vastità  de' pensieri ,  io  non  so  bene  a  qual  grado  di  eccellenza 
non  sarebbe  salita  la  lirica  sua ,  perchè  costui  propriamente  sortì  da 
natura  Vos  magna  sonaturum,  e  ce  ne  porge  sicura  caparra  la  sua 
canzone  alla  Fortuna. 

Di  Fulvio  Testi  è  quasi  ingiurìa  tacere  ed  è  pericolo  grave  lodarlo. 
Copia  di  pensieri  più  che  novità;  grandezza  che  dà  nel  turgido; 
audacia  e  forza  che  si  piacciono  neir  ostentazione;  un  comporre 
tra  r  oraziano  ed  il  chiabreresco ,  ma  non  come  quelli  castigato  e 
continuamente  condotto  dal  buon  giudicio  e  dall'  ottimo  gusto.  Di- 
lettaronlo  le  mattezzc  del  Marino ,  anzi ,  dal  lato  dello  stile,  fu  il 
Marino  medesimo  con  maggior  polso,  ma  con  minore  invenzione,  ed 
ebbe  comuni  altresì  col  maestro  suo  la  fluidezza  del  verso  e  la  riso- 
nanza del  ritmo,  non  sufficienti  sempre  a  nascondere  il  fraseggiare 
negletto  e  prosuco. 

S  XXVll. 

L'Italia  in  sul  cominciare  del  settecento  affrancandosi  in  parte  del 
giogo  straniero  per  lo  sgombramente  degli  Spagnuoli  ebbe  destino 
men  doloroso  e  concepì  speranza  del  meglio  ;  appresso,  nell'altra 
metà  di  quel  secolo  ebbe  principi  riformatori ,  ingegni  tragrandi  in 
iscienza  e  in  politica,  e  vide  in  Roma  una  restaurazione  assennata 
del  gusto  antico  in  tutte  Farti  del  disegno.  Ma  l'effetto  di  ciò  ap- 
parve assai  tardi  e  assai  lentamente  nella  poesia  ;  onde  conoscesi 
ch'ella  non  precorre  il  moto  civile  dei  popoli  e  piuttosto  è  1* ul- 
timo frutto  che  il  primo  fiore  delle  pubbliche  miglioranze;  né 
queste  si  fanno  materia  di  poetica  inspirazione  che  quando  menano 
seco  l'abbondanza  e  T impeto  degli  affetti,  e  quando  i  pensieri  e  le 
teoriche  che  le  accompagnano,  sono  di  qualità  da  facilmente  vestire 
le  forme  dell'arte.  Ma  comunque  ciò  sia,  questo  rimane  pur  vero 
che  fino  all'  ultimo  scorcio  del  secolo  andato  il  nostro  Parnaso 


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PREFAZIOffK.  XXIX 

rìsuoDÒ  più  che  mai  di  ciance  canore,  e  per  intero  yenne  occupalo 
da  qudlo  alile  or  ampolloso  e  scorrctlo,  or  lascivo  e  burlevole,  ma 
sempre  fiacco,  verboso  e  pedcslre  di  cui  rende  immagine  piena  In- 
noceozio  Frugoni  ;  e  dal  culto  della  semplicità  ed  eleganza  antica 
rìsuscilato  in  Roma  per  opera  del  Winckelman ,  del  Milizia ,  del 
MengSy  del  BaUoni  e  d'altri  valenti  scrittori  e  disegnatori,  cavarono 
i  poeti  sol  questo  di  viepiù  pazzeggiare  e  straniarsi  con  la  mitologia 
greca,  e  di  dar  nome  d* anacreontiche  alle  lur  canzonette  prosaiche 
e  piene  di  smancerie.  Della  energia,  proprietà  e  sapienza  dantesca 
neppure  un  aspetto  e  un  vestigio;  ed  anzi  fu  scritto  e  Tu  sindacato 
contro  la  Divina  Commedia,  ove,  trattone  qualche  brano,  ogni  rima- 
nente, si  giunse  a  dire,  dee  reputarsi  nojoso  e  barbaro. 

A  tanto  orgoglio  di  giudicio  e  tanta  umiltà  e  grettezza  di  opere 
affermeremo  noi  essere  contrappeso  più  che  bastevole  la  gloria  di 
Melastasio?  Incertissima  è  la  sentenza,  e  in  qualunque  modo  si  pro- 
ferisca, la  lascivia  e  la  frivolezza  deir  arie  non  ncevono  alcuna  smen- 
Uta  da  quel  poeta  Cesareo.  E  a  chi  ormai  non  dispiace  la  effemmi- 
nala  sua  Musa?  a  chi  uon  rincrescono  quegli  eroi  cascanti  di  vezzi 
e  quei  Greci  e  Romani  trasformati  così  sovente  in  Filocopi  e  in  Ca- 
loandrì?  Eppure,  il  buon  Gravina  avea  fin  dair infanzia  menato  il 
Trapassi  a  bere  alle  ingenue  fonti  della  drammatica  antica.  Ma  il 
dilicato  giovinetto,  conforme  in  tutto  alla  muliebre  natura  dei 
tempi,  piuttosto  che  imparare  da  Sofocle  a  emendare  Racine  e 
Quinault,  aggiunse  le  proprie  allo  molle  loro  svenevolezze.  E  nep- 
pure quando  si  alzò  a  cantare  di  Temistocle ,  di  Attilio  Regolo  e  di 
Catone,  seppe  purgar  la  scena  degli  amoretti  e  dei  madrigali; 
miglior  esempio  aveagli  dato  Apostolo  Zeno. 

S  xxviu. 

Ma  come  i  sensi  religiosi  in  quel  che  anno  di  più  sublime  e  di  più 
scritturale  fecero  del  Filicaja  un  poeta  grande ,  col  quale  il  secolo 
decimosettimo  tanto  bene  si  compiè  quanto  male  fu  cominciato  dai 
Marinisti;  del  pari  nell'età  susseguente  le  inezie  anacreontiche,  le 
pastorali  melensaggini  e  i  dispregi  contro  Dante,  trovarono  fine  per 
opera  d*un  ingegno  altamente  religioso  ed  austero,  il  quale  in 
mezzo  alla  licenza  delle  opinioni  e  alla  mollezza  e  fatuità  do'  costunli, 
parve  in  vero  infiammalo  danna  fantasia  e  da  una  indegnazione  prò* 
fatica.  A  me  suonerà  sempre  caro  ed  insigne  il  nome  di  Alfonso  Va- 


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XXX  PRETAZIONE. 

rMM ,  perdièda  lui  segmlaiDente ,  a  qudlo  che  io  giudico ,  a'  ioinò 
il  oorao  della  poem  moderna  italiana  ;  e  forse  h  patria  dod  gli  ri 
Aosira  rioordev!(de  e  grata  quanto  dovrebbe.  Chi  trovasse  non  poca 
aimiHtadiae  tra  la  mente  del  Varano  e  qnelh  del  Yoang,  credo  che 
male  non  ai  apporrebbe.  Anime  pie  e  stoiche  ambidue,  e  dischmse 
non  pertanto  agli  affetti  gentili ,  diffondono  ne*  lor  versi  un  religioso 
terrore  e  un'ascetica  mdanconia  che  ndl'  Inglese  riescono  cupi ,  in- 
consolati  e  monotoni ,  e  nell'  Italiano  s'allegrano  spesso  alla  vista  del 
nostro  bel  sole,  e  dai  pensieri  del  sepolcro  volano  con  gran  fede 
alla  pace  e  serenità  della  gloria  immortale. 

Yarano  poi  insieme  col  Gozzi  restituì  alla  Divina  Commedia  il 
debito  culto  ;  il  Gozzi  con  li  scritti  polemici ,  egli  con  la  virtù  del- 
l' esempio  ;  ed  ebbe  arbitrio  di  dire  a  Dante  ciò  che  questi  a  Virgilio  : 
Tus^  h  mio  maestro  e  il  mio  autore.  Se  non  che  il  cantore  delle  vi- 
sioni chiuse  e  conchinse  T  intero  universo  nel  sentimento  della  pietà 
e  nei  misteri  del  dogma,  e  non  bene  seppe  imitare  del  suo  modello 
la  nervosa  brevità  e  parsimonia ,  la  varietà  inesauribile  e  la  pere- 
grina eleganza. 

Ma  le  nostre  considerazioni  debbonsi  tutte  fermare  alla  soglia  ove 
à  termine  Tetà  media  e  la  moderna  incomincia.  11  Panni  stesso  ci 
sembra  travalicarlo  e  sentir  Paura  de^  nuovi  studj  e  del  nuovo  se- 
colo; ond'egli  non  vuol  serbare  d'antico  se  non  la  grazia  del  greco 
idioma  e  la  dignità  del  romano ,  e  quella  inflessibile  alterezza  e  drit- 
tura  dell'animo  che  non  obbedisce  e  non  i»ega  di  là  dall'onesto  né 
ai  principi  né  ai  demagoghi. 

TERENZIO  MAMIANF. 
Genoa,  1848. 


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POETI 

DELL'ETÀ  MEDIA. 

POEMI  EROIGL 

BOCCACCIO. 


TESEIDE. 


amomutto. 

Nel  decimo  l'nfido  f  onerale 
FaoDo  gli  greci  re  a'  morti  loro  ; 
B  Teseo  chiama  chi  aanxa  dimoro 
n  mal  d' Ardta  dice  esser  mortale  : 

Poi  Arcita  a  Teseo  racconta  quale 
Dopo  la  morte  sua  del  suo  tesoro 
Il  testamento  sia;  e  poi  con  ploro 
Qoasi  con  Palemon  fece  altrettale  : 

Poscia  presente  Emilia  seco  stesso 
Del  suo  morir  si  doole,  e  poi  con  lei  : 
Ed  elio  dopo  lui ,  porgendo  ad  esso 

CU  stremi  baci  con  dolenti  omei  : 
Quindi  a  Mercurio  lita,  e  piagne  appresso, 
P(>*  Talma  rende  agl'immortali  Iddei, 


n  gran  nido  di  Leda  ogni  beUezza 
In  molte  luci  di  sé  dimostraTa , 
E  gii  propinqua  a  sua  maggior  cortezza 
Tacitamente  la  notte  n'andava, 
Forse  due  ore  Tidna  alla  terza 
IknF€  il  suo  mezzo  cerchio  già  toccava  : 
Quando  di  corte  i  regi  si  partirò. 
Ed  agii  lor  ostier  propij  reddiro. 

Ed  acciocché  per  lor  non  s'impedisse 
La  lieta  festa  deUa  nuova  sposa , 
Anzi  che  più  della  notte  sen  gisse, 
Frese  con  loro  ciascheduna  cosa 


Degna  di  pira,  ciascheduno  disse 
A'  suoi  :  ìfentre  la  gente  si  riposa 
Piani  al  teatro  grande  ve  ne  andate  ^ 
E  quivi  con  silenzio  ne  aspettate. 
I  morti  corpi  degU  nostri  amici 
Tutti  con  diligenza  troverete. 
Ed  acciò  che  non  slan  forse  mendici 
D' onor  di  sepoltura ,  laverete 
Lor  tutti  quanti  ;  e  roghi  fate  lid , 
Ne*  qua*  con  degno  onor  li  metterete  : 
Po*  venuti  saren ,  ma  chetamente 
Si  vuol  far  ciò ,  che  noi  senU  la  gente, 
i 


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POEMI  EROICI. 


Mossersi  allor  co* lumi  i  servidori, 
E  'n  verso  il  gran  teatro  se  ne  andare; 
E,  come  avien  comandato  i  signori. 
Gli  morti  corpi  tutti  ritrovaro, 
E  que'  con  odoriferi  licori , 
E  con  lagrime  ancor  molto  lavaro  : 
Po*  fatte  pire  per  sé  a  ciascheduno. 
Sopra  catima  d'ette  jK>ser  un». 

Venaeiwi  i  re,  dhe  la  turba  dolente 
Con  tristo  suono  fu  apparecctiiata , 
Ed  intorniarla  tutta  con  lor  gente  ; 
E  po'  ch'egli  ebber  ciascuna  onorata 
E  d'arme  e  di  grillande  e  di  lucente 
Porpora,  fu  la  tromba  comandata 
A  sonar,  e  a  dar  voce  a'  tristi  guai 
E  dolenti ,  che  quivi  erano  atsaL 

Allora  i  regi  adimorati  un  poco 
Dentro  alle  pire  fatte ,  con  dolore 
Al  morto  suo  ciascuno  accese  il  foco , 
E  poi  a  Giove  stigìo  ognun  di  core 
Fé'  sagrificio,  acciocché  pio  in  buon  loco 
Ponesse  quelli  che  per  lor  valore 
Erano  il  giorno  morti  combattendo , 
L*  anima  loro  per  altrui  offerendo. 

I  grossi  fuoclii  e  grandi  e  ben  ardenti 
Consumar  tosto  i  corpi  lor  donati  ; 
I  qua'  da  ognuno  delle  greche  genti 
Pietosamente  fur  mortificati  : 
E  ricoltc  le  ceneri  cadenti , 
In  vasi  furon  messe ,  apparecchiati 
Con  mano  pia ,  e  con  dolente  verso , 
Durando  ancora  assai  del  tempo  perso. 

E  quante  Niobe  appresso  i  SipUoi^e 
Allorché  i  figli  di  Latona  fero 
Vendetta  della  sua  alta  orazione. 
Ne  portò  urne,  ed  ivi  in  sasso  vero 
Si  trasmutò,  cotanti  é  opcnione 
Che  quivi  al  tempio  dei  gran  ÌUrte  altero 
Segnati  gisser  del  nome  di  quetti. 
Le  ceneri  de'  quai  fur  messe  hi  efiì. 
Poi  ritornaro  agli  lasciati  ostieri, 
Siccome  bisognosi  di  riposo. 
Ed  a  dormire  1  regi  e  i  cavalieri , 
E  qualunque  altro,  il  tempo  tenebroso, 
Tutti  quanti  ne  giro  volentieri, 
Inflno  al  nuovo  giorno  luminoso  : 
Quindi  levati  a  corte  ritornaro, 
Dove  Teseo  levato  già  trovaro. 

Tutti  gli  Greci  1  quali  avien  difetto 
Eran  con  somma  cura  medicati, 
E  lor  donato  solazzo  e  dileUo, 
E  ne*  bisogni  lor  bene  adagiati  : 
Talcbè  di  iBorte  e  d' ogni  altro  so%>etto 


Furon  hi  pochi  giorni  liberati; 
E  come  prima  si  rifecer  sani 

I  cittadin  così  come  gli  strani. 

Ma  solo  Arcita  non  potè  guarire. 
Tanto  era  rotto  dentro  pel  cadere  : 
Fevvi  Teseo  il  grande  Ischion  venire 
D'Epidauro  ad  Arcita  per  vedere, 

II  qual  si  mise  segreto  a  sentire 

Del  anal  che  Arcita  io  sé  potesse  atere  ; 
E  sanza  fallo  egli  si  avvide  tosto 
Come  Arcita  di  dentro  era  disposto. 

Perché  a  Teseo  rispose  di  presente 
In  cotal  guisa  :  Nobile  signore, 
Il  vostro  Arcita  è  morto  veramente. 
Né  luogo  ci  ha  di  medico  valore  : 
Gio%e  potrdbèe  in  vita  solamente 
Servarlo,  se  volesse,  eh' e' maggiore 
Che  la  Natura,  e  puotc  adoperare 
Assai  più  che  Natura  non  può  fare. 

Ma  lasciando  a'  miracoli  il  lor  loco , 
Jo  «hco  eh'  Esculapio  non  varrebbe 
Per  sanità  di  lui  molto ,  né  poco  ; 
Né  '1  chiaro  Apollo  ancora,  che  tutta  ebbe 
L' arte  con  seco,  e  seppe  il  gliiaccio  e  '1  foco 
E  l'umido  e  *1  calore,  e  clie  potrebbe 
Ciascun*  erba ,  o  radice  :  però  eh'  esso , 
Per  lungo  e  per  traverso  é  dentro  fesso. 

Dunque  fatica  per  sua  guarigione 
Sarie  perduta ,  per  quel  eh'  io  ne  senta  : 
Fategli  festa  e  consolazione, 
Sicché  ne  vada  l'anima  contenta 
n  più  si  può  air  eterna  prigione , 
Dove  ogni  luce  Dite  tiene  spenta , 
E  dove  noi  por  dietro  a  lui  ne  andremo 
Qoando  <fi  qua  più  viver  non  potremo. 

Molto  cotal  parlar  dolse  a  Teseo , 
Perciocché  Arcita  sommamente  amava  ; 
Ed  a  chi  questo  udiva  il  simil  feo, 
Perdooché  ognuno  alte  cose  sperava 
Ddla  sua  >ita,  se'l  superno  Iddeo 
Vivere  in  parte  antica  lo  lasciava  : 
Né  sapevan  di  ciò  nulla  che  farsi. 
Se  non  ciascun  dì  Giove  lamentarsi. 

Adunque  ciascun  giorno  peggiorando , 
D  buon  Arcita  in  sé  si  fu  accorto 
Che  '1  suo  valore  in  tutto  già  mancando , 
E  che  sanza  alcun  fallo  egli  era  morto  • 
Né  di  ciò  trarre  0  potè  ragionando 
Alcun  giammai,  dandogli  conforto  : 
Perché  volle  di  sé  dò  che  potesse 
Disporre ,  sol  che  al  buon  Teseo  piacesse. 
E  fello  a  sé  sanza  Indugio  chiamare, 
E  comùidò  con  lagrime  In  ver  lui 


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TESEIK. 


Ptetoamcnte  in  tal  guisa  a  parlare  : 

0  nobile  signor  caro,  di  cai 
Mille  Tolte  morendo  meritare 

Vorrei  l'eoor,  del  qoal  degno  non  fui, 
Kè  potrei  mai ,  lo  mi  veggio  venire 
Al  passo,  U  qual  nemno  può  fuggire. 

Al  qual  sì  fegno ,  di' i' ne  sott  contento  : 
Kè  Tado  mal  pensando  che  l'amore, 
B  qual  m*  ba  dato  già  tanto  tormoito 
Per  la  giovane  donna ,  che  nel  core 
Ancora,  come  mai  per  donna  sento, 
Lasdo  infinito,  e  te,  caro  signore. 
Al  qnale,  appresso  lei  più  disiava 
Servir,  che  a  Giove ,  e  |riù  mi  dilettava. 

Ma  più  non  posso ,  e  iarlo  mi  conviene  : 
Perch'io  ti  prego,  per  ultimo  dono. 
Se  lungamente  Iddio  ti  guardi  Atene, 
Che ,  poi  del  mondo  dipartito  sono, 
E  sarò  gito  a  riguardar  le  pene 
De'  miseri  che  priegan  per  perdono , 
Quel  che  dirò  tu  iaccia  sia  fornito , 
Se  tu  da  Marte  sia  sempre  esaudito. 

Signor,  tu  sai  che  poi  che  di  Creonte 
U  giusto  Marte  ti  die  la  vittoria 
Ch'io  t'era  con  lui  uscito  a  fronte, 
E  preso  fui  prigion,  della  tua  gloria 
Piccola  parte,  e  certo  non  isponte, 
E  Palemone  ancor,  come  a  memoria 
Esser  ti  debbe,  i  qua'festi  guardare, 
Forse  temendo  di  nostro  operare. 

Mai  poiché  quindi  fummo  liberati, 
Per  tua  bontà  e  per  tua  cortesia, 

1  nostri  ben ,  donde  eravam  privati, 
G  fur  rendati,  ed  ogni  baronia. 
Come  ti  piacque,  avemmo,  ed  onorati 
FamiDo  come  eravam  giammai  in  pria, 
Be'  quali  a  Paiemon  tutta  mia  sorte , 
Ti  prego  doni ,  dopo  la  mia  morte. 

Similemente  ancor  t'è  manifesto 
Quanto  amor  m' abbia  per  Emilia  stretto  ; 
n  quale  al  tuo  servigio  sol  per  questo 
Ad  esser  venni ,  e  quello ,  che  sospetto 
Esser  doveami,  non  mi  fu  molesto; 
Anzi  con  fé  serviva  e  con  diletto  ; 
Uè  credo  mai  ti  trovassi  'ngannato 
IN  cosa,  che  di  me  ti  sia  fidato. 

Esso  insegnommi  a  divenir  umile  : 
Esso  mi  fé' ancor  sanza  paura  : 
Esso  mi  fé'  grazioso  e  gentile  : 
Esso  la  fede  mia  fé'  santa  e  pura  : 
Esso  a  me  dimostrò  che  mai  a  vUe 
r  non  avessi  nulla  creatura  : 
E^  mi  fé'  cortese  ed  ubidiente  : 


Esso  mi  fé'  valoroso  e  serveate. 

Tanto  mi  diede  Amor  di  pronto  arcfire. 
Che  sotto  nome  istran  neUe  tue  mani 
Mi  misi  a  risdiio  di  dover  morire  : 
E  certo  a  dò  non  mi  furon  villani 
or  Iddìi,  anzi  faoevan  ben  seguh« 
I  miei  pensieri  intieri  e  tutti  sani  : 
Né  mi  vergogno  punto  che  'n  tuo  onore 
Io  ti  sia  stato  lungo  servitore. 

Febo  si  fece  servitor  di  Ammeto, 
Mosso  dalla  medesima  cagione 
Ched  io  mi  mosti,  e  così  dolce  e  quieto 
Seni,  ch'egli  ebbe  la  sua  intenzione  : 
E  certo  eh'  io  'I  seguiva  mansueto. 
S'egli  non  fosse  suto  Palemone, 
Né  dubito  che  dò  che  disiava 
M'avessi  dato,  s'io  mi  palesava. 

Or  così  va,  e  non  si  può  stornare 
Ciò  eh'  é  già  stato  :  ond*  io  sonoa  tal  ponto 
Qual  tu  mi  vedi,  e  sentoml  scemare 
Ognor  la  vita ,  e  già  quasi  consunto 
Del  tutto  son,  né  mi  posso  aiutare  : 
A  tal  partito  m'ha  or  Amor  giunto, 
A  cui  ho  io  servito  il  tempo  mio 
Con  pura  fede  e  con  sonuno  disio. 

Né  '1  merito  di  dò  che  io  attendea 
Goder  non  posso ,  benché  mi  sia  dato , 
Veggio  di  me  che  dascun  Fato  avea, 
Che  così  fosse,  in  sé  diliberato, 
E  che  del  mio  servir  vuole  ch'io  stea 
Contento,  che  per  merito  onorato 
Istato  sia  delia  data  vittoria, 
Ch'  ella  a'  futuri  fie  sempre  in  memoria. 

Ed  io  perciò  clie  più  non  posso  avantc. 
Voglio  aver  questo  per  mio  guidardone  : 
E  quel  che  fu  così  com'  io  amante , 
E  la  sua  vita  ha  messa  in  condizione 
Di  morte,  e  di  periglio  slmigliaute 
A  me,  lo  dico  del  buon  Palemone, 
Dell'amar  suo  per  merito  riceva 
La  donna  eh'  io  per  me  aver  doveva. 

Io  te  ne  prego  per  quella  salute 
Che  tu  a  lui  ed  a  me  parimente 
Donasti  già,  per  la  tua  gran  virtute 
Nota  agl'Iddìi  ed  all'umana  gente, 
E  per  l'opere  tue,  che  conosciute 
Sono  e  saranno  al  mondo  etemalmente^ 
E  per  la  fede  la  qual  ti  portai , 
Mentre  nd  tuo  servigio  dimorai. 

Questa  mi  fia  tra  V  ombre  alma  letizia. 
Che  Palemone,  cui  molto  amo,  sìa 
Tratto  per  me  d' amorosa  tristizia , 
Possedendo  egli  ciò  che  più  disia  : 


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4  POEMI 

Pensando  ancora  eh*  egli  abbia  dovizia 
Di  dò  eh*  egli  ama ,  per  tna  cortesia , 
Almeno  Emilia  mentre  sarà  in  vita , 
Vedendo  lui,  avrà  a  mente  Arcita. 

E  questo  detto,  forte  sospirando 
Tacque,  cogli  occhi  alia  terra  abbassati. 
Tacito  seco  stesso  lagrimahdo , 
Né  quelli  ardiva  di  tener  levati  : 
Onde  Teseo  un  poco  attese,  e  quando 
Vide  eh*  e*  suoi  parlari  eran  posati , 
Quasi  piangendo,  assai  di  lui  pietoso, 
Disse  cosi  con  viso  lagrimoso  : 

Tolgan  gì* Iddii,  Arcita,  amico  caro, 
Che  Lachesis  li  ili  poco  tirato 
Ancora  tronchi,  e  cessi  questo  amaro 
Dolor  da  me,  sed  lo  Tho  meritato, 
Che  non  si  dia  a  tua  vita  riparo  ; 
E  già  in  ciò  Alimeto  ha  pensato 
Insieme  con  Ischion,  e  si  faranno , 
Che  vivo  e  sano  a  noi  ti  renderanno. 

Ma  pur  se  degl*  Iddìi  fosse  piacere 
Di  torti  a  me ,  che  più  che  luce  t*  amo , 
A  forza ,  ciò  non  ci  convlen  volere , 
Perocché  noi  sforzargli  non  possiamo  : 
Qò  che  m*  hai  detto  puoi  certo  sapere , 
Che  poi  ti  piace,  siccome  te  *1  bramo, 
E  sanza  fallo  tutto  e*  fie  fornito 
Se  tu  venisti  a  sì  fatto  partito. 

Ma  tu  come  sì  forte  ti  sgomenti. 
Pensando  che  cosi  notabll  cosa, 
Gom*é  Emilia,  che  farle  contenti 
Qualunque  Dli,  di  sé  tanto  amorosa 
Si  fa  vedere,  e'  suol  occhi  lucenti 
Pur  te  disian  con  vista  lagrlmosa , 
Essa  eh*  é  tua?  deh  prendi  pur  conforto. 
Che  ancor  verrai  a  grazioso  porto. 

Ben  ci  ha  da  render  altro  giildardone 
Delle  fatiche  da  lui  sostenute, 
I*  dico  al  tuo  amico  Palemone, 
Del  quale  a  me  domandi  la  salute  : 
Sol  che  tu  sani,  lo  ho  opinione 
DI  porvi  *n  parte,  per  vostra  \irtute. 
Dove  di  voi  tra  voi  ancor  sarete 
Contenti  si,  che  lieti  viverete. 

Ardta  a  questo  nulla  rlspondea, 
SI  lo  stringca  1* angoscia  dell'amore. 
Ed  il  suo  stato  assai  ben  conoscea. 
Posto  che  gli  conforti  del  signore 
Divoto  udisse  quanto  più  potca  : 
E  già  I* ambascia  s'appressava  al  core 
Della  misera  morte;  onde  si  volse 
In  altra  parte ,  ed  a  Teseo  si  tolse. 

E  poi  eh*  egli  fu  alquanto  dimorato 


EROia. 
Sanza  mostrare  o  dire  alcuna  cosa. 
Com'era  prima  si  fu  rivoltato, 
E  *n  voce  rotta  assai  ed  angosciosa 
Prega  che  Palemon  gii  sie  chiamato 
Anzi  eh*  e'  lasci  esta  vita  noiosa  : 
li  qual  gli  venne  sanza  dimorare 
Con  altri  molti  per  lui  visitare. 

li  qual  pò*  vide  innanzi  a  sé  venuto , 
E  rimirato  l' ebbe  lungamente 
Con  luce  aguta,  quasi  conosciuto 
Pria  non  l'avesse,  con  voce  dolente 
Disse  :  Palemone,  egli  é  voluto 
Nel  del  che  qui  più  i*  non  ne  stia  niente  : 
Però  innanzi  il  mio  tristo  partire 
Veder  ti  volli ,  toccare  e  si  udire. 

Tanto  n*  ha  sempre  avversati  Giunone , 
Che  del  seme  di  Cadmo  solo  Arcita 
N'é  conosduto,  e  tu,  o  Palemone: 
Or  mi  conviene  angosdosa  partita 
Da  te  parente  amico  e  compagnone 
Far;  po'  le  place  ancora  alla  mia  vita 
Essere  Invidiosa ,  che  potea 
Pur  contentarla,  s'ella  lo  volea. 

In  quella  entrata,  eh*  io  doveva  fare. 
Ad  esser  degli  suoi  raccomandato 
Fa  ella  il  mondo  lieto  a  me  lasciare , 
Per  congiungermi  a*  nostri  primi  andati  : 
Or  m*avess*ella  pur  lasciato  entrare 
Per  tre  giornate  ne*  suoi  disiati 
Luoghi ,  ed  appresso  In  pace  avrei  sofferto 
Ch'ella  m'avesse  morto,  ower  deserto. 

Non  r  é  piaciuto,  ed  io  non  posso  avanti: 
Dunque  tu  solo,  che  a  me  se*  rimaso 
Del  sangue  altiero  degli  avoli  tanti 
Quando  verranne  il  doloroso  caso 
Ch'io  lascierò  la  vita  e  i  tristi  pianti. 
Gli  occhi,  la  bocca  e  1* anelante  naso, 
Priegoti  che  mi  chiuda,  e  faccia  eh* io 
Tosto  trapassi  d*  Acheronte  il  rio. 

E  perchè  tu ,  siccom'  io ,  amato 
Hai  lungamente  Emilia  graziosa. 
Io  ho  Teseo  a  mio  poter  pregato 
Che  la  ti  doni  per  etema  sposa  : 
Pregoti  che  da  te  non  sia  negato. 
Perché  tu  sappi  che  di  me  platosa 
Ella  sia  stata ,  ed  a  me  porti  amore , 
Ch'ella  ha  suo  dover  fatto  e  suo  onore. 

E  giuroti  per  quel  mondo  dolente , 
Al  qual  io  vado  sanza  ritornata. 
Che ,  a  dir  vero ,  giammai  al  mio  vivente 
Di  lei  nluna  cosa  t'  ho  levata. 
Se  non  forse  alcun  bacio  solamente; 
Sicché  tal  é  qual  tu  te  1'  hai  amata  : 


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TBSEIDE. 


Onde  ti  prego f  per  tua  cortesia. 
Che  tn  la  prenda  e  che  cara  ti  sia. 

E  lei  con  quell*  amor  che  tu  solevi 
Portarle  più  che  a  nulla  creatura , 
S'egli  era  vero  dò  che  mi  dicevi, 
Onora  e  guarda,  e  sì  d'oprar  procura, 
Che  *1  tuo  valore  usato  si  rilevi 
A  ricrear  la  nostra  fama  oscura , 
Per  lo  dolente  seme  eh' è  già  spento, 
S'a  rilevarlo  non  dai  argomento. 

Certo  questa  è  manifesta  cagione 
Che  ciaschedun  dell'  operato  affanno 
Ricever  debbe  degno  guiderdone  : 
Dunque  sarà  per  merito  del  danno 
Che  hai  già  avuto,  e  disconsolazione, 
Com'io  lo  so,  e  molti  ancor  Io  sanno. 
Ricever  lei ,  che  credo  più  che  '1  regno 
IM  Giove  l'avrai  cara,  e  senne. degno. 

E  s'ella  forse,  per  la  morte  mia, 
Piatosa  desse  alcuna  lagrimetta. 
Si  la  raccheta  che  contenta  sia; 
Perocché  la  sua  vista  leggiadretu 
Fatt'  ha  l' anima  mia  di  lei  si  pia. 
Che  1  riso  suo  più  me  che  lei  diletta, 
E  eosi  '1  pianto  suo  più  me  contrista: 
Onde  io  mi  cambio  com'  è  la  sua  vista. 

In  questa  guisa,  pe  l'anima  sente 
Po*  la  morte  del  corpo  alcuna  cosa 
Di  queste  qua',  tra  la  turba  dolente 
Andrà  con  più  di  ardire  e  men  dogliosa  : 
E  questo  detto,  più  oltre  niente 
Allora  disse  :  donde  con  piatosa 
Sembianza  e  voce  appresso  Palemone 
Incominciò  così  fatto  sermone  : 

0  luce  etema,  orrevole  splendore 
Del  nostro  sangue,  poderoso  Arclla, 
S'egli  non  è  in  te  spento  il  valore 
Usato,  aiuta  la  tua  cara  vita 
Con  conforto,  sperando  che  'I  Signore 
Del  del  soccorre  a  chi  sé  stesso  aita  : 
Né  far  ragione  che  in  giovine  etade 
Antropos  ora  pigli  potestade. 

Cesshi  gl'Iddìi  che  io  l'ulthno  sia 
DI  tanto  sangue,  se  tu  te  ne  vai. 
Né  ched  Emilia  mal  diventi  mia  : 
Tu  r  acquistasti ,  e  tu  per  tua  l' avrai  ; 
Né  r  uffizio  che  chiedi  fatto  fia 
Colla  mia  man ,  per  mia  voglia  giammai , 
Ma  la  tua  prole  e  tu  gli  chiuderete 
A  me,  che  sopra  me  vivi  sarete. 

ArciU  disse  :  E'  fie  come  lo  t' ho  detto  : 
Il  che  se  awien ,  ti  prego  quant*  io  posso. 
Che  1  mio  disio  in  dò  mandi  ad  effetto , 


E  questo  sia ,  ogni  altro  affar  rimotio  : 
Cosi  disio,  cosi  mi  fie  diletto. 
Così  d' ogni  gravezza  sarò  scosso  : 
E  quind  tacquon  tutti  due  piangendo , 
E  chi  ivi  stava  ancor  pianger  facendo. 

A  cotal  pianto  Ippolita  piacente 
Vi  sopravvenne  ed  Emilia  con  Id; 
E  quando  vidon  sì  platosamente 
Pianger  gli  Achlvi  e  gli  dud  dlrcd, 
D'Arcita  dubitarono,  e  dolente 
Qascuna  domandò  li  re  lemel  : 
Ched  era  dò  che  1  due  Teban  piangeano , 
E  tutti  loro  ancor  pianger  faceano. 

E  fu  lor  detto  :  onde  ognuna  di  loro 
Più  ad  Ardta  si  fecero  appresso, 
£  cominciaron ,  sansa  alcun  dimoro , 
A  ragionar  di  più  cose  con  esso. 
Ed  a  dargli  conforto  con  costoro 
Insieme ,  eh'  eran  lì  venuti  adesso  ; 
Ed  egli  alquanto  prese  d'allegrezza, 
Poiché  d'Emilia  vide  la  bellezza. 

E  poi  eh'  Ardta  l' ebbe  rimirata 
Con  occhio  attento,  siccome  potea. 
Ed  ebbe  bene  In  sé  considerata 
La  gran  bdlezza  che  la  donna  avea, 
Cominciò  con  sembianza  trasmutata 
A  parlare  In  tal  guisa  qual  potea. 
Premessi  avanti  dolenti  sospiri , 
Caldo  ciascun  d'  amorosi  disiri  : 

Piangemi  amor  nel  doloroso  core 
Là,  onde  morte  a  forza  il  vuol  cacdare; 
Né  vi  può  star,  né  uscirne  può  egli  fuore, 
Sicch'lo  lo  sento  In  me  rammaricare 
Con  pianti,  e  con  parole  di  dolore 
Accese  più  che  non  potrei  narrare  : 
In  forma  che  di  sé  mi  fa  platoso. 
Ed  ohimè,  lasso,  oltre  il  dover  noioso. 

Gli  spiriti  vi  sono,  e  assai  sovente 
Mostrano  a  lui  l' angelica  figura, 
Per  la  qual  esso  nel  core  é  possente. 
Dicendo  :  Deh  fia  tal  nostra  sciagura, 
Che  ci  convenga  teco  Insiememente 
Abbandonar  sì  nobll  creatura  T 
Esso  risponde  lor,  e  sì  gli  abbraccia. 
Dicendo  :  Sì ,  che  morte  me  ne  cacda. 

Io  me  ne  vo  coli* anima  smarrita. 
La  qual  io  presi  col  piacer  di  quella 
Che  da  voi  é  nel  mondo  più  gradita  ; 
Dunque  nelle  sue  man  ricevami  ella 
Quando  farò  la  dogliosa  partita 
Dalla  presente  vita  tapinella  : 
E  questo  detto,  forte  lagrimando, 
Abbassò  gli  occhi  In  terra  sospirando. 


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6  POEM 

Queste  parole  gì!  angelici  aspetti 
Di  quelle  donne  conturbaron  molto, 
E  con  dolore  offendevano  i  petti 
IKUcati,  in  maniera  che  nel  volto 
SI  parie  loro  :  e  ben  sentiano  i  detti 
Quali  erano ,  e  elle  ibsse  in  lor  raccolto , 
E  ben  1*  occulta  morte  conosdeno 
Nel  viso  a  lui  che  già  veniva  meno. 

Perchè  Emilia  disse  :  0  signor  mio , 
Poscia  che  tu  del  viver  ti  disperi , 
Deh  di  me,  lassa,  come  farò  io? 
V  ne  verrò  con  teco  volentieri  ; 
E  già  questo  appetisce  il  mio  disio  : 
Ptrch*  io  non  che  fuor  di  te  mi  speri  : 
Tu  solo  eri  il  mio  ben,  tu  la  mia  gioia, 
E  sanza  te  non  spero  altro  che  noia. 

A  cui  rispose  Arcita  :  Bella  amica. 
Prendi  conforto  del  mio  trapassare. 
Non  prender  nel  tuo  animo  fatica. 
Ma  per  amor  di  me  di  confortare 
Ti  piaccia  :  se  giammai  cosa  eh'  io  dica 
Intendi  nel  futuro  adoperare, 
r  ho  trovato,  a  tua  consolazione. 
Modo  assai  degno  e  con  giusta  ragione. 

Palemon  caro  e  stretto  mio  parente 
Non  men  di  me  t'  ha  lungamente  amata , 
E  per  lo  suo  valor  veracemente 
É  più  degno  di  me  che  tu  Isposata 
Gli  sia;  e  questo  vede  tutta  gente; 
Che  posto  che  vittoria  a  me  donata 
Fosse  Taltr'ier,  non  fu  già  dirittura. 
Ma  solo  fu  la  sua  disavventura. 

DI  che  gì*  Iddìi  errarono,  e  per  certo 
Gredetter  lui  atare,  e  me  ataro; 
Ma  pò*  che  '1  loro  error  fu  discoperto , 
Ciò  che  avien  fatto  indietro  ritomaro, 
E  me  recaro  a  così  fatto  merto; 
n  qual  or  piango  con  dolore  amaro, 
Acdoccbè  tu  ti  rimanessi  ad  esso, 
Gom'  essi  avien  dillberato  appresso. 

Ed  io  che  tu  sia  sua  me  ne  contento 
PIÙ  che  d'altrui,  poicb'tsser  non  puoi  mia  : 
Ferma  In  lui  dunque  il  tuo  intendimento, 
E  quel  pensa  di  far  ch'egli  disia; 
Ed  lo  son  c«rto  eh*  ogni  piadmeato 
DI  te  per  lui  sempre  operato  Ila  i 
Egli  è  gentile,  bello  e  grazloio. 
Con  lui  avrai  diletto  e  si  riposo. 

Io  muoio,  e  già  mi  sento  intomo  al  core 
Quella  freddezza  che  suole  arrecare 
Con  seco  morte;  ed  ogni  mio  valore 
Sanza  alcun  dubbio  i*  mi  sento  a  mancare, 
Pwò  qnel  che  ti  dico,  per  amore 


EROICI. 
Farai  ;  pò*  più  non  posso  teco  stare  : 
I  Fati  t'  hanno  rìserbata  a  lui  : 
Me*  sarai  sua,  non  saresti  d'altrui. 

Ma  non  pertanto  l'anima  dolente. 
Che  se  ne  va  per  lo  tuo  amor  piangendo  , 
Ti  raccomando ,  e  pregoti  che  a  mente 
Ti  sia  tutt'ora,  mentre  ch'io  vivendo. 
Qui  starà  sotto  del  bel  ciel  lucente , 
A  te  contenta  la  verrò  caendo  : 
Io  me  ne  vo ,  né  so  se  tu  verrai 
Là  dove  l*  sia,  ch*i*  ti  riveggia  mai. 

Gli  ultimi  baci  solamente  aspetto 
Da  te,  o  cara  sposa,  i  qua*  mi  dei; 
Ti  prego  molto  ;  questo  sol  diletto 
In  vita  ornai  attendo,  ond*  io  girei 
Isconsolato  con  sommo  dispetto , 
Se  non  avessi ,  e  ma*  non  oserei 
Gli  occhi  levar  tra*  morti  innamorati , 
Ma  sempre  gli  terrei  fra  lor  bassati. 

Fatti  erano  1  begli  occhi  rilucenti 
D*  Emilia  due  fontane  lagrimando, 
E  fuor  gittando  sospiri  cocenti , 
Del  suo  Arcita  il  parlare  ascoltando  : 
E  ben  vedeva  per  chiari  argomenti 
Che,  com'egli  dicea,  venia  mancando; 
Perch'ella  in  boce  rotta  ed  angosciosa 
C^si  rispose  tutta  lagrimosa  : 

0  caro  sposo  a  me  più  che  la  vita. 
Non  verso  te  sono  crucciati  1  Dil  : 
Io  sola  son  cagion  di  tua  partita  : 

10  nocevole  sono  a'  tuoi  disiL 

Gì'  Iddel  vecchia  ira  incontro  a  me  nntritai 
Han  ne'  lor  petti,  come  già  sentii, 
I  qua'  del  tutto  lo  mio  matrimonio 
Negano,  ed  i'  ne  veggio  testimonio. 

U  gran  Teseo  m'avea  serbata  a  Acale, 
Col  quale  giovinetta  io  mi  crescea  : 
Bello  era  e  fresco  nella  nuova  etate, 
E  nelli  primi  amori  assai  piacea 
A  me  :  ma  la  mal  nata  crudeltate. 
Che  ha  contro  il  nostro  sangue  Citerea, 
Nel  tolse,  già  al  maritar  vicina, 
Bcnched  io  fossi  ancora  assai  fantina. 

Quesu  non  sazia  del  primo  operare 
Contra  di  me,  or  te  veggendo  mio, 
Similemente  mi  ti  vuol  levare  : 
Adunque  non  t'uccide  altri  che  io; 
lo,  lassa,  colpa  son  del  tuo  passare: 

11  mio  augurio  tristo  e  '1  mio  disio 

Ti  noccion,  lassa,  ed  io  rimango  in  pene 
Ed  in  tormento ,  non  qual  si  conviene. 
0  me  1  sopra  di  me  ne  andasse  l'ira 
Ched  altri  nuoce,  per  la  mia l^elknat 


L 


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TfiSEIDE. 


Che  colpa  d  ha  colui  che  me  disira. 
Se  la  spietata  Vener  mi  disprezza? 
Perchè  ora  coDtra  te  diventa  dira  ? 
Perchè  or  in  te  discopre  sua  fierezza  ? 
Maledetta  sia  Torà  eh* io  fui  nata. 
Ed  a  te  prima  fui  appalesata. 

E  beDo  Ardta  mio,  sanza  ragione 
Or  foss*  io  morta  D  di  che  in  questo  mondo 
Yemil,  poi  ti  doveva  esser  cagione 
Di  morte,  e  torti  di  stato  giocondo  : 
Donde  giammai  sentir  consolazione 
Non  credo  in  me ,  ma  sempre  di  profondo 
Cor  mi  dorrò  dopo  la  tua  partita. 
Se  dietro  a  te  rimarrò ,  caro  Arcita. 

Ora  conosco  i  dolorosi  ardori 
Che  oscuri  mi  mostrò  1*  altr*  ier  Diana  : 
Or  so  qual  fosse  Taria  che  di  fuori 
N*usd  con  rista  e  con  voce  profana, 
E  quel  che  della  fiamma  li  furori 
A  me  mostravan  con  mente  non  sana  : 
Qiè  se  allora  conosciuti  gli  avessi , 
Non  credo  come  stai ,  tu  ora  stessi. 

Io  mi  sarei  dolorosa  parata 
A  te  allora  che  al  teatro  ne  gisti , 
E  di  piata  d'amore  colorata 
Avrd  voluti  gli  tuoi  passi  tristi, 
E  U  dolente  battaglia  isturbata , 
Per  la  qual  morte  per  me  ora  acquisti  : 
Ma  io  non  gli  conobbi  ;  anzi  sperai 
Tatto  1  contrario  di  ciò  che  tu  hai. 

Or  più  non  posso  ;  onde  morrò  dogliosa  ; 
Né  so  Teder  chi  di  morir  mi  tiene , 
Vedendo ,  o  sposo ,  tua  rita  angosdosa 
Istar  per  me,  ed  in  cotante  pene; 
Oh  me  dlsventurata ,  dolorosa , 
Quanfo  mal  vidi ,  e  tu  si  ancora  Atene, 
K  quanto  mal  per  te  mi  riguardasti 
Il  giorno  che  di  me  t*  innamorasti. 

Ohimè  che  l  fiori ,  i  quali  allor  coglieva, 
E  '1  canto ,  anzi  fu  pianto ,  eh'  io  cantava , 
Erinni,  o  lassa,  tutto  ciò  moveva; 
Ed  io  n  sentii ,  che  talora  tremava 
Pallida,  e  la  cagion  non  conosceva, 
Né  le  future  cose  inmiaginava  : 
Or  le  conosco,  che  son  nel  periglio. 
Né  posso  porre  ad  esse  alcun  consiglio. 

Ed  ora,  caro  ^mwo,  mi  comandi 
Che  tn  mancato,  l*  prenda  Palemone? 
Certo  le  tue  parole  mi  son  grantfi , 
E  debbo  qoeDe  per  ogni  ragione 
Servar,  più  che  gli  eccelsi  e  venerandi 
iddìi  ch'ora  m*offendon,  né  cagione 
Non  n*  hanno;  ed  lo  cosi  le  serveragglo 


In  quella  guisa  ched  lo  ti  diraggìo. 

Io  so  che  Palemon  m' ha  tanto  amata 
Quant'  uom  gentil  nessuna  donna  amasse  ; 
Di  che  io  non  01  voglio  essere  Ingrata , 
Ed  eziandio  se  Giove  il  comandasse  : 
Chiaro  conosco  che  a  chiunque  data 
Fossi,  sed  esso  di  grazia  abbondasse 
D*  ogni  vivente ,  eh*  lo  nel  priverei , 
Tanto  gli  auguij  mid  conosco  rei. 

E  s' or  a  te  son  lo  cagion  di  morte 
E  ad  Agate  fui,  Taver  noduto 
Al  mondo  tanto  assai  gravosa  sorte 
M' è  a  pensar  ;  né  quinci  spero  alato 
Che  possa  sostener  mia  vita  forte , 
Che  poi  lo  spirto  suo  sarà  paruto 
Che  dietro  a  te,  per  soperchio  dolore , 
Io  non  venga  seguendone  il  tuo  amore. 

E  se  pur  fia  la  mia  disavventura 
Di  vivere  oltre  a  te ,  non  vo*  donare 
A  Palemone  della  mìa  sciagura. 
Là  dove  esso  per  fedele  amare 
Ha  meritato;  ma  sola  mia  cura 
Ne'  boschi  fie  Diana  seguitare , 
E  ne*  suoi  tempj  vergine  vestita 
Serverò  sempre  mai  celibe  vita. 

E  se  Teseo  vorrà  pur  ched  1*  sia 
D'alcuno  isposa,  agli  nimlci  sul 
Mi  mandi ,  acciò  che  la  sciagura  mia 
Ad  essi  nocda,  e  sia  utile  a  lui  : 
Palemone  è  poi  tal ,  che  s*  e'  desia 
D'avere  bposa,  troverà  egli  altrui 
Che  gli  sarà  più  non  sare*  1*  felice  : 
Ciò  manifesto  puro  11  cor  mi  dice. 

Gli  stremi  baci ,  omé,  gli  qua^  dolente 
in  cerchi,  ti  darò  volonterosa, 
E  prenderogli  ancora  parimente 
A  mio  poter,  dopo  gli  qua'  mal  cosa 
Non  fia  ch'io  bad  più  certanamente  : 
E  la  mia  bocca  sempre  come  sposa 
Di  te  co'  bad ,  che  le  donerai , 
Guarderò,  mentre  in  vita  sarò  mai. 

E  qnind  quasi  furiosa  fatu. 
Piangendo  con  altissimo  romore, 
Sopra  lui  corse  to  guisa  d'una  matti , 
Dicendo  :  Caro  e  dolce  mio  signore. 
Ecco  cold  che  per  te  fie  dtefatta. 
Ecco  cold  che  per  te  trisU  more, 
Prendi  gli  bad  estremi,  dopo  t  qaaU 
Crédo  finire  i  miei  eterni  man. 

E  pose  II  viso  suo  In  sa  qud  d*  Ardta« 
Pallido  già  per  la  morte  vidna. 
Né  1  toccò  prima,  eh*  ella  tramortita 
1b  sa  la  faccia  cadde  risapina  : 


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8  POEMI 

Ma  poi  appresso  si  fu  risentita, 
Piangendo  cominciò  :  Omè  tapina, 
Son  questi  i  baci  i  quali  io  aspettava 
Da  Ardta,  il  qua!  \ie  più  che  me  amava? 

Alle  nemiche  mie  cotal  baciare, 
0  dispietati  Iddìi,  sia  riserbato. 
Ardta,  che  nel  ciel  esser  gli  pare. 
Il  bianco  collo  teneva  abbracciato , 
Dicendo  :  Mai  non  credo  mal  andare. 
Tal  viso  essendo  al  mio  ora  accostato  : 
Qualora  piace  omai  air  alto  Giove , 
Di  questa  vita  mi  tramuti  altrove. 

Quivi  era  si  gran  pianto  e  si  dogUoso 
DI  donne,  di  signori  e  d* altra  gente. 
Che  vcdean  questo  ;  onde  ciascun  platoso 
Era  assai  più  che  di  stretto  parente  : 
Che  non  si  crede  si  fosse  noioso 
Allor  che  Febo  si  mostrò  dolente. 
Tornando  addietro  nel  tempo  che  Atreo 
Mangiar  i  figli  al  suo  Tieste  feo. 

Ed  essa  allora ,  slccom*  esso  volle , 
E  come  volle  Ippolita,  drizzossi, 
E  8è  e  lui  aveva  tutto  molle 
Di  lagrimari  da' begli  occhi  mossi. 
Né  più  né  men  come  11  Menalo  colle 
Quando  che  per  Ariete  riscaldossl, 
E  consumata  sua  veste  nevosa. 
Mostrò  la  faccia  sua  tutta  guazzosa* 

E  quel  dì  tutto  quanto  si  posaro, 
Sanza  più  rinnovare  altro  dolore} 
Benché  nel  cor  Tavessono  sì  amaro, 
Quanto  potea  esser  più  a  tutte  V  ore  : 
E  con  parole  assai  riconfortaro 
Emilia  e  Arcita ,  e  *1  corrotto  furore 
Lor  temperaro  con  soavi  detti, 
Lena  rendendo  a*  disolatl  petti* 

Nove  fiate  s*  era  dimostrato 
nSole,  ed  altrettante  sotto  l'onde 
D'Esperia  s'era  col  carro  tuffato. 
Po'  si  mutaro  le  cose  gioconde 
Per  lo  cader  d' Arcita  in  tristo  stato. 
Quando  nel  tempo  che  tutto  nasconde, 
D'Emilia  avendo  il  dì  I  baci  aviiU, 
Parlò  Arcita  a*  suoi  più  conosciuti  : 

Amici  cari,  lo  me  ne  vo  di  certo  » 
Perché  a  Mercurio  vorrei  pur  litare. 
Acciò  ched  esso,  per  sì  fatto  merto. 
In  luogo  ameno  piacciagli  portare 
Lo  spirto  mio,  po'  che  gli  fla  offerto; 
E  vorrei  questo  domattina  fare  : 
Però  vittime  degne  ed  olocausti 
Ne  pareccbiate  a  lui  decenti  e  fausti. 

Palemoo  ch'era  a  questo  dir  presente 


EROia. 
Come  quel  che  da  lui  non  si  pirtia. 
Fé'  apprestar  tutto  ciò  immantenente 
Ched  a  cotal  mestler  si  convenia  ; 
E  sangue  e  latte  nuovo  di  bidente 
Gregge,  ed  armenti,  quali  all'ara  pia 
Si  richledean  di  così  fatto  Iddio, 
Per  adempire  d' Arcita  il  disio. 

Il  giorno  venne  oscuro  e  nuboloso, 
E  questi  Febo  s'avea  messo  avanti 
Al  viso,  acciocché  al  morire  angustioso 
D' ArciU  non  vedesse  I  tristi  pianti 
D' Emilia  bella,  de'  qua'  assai  piatoso 
Si  mostrò  il  giorno,  gli  suoi lumbianti 
Raggi  celando  in  fra  le  nebbie  Iscure, 
Vedendo  chiaro  le  cose  future. 

Allora  l'ara  fu  apparecchiaU , 
E*  fuochi  accesi,  e  gl'incensi  donati, 
E  ciascun'  altra  offerta  a  ciò  portata, 
E'  sacerdoti  versi  ebber  cantati 
Con  voce  assai  tra  V  altre  trasmutata , 
E  fumi  furon  tutti  a'  cieli  andati  : 
Arcita  piano  cominciò  egli  a  dire 
In  guisa  tal  che  si  potette  udire  : 

0  caro  Iddio  di  Proserpina  figlio , 
A  cui  r  anime  sU  di  là  portare 
De*  corpi ,  e  quelle ,  secondo  il  censito 
Che  da  te  prendi,  le  puoi  allegrare; 
Piacciati  trarml  di  questo  periglio 
Soavemente  per  le  tue  sante  are , 
Le  quali  ancora  calde  per  me  sono, 
Che  a  te  su  quelle  offersi  eletto  dono. 

E  quinci  mene  tra  l'anUne  pie, 
Le  qua'  sono  in  Eliso,  mi  trasporta; 
Che  se  tu  miri  ben  l'opere  mie. 
Non  hanno  fatto  me  dell'aura  morta 
Degno,  siccome  furon  l' alme  ite 
De'  miei  maggiori ,  a  qua'  crudele  scorta 
Fece  Giunone  adirata  con  loro. 
Con  ragion  giusta  a  lor  donando  ploro» 

Io  non  ucdsi  il  sagrato  serpente 
Allato  a  Marte  ne*  campi  dlroei , 
Come  fé'  Cadmo  della  nostra  gente 
AvoI  primario  ;  né  nelll  baccel 
Sagrifici  tolsi  fteramente 
La  vita  ai  mio  figliuol,  come  colei 
Che  dopo  il  danno  riconobbe  II  fallo  « 
Né  potè  poi  con  lagrime  emendallo. 

Né  siccome  Semele  in  ver  Giunone 
Mal  operai ,  né  sì  come  Atamante 
Centra  la  prole  divenni  fellone  : 
Né  uccisi  il  padre  mio,  e  non  amante 
Della  mia  nudre  fui ,  la  nazione 
Nel  aen  materno  indietro  ritornante 


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TESEIDE. 


Sicoome  Edippo  ;  né  1  mìei  fratrì  uccisi , 
Né  mai  regno  occupai  «  né  mal  commisi. 

Né  di  Creonte  Y  aspra  crudeltate 
Mi  piacque  mai,  né  mai  altrui  V  usai  : 
E  s*  arme  furoo  già  per  me  pigliate 
Incontro  a  Palemon,  male  operai. 
Ed  io  ben  ho  le  pene  meritate  : 
Ma  certo  i*  non  le  avrei  prese  giammai , 
Sed  esso  non  mi  aresse  a  ciò  recato  ; 
Perch'era  siccom*io  innamorato. 

Dunque  tra  neri  spiriti  non  degglo , 
IHatoso  Iddio,  a  quel  eh*  io  creda,  andare  : 
Io  dd  del  non  son  degno,  ed  io  noi  cheggio, 
M'è  negli  Elisi  caro  sol  di  stare  : 
IH  dò  ti  prego,  e  di  ciò  ti  richeggio, 
Sed  esser  può  che  tu  mei  debba  fare  : 
So  che  '1  farai,  se,  come  suo*,  se*  pio, 
£  come  credo ,  venerando  Iddio. 

Detto  ch'ebbe  cosi,  con  più  dogliosa 
Voce  parole  mosse,  dote  stara 
Ippoliu ed  Emilia  valorosa, 
E  i  greci  re  e  ciascuno  1* ascoltava, 
E  Palemon  con  anima  angosciosa 
Tanto  dd  tristo  caso  gli  pesava  : 
Ed  esso  con  parola  vinta  e  trbta 
Disse  cosi  con  dolorosa  vista  : 

Or  mancherà  la  vita ,  ora  il  valore 
D*  Ardta  finirà,  ora  avrà  fine 
L'acerbo  hiespugnabilc  suo  amore; 
Ora  vedrà  d'Acheronte  vicine 
Le  triste  ripe,  ora  saprà  11  furore 
Delle  nere  ombre,  misere  tapine; 
Ora  se  ne  va  Arclta  innamorato 
Del  mondo  a  forza  isbandito  e  cacdato. 

Oh  lasso  me,  che  l'età  giovinetta 
Lasdo  si  tosto,  alla  quale  sperava 
Ancor  mostrar  dov'è  virtù  perfetta; 
Tale  speranza  l'ardir  mi  mostrava  : 
Omè  che  troppo  la  Morte  s'affretta, 
E  più  che  in  nessun  altro  in  me  è  prava: 
In  me  si  sforza,  in  ver  me  la  sua  ira 
Mostra  quant'eila  punte  e  mi  martini  : 
Dov'è,  Arclta,  la  tua  forza  fuggita? 
Dove  son  l'armi  già  cotanto  amate? 
Come  non  le  hai  ;  per  la  dolente  vita 
Dana  morte  campare,  ora  pigliate? 
Ofanè  ch'ella  s*  è  tutu  smarrita, 
Né  più  potrien  da  me  esser  guidate  : 
Perchè  omai  io  me  le  rendo ,  o  lasso , 
E  per  più  non  poter  oltre  trapasso. 
0  bella  Emilia,  del  mio  cor  disio, 
0  beUa  Emilia,  da  me  sola  amata, 
0  dolce  Emilia,  cuor  del  corpo  mio, 


Ora  sarai  da  me  abbandonata  ; 
Oimè  lasso,  non  so  mai  quale  Iddio 
In  ciò  mi  nocda  con  voglia  turbata  : 
Che  per  te  sola  m'è  noia  il  morire. 
Per  te  non  sarò  mai  sanza  languire. 

Deh  che  farò  io  allora  che  vedere 
Più  non  potrotti,  donna  valorosa? 
Seconda  morte  non  potrò  io  avere. 
Benché  la  cheggia  per  men  dolorosa  : 
Né  so  ancora  che  luogo  mi  tenere 
Debba  di  là  nella  viU  dubbiosa  : 
Ma  se  con  Giove  sanza  te  mi  stessi, 
Non  credo  che  giammai  gioia  n'avessi. 

Dunque  angoscia  n'avrò  dovunque  Irag- 
Sempre  sanza  di  te,  mia  luce  chiara  :    [gio 
Né  egli  mi  sarà  il  secondo  viaggio 
A  qui  tornar  concesso ,  o  donna  cara , 
Come  Pdeo  dal  suo  signoraggio 
Già  md  concesse,  allora  ched  amara 
Vita  traeva  in  Egina,  lontano 
Dal  suo  voler,  bella  donna ,  sovrano. 

Lagrime  sempre  ed  amari  sospiri 
Omai  attende  1*  anima  dolente 
Per  giunta,  lasso,  alti  nuovi  martìri, 
Ch'  avrò  lo  forse  in  tra  la  morta  gente  ; 
GII  qua'  tanti  non  fien ,  che  1  miei  disiri 
Di  te  veder  facdan  cessar  niente  : 
Ma  sempre  te  nell*  eterna  fornace 
Per  donna  chiamerò  della  mia  pace. 

Oimè  dove  lasdo  io  i  cari  amici? 
Dove  le  feste  ed  il  sommo  diletto? 
Ove  i  cavalli ,  ornai  fatti  mendld 
Del  lor  signore?  ove  quel  ben  perfetto 
Che  amor  mi  dava,  qualora i  pudid 
Occhi  d'Emilia  vedeva  e  l'aspetto? 
Ed  ove  lasdo  Palemon  grazioso 
Meco  d'amor  parimente  focoso? 

E  Peritoo  ancor,  cui  similmente 
Più  che  la  viU  con  ragione  amava? 
Ove  li  regi ,  e  l'altra  buona  gente 
Che  loro  a' miei  servigi  seguitava? 
Ove  Teseo,  nobil  signor  possente, 
Che  più  che  caro  f ratei  mi  onorava? 
Or  dove  lascio  il  reverendo  Egeo? 
Dove  li  mio  caro  e  buon  signor  Peleo? 

Certo  gli  lascio  dove  rimanere, 
S' esser  potesse ,  vorrei  volentieri , 
In  giuoco,  in  festa,  In  riso  ed  in  piacere, 
Con  prindpi ,  con  donne  e  cavalieri  : 
Sicché  del  rimaner  di  lor  mestieri 
Non  m' è  dolermi  ;  ma  sol  mi  son  fieri 
Gli  aspri  pensier,  che  a  me  ne  mostran  tanti 
Perder  dovere ,  e  me  e  tutti  quanti. 


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IO  POEMI 

Poscia  eh*  egli  ebbe  queste  cose  dette, 
DI  cor  gittò  un  profondo  sospiro 
Amaramente,  e  di  parlar  ristette; 
E  in  verso  Emilia  i  saoi  ocelli  s* aprirò. 
Mirando  lei ,  e  mirandola  stette 
Un  poco,  e  poscia  gii  rivolse  in  giro  : 
E  ciascun  vide  che  piangeva  forte , 
Peroccliè  a  lui  s'appressava  la  morte. 

La  quale  in  ciascun  membro  era  venata 
Da*  piedi  in  su,  venendo  verso  il  petto. 
Ed  ancor  nelle  braccia  era  perduta 
La  vital  forza;  sol  nello  intelletto 


EROICI. 
E  nei  cuore  era  ancora  sostenuta 
La  poca  vita,  ma  già  si  ristretto 
Eragli  '1  tristo  cor  del  mortai  gelo, 
Che  agli  occhi  fé*  subitamente  velo. 

Ma  pò*  ch'egli  ebbe  perduto  il  vedere. 
Con  seco  cominciò  a  mormorare , 
Ognor  mancando  più  del  suo  podere  : 
Né  troppo  fece  in  dò  lungo  durare  ; 
Ma  il  mormorare  trasportalo  in  vere 
Parole ,  con  assai  basso  parlare , 
Addio  Emilia!  e  più  oltre  non  disse. 
Che  r  anima  convenne  si  partisse. 

(OlfTO  X.) 


FAZIO  DEGLI  UBERTI. 


DITTAMONDO  *. 


LIBRO  PRIMO. 


CAPITOLO    I. 


Non  per  trattar  gU  affanni,  eh*  k>  soderai 
Nel  19Ì0  lango  cammia,  né  le  paure. 
Di  rima  in  rima  tesso  questi  versi  ; 

Ma  per  voler  cantar  le  cose  oscure , 
Ch'io  vidi ,  ch'io  adii,  che  son  si  nuove, 
Che  a  creder  parerann*  forti  e  dure. 

E  se  noQ  che  di  ci6  soo  vere  prove 
Per  più  e  più  autori,  che  saraoiio 
Per  i  miei  versi  noniinaU  aUrove, 

Non  presterei  aUa  penna  la  mano 
Per  notar  dò»  ch'ie  vidi ,  eoa  temenaa 
Perchè  non  fosse  da  altri  casso  e  vano  ; 

Ma  la  lor  chiara  e  vera  esperlensa 
Mi  assicura  nel  dir,  coom  persone 
Degne  di  lede  ad  ogni  gran  sentenia. 

Di  nostra  etù  sentia  già  la  stagioiie , 
Che  all'anno  si  poa  poi  che  il  sol  passa 
la  fronte  a  virgo,  e  che  lassa  il  leone  ; 

Quando  m'accorsi  eh' ogni  vita  è  cassa, 
Salvo  che  quella,  che  contempla  Iddio , 

^  La  natnrs  di  questo  poema  è  assai  poco 
étUrsriMta  ;  alcdao  il  chiaaò  didascalico, 
BM  più  dtt  altra  cosa  egU  è  aarnuivo,  e 


0  che  alcun  pregio  dopo  morte  lassa* 

E  questo  fu ,  oade  accesi  il  desio 
Di  volermi  affannare  la  alcun  bene. 
Che  fesse  frutto  dopo  U  tentpo  mio. 

Poi  pensando  nel  qual ,  fermai  la  spene 
D' andar  cercando  e  di  voler  vedere 
Lo  mondo  tutto ,  e  la  gente  eh'  ei  tiene  ; 

E  di  voler  udire  e  di  sapere 
n  dove  e  come  e  chi  furo  coloro 
Che  per  virtù  cercar  più  di  valere. 

E  imagmato  il  mio  grave  lavoro , 
Drizzai  i  pftè,  come  avea  il  pensiero, 
E  cercai  del  caaMain  seaza  dimoro. 

Io  era  ancor  dentro  dal  mal  sentiero. 
Per  lo  qual  disviato  era  ito  adesso , 
Con  gli  occhi  chiusi ,  e  l'animo  leggero. 

Onde  al  partir  si  mi  pungevan  spesse 
Gli  antichi  pnini ,  che  come  uom  stanee 
Mi  sedei  tra  più  fior,  che  m'eran  presso^ 

Basso  era  il  sol,  che  s'accendea  nel  fiaaeo 
Del  montone ,  onde  lo  per  più  riposo 
Tutto  mi  stesi  sopra  il  lato  manco. 

Poscia  m'addormentai  cosi  pensoso , 

però  il  poniamo  fra  i  poemi  eroici  ai  quali 
lo  accosu  alu^l  la  oondnaa  dignità  dalle 
idee  e  dello  stila. 


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DITTÀIIONDO. 


11 


Ed  appairemi  cose  nel  dormire, 

Per  eh*  io  alla  nHa  hnpresa  fui  più  oso. 

Qiè  una  donna  vedea  Ter  me  venire 
Con  rate  aperte,  d  degna  ed  onesta, 
Che  per  esempio  appena  il  saprei  <fire. 

Bianca,  qnal  nere  par,  area  la  vesta; 
E  vidi  scrìtto  in  fonna  aperU  e  piana 
Sopra  una  coronetta ,  che  avea  in  testa  : 

lo  son  Virtù,  per  cai  la  gente  umana 
Vince  ogni  altro  animai;  io  son  qnel  lume. 
Che  onora  n  corpo ,  e  che  V  anima  sana. 

Molte  donne,  aleggiando  in  varie  piume. 
Si  vedean  tranquillar  ne'  suol  splendori, 
Come  pesd  d*  estate  in  chiaro  fiume. 

E  giunta  sopra  me,  tra  quei  bei  fiorì , 
Parca  dir  :  Non  giacer,  ami  sU  suso , 
E  il  tempo,  ch'hai  perduto,  si  ristori. 

Non  più  restare  in  questo  bosco  chiuso, 
Non  più  cercar  di  su  la  mata  spina 
Coglier  la  rosa,  siccome  se' uso. 

Pensa,  che  qual  più  là  giù  peregrina. 
Da  poi  che  giunge  all'ultimo  dì  suo , 
n  tutto  gli  par  men  d*  una  mattina. 

E  fame,  e  sete,  e  sonno  al  corpo  tuo 
Soffrir  convien ,  se  onore  e  prò  dcsil , 
E  seguir  me,  che  qui  teco  m'hwluo. 

E  guardar  ben,  che  più  non  ti  desvii  : 
Pensa,  si  come  i  compagni  d'Ulisse 
Pur  con  Qrce,  onde  a  pena  lo  II  partii. 

E  pensa  ancor  come  perduto  visse 
Con  la  sua  Qeopatra  oltre  a  due  anni 
Cotai,  a  cnin  Roman,  prima  voi  disse. 

Ooor  si  acquisU  per  soffrire  aO^wni, 
Porche  raffanno  sia  In  cosa  degna, 
E  darsi  alTozIo  è  vergogna  con  danni. 

Ancora  fa  che  sempre  ti  towegna 
Aver  di  sofferenza  buone  spalle, 
Siccoow  Job  e  Jacob  ne  insegna. 

Perchè  se  vuol  veder  di  valle  in  valle 
fi  Doado  tutto,  senaa  tei  non  puoi 
Cercar  di  milte  il  venteshno  calle. 

Qui  non  spiar  per  tema  I  fati  tuoi. 
Se  non  coom  Catone  in  Libia  iiAae 
Chieder  responso,  pregato  da' suoi. 

Tutti  non  lon  P^o.  Indi  si  tolse, 
E  tptrò  nel  mio  petto,  e  non  si  mosse; 
Onde  il  mio  sonno  appunto  si  disdolse, 

GoaK  la  eoa  virtù  nel  oor  percosse. 


CAPITOLO    If. 

Dal  sonno  sciolto  e  sviluppato  m' era, 


Quando  adii  risonar  tra  «erdi  nmà 
La  dolce  melodia  di  priMavera. 

Al  va^o  canto  subito  volumi, 
Rinenibrando  li  piacere.  Il  gran  valore. 
Per  lo  qnal  già  sofferai  e  seti  e  fanL 

Qui  provai  lo  il  ver,  che  polche  amore 
S*è  barbato  nel  core,  a  gran  fatica 
Si  può  schiantar,  che  non  germogli  II  fiore. 

Ma  pur  non  punse  si  la  dolce  ortica. 
Ch'io  non  tornassi  a  quel  tteslo  proposto. 
Del  qual  in  me  già  granava  la  splca. 

E,  come  meco  fui  altresì  tosto. 
Tolsi  rudir  da  quel  soave  canto, 
Tobi  l'hnaginar,  ch'Io  v'avea  posto. 

E  levai  gU  occbl,  e  vidi  dM  già  tanto 
Era  alto  il  sol ,  che  sopra  l' orizzonte 
Parca  salito  H  tauro  tutto  quanto. 

Poi  ritomai  verso  terra  la  fronte. 
Per  rìmeaibrare  U  sogno ,  e  te  parole 
Di  questa  donna  siccome  te  ho  conte. 

E  chi  se  ciò  mi  piacque  Intender  vuote. 
Pensi  quanto  fu  Iteto  alter  Joseppo, 
Che'l  sogno  fé' delia  hina  e  del  sete. 

r  mi  levai  diritto  sopra  un  ceppo , 
Per  dirisar  qual  fosse  il  mte  cammino, 
E  d*  ogni  parte  m' era  il  lx>sco  e  il  greppo. 

E  come  avvien  talora  al  peregrino, 
Ch'ha  perduta  la  strada,  e  die  non  vede 
Cui  dimandare,  nò  per  sé  è  indovino; 

Che  ricorre  a  quel  Ben ,  eh'  egli  ama  e 
E ,  con  pura  e  devota  intenzione ,  [crede, 
E  consiglio  e  soccorso  gli  richiede. 

Così  mi  posi  allora  in  ginocchione , 
Le  mani  giunte ,  e  con  fermo  desiò 
Incominciai  cotate  orazione  : 

0  somma,  o  prima  luce ,  o  vero  Iddio, 
Che  in  Ararat  salvasti ,  e  dirìgesti 
L'arca,  e  Noè ,  quando  ogni  altro  perio; 

E  il  popol  tuo  del  mare  a  piò  traesU, 
Nutricando!  di  manna  infin  che  appresso 
Nella  terra  promessa  11  conducesti; 

E  che  a  Tobia  Rafael  per  messo 
E  per  guida  mandasti,  onde  pervenne 
A  più,  che  il  padre  non  gli  aveva  codh 
messo; 

E  che  Abraam  salvasti,  quando  tenne 
Per  campar  Loto ,  dietro  degli  Siri 
Con  la  gran  fede ,  e  con  le  poche  penne* 

Fa,  che  per  grazia  tanta  luce  spiri 
Dagli  occhi  tuoi  ne'  miei ,  che  senza  velo 
Dd  mondo  l' scorga  tutti  quanti  i  giri. 

Te  padre ,  invoco ,  te  faltor  del  cicte 
Come  solean  gli  antichi  a  siraii  peso 


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12  POEIU 

Chiamar  Apollo,  Jupiter,  e  Belo. 

E  come  i' stava  al  prego  si  sospeso. 
Agli  occhi  un  lume  subilo  m'apparve, 
Qual  par  balen,  che  vien  per  V  aere  acceso. 

E  giunto  altresì  tosto  via  disparve. 
Vero  è,  ch'esso  apparendo,  In  mia  presenza 
Una  voce ,  che  disse,  udir  mi  parve  : 

Paura,  vanitate  e  negligenza, 
Fa,  che  tu  sdegni,  ed  in  cui  preghi,  spera, 
Se  vuoi,  di  quel  che  brami ,  esperienza. 

Cosi  la  grazia  della  somma  spera 
M'aperse  1* intelletto  oscuro  e  bruno. 
Confortando  la  donna ,  che  quivi  era. 
E  dove  pria  pur  era  bosco  e  pruno, 
Vidi  sì  sciolu  ed  aperU  la  strada, 
Ch'  i'  rendei  grazie  a  Quel  eh'  è  tre  ed  uno. 

0  vivo  amore!  Come  cieco  bada, 
Qual  fugge  te,  e  pone  sua  speranza 
Nel  ben  mondan,  che  son  men  che  rugiada! 
Lettor,  pensa  per  te,  quanta  baldanza 
A  seguir  la  mia  impresa  presi  allora. 
Che  non  tei  saprei  dir  per  simiglianza. 
Su  mi  levai,  e  più  non  fei  dimora, 
E  trovai  me  a  seguitar  la  voglia 
Tanto  legger,  che  me  ne  segno  ancora. 

Non  spino  al  pie  ,  né  anco  agli  occhi  fo- 
Mi  facea  noia ,  ond'  lo  seguiva  il  passo  [glia 
Senza  fatica  alcuna  e  senza  doglia. 

Dinanzi  ad  una  croce,  a  piò  d'un  sasso 
Un  romito  trovai,  che  nell'aspetto 
Per  lunga  etade  era  pallido  e  lasso. 

La  bianca  barba  gli  listava  il  petto, 
E  1  cigli  tanto  gli  cadevan  gioso. 
Che  gli  erano  alla  vista  gran  difetto. 

0  padre,  che  vi  state  sì  nascoso 
In  questo  bosco  in  tanta  penitenza, 
Solo  per  acquistar  l'alto  riposo. 

Da  poi  che  Dio  nella  vostra  presenza 
Condotto  m'  ha  da  loco  sì  lontano. 
Piacciavi  darmi  di  voi  conoscenza. 

Così  il  pregai,  ond' elio  con  la  mano 
Le  ciglia  prese,  e  la  vista  scoperse, 
Poi  mi  guardò  con  volto  onesto  e  piano. 

Appresso  disse  :  Da  parti  diverse 
Son  qui  venuto,  qua]  piace  a  Colui, 
Che  per  noi  morte  in  la  croce  sofferse. 

Paulo  è  il  mio  nome,  e  onde,  e  chi  già  fui, 
Di  più  non  dico  ;  ma  tu  come  vai 
Si  sol  per  quesU  boschi  oscuri,  e  bui? 
La  viu,  e  la  mia  mossa  io  gli  narrai 
A  parte  a  parte ,  ond'  egli  a  me  ne  venne , 
E  con  dolci  parole  e  care  assai 
La  notte  seco  ad  albergar  mi  tenne. 


EROia 


CAPITOLO    III. 


Entrati  nel  suo  povero  abitacolo, 
Sarebbe  lungo  a  dir  le  cose  strane, 
Ch'  ei  mi  contò  d' uno  in  altro  miracolo. 
La  cena  nostra  fu  solo  acqua  e  pane, 
E  li  letto  d'orso  una  pelle  pelosa; 
E  così  stemmo  fino  alla  domane. 

Era  la  mente  mia  grave  e  pensosa. 
Volendo  ricordar  ciascun  peccato, 
Che  fatto  i'avea  nella  vita  noiosa. 

Quando  quel  padre,  ch'era  già  levalo 
Per  dir  sue  ore,  mi  disse  :  Che  hai. 
Che  sì  sospiri,  e  mostri  tribolato? 

Ed  lo  risposi  :  Ho  dei  peccati  assai , 
Dubbiosi  e  gravi  ;  e  mi  tacelli  appresso. 
E  nei  tacer  languendo  lacrimai. 

In  questo  tuo  cammin  se'  tu  confesso  ? 
Risposi  :  No;  ma  trovandomi  vosco. 
Questo  era  quei,  di  ch'io  piangeva  adesso. 
Figiiuol  mio,  disse ,  il  mondo  è  come  un 
Pien  di  serpenti  e  di  fieri  animali,  [bosco, 
E  ciascun  porta  isvarlalo  losco; 

E  noi  slam  tutti  mobili  e  mortali  : 
Onde  vegliar  conviene,  e  stare  attenti. 
Per  sapersi  guardar  dalli  ior  mali. 

Se  il  primo  nostro  e  de'  nostri  parenti 
Padre  avesse  provveduto  a  questo, 
Ei  ci  vedrebbe  liberi  e  contenti. 

Ma  di',  che  al  tuo  voler  son  fermo  e 
Ed  io  al  suo  voler  tutto  devolo,  [preste. 
Ciascun  peccalo  gli  fei  manifesto. 

Ma  poiché  di  me  fu  ben  chiaro  e  noto, 
Diemmi  la  penitenza  tanto  dura. 
Quanto  voleva  a  lavar  tanto  loto. 

Già  venia  il  sol  per  alcuna  fessurs 
Dei  romitor,  quando  per  camminare 
Mi  apparecchiava ,  e  davami  rancura. 

Quand'ei  mi  disse  :  Dimmi,  che  vuol 
Io  gli  risposi  :  Alleviar  quel  carco,  [fare? 
Che  scarcar  mi  convien  sol  coli' andare. 
Tu  credi  forse ,  che  quinci  sia  un  varco 
Securo,  come  se  fossi  a  Vinegìa, 
E  dovessi  Ir  da  Rialto  a  San  Marco? 

Già  fu  così,  ma  Ul  più  non  si  pregia  : 
Che  per  tutto  le  strade  son  qui  tronche, 
Coperte  d'erba  e  di  prun  che  le  fregia. 
Il  monte  Gif  non  ha  tante  spelonche. 
Quante  si  trovan  per  questo  cammino, 
Né  tante  oscure,  né  profonde  conche. 
E  non  dir,  i*  son  pover  peregrino. 
Che  i  bacherozzo]  non  guardano  a  quello, 


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DEL  DITTAMONDO. 


13 


Purché  poasan  far  male  a  lor  domino. 

Per  tutto  pocsa  dir,  eh' è  baccanello, 
E  però  la  tua  voglia  qui  sia  stretta. 
Tanto  che  attempi  il  sol ,  che  vien  novello. 

Cbèmoltevoltel' uom  per  troppafretU, 
ToleDdo  far,  disfà;  e  dico  ancora, 
€3ie  quel  sa  guadagnar,  che  tempo  aspetta* 

0  chiaro  lume  mio,  risposi  allora. 
Poco  saprìa,  chi  dal  vostro  consiglio 
Si  dilungasse  il  minuto  d*  un'ora. 

E  cosi  per  fuggir  morte  e  pcrìgUo, 
Credetti  a  luì ,  come  credere  de* 
Ammaestrato  da  buon  padre  il  figlio. 

Dolce  duetto  e  caro  ancora  m*  è, 
Qoando  rimembro  le  sante  parole , 
Che  allor  mi  disse  della  nostra  fé. 

Già  era  al  cerchio  di  meriggio  il  sole, 
Quando  parlai  con  grande  reverenza  : 
L* andar  mi  sprona,  e  '1  partire  mi  dolc. 

Quel  padre  pien  di  tutta  conoscenza 
ir  intese ,  e  disse  con  soave  voce  : 
Tempo  è  bene  omai  per  mia  credenza. 

indi  mi  trassi  al  sasso  della  croce , 
Gli  occhi  portando  ove  il  cammino  mio 
10  divisò  di  una  in  altra  foce. 

Devotamente  il  commendai  a  Dio; 
Ed  e^  :  Or  va,  che  come  salvò  Elia 
Nel  carro,  sì  te  salvi  al  tuo  desio. 

Hishni  allor  per  la  mostraU  via. 
Avendo  sempre  attenti  gli  occhi  e  '1  viso, 
Se  alcuna  cosa  avanti  m' apparta. 

E  mentre  ch'io  guardava  tanto  fiso, 
Una  femmina  scorsi  assai  da  lunge 
Sì  sozza,  ch'io  ne  fui  quasi  conquiso. 

E  come  awìen,  che  la  paura  punge 
L' uom  talor,  ^  che  tragge  il  sangue  al  core, 
E  l'altre  vene  per  lo  corpo  munge; 

E  da  poi  eh' è  ristretto  il  suo  valore, 
In  fra  8è  di  sé  stesso  si  rimembra. 
Onde  racquista  il  perduto  colore  ; 

Si  persi  io  il  sangue  per  le  membra 
Subitamente,  e  poi  cosi  raccolsi 
In  me  virtute  con  colore  insembra. 

E  quanto  i  passi  miei  più  ver  lei  volsi , 
Ed  ella  i  suoi  ver  me,  vieppiù  brutta 
A  membro  a  membro  la  sembianza  colsi  ; 

Paisà,  qual  parve  a  figurarta  tutta. 


CAPITOLO   lY. 

Siccome  presso  fui  a  quella  strega, 
Vidi  la  faccia  sua  livida  e  smorta, 


Qual  preso  pare,  a  cui  le  man  si  lega* 

Vecchia  mostrava  e  in  su  le  gambe 
Arricciava  la  carne  e  ciascun  pelo,  [storta. 
Come  porco  per  tema  talor  porta. 

Tutu  tremava,  e  nelle  labbra  un  gelo 
Mostrava  tal,  che  non  copriva  i  denti. 
Ed  era  scapigliata  e  senza  velo. 

Gii  occhi  smarriti  in  qua  e  là  moventi 
Avea  la  trista,  e  così  sbalordita 
Borbottando  dicea  :  Perchè  consenti. 

Perchè  consenti  a  perder  la  tua  vita? 
Certo  tu  ne  morrai,  se  non  t'avvedi 
Di  lasciar  questa  impresa  tanto  ardita. 

Non  per  morir,  ma  per  campar  mi  diedi 
A  seguir  tanto  ardire ,  e  da  più  senni 
Confortato  ne  son,  che  tu  noi  credi. 

Ben  so  che  al  mondo  per  tal  patto  venni, 
Ch'io  dovessi  morir,  e  bene  stimo 
Che  contro  ciò  tutti  i  pensier  son  menni. 

E  si  so  ancor,  ch'io  non  sarò  il  primo 
Né  '1  deretan,  che  de'  far  questa  via. 
Che  tutti  ne  convien  tornare  al  lUno. 

E  bestiai  cosa  sarebbe  e  follia 
Di  temer  quei,  che  non  si  può  fuggire. 
Questa  cotal  fu  la  risposta  mia. 

Ben  io  t'  ho  inteso,  ma  tu  non  dei  ire , 
Sperimentando  si  la  tua  ventura. 
In  estrani  paesi  per  morire. 

Oh,  rispos'io,  già  non  è  più  dura 
Di  fuor  la  morte,  che  in  casa  si  senta. 
Ed  ella  :  Tu  non  avrai  sepoltura,  [menta. 

Questo  che  fa?  Che  il  corpo  non  tor* 
Né  trova  cosa ,  che  gli  faccia  guerra , 
Poiché  la  luce  sua  del  tutto  è  spenta. 

E  se  non  fia  coperto  dalla  terra. 
Il  cielo  il  coprirà  ;  né  con  più  degno 
Coperchio  nlun  corpo  mai  si  serra. 

Tfovo  non  fu  delle  tombe  lo  ingegno. 
Acciocché  i  morti  ne  avesser  dolcezza. 
Ma  per  i  vivi,  eli' è  d'onore  un  segno. 

Dissemi  allor  :  Morrai  in  giovinezza. 
Per  eh'  io  risposi  :  Questa  é  minor  doglia , 
Che  l'aspettar  di  morir  in  vecchiezza. 

Che  allor  fa  buon  morir  quando  si  ha 
Di  viver,  e  quel  viver  tengo  reo  [voglia 
Dove  l'uom  senso  a  senso  si  dispoglia. 

Di  ciò  s'avvide  il  forte  Macabeo, 
Di  ciò  s'avvide  il  forte  Greco,  il  Magno, 
E  il  buon  Troian  che  tanto  d'arme  feo. 

Il  ben  morire  è  al  mondo  un  guadagno, 
E  il  viver  male  è  peggio  che  la  morte; 
Faccia  uom  che  de',  e  non  si  dia  più  lagno. 

E  quella  a  me  :  E  tu  puoi  per  tal  sorte 


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14  POEBn 

Cadere  in  poTertate  infermo  e  frale  « 
R  non  sarà  chi  ti  aiuti  e  conforte. 

Di  questo,  risposMo,  poco  mi  cale. 
Che  delie  due  converrà  esser  l' una , 
0  il  mai  vincerà  me ,  o  lo  il  maie. 

La  povertate  e  i  ben  delia  fortuna 
Per  tutto  veggio;  e  trovo  i*un  di  grande 
Tal  che  poi  l'altro  con  fame  digiuna. 

Già  fu  chi  visse  di  fronde  e  di  ghiande  : 
Nostra  natura,  quando  si  contenta, 
Poco  cura  di  veste  o  di  vivande. 

Più  son  le  cose,  onde  Y  uom  si  spaventa, 
Che  pur  non  fanno  mal ,  che  quelle  assai 
Che  con  danno  e  percosse  lo  tormenta. 

Ed  ella  a  me  :  Or  pensa,  se  tu  vai 
In  luogo  acerbo,  strano  e  sconosciuto 
E  non  sappi  la  lingua,  che  farai? 

Le  mani  e  I  pie  natura  per  aiuto 
Mi  ha  dato,  dissi ,  e  l'argomento  tutto. 
Perchè  sarò  i'  più  là,  che  qui  un  muto. 
Ed  ella  :  Vuo'  tu  un  buon  consiglio  a- 
Pensa  di  viver  qui,  e  stare  in  pace,  [sdutto? 
E  di  quei ,  eh'  hai,  prendi  diletto  e  frutto. 

Lo  tao  parlar,  rispos'io ,  non  mi  piace, 
Però  ch'egli  è  consiglio  da  cattivo. 
Che  mangia  e  beve  e  sulla  piuma  giace. 

Che  i'  uom  non  de'  por  dir,  t'  pappo. 
Come  nei  prato  fan  le  pecorelle;  [e  vivo, 
Ma  cercar  farsi ,  dopo  morte,  divo. 

Ornai  va  via ,  che  delie  tue  novelle 
Ammaestrato  fui,  e,  poi  m'annoia 
Ch'  hai  le  fazion  che  non  somigfìan  belle. 

Poiché  la  sì  partio  dolente  e  croia. 
Ed  i*  rimasi ,  qual  riman  colui , 
Che  fa  fra  sé  di  sua  vittoria  gioia, 

E  poiciiè  sviluppato  da  lei  fui , 
Lettor,  e  vidi  me  dlsciolto  e  libro, 
Presi  il  cammln  tanto  dubbioso  altnd. 

Come  vedrai  dal  terzo  al  sesto  libro. 


CAPITOLO  V. 

Come  il  Docchier,  eh' è  stato  In  gran 
tempesta, 
Che  se  vede  da  Imigi  piaggia  o  porto , 
Affretta  1  remi,  e  fa  letizia  e  festa; 

Così  avcnd'io  da  lontano  scorto 
Uno,  in  ch'i'  sperava  alcun  consiglio, 
Accrebbi  i  passi  con  lieto  conforto. 

Appena  era  Ito  un  terzo  <JS  miglio, 
Ch'  k>  gii  fui  presso,  e  tanto  11  vidi  degno. 
Che  r  inchinai  con  la  man  sopra  fl  ciglio. 


EROia. 

Poco  del  corpo,  lettor,  tei  disegno. 
Bianco  era  e  biondo,  eia  sua  faccia  onesta. 
Con  plccoletta  bocca,  -e  d'alto  'ngegno. 

Qual  ^niol  Mercurio ,  tal  parca  la  vesta. 
Un  libro  avea  nella  sinistra  mano, 
E  nella  dritta  tenea  una  sesta. 

E  giunto  a  me  costui ,  più  che  umano 
Rispose  al  cenno,  e  disse  :  In  chi  ti  fidi , 
Che  vai  si  sol  per  luogo  si  lontano? 

Senno  non  fai ,  se  non  hai  chi  ti  guidi, 
Perocché  tanto  è  diverso  il  cammino , 
Che  più  appena  alcun  giammai  ne  vidi. 

Per  cercar,  mi  son  mosso  peregrino. 
Del  mondo  quel  che  ne  concede  il  soie, 
E  più ,  se  il  poter  fosse  al  mio  domino. 

E  qual  non  può  in  tutto  dò  che  vuole , 
Far  gli  convien  secondo  eh'  ha  la  possa. 
Cotsd  risposta  fen  le  mie  parole,    [mossa 

Poi  soppraggiunsi  a  lui  :  Questa  mia 
Non  credere  si  lieve ,  che  per  fermo , 
Udendo  il  ver,  non  ti  parrà  si  grossa. 

Perchè  a  fuggir  la  morte ,  ov'  era  infeN 
L' ardir  mi  prese ,  che  a  follia  tenete ,  [mo, 
E  per  consiglio  l' ebbi  d'altrui  sermo. 

l'non  avea  d'udirti  si  gran  sete. 
Quando  eh'  i'  ti  scontrai,  qual  mi  scnt*  ora. 
Che  m'  hai  preso  il  pensier  in  altra  rete  ; 

E  però  non  t' incresca  dirmi  ancora 
Più  chiaramente,  acciocché  me'  compren- 
Dove  tu  vai  ;  e  un  poco  qui  dimora  [da, 

E  se  starai ,  non  creder  che  sì  spenda 
Indarno  il  tempo ,  e  fors'  è  tua  ventura 
Avermi  qui  trovato ,  e  eh'  io  t' intenda , 

Ch'  lo  so  del  mondo  il  modo  e  la  mbura, 
E  so  dei  cieli ,  e  sotto  quale  dima 
Andar  si  puote,  e  dov'è  gran  paura. 

0  caro  padre  !  Il  tempo  non  si  stima 
Per  me ,  dissi ,  com'è  vostra  credenza 
E  quanto  piace  a  voi ,  Ha  la  mia  rima. 

Allor  gB  feci  in  tutto  conoscenza 
Del  lungo  tempo  mio  senza  fren  corso, 
E  senza  lume,  e  senza  provvidenza; 

E  come  me  vedendo  tanto  scorso , 
Vergogna  ed  Ira  punse  lo  'nteRetto, 
E  fu  del  fallo  nolo  grave  11  rimorso  ; 

E  che  per  rìstanrar  tanto  difetto , 
E  non  morir  nel  mondo  come  bdva , 
Presi  il  cammin  cotal ,  come  ho  già  detto  ; 

Poi  come  dentro  della  trista  selva 
Una  donna  gentil  m'era  apparita, 
E  destò  li  cor,  il  quale  ancor  s'Inselva. 

Tutta  gii  dissi  appunto  la  mia  vita,  [sa 
Ond'egli  a  me  :  Figliuol,  questa  tua  impre- 


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DnTAMONDO. 


ts 


Assai  mi  par  da  essere  gradita. 

Ha  guarda,  che  ta  sia  di  tanta  ^esa 
Fornito,  quanta  a  tal  cammin  bisogna  , 
SI  die  il  troppo  voler  non  torni  olTesa. 

Cbè  spesso  aTTien,  eli'  uom  rìcere  ram* 
pogna 
IH  folle  impresa ,  onde  sarebbe  il  meglio 
Lasciarla  star,  che  portarne  vergogna. 

Ed  io  a  lui  :  Pur  mo*a  dò  mi  sveglio, 
€2oDe  T*  ho  detto ,  e  seguirò  nel  core 
La  pecchia  per  esempio ,  e  per  ispegRo  ; 

Ole  va  cogliendo  d' uno  in  F  altro  fiore 
La  dolce  manna  per  luoghi  diversi , 
DI  che  poi  vive,  e  donde  acqufeu  onore. 

Cosi  pensalo  per  paesi  spersl 
Ragunare  con  pena  e  con  fatica     [versL 
(tud  rad,  che  a  me  sia  dolce  ed  ai  miei 

Quando  nelT  uomo  un  buon  voler  stabbi- 
fi  mancagli  il  poter,  rispose  adesso,  [ca 
Alar  rf  de*,  coow  la  cosa  amica,  [messo, 

E  però  air  alla  impresa,  in  che  sei 
Giovar  ti  voglio  di  alcuna  moneta. 
Si  cbe  ti  adnti  a  tempo  per  te  stesso. 

IKalpi,  di  mari,  e  di  fiumi  s'faireU 
La  terra,  perchè  Fnomo  alcuna  volta 
Q  è  pveso,  come  verme,  che  s' inseta. 

Onde  se  non  t'annoia,  ora  m'ascolta. 
Sicché  se  trovi  manco  d'alcun  passo , 
Yaggl  da  te  perchè  la  via  t'è  tolta. 

Goal  eone  a  Ini  piacque,  fermai 'i  pafso. 


CAPITOLO    TU. 

Pokh'lo  ma  vidi  rtmaso  si  solo. 
Presi  a  pensar,  sopra  i  dubbiosi  carmi , 
n  gran  cammia  daU'uno  aU'  altro  polo. 

E  rìcordaBdo,  m«  sapea  che  farmi, 
I  snUI  rtecM  e  la  si  lunga  via , 
0  ddf  andar  lananzi,  o  dello  starmi. 

Quando  fai  doma,  che  mi  destò  pria 
Nd  tristo  bosco,  mi  disse  :  Che  pensi? 
Fa  quel  che  del ,  e  poi  ciò  che  vuol  sia. 

Scapre  il  cattivo  da  vili  e  melensi 
Peodtri  è  vinto,  e  tal  costui  è  detto. 
Quale  una  besda ,  eh'  abblamanchi  1  sensi. 

Gid  colesU  cacciò  dal  mio  peUo 
Ogni  paura ,  come  da  Boeaio 
fllotoia  le  triste  dal  suo  lettow    [scredo 

SpcBto  ogni  mio  pensier  che  movea 
K  dubbio  d  mk>  aadar,  subito  presi 
Gondglio  td,  dd  qude  ancor  mi  predo. 

Ond'l»  coi  core  e  con  gH  occhi  sosped 


Chiamai  a  giunte  mani  in  verso  il  delo 
Colui ,  che  mai  non  ebbe  di  né  mesi. 

0  sempre  uno  e  tre ,  a  cui  non  oào 
n  gran  bisogno ,  e  l' acceso  desire  , 
Perocché  tutto  il  vedi  senza  velol 

Soccorrimi ,  che  solo  non  so  ire. 
Ed  appena  ebbi  finito  qud  prego, 
Ch'io  mi  vidi  uno  dinanzi  apparire. 

Qui  con  più  fretta  1  piedi  a  terra  frego 
Inverso  lui,  e  poiché  mi  fu  chiaro. 
Con  riverenza  tutto  a  lui  mi  piego. 

(Zoìì  un  vago  latin  onesto  e  caro  , 
Dimmi  chi  se',  mi  disse,  e  dove  vdt 
Poi  gli  occhi  suoi  in  poco  s'abbassar*. 

Com'ei  si  tacque,  cosi  incominciai  : 
Io  mi  son  un  novellamente  desto. 
E  1  dove  e  1  quando ,  tutto  gli  narrai. 

Appresso  anche  gli  fed  manifesto 
Di  quel  romito,  a  cui  la  barba  lista, 
Ch*era  a  veder  si  vecchio  e  tanto  onesto. 

Poi  della  scapigliata  magra  e  trista , 
La  qud  per  dare  sturbo  alla  mia  impresa, 
M*  era  apparita  con  sì  orribil  vista  : 

E  siccom'  io  dopo  lunga  contesa 
L' avea  cacdata ,  e  trovato  colui , 
n  qud  dd  mondo  i  dubbj  mi  pdesa  : 

E  che  poiché  partito  da  lui  fui , 
L*  impresa  mia  si  facea  vile  e  scema  : 
E  il  conforto  eh*  io  presi  ;  e  dò  da  cuL 

Ciascun  d'entrar  nella  battaglia  ha 
tema. 
Se  non  è  matto,  e  quello  é  più  pregiato. 
Che  poiché  v'é,  più  vede  e  meno  trema. 

Ma  non  dubbiar,  poiché  m'  bd  qui 
trovato. 
Ch'io  non  ti  guidi  per  tutto  n  cammino. 
Purché  dd  Sommo  il  tempo  ti  sìa  dato. 

Cod  mi  disse,  ed  lo  :  0  peregrino. 
Dimmi ,  chi  se*?  Ed  d  rispose  adesso  : 
Anticamente  fui  detto  SoHno. 

Solin,  dlss*  lo,  se'  tu  qud  proprio  desso, 
Che  fttvisò  il  principio,  il  fine ,  il  mezzo 
Del  mondo  e  r  abitato ,  e  dò  eh'  è  in  esso? 

Cdd  son  lo.  Onde  allora  un  ribrezzo 
Cotd  mi  prese,  qud  talor  il  verno 
A  chi  sta  fermo  md  vestito  d  rezzo. 

Per  meraviglia  d  padre  sempiterno 
Mi  trassi ,  e  <fisd  :  Indarno  onor  procaccia , 
Qud  te  non  prega  e  vuol  per  suo  goverao. 

Poscia  rìvotoi  d  mio  Sdin  la  facda, 
E  dlsd  :  0  caro,  o  buon  soccorso  miol 
Dd  tutto  qui  mi  do  ndle  tue  braccia. 
Senza  più  dbe  diora  el  d  pardo. 


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16  POEMI 

Ed  io  appresso,  sempre  dando  '1  loco, 
Acceso  caldamenlc  d*  un  desio. 

Ond' egli  accorto  :  Per  sfogare  il  foco, 
Mi  disse,  fa  clie  svampi  fuor  ia  fiamma, 
Gbè  l'andar  senza  ii  dir  varrebbe  poco. 

Allor,  come  il  flgliuol  elle  alla  sua  mam- 
Con  riverenza  paria ,  dissi  :  0  sole ,  [ma 
In  cui  non  manca  di  mia  voglia  dramma  ; 

Quel  elle  da  te  prima  l'animo  vuole. 
Si  è  d'aver  partito  per  rubrica 
li  mondo  ;  e  queste  fur  le  mie  parole. 

Ed  egli  a  me  :  Nella  mia  età  antica 
Tutto  il  notai,  bench'ora  mal  s'incappa 
L'  uom ,  percliè  non  intende  quel  eh'  io 

E  però  teco  formerò  una  mappa ,  [  dica, 
fai  che  l'intenderanno,  noi  che  tue. 
Color  che  sanno  appena  ancor  dir  pappa. 

Acciò  che  andando  insieme  pur  noi  due, 
E  trovandoci  a' porti  ed  alle  rive , 
Sappi ,  quando  saremo  giù  e  sue. 

E  tu,  com'io  tei  conto,  tal  lo  scrìve. 


CAPITOLO    XI. 

In  breve  t'  ho  assai  chiaro  discoperto 
Del  mondo  T abitato,  e  come  giace; 
Benciiè  '1  veder  te  ne  farà  più  sperto. 

Cosi  mi  disse ,  ed  io  :  Forte  mi  piace 
Il  tuo  parlar;  ma  in  più  d'  un  punto  bra- 
che lo  'ntclletto  mio  rìposi  in  pace,  [mo. 

Dimmi  :  Quel  luogo ,  onde  cacciato  Ada- 
Con  Eva  fu ,  dov'  è ,  che  tu  noi  poni  [mo 
Né  sulla  terra ,  né  mostri  alcun  ramo? 

Ed  egli  a  me  :  Diverse  opinioni 
State  vi  son ,  ma  suso  in  Oriente 
Per  la  più  parte  par  che  si  ragioni. 

E  questo  è  un  monte  ignoto  a  tutta  gente 
Alto,  che  giunge  sino  al  primo  cielo. 
Onde  il  puro  aere  li  suo  bel  grembo  sente. 

Quivi  non  è  giammai  freddo  né  gelo , 
Quivi  non  per  fortuna  onor  si  spera , 
Quivi  non  pioggia ,  o  di  nuvolo  è  velo. 

Quivi  è  l'arbor  di  viu,  e  primavera 
Sempre  con  gigli ,  con  rose  e  con  fiori , 
Adorno  e  pien  d'una  e  d'altra  riviera. 

Quivi  tanti  piacer  di  vaghi  odori 
VI  sono ,  e  unta  dolce  melodia , 
Che  par  che  quel  che  v'  è  vi  s*  innamori. 

Vecchiezza  e  infermità  non  sa  che  sia 
Giammai  colui ,  ciie  dentro  ivi  giunge  : 
E  questo  prova  Enoc  ed  Elia,      [punge. 

Ma  muovi  i  passi  omai,  ch'altro  mi 


EROia. 
Ed  io  :  Va  pur,  che  dietro  alle  tue  spalle 
Non  mi  vedrai  più  d' un  passo  da  lunge. 

E  cosi  mi  guidò  di  calle  in  calle 
Tanto ,  che  noi  giugnemmo  sopra  un  fiu- 
Che  si  spandeaper  una  bella  valle  ;  [me , 

Sopra  la  quale  per  lo  chiaro  lume 
Del  sol,  cii'eraalto,  ivi  una  donna  scorsi: 
Veccliia  era  in  visu,  e  trista  per  costume. 

Gli  occhi  da  lei ,  andando,  mai  non  torsi  ; 
Ma  poiché  presso  le  fui  giunto  tanto , 
Ch'io  l'avvisava  senza  nessun  forsi. 

Vidi  il  suo  volto ,  eh'  era  pien  di  pianto, 
Vidi  la  vesta  sua  rotta  e  disfatta, 
E  raso  e  guasto  II  suo  vedovo  manto. 

E  con  tutto  che  fosse  cosi  fatta, 
Pur  nell'  abito  suo  onesto  e  degno 
Mostrava  uscita  di  gentile  schiatta. 

Tanto  era  grande ,  e  di  nobil  contegno, 
Cir  io  diceva  fra  me  :  Ben  fu  costei , 
E  pare  ancor  da  posseder  bel  regno. 

Maravigliando  più  mi  trassi  a  lei , 
E  dissi  :  Donna ,  per  Dio  non  vi  noi 
Di  soddisfare  alquanto  a'  desir  miei; 

Ch'  io  riguardo  dall'  una  parte  voi , 
Che  negli  atti  mostrate  si  gentile , 
Ch'  io  dico  :  il  eie!  qui  porse  i  raggi  suoi. 

Poi  d'altra  parte  parete  sì  vile. 
Sì  dispregiau,  e  con  nero  vestire. 
Che  mio  pensier  rivolgo  ad  altro  stile. 

Qual  piange  si,  che  vuole  e  non  può  dire. 
Così  costei  alquanto  si  discioise 
Bagnandosi  nell'acqua  del  martire  : 

Ma  poiché  il  core  alquanto  Iena  colse , 
E  che  sfogata  fu  la  molta  voglia. 
Sì  rispondendo  inverso  me  si  volse  : 

Non  ti  maravigliare  s'io  ho  doglia. 
Non  ti  maravigliar  se  trista  piango. 
Né  se  me  vedi  in  sì  misera  spoglia; 

Ma  fatti  maraviglia,  ch'io  rimango, 
E  non  divento,  qual  divenne  Ecuba, 
Quando  gitUva  altrui  le  pietre  e  il  fango. 

Perché  men  suon  non  die  già  la  mia  tuba, 
Né  minor  fui  di  sposo  e  di  figliuoli , 
Né  meno  ho  sostenuto  danno  e  ruba. 

Onde  quando  mi  trovo  in  tanti  duoli , 
E  ricordo  lo  stato  in  che  già  fui. 
Che  governava  11  mondo  co'  miei  stuoli , 

Piango  fra  me,  che  qui  non  ho  con  cui. 
Ort'  ho  risposto  a  quel,  che  mi  chiedesti, 
Forse  con  versi  troppo  chiusi  e  buL 

Se  quel  che  tutto  regge  ancor  vf  presti 
Tanto  di  grazia  per  la  sua  pietate , 
Che  degli  antichi  onori  vi  rivesti , 


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DEL  DITTAMONDO. 


IT 


Fatemi  ancora  tanto  di  bontate, 
ChMo  oda,  come  in  voetra  gioTinezxa 
Foste  cresciuta  in  tanta  degnitate, 

E  fino  a  cui  salio  vostra  grandezza , 
E  la  cagion  perchè  da  tanto  onore 
Caduta  siete  in  cotanta  bassezza. 

Questo  prego  le  fei  con  tanto  amore , 
Ch*ella  tispwe  :  Al  tuo  piacer  son  presta, 
Ma  non  fie  il  ricordar  senza  dolore. 

Poi  cominciò ,  e  la  forma  fu  questa  : 


CAPITOLO    XII. 

Mei  tempo  che  nel  mondo  la  mia  spera 
Apparve  in  prima  qui  dove  noi  stiamo, 
Dopo  il  diluvio  ancor  poca  gente  era. 

Noè,  che  si  può  dire  un  altro  Adamo, 
Navigando  per  mar  giunse  al  mio  Uto, 
Come  piacque  a  Colui ,  eh'  io  credo  ed 

E  tanto  gii  fu  dolce  questo  sito ,  [amo  ; 
Che  per  riposo  alla  sua  fine  il  prese 
Con  darmi  più  del  suo,  eh'  io  non  ti  addito. 

Giano  appresso  a  dominarmi  intese, 
E  costui  mi  adomò  d' una  corona , 
Insieme  con  Jafet  e  con  Camese. 

Italo  poi  un'altra  me  ne  dona. 
SI  fé'  Saturno ,  che  di  Creti  venne , 
Lo  qual  molto  onorò  la  mia  persona. 

Ercole  y  quel  che  nelle  braccia  tenne 
Pallante ,  per  Io  suo  valor,  non  meno 
Che  gli  altri ,  fece  dò  che  si  convenne. 

Evandro  con  gli  ArcadJ  ricco  e  pieno 
Una  ne  fabbricò  nel  nome  mio , 
Maggiore  assai  che  gli  altri  non  mi  feno. 

Roma,  Aventino ,  e  Glauco  non  oblio, 
I  qua!  men  fenno  tre,  tal  che  ciascuna 
Per  sua  beltà  in  gran  pregio  salio. 

E  si  m'era  allor  dolce  la  fortuna. 
Che  da  Oriente  a  me  venne  il  re  libri , 
Al  qual  piacendo  ancor,  me  ne  fé*  una. 

Ma  perchè  d'ogni  dubbio  ti  dellbrl , 
E  sappi  ragionar,  se  mai  t' affronti 
Con  gente  a  cui  diletti  legger  libri. 

Piacenti  ancor  che  più  chiaro  ti  conti. 
Sappi,  queste  corone  ch'io  ti  dico, 
Mi  fur  donate  dentro  a  sette  monti. 

Ma  qui  ritomo  a  Giano  mio  antico, 
Del  qual  ti  ho  detto,  che  dopo  Noè 
Gii  piacque  il  luogo  dove  i'  mi  nutrico. 

De'  Latin  fu  costui  il  primo  re, 
Pien  di  scienza  e  cotanta  virtute , 
Che  di  molte  gran  cose  al  mondo  fé. 


Costui  trovò  le  genti  si  perdute 
D*ogni  argomento,  che  a  fredde  vivande 
Vivevan ,  come  bestie  matte  e  mute. 

Chiare  fontane  ed  erbe  crude  e  ghiande 
Eran  lor  cibo ,  ed  abitavan  sparti 
A  libito  ne'  boschi  e  per  le  lande. 

Esso  li  ragunò  da  tuUe  parti , 
E  raddrizzolli  nel  vivere  alquanto , 
Mostrando  loro  e  disgrossando  l'arti. 

Della  sua  morte  si  fece  gran  pianto, 
Sette  e  venti  anni  regnò ,  e  tra  lor  era 
Tenuto ,  come  è  or  fra  noi  un  santo. 

E  s'io  debbo  seguir  ben  mia  matera, 
E  del  caldo  desio,  del  quale  asseti, 
Trarti  la  brama,  come  1'  bai,  intera. 

Dir  mi  conviene  siccome  da  Creti 
Saturno  sen  fugglo  e  venne  a  Giano, 
Perchè  il  figliuol  noi  prendesse  in  le  reti. 

Crudele  e  pronto  a  mal  tratto  villano , 
Avaro,  si  che  sempre  il  pugno  serra. 
Costui  dipingo  e  con  la  falce  in  mano. 

Tre  figliuoli  ebbe.  Iddi!  nomati  in  terra, 
Nettuno  l' un ,  qual  si  dice  marino , 
Dal  mar  sorbito  nella  trista  guerra  ; 

L' altro  fu  Pluto,  del  quale  il  destino 
Fu  tal,  che  avendo  un  paese  in  governo 
Salvatico,  boscoso  e  pellegrino. 

Lo  padre  suo  per  gola,  s' io  discerno, 
Del  regno ,  il  fé'  morire  a  tradimento , 
E  nominato  fu  Dio  dell'Inferno; 

Giove  regnava,  secondo  ch'io  sento. 
Sotto  l'Olimpo,  che  pria  prova  11  gelo 
Che  il  sol  del  tutto  a  Virgo  scaldi  '1  mento. 

Costui ,  perch'  ebbe  ognor  diietto  e  zelo 
Nell'alto  monte,  ed  attese  a  virtute. 
Si  disse  dopo  morte  il  Dio  del  cielo. 

Ora  vedendo  le  mortai  ferute 
De'  suoi  fratelli,  li  padre  cacciò  via. 
Si  per  vendetta  e  si  per  sua  salute. 

Di  qua  fuggio,  come  ti  ho  detto  pria. 
Nascoso  stava ,  e  quando  Gian  morio, 
Rimase  solo  a  lui  la  signoria; 

E  benché  fosse  tanto  avaro  e  rio,. 
Nondimen  era  scaltro  ed  intendente, 
E  sottil  molto  ad  ogni  maestrio. 

Costui  mostrò  di  far  navi  alla  gente, 
Scudi,  moneta  e  di  terra  lavoro. 
Che  prima  ne  sapean  poco  o  niente. 
A  questa  età  si  disse  età  dell'oro. 
Perchè  la  gente  viveva  in  comuno 
Sobria,  casta  e  libera  fra  loro. 
Semplice,  pura  e  senza  vizio  alcuno. 


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18  POEH 

Ora  Io  delo  che  ogni  cosa  chiama 
Ad  ordinato  tempo,  li  suoi  lumi 
Volse  Yer  me  per  darmi  onore  e  fama. 

I  due  gemelli  che  per  bei  costumi 
Nomare  potrei  Castore  e  Polluce, 
E  di  beltà,  per  quel  eh'  avviso,  numi , 

S' innamorar  della  mia  bella  luce  ; 
Ma  r  un  fu  morto ,  e  qui  si  tace  il  come , 
L' altro  rimase  sol  signore  e  duce. 

Dal  nome  di  costui  presi  il  mio  nome  : 


EBOICL 
E  certamente  11  primo  sposo  fuc. 
Che  sentisse  il  piacer  del  mio  bel  pome. 

Tonando  la  tempesta  cadde  gioe , 
E  comechè  rapito  o  morto  fosse , 
Per  me  dappoi  non  si  rivide  piuc. 

Se  di  lui  m*  arse  il  core, e  semi  cosse, 
Pensar  lo  dei ,  cbè  a  dhio  sarebbe 
Un  rinovare  duolo  alle  mie  angosce, 

Edir  non  tei  saprei ,  si  meo'  increbbe. 


POLIZIANO. 


STANZE 

PER   LA  GIOSTRA  DEL  MAGNIFICO 

GIULIANO  DI  PIERO  DF  MEDICI. 


LIBRO  PRIMO. 


Le  gloriose  pompe  e  i  fieri  ludi 
Della  città  che  *1  freno  allenta  e  stringe 
A'  magnanimi  Toschi  ;  e  1  regni  crudi 
Di  quella  Dea  che  '1  terzo  ciel  dipinge; 
E  i  premj  degni  agli  onorati  studi , 
La  mente  audace  a  celebrar  mi  spinge, 
Sì  che  1  gran  nomi ,  e  i  fatti  egregi  e  soli 
Fortuna  o  morte  o  tempo  non  involi. 

0  bello  Dio,  eh*  al  cor  per  gli  occhi  spiri 
Dolce  desir  d* amaro  pensier  pieno, 
E  pasciti  di  pianto  e  di  sospiri , 
Nutrisci  l*alme  d*un  dolce  veneno; 
Gentil  fai  divenir  ciò  che  tu  miri , 
Né  può  star  cosa  vii  dentro  al  tuo  seno  ; 
Amor,  del  quale  i*  son  sempre  suggetto. 
Porgi  or  la  mano  al  mio  basso  intelletto. 

Sostien  tu  '1  fascio  che  a  nre  tanto  pesa  ; 
Reggi  la  Hngua,  Amor,  reggi  la  mano; 
Tu  principio,  tn  fin  dell'alta  impresa  : 
Tuo  fle  1*  onor  ;  s*  io  già  non  prego  invano. 
Di*  Signor,  con  che  lacci  da  te  presa 
Fu  r  alta  mente  dei  baron  toscano, 
PHk  gtoven  figlio  dell*  etnisca  Leda  ; 


Che  reti  fumo  ordite  a  tanu  preda. 

E  tu,  ben  nato  Laur,  sotto  il  evi  velo 
Fiorenza  lieta  hi  pace  si  riposa , 
Né  teme  i  venti ,  o  *i  minacciar  del  cielo , 
0  Giove  irato  in  \ista  più  crucciosa , 
Accogli  ali*  ombra  del  tuo  santo  ostelo 
La  voce  umil,  tremante,  e  paurosa; 
Principio  e  fin  di  tutte  le  mie  voglie  , 
Che  sol  vivon  d*  odor  delle  tue  foglie. 

Deh  sarà  mai  che  con  più  alte  note. 
Se  non  contrasti  al  mio  voler  fortuna. 
Lo  spirto  delle  membra  che  devote 
Ti  fur  da*  fati  insin  già  dalla  cuna , 
Risuoni  te  dai  Numidi  a  Boote, 
Dagl'Indi  al  marche*!  nostro  ciel  Imbruna; 
E,  posto  *1  nido  in  tuo  felice  Ugno, 
Di  roco  augcl  diventi  un  bianco  cigno  T 

Ma  fin  eh*  all'alta  impresa  tremo  e bra- 
E  son  tarpati  i  vanni  al  mio  disio,  [mo. 
Lo  glorioso  tuo  fratel  cantiamo , 
Che  di  nuovo  trofeo  rende  gluUo 
Il  chiaro  sangue ,  e  di  secondo  ramo. 
Convien  che  sudi  in  questa  polver'h)  i 


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STANZE. 


19 


Or  maoTÌ  prima  tu  mie*  Tersi,  Amore, 
Che  ad  alto  yoIo  impenni  ogni  tì]  core. 

E  se  quassù  la  fama  II  Ter  rimbomba, 
Cile  d* Ecuba  la  figlia,  o  sacro  Achille, 
Pd  che  '1  corpo  lasciasti  entro  la  tomba , 
T  accenda  ancor  d*  amorose  faTilIe  ; 
Lascia  tacer  un  po'  tua  maggior  tromba , 
Ch'io  fo  squillar  per  I* italiche  tìUc  , 
E  tempra  tu  la  cetra  a  nuovi  carmi, 
Meotr'io  canto  F  amor  di  Giulio,  e  Tarmi. 

Ifel  Tago  tempo  (fi  sua  verde  etate. 
Spargendo  ancor  pel  volto  il  primo  fiore, 
Né  aTendo  il  bel  Giulio  ancor  provate 
Le  dold  acerbe  cure  che  dà  Amore, 
TiTeasi  lieto  in  pace,  in  libertate, 
Talor  frenando  un  gentil  corridore , 
Che  gloria  fu  de'  cidlianl  armenti  ; 
Goo  esso  a  correr  contendea  co'  venti  : 

Ora  a  guisa  saltar  di  leopardo. 
Or  destro  fea  rotarlo  in  brieve  giro  : 
Or  lea  ronzar  per  l' aer  un  lento  dardo, 
Hando  sovente  a  fere  agro  martiro  : 
Colai  Tiveasi  '1  giovane  gagliardo  : 
Né  pensando  al  suo  fato  acerbo  e  diro, 
Kè  eerto  ancor  de'  suol  futuri  pianti , 
Solea  gabbarsi  degli  afflitti  amanti. 

Ah  quante  Ninfe  per  lui  sospiromo! 
Ma  fu  si  altero  sempre  il  giovinetto, 
Cile  mai  le  Ninfe  amanti  lo  piegomo  ; 
Mal  potè  riscaldarsi  '1  freddo  petto. 
Facea  sovente  pe'  boschi  soggiorno  ; 
Intuito  sempre,  e  rigido  In  aspetto  r 
Il  Tolto  difendea  dal  solar  raggio 
Goo  ghirlanda  di  pino,  o  verde  fa^o. 

E  poi  quando  nel  cicl  parean  le  stelle, 
T^itto  gioioso  a  sua  magion  tornava , 
S  *B  compagnia  delle  nove  Sorelle, 
Celesti  versi  con  disio  cantava; 
E  d'antica  virtù  mille  fiammelle 
Con  gli  alti  carmi  ne*  petti  destava  : 
CoA  chiamando  amor  lascivia  umana  ^ 
Si  gedea  con  le  Muse,  o  con  Diana. 

E  se  talor  nel  cieco  labirinto 
Errar  vedera  un  miserello  amante, 
IN  dolor  carco,  di  pietà  dipinto 
Seguir  de  la  nemica  sua  le  piante  ; 
E  doTe  Amore  iLcor  gli  avesse  avvinto , 
U  pascer  l'alma  di  due  luci  sante , 
Próo  Belle  amorose  crudel  gogne  ; 
Sì  r  assaliva  con  agre  rampogne  : 

Scuoti,  meschin,  dal  petto  il  cieco  errore 
Ch'a  te  stesso  ti  fura,  ad  altrui  porge  : 
Non  nutrir  di  lusinghe  un  van  furore 


Che  di  pigra  lascivia  e  d*  ozio  sorge. 
Costui  che  1  volgo  errante  chiama  Amore, 
É  dolce  insania  a  chi  più  aerilo  scorge. 
Sì  bel  titol  d'amore  ha  dato  *I  mondo 
A  una  cieca  peste,  a  un  mal  giocondo. 

Quanto  è  meschin  colui  che  cangia  voglia 
Per  donna,  o  mai  per  lei  s*  allegra,  o  dole 
E  qual  per  lei  di  libertà  si  spogfia, 
0  crede  a'  suoi  sembianti,  o  a  sue  parole! 
Che  sempre  è  più  leggier  ch'ai  vento  foglia, 
E  mille  volte  il  di  vuole  e  disvuole  : 
Segue  chi  fugge ,  a  chi  la  vuol  s'asconde  ; 
E  vanne  e  vien  come  alla  riva  V  onde. 

Giovane  donna  sembra  veramente 
Quasi  sotto  un  bel  mare  acuto  scoglio, 
Ower  tra'  fiori  un  gìovinccl  serpente 
Uscito  pur  mo  fuor  del  vecchio  sco^o. 
Ah  quant'è  fra'  più  miseri  dolente 
Chi  può  soffrir  di  donna  il  fiero  orgoglio  ! 
Che  quanto  ha  il  volto  più  di  beltà  pieno. 
Più  cela  inganni  nel  fallace  seno. 

Con  esso  gli  occhi  gioventù  invesca 
Amor,  che  ogni  pensier  maschio  vi  fura: 
E  quale  un  tratto  ingozza  la  dolce  esca , 
Mai  di  sua  propria  libertà  non  cura; 
Ma,  come  se  pur  Lete  Amor  vi  mesca. 
Tosto  obbliate  vostra  alta  natura  ; 
Né  poi  virìl  pensiero  in  voi  germogfia  : 
Sì  del  proprio  valor  costui  vi  spoglia. 

Quanto  è  più  dolce,  quanto  è  più  siciiro 
Seguir  le  fere  fuggitive  in  caccia 
Fra  boschi  antichi  fuor  di  fossa  o  muro, 
E  spiar  lor  covil  per  lunga  traccia! 
Veder  la  valle  e  *ì  colle  e  T  aer  puro, 
L'erbe,  1  flor,racqua  viva  chiara  e  ghiaccia! 
Udir  gli  auge!  svernar,  rimbombar  1*  onde, 
E  dolce  al  vento  mormorar  le  fronde! 

Quanto  giova  a  mirar  pender  da  un'erta 
Le  capre,  e  pascer  questo  e  quel  vir- 
gulto; 
E  '1  montanaro  afi' ombra  più  conserta 
Destar  la  sua  zampogna  e  '1  verso  inculto  ! 
Veder  la  terra  di  pomi  coperta , 
Ogni  arbor  da'  suo'  frutti  quasi  occulto  ; 
Veder  cozzar  monton ,  vacche  mugghiare 
E  le  biade  ondeggiar  come  fa  il  mare! 

Or  delle  pecorelle  11  rozzo  mastro 
Si  vede  alla  sua  torma  aprir  la  sbarra: 
Poi  quando  muove  lor  col  suo  vincastro , 
Dolce  è  a  notar  come  a  ciascuna  garra  : 
Or  si  vede  il  villan  domar  col  rastro 
Le  dure  zolle ,  or  maneggiar  la  marra  : 
Or  la  conUdinella  scinU  e  scalza 


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20  POEMI 

Star  con  Toche  a  filar  sotto  una  balsa. 

In  cota]  guisa  già  T  antiche  genti 
Si  crede  esser  godute  al  secol  d'oro  : 
Né  fatte  ancor  le  madri  eran  dolenti 
De'  morti  figli  al  marzlal  lavoro  : 
Né  si  credeva  ancor  la  vita  a*  venti  « 
Né  del  giogo  doleasi  ancora  il  toro. 
Lor  casa  era  fronzuta  quercia  e  grande , 
Ch'avea  nel  tronco  mei,  ne' rami  gtiiande. 

Non  era  ancor  la  scellerata  sete 
Del  crudel  oro  entrau  nel  bel  mondo  : 
Yiveansi  in  liberU  le  genti  Mete; 
E  non  solcato ,  il  campo  era  fecondo. 
Fortuna  invidiosa  a  lor  quiete 
Ruppe  ogni  legge,  e  pietà  mise  in  fondo. 
Lussuria  entrò  ne*  petti ,  e  quel  furore 
Che  la  meschina  gente  chiama  amore. 

In  cotal  guisa  rimordea  sovente 
L'altiero  giovinetto  i  sacri  amanti; 
Come  talor  chi  sé  gioioso  sente. 
Non  sa  ben  porger  fede  agli  altrui  pianti  : 
Bla  qualche  miserelio  a  cui  1*  ardente 
Fiamme  struggeano  i  nervi  tutti  quanti , 
Gridava  al  ciel  :  Giusto  sdegno  ti  muova, 
Amor,  che  costui  creda  almen  per  prova. 

Né  fu  Cupido  sordo  al  pio  lamento; 
E  'ncominciò  crudelmente  ridendo: 
Dunque  non  sono  Iddio  7  dunque  è  già 

q>ento 
Mio  foco,  con  che  tutto  il  mondo  accendo  7 
Io  pur  fei  Giove  mugghiar  fra  l' armento , 
Io,  Febo  dietro  a  Dafne  gir  piangendo  : 
Io  trassi  Fiuto  deli'  infemal  segge  : 
E  chi  non  ubbidisce  alla  mia  legge  7 
Io  fo  cadere  al  tigre  la  sua  rabbia, 
Al  leone  il  fier  raggio ,  al  drago  il  fischio. 
E  quale  é  uom  di  si  secura  labbia. 
Che  fuggir  possa  il  mio  tenace  vischio  7 
E  che  un  superbo  In  sì  vii  pregio  m'abbia. 
Che  di  non  esser  Dio  vengo  a  gran  rischio  7 
Or  veggiam  se  '1  meschin  eh'  Amor  ri- 
prende. 
Da  due  begli  occhi  sé  stesso  difende. 

Zefiro  già  di  bei  fioretti  adomo 
Avea  da'  monti  tolta  ogni  praina: 
Avea  fatto  al  suo  nido  già  ritomo 
La  stanca  rondinella  peregrina; 
Risonava  la  selva  intorno  intomo 
Soavemente  all'ora  mattutina  : 
E  l'ingegnosa  pecchia  al  primo  albore 
Giva  predando  or  uno  or  altro  flore. 

L'ardito  Giulio,  ai  giorno  ancora  acerbo, 
AUor  ch'ai  tufo  torna  la  dvetu. 


EROia. 
Fatto  frenare  11  corridor  superbo. 
Verso  la  selva  con  sua  gente  eletta 
Prese  il  cammino,  e  sotto  buon  riserbo, 
Segula  de*  fcdei  can  la  schiera  stretta. 
Di  ciò  che  fa  mestieri  a  caccia  adomi , 
Con  archi  e  lacci  e  spiedi  e  dardi  e  comi. 

Già  circondata  avea  la  lieta  schiera 
Il  folto  bosco;  e  già  con  grave  orrore 
Del  suo  covil  si  destava  ogni  fiera  : 
Givan  seguendo  i  bracchi  'i  lungo  odore. 
Ogni  varco  da'  lacci ,  e  can  chiuso  era: 
Di  stormir ,  d' abbaiar  cresce  il  romore  : 
Di  fischi  e  bussi  tutto  il  bosco  suona: 
Del  rimbombar  de'  comi  li  del  rintrona. 

Con  tal  romor,  qualor  l'aer  discorda, 
Di  Giove  il  foco  d'alu  nube  piomba: 
Con  tal  tumulto,  onde  la  gente  assorda, 
Dall'alte  cataratte  il  Nil  rimbomba  : 
Con  tal  orror  del  latin  sangue  ingorda 
Sonò  Megera  la  tartarea  tromba. 
Qual  animai  di  slizza  par  si  roda; 
Qual  serra  al  ventre  la  tremante  coda. 

Spargesi  tutta  la  bella  campagna, 
Altri  alle  reti ,  altri  alia  via  più  stretu. 
Chi  serba  in  coppia  i  can ,  chi  gli  scom* 
pagna,  [e  alletta. 

Chi  già  il  suo  ammette,  chi  'I  richiama. 
Chi  sprona  il  buon  destrìer  per  la  cam- 
Chi  l'adirata  fera  armato  aspetta,  [pagna. 
Chi  si  sta  sopra  un  ramo,  a  buon  riguardo. 
Chi  ha  in  man  lo  spiede ,  e  chi  s' acconcia 
il  dardo. 

Già  le  setole  arriccia,  e  arraota  1  denti 
II  porco  entro  il  burron  :  già  d*  una  grotta 
SpunU  giùiicavrìol  :  già  i  vecchi  armenti 
De'cer\i  van  pel  pian  fuggendo  in  frotta. 
Timor  gl'inganni  delle  volpi  ha  spenti  : 
Le  lepri  al  primo  assalto  vanno  in  rotta» 
Di  sua  tana  stordita  esce  ogni  belva  : 
L'astuto  lupo  vie  più  si  rìnselva  : 

E  rinselvato ,  le  sagaci  nare 
Del  picciol  bracco  pur  teme  il  mescbino: 
Ma  il  cervo  par  dd  veltro  paventare; 
De' lacci  1  porco,  o  del  fiero  mastino. 
Yedesi  lieto  or  qua  or  là  volare    [grino: 
Fuor  d'ogni  schiera  il    giovan    peOd» 
Pel  folto  bosco  il  fier  cavai  mette  ale; 
E  trisu  fa,  qual  fera  Giulio  assale. 

Qual  IL  Centaur  per  la  nevosa  selva 
Di  Pello  o  d'Emo  va  feroce  in  cacda. 
Dalle  lor  tane  predando  ogni  belva; 
Or  l'orso  uccide,  or  il  lion  minaccia. 
Quanto  é  più  ardita  fera,  più  s'inselva  : 


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STANZE. 


n  sangue  a  tutte  dentro  al  cor  s'agghiaccia. 
La  selva  trema  «  e  gli  cede  ogni  pianta  : 
CXL  arbori  abbatte  o  sveglie ,  o  rami 
schianta. 

Ah  quanto  a  mirar  Giulio  è  fiera  cosa! 
Rompe  la  via  dove  più  II  bosco  è  folto. 
Per  trar  di  maccliia  la  bestia  crucciosa , 
Con  verde  ramo  intomo  al  capo  avvolto» 
Con  la  chioma  arruffata  e  polverosa , 
E  d'onesto  sudor  bagnato  il  volto. 
Ivi  consiglio  a  sua  bella  vendetta 
Prese  Amor,  che  ben  loco  e  tempo  aspetta. 

E  con  sue  man  di  lieve  aer  compose 
L'Immagin  d'una  cerva  altiera  e  bella, 
Con  alta  fronte,  con  coma  ramose. 
Candida  tutu,  leggiadretu.  e  snella  : 
E  come  tra  le  fere  paventose 
Al  giovan  cacdator  si  oflTerse  quella. 
Lieto  spronò  il  destrìer  per  lei  seguire , 
Pensando  in  breve  darle  agro  martire. 

Ma  poi  che  invan  dal  braccio  il  dardo 
Ddfoder  trasse  fuor  la  fida  spada ,  [scosse , 
E  con  tanto  furor  il  corsier  mosse , 
Qie'l  bosco  follo  sembrava  ampia  strada. 
La  bella  fiera,  come  stanca  fosse, 
Vtù  lenu  tutuvia  par  che  scn  vada  : 
Ma  quando  par  che  già  la  stringa  o  tocchi, 
Picciol  campo  riprende  avanti  agli  occhi. 

Quanto  più  siegué  Invan  la  vana  effigie, 
Tanto  più  di  seguirla  invan  s'accende  : 
Tuttavia  preme  sue  stanche  vestigio. 
Sempre  la  glugne;  e  pur  mai  non  la  prende. 
Qua!  fino  al  labbro  sta  nell'onde  stigie 
Tantalo,  e'I  bel  giardin  vidn  gii  pende  : 
Ma  qualor  l'acqua  o '1  pome  vuol  gustare, 
Subito  l'acqua  o'I  pome  via  dlspare. 

Era  già  dietro  alla  sua  disianza 
Gran  tratto  da' compagni  allontanato; 
Né  pur  d'un  passo  ancor  la  preda  avanza; 
E  già  tutto  il  destrìer  sente  affannato. 
Ma  pur  seguendo  sua  vana  speranza , 
Pervenne  in  un  fiorito  e  verde  prato  : 
Iri  sotto  un  vel  candido  gli  apparve 
Ueta  una  Ninfa;  e  via  la  fiera  sparve. 

La  fiera  sparse  via  dalle  sue  ciglia. 
Ma  il  giovan  della  fiera  omai  non  cura. 
Anzi  ristringe  al  corridor  la  briglia  » 
E  io  raffrena  sopra  alla  verdura. 
Ivi  tutto  ripien  di  maraviglia 
Pur  della  Ninfa  mira  la  figura  : 
PargU  che  dal  bel  viso  e  da'  begli  occhi 
Una  nuova  dolcezza  al  cor  gli  fiocchi. 
Qoal  tigre,  a  cui  dalla  petrosa  tana 


2t 


Ha  tolto  il  cacciator  suoi  cari  figli , 
Rabbiosa  il  segue  per  la  selva  ircana, 
Che  tosto  crede  insanguinar  gli  artigli  : 
Poi  resu  d*  uno  specchio  all'ombra  vana. 
All'  ombra  che  i  suoi  nati  par  somigli  : 
E  mentre  di  tal  vista  s' innamora 
La  sciocca,  il  piedator  la  via  divora. 

Tosto  Cupido  entro  a'  begli  occhi  ascoso 
Al  nervo  adatu  del  suo  strai  la  cocca. 
Poi  tira  quel  col  braccio  poderoso 
Tal  che  raggiugne  l'una  all'altra  cocca. 
La  man  sinistra  col  ferro  focoso. 
La  destra  poppa  con  la  corda  tocca; 
Né  prima  fuor  ronzando  esce  il  quadrello, 
Che  Giulio  dentro  al  cor  sentito  ha  quello. 

Ah  qual  divenne  !  ah  come  al  giovanetto 
Corse  il  gran  foco  in  tutte  le  midolle! 
Che  tremito  gli  scosse  il  cor  nel  petto! 
D'un  ghiacciato  sudore  era  già  molle; 
E  fatto  ghiotto  del  suo  dolce  aspetto 
Giammai  gli  occhi  dagli  occhi  levar  puoUe  ; 
Ma  tutto  preso  dal  vago  splendore 
Non  s'accorge  il  meschin  che  quivi  è 
Amore;  [mato 

Non  s'accorge  che  Amor  n  dentro  é  ar- 
Per  sol  turbar  la  sua  lunga  quiete  ; 
Non  s'accorge  a  che  nodo  é  già  legato; 
Non  conosce  sue  piaghe  ancor  scerete. 
Di  piacer,  di  desir  tutto  é  invescato; 
E  cosi  il  cacciator  preso  é  alla  rete. 
I^  braccia  fra  sé  loda ,  e'I  viso  e'I  crino, 
E'n  lei  discerne  non  so  che  divino. 

Candida  é  ella ,  e  candida  la  vesta , 
Ma  pur  di  rose  e  fior  dipinU  e  d'erba  : 
Lo  innanellato  crin  dell'aurea  testa 
Scende  in  la  fronte  umilmente  superba. 
Ridele  attorno  tutta  la  foresta, 
E  quanto  può  sue  cure  disacerba. 
Nell'atto  regalmente  é  mansueta; 
E  pur  col  ciglio  le  tempeste  acqueta. 

Folgoran  gli  occhi  d'un  dolce  sereno. 
Ove  sue  faci  tien  Cupido  ascose  : 
L'aer  d'intorno  si  fa  tutto  ameno, 
Ovunque  gira  le  luci  amorose. 
Di  celeste  letizia  11  volto  ha  pieno 
Dolce  dipinto  di  ligustri  e  rose. 
Ogni  aura  tace  al  suo  parlar  divino , 
E  canta  ogni  augeUetto  in  suo  latino. 

Sembra  Talia,  se  in  man  prende  la  cetra  ; 
Sembra  Minen'a,se  in  man  prende  l'asta: 
Se  r  arco  ha  in  mano,  al  fianco  la  faretra» 
Giurar  potrai  che  sia  Diana  casta. 
Ira  dal  volto  suo  trista  s'arretra, 


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32  POEMI 

E  poco  avanti  a  lei  superbia  basta. 
Ogni  dolce  virtù  l'è  in  compagnia  : 
Beltà  la  mostra  a  dito  e  leggiadria. 

Con  lei  sen  va  onestate  umile  e  piana, 
Che  d*  ogni  chiuso  cor  volge  ia  cliiave  : 
Con  lei  va  gentilezza  in  vista  umana , 
E  da  lei  impara  il  dolce  andar  soave. 
Non  può  mirarle  in  viso  alma  villana, 
Se  pria  di  suo  fallir  doglia  non  ave. 
Tanti  cori  Amor  piglia,  fere  e  ancide. 
Quanto  ella  o  dolce  parla ,  o  dolce  rìde. 

Ella  era  assisa  sopra  la  verdura 
Allegra,  e  gbìrlandetta  avea  contesta; 
Di  quanti  fior  creasse  mai  Natura  « 
Di  tanti  era  dipinta  la  sua  vesta. 
E  come  In  prima  al  giovan  pose  cura , 
Alquanto  paurosa  alzò  la  testa  : 
Poi  con  la  bianca  man  ripreso  il  lembo , 
Levossi  in  pie  con  di  fior  pieno  un  grembo. 

Già  s' inviava  per  quindi  partire 
La  Ninfa  sopra  l'erba  lenta  lenU, 
Lasciando  il  giovanetto  in  gran  martire  ; 
Cbè  fuor  di  lei  nuli' altro  a  lui  talenta. 
Ha  non  possendo  il  mlser  ciò  soATrirc , 
Con  qualche  priego  d' arrestarla  tenta  ; 
Perchè ,  tutto  tremando  e  tutto  ardendo. 
Cosi  umilmente  Incominciò  dicendo  : 

0  qual  che  tu  ti  sia,  vergìn  sovrana, 
0  Ninfa,  oDca  (ma  Dea  mi  sembri  ccrlo^  : 
Se  Dea  ;  forse  che  se'  la  mia  Diana  : 
Se  pur  mortai  ;  chi  tu  sia  fammi  aperto  ; 
Che  tua  sembianza  è  fuor  di  guisa  umana  ; 
Né  so  già  io  qual  sia  tanto  mio  merto , 
Qual  del  ciel  grazia,  qual  sì  amica  stella, 
Ch*  io  degno  sia  veder  cosa  sì  bella. 

Volta  la  Nlala ,  al  suon  delle  parole 
Lampeggiò  d*  un  sì  dolce  e  vago  riso , 
Che  i  monti  avria  fatto  ir,  restare  il  sole  ; 
Che  ben  parve  s' aprisse  uu  paradiso. 
Poi  formò  voce  fra  perle  e  viole 
Tal,  ch*  un  marmo  per  mezzo  arria  diviso, 
Soave,  saggia,  e  di  dolcezza  piena. 
Da  innamorar,  non  eh'  altri ,  una  Sirena. 

Io  non  son  qual  Inamente  invano  angu- 
ria; 
Non  d'alur  degna,  non  di  pura  vittima; 
Ma  là  sopr*Amo  nella  vostra  Etrurla 
Sto  soggiogata  alla  teda  legittima  : 
Mia  Datai  patria  è  nell*  aspra  Liguria 
Sopr'  una  costa  alla  riva  marittima. 
Ore  fuor  de*  gran  massi  intomo  gemere 
SI  sente  U  fier  Nettuno,  e  irato  fremere. 

Sovente  In  questo  loco  mi  diporto  : 


EROia. 

Qui  vengo  a  soggiornar  tutta  soletta. 
Questo  è  de*  miei  pensieri  un  dolce  porto  ; 
Qui  r  erba,  i  fiori,  e  '1  fresco  aer  m' alletta. 
Quinci  '1  tornare  a  mia  magion  è  corto  : 
Qui  lieta  mi  dimoro  Simonetta 
Ali*  ombre,  a  qualche  chiara  e  fresca  linfa, 
E  spesso  in  compagnia  d*  alcuna  Ninfa. 

Io  soglio  pur  negli  oziosi  tempj , 
Quando  nostra  fatica  s* interrompe. 
Venire  a*  sacri  aitar  ne*  vostri  tempi 
Fra  1*  altre  donne ,  con  l' usate  pompe. 
Ma  perch'io  in  tutto  il  gran  desir  t*  adempi, 
E  '1  dubbio  tolga  che  tua  mente  rompe. 
Maraviglia  di  mie  bellezze  tenere 
Non  prender  già  ch'i*  nacqui  in  grembo 
a  Venere. 

Or  poi  che  '1  sol  sue  rote  in  basso  cala , 
E  da  quest'  arbor  cade  maggior  l' ombra  « 
Già  cede  al  grillo  la  stanca  cicala. 
Già  il  rozzo  zappator  del  campo  sgombra; 
E  già  dall'  alte  ville  il  fumo  esala; 
La  villanella  all'  uom  suo  il  desco  ingom- 
Omai  riprenderò  mia  via  più  corta:  [bra; 
E  tu  lieto  ritorna  alla  tua  scorta. 

Poi  con  occhi  più  lieti  e  più  ridenti , 
Tal  che'l  ciel  tutto  asserenò  d' intorno. 
Mosse  sopra  l'erbetta  i  passi  lenti 
Con  atto  d*  amorosa  grazia  adorno. 
Feciono  i  bosclii  allor  dolci  lamenti , 
E  gii  augelletti  a  pianger  cominciorno  ; 
Ma  I*  erba  verde  sotto  I  dolci  passi 
Bianca ,  gialla ,  vermiglia ,  azzurra  fassL 

Che  de*  far  Giulio?  ahimè  che  pur  de- 
sidera 
SeguiFsua  stelta  ;  e  pur  temenza  il  tiene  % 
Sta  come  un  forsennato ,  e  *1  cor  gli  assi- 
dera, 
E  gli  s' agghiaccia  il  sangue  entro  le  vene  : 
Sta  come  un  marmo  fiso ,  e  pur  considera 
Lei  che  sen  va ,  né  pensa  di  sue  pene  ; 
Fra  sé  lodando  11  dolce  andar  celeste , 
E  il  ventilar  dell*  angelica  veste. 

E  par  che  *1  cor  del  petto  se  gli  schianti, 
E  che  del  corpo  1*  alma  via  si  fugga , 
E  che  a  guisa  di  brina  al  sol  davanti 
In  pianto  tutto  si  consumi  e  strugga. 
Già  si  sente  esser  un  degli  altri  amanti , 
E  pargli  che  ogni  vena  Amor  gli  sugga, 
Or  teme  di  seguirla ,  or  pure  agogna  : 
Qui  il  tira  Amor,  quinci  *1  ritrae  vergogna. 

U'  sono  or ,  Giulio ,  le  sentenzie  gravi , 
Le  parole  magnifiche  e  i  precetti , 
Con  che  I  miseri  amanti  molesuvit 


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STANZE. 


23 


Perchè  pw  di  cacciar  non  ti  diletti  ? 
Or  ecco  eh'  una  donna  ba  in  man  le  dùavi 
D*  ogni  tna  Foglia ,  e  tutti  in  lei  ristretti 
Tien ,  Biaerello ,  i  tuoi  dolci  pensiori  : 
Vedi  cbe  or  non  se*  chi  pur  diami  eri. 

Biaui  eri  di  una  fiera  cacciatore  : 
PIÙ  betta  fiera  or  t*  ba  ne*  lacci  involto. 
DiaMi  cri  tuo ,  or  se'  fatto  d' Amore  : 
Se*  or  legato ,  e  dianzi  eri  dìsciolto. 
Dot' è  tua  liJbertà  7  dov' è  tuo  core  7 
Amore  ed  una  donna  te  1'  bau  tolto  : 
Ed  acciocché  a  te  poco  creder  deggi , 
Ve'  dM  a  virtù ,  a  fortuna  Amor  pon  leggL 

la  notte ,  cbe  le  cose  ci  nasconde , 
Tornava  ombrata  dì  stellato  ammanto , 
E  '1  iBsigniuol  sotto  l' amate  fronde 
Cantando  ripetea  1*  antico  pianto. 
Ma  solo  a  suoi  lamenti  Ecco  risponde  ; 
Gh' ogn' altro augel  quetato  avea  già  il  can- 
Dalla  cimmeria  valle  uscian  le  torme  [to.. 
De'  Sogni  negri  con  diverse  forme. 

1  giovan  cbe  restati  nel  bosco  erano  ^ 
Vedendo  il  del  già  le  sue  stdle  accendere. 
Sentilo  il  segno ,  ai  cacciar  fine  imperano. 
Ciascun  s' alTrelta  a  lacci  e  reti  stendere. 
Poi  con  la  preda  in  un  sentier  si  scbiera- 
Ivi  s*  attende  sol  parole  a  vendere  ;  [no  : 
Ivi  menaogne  a  vii  preuo  si  mercano. 
Poi  tutti  dd  bel  Giulio  fra  sé  cercano. 

Ma  non  veggendo  il  car  compagno  in- 
Aggbiacda  ognun  di  subita  paura,  [torno, 
Che  qualche  dura  fiera  il  suo  ritorno 
Non  impedisca,  od  altra  ria  sciagura. 
CU  mostra  fochi ,  e  chi  squilla  il  suo  cor- 
Ori  forte  11  chiama  per  la  selva  oscura,  [no; 
Le  longhe  voci  ripercosse  abbondano  ; 
E  Giulio  par  cbe  le  valli  rispondano. 

Ciascun  si  su  per  la  paura  incerto. 
Gelato  tutto  ;  se  non  che  pur  chiama , 
Veggeado  il  cid  di  tenebre  coperto , 
lié  sa  dove  cercare ,  ed  ognun  brama. 
Pur,  Giallo ,  Giulio ,  suona  il  gran  diserto  ; 
Non  sa  che  farsi  ornai  la  gente  grama. 
Ma  poi  cbe  molta  notte  indamo  spesero , 
Dolenti  per  tornare  li  cammin  presero. 

Cheti  sea  ranno  ;  e  pur  alcun  col  vero 
La  dubbia  speme  alquanto  riconforta , 
Che  ria  reddito  per  altro  sentiero 
,  AI  loco  ove  e*  invia  la  loro  scorta,  [siero. 
Ne' petti  ondeggia  or  questo  or  qud  pen- 
Che  £ra  paura  e  speme  il  cor  trasporta. 
Coii  raggio  cbe  ^>ecchio  mobil  ferza, 
Pte  la  gnanla  or  qua  or  là  ai  scherza. 


Ma  il  gio\in ,  che  provato  avea  già  l' arco 
Ch'  ogn'  altra  cura  sgombra  fuor  dd  petto, 
D*  altre  spemi  e  paure  e  pensier  carco. 
Era  arrivato  alla  maglon  soletto. 
Ivi  pensando  al  suo  novello  incarco 
Stava  In  forti  pensier  tutto  ristretto, 
Quando  la  compagnia  piena  di  doglia 
Tutu  pensosa  entrò  dentro  alla  soglia. 

Ivi  ciascun  più  da  vergogna  invdto 
Per  gli  alti  gradi  sen  va  lento  lento. 
Qual  il  pastor  a  cui  'i  fler  lupo  ha  tolto 
n  più  bel  toro  dd  cornuto  armento  ; 
Tornansi  al  lor  signor  con  basso  volto  ; 
Né  s' ardiscon  d' entrare  all'  uscio  drento: 
Stan  sospirosi ,  e  di  dolor  confusi  ; 
E  ciascun  pensa  pur  come  si  scusi. 

Ma  tosto  ognuno  allegro  alzò  le  dglia 
Veggendo  salvo  11  si  caro  pegno  ; 
Tal  si  fé*  poi  che  la  sua  dolce  figlia 
Ritrovò  Ceres  giù  nel  morto  regno. 
Tutu  festeggia  la  lieU  famiglia  : 
Con  essa  Giulio  di  gioir  fa  segno  ; 
E  quanto  può  nei  cor  preme  sua  pena , 
E  il  volto  di  letizia  rasserena. 

Ma  fatto  Amor  la  sua  beila  vendetu , 
Mossesi  lieto  per  1*  aere  a  volo, 
E  ginne  al  regno  di  sua  madre  in  fretu , 
Ov'  é  de'  picciol  suoi  fratei  lo  stuolo. 
Al  regno  ove  ogni  Grazia  si  diletu  ; 
Ove  BclU  di  fiori  al  crln  fa  brolo  ; 
Ove  tutto  lasdvo  dietro  a  Flora 
Zefiro  vola ,  e  la  verde  erba  Infiora. 

Or  canU  meco  un  po'  del  dolce  regno , 
Erato  bella,  che  il  nome  bai  d' Amore. 
Tu  sola ,  benché  casU ,  puoi  nel  regno 
Sicura  entrar  di  Venere  e  d'  Amore. 
Tu  de'  versi  amorosi  bai  sola  il  regno  : 
Tcco  sovente  a  cautar  viensi  Amore; 
E  posu  giù  dagli  omer  la  faretra, 
TenU  le  corde  di  tua  bella  cetra. 

Vagheggia  Cipri  un  dilettoso  monte. 
Che  del  gran  Nilo  i  sette  corni  vede 
Al  primo  rosseggiar  dell'  orizzonte , 
Ove  poggiar  non  lice  a  mortai  piede. 
Nel  giogo  un  verde  colle  alza  la  fronte  ; 
Sott'  esso  aprico  un  lieto  pratel  siede; 
U'  scherzando  tra'  fior  lasdve  aurctte. 
Fan  dolcemente  tremolar  l'  erbette. 

Corona  un  muro  d' or  1*  estreme  sponde 
Con  valle  ombrosa  di  schietti  arboscdli , 
Ove  in  su'  rami  fra  novdle  fronde 
Cantan  gli  loro  amor  soavi  augellL 
Sente^  un  grato  mormorio  dell'  onde 


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34  POEBH 

Che  fan  duo  freschi  e  lucidi  ruscelli , 
Versando  dolce  con  amar  liquore , 
Ofe  arma  I*  oro  de*  suoi  strali  Amore. 

Né  mai  le  chiome  del  giardino  eterno 
Tenera  brina,  o  fresca  neve  imbianca  s 
Itì  non  osa  entrar  ghiacciato  Verno  ; 
Non  vento  1*  erbe ,  o  gli  arboscelli  stanca  : 
Ivi  non  votgon  gii  anni  il  lor  quaderno; 
Ma  lieta  Primavera  mai  non  manca. 
Che  i  suoi  crin  biondi  e  crespi  all'  aura 
E  mille  fiori  in  ghirlandetta  lega,  [spiega. 

Lungo  le  rive  i  frati  di  Cupido , 
Che  solo  usan  ferir  la  plebe  ignota, 
Con  alte  voci  e  fanciullesco  grido 
Aguzzan  lor  saette  ad  una  cota. 
Piacere,  Insidia  posati  in  su  *1  lido 
Volgono  il  perno  alla  sanguigna  rota  : 
Il  fallace  Sperar  col  van  Disio 
Spargon  nel  sasso  1*  acqua  del  bel  rio. 

Dolce  Paura  ,  e  timido  Diletto, 
Dolci  Ire,  e  dolci  Paci  insieme  vanno  : 
Le  Lagrime  si  lavan  tutto  il  petto, 
E  '1  fiumicello  amaro  crescer  fanno  t 
Pallore  smorto,  e  paventoso  Affetto 
Con  Magreua  si  duole ,  e  con  Affanno  : 
VigUSospetto  ogni  sentiero  spia  : 
Letizia  balla  in  mezzo  della  via. 

Voluttà  con  Bellezza  si  gavazza  : 
Va  fuggendo  il  Contento,e  siede  Angoscia: 
11  cieco  Errore  or  qua  or  là  svolazza  : 
Percotesi  il  Furor  con  man  la  coscia  : 
La  Penitenzia  misera  stramazza , 
Che  del  passato  error  s*  è  accorta  poscia  : 
Nel  sangue  Crudeltà  lieta  si  ficca , 
E  la  Disperazion  sé  stessa  impicca. 

Tacitò  Inganno,  e  simulato  Riso 
Con  Cenni  astuti ,  messaggier  de*  cuori , 
E  fissi  Sguardi  con  pietoso  Viso 
Tendon  lacciuoli  a'  giovani  tra'  fiori. 
Stassi  col  volto  in  su  la  palma  assiso 
Il  Pianto  in  compagnia  de'  suoi  Dolori  : 
E  quinci  e  quindi  vola  senza  modo 
Licenzia  non  ristretta  in  alcun  nodo. 

Cotal  milizia  i  tuoi  figli  accompagna , 
Venere  bella,  madre  degli  Amori , 
Zefiro  il  prato  di  rugiada  bagna , 
Spargendolo  di  mille  vaghi  odori  : 
Ovunque  vola,  veste  la  campagna 
Di  rose ,  gigli ,  violette  e  fiori  : 
L*  erba  di  sua  bellezza  ha  maraviglia  ; 
Bianca,  cilestra,  pallida  e  vermiglia. 
Trema  la  mammoletta  verginella 
Con  occhi  bassi  onesta  e  vergognosa  :      | 


EBOia 
Ma  vie  più  lieta ,  più  ridente  e  belli 
Ardisce  aprire  li  seno  al  sol  la  rosa  : 
Questa  di  verdi  gemme  s' Incapella  : 
Quella  si  mostra  allo  sportel  vezzosa , 
L' altra  che  'n  dolce  fuoco  ardea  pur  ora , 
Languida  cade,  e  '1  bel  pratello  infiora. 

L'  alba  nutrica  d' amoroso  nembo 
Gialle  sanguigne  candide  viole:  [grembo; 
Descritto  ha  il  suo  dolor  Giacinto  in 
Narciso  al  rio  si  specchia  come  suole  : 
In  bianca  vesta  con  purpureo  lembo 
Si  gira  aizia  pallidetu  al  Sole  : 
Adon  rinfresca  a  Venere  11  suo  pianto  : 
Tre  lingue  mostra  Croco ,  e  ride  Acanto. 

Mal  rivesU  di  tante  gemme  V  erba 
La  novella  stagion  che  *1  mondo  avviva» 
Sovr'  esso  11  verde  colle  alza  superba 
L' ombrosa  chioma ,  u'  il  Sol  mal  non  ar- 
E  sotto  vel  di  spessi  rami  serba     [riva  s 
Fresca  e  gelata  una  fontana  viva. 
Con  si  pura  tranquilla  e  chiara  vena , 
Che  gli  occhi  non  offesi  al  fondo  mena. 

L' acqua  da  viva  pomice  zampilla , 
Che  con  suo  arco  il  bel  monte  sospende; 
E  per  fiorito  solco  indi  tranquilla 
Pingendo  ogni  sua  orma  al  fonte  scende  : 
Dalle  cui  labbra  un  grato  umor  distilla , 
Che']  premio  di  lor  ombre  agli  arbor  ren- 
Qascun  si  pasce  a  mensa  non  avara  ;  [de. 
E  par  che  I'  un  dell'  altro  cresca  a  gara. 

Cresce  l' abeto  schietto  e  senza  nocchi , 
Da  spander  l' ale  a  Borea  in  mezzo  i'  onde  : 
L*  elee ,  che  par  di  mei  tutta  trabocchi  ; 
E  il  laur,  che  tanto  fa  bramar  sue  fronde  : 
Bagna  Cipresso  ancor  pel  cervo  gli  occhi. 
Con  chiome  or  aspre  or  già  distese  e 

bionde  : 
Ma  r  arbor  che  già  tanto  ad  Ercol  piacque. 
Col  platan  si  trastulla  intomo  all'  acque. 

Surge  robusto  il  cerro ,  ed  alto  il  faggio. 
Nodoso  il  comio ,  e  'I  salcio  umido  e  lento, 
L*  obno  fronzuto,  e  '1  frassin  più  selvaggio. 
Il  pino  alletta  con  suo  fischio  il  vento, 
L'  avomio  tesse  ghirlandette  al  Maggio  ; 
Ma  l' acer  d' un  color  non  è  contento. 
La  lenta  palma  serba  pregio  a'  forti  : 
L' eilera  va  carpon  co'  pie  distorti. 

Mostransi  adorne  le  viti  novelle 
D'  abiti  vari ,  e  con  diversa  faccia. 
Questa  gonfiando  fa  crepar  la  pelle  : 
Questa  racquista  le  perdute  braccia  : 
Quella  tessendo  vaghe  e  liete  ombrelle 
Pur  con  pamplnee  fronde  Apollo  scacdi 


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STANZE. 


U 


Quella  ancor  monca  piange  a  capo  chino, 
Spargendo  or  acqua,  per  Tersar  poi  Tino. 
II  chiaao  e  cre^>o  l>os80  al  vento  on- 
£/a  Ja  piaggia  di  Terdura adoma  :  [deggia, 
n  mirto ,  elle  soa  Dea  sempre  vagheggia , 
IN  bianchi  fiorì  i  verdi  capelli  orna. 
Ivi  ogni  fiera  per  amor  vaneggia  : 
L' un  verraltroi  montoni  arman  le  coma  ; 
L*  on  r  altro  cozza ,  e  1*  un  l' altro  martella 
Ihvantì  all'  amorosa  pecorella. 

I  nragghianti  giovenchi  appiè  del  colle 
Fan  vie  più  cruda  e  disperata  guerra 
Col  collo  e  '1  petto  Insanguinato  e  molle , 
Spargendo  al  del  co*  pie  l' erbosa  terra. 
Pien  di  sanguigna  schiuma  il  cinghiai 

bone. 
Le  larghe  zanne  annota ,  e  1  grifo  serra , 
E  mgge  e  raspa ,  e  per  armar  sue  forze 
Frega  fl  calloso  cuoio  a  dure  scorze. 
Provan  lor  pugna  i  daini  paurosi , 
E  per  r  aniau  drada  arditi  fansi  : 
Ma  con  pelle  vergau  a^ri  e  rabbiosi 
I  tigri  infuriati  a  ferir  vansi. 
Sbatton  le  code ,  e  con  occhi  focosi 
Bnggendo  il  fier  leon  di  peUo  dansi. 
ZuffoU  esoffla  il  serpe  per  la  biscia, 
M entr*  ella  con  tre  Ihigue  al  Sol  si  liscia. 

n  cervo  appresso  alla  Massilia  fera 
Co'  pie  levati  la  sua  sposa  abbraccia  : 
Fra  l  '  erba  ove  più  ride  Primavera , 
L*  un  coniglio  con  l' altro  s' accovaccia. 
Le  semplicette  capre  vanno  a  schiera 
Da'  can  sicure  all'  amorosa  traccia; 
Si  r  odio  antico ,  e  '1  naturai  tknore 
Ne*  petti  ammorza^  quando  vuole,  Amore. 

I  muti  pesd  in  frotta  van  notando 
Dentro  al  vivente  e  tenero  cristallo , 
E  spesso  intorno  al  fonte  roteando 
Guidan  felice  e  dilettoso  ballo  : 
Tal  volu  sopra  l' acqua  un  po'  guizzando. 
Mentre  r  un  r  altro  segue ,  escono  a  gallo  : 
Ogni  lor  atto  sembra  festa  e  giuoco  ; 
Né  spengon  le  fredde  acque  il  dolce  foco. 

Gli  aogeUetti  dipinti  intra  le  foglie 
Fan  1*  aere  addolcir  con  nuove  rime  ; 
E  fra  phi  voci  un'  armonia  s' acco^e 
Di  si  beate  note,  e  si  sublime , 
Che  mente  involta  in  queste  umane  spoglie 
Non  potria  sormontare  alle  sue  cime  : 
E  dove  Amor  gli  scorge  pel  boschetto , 
Saltan  di  ramo  in  ramo  a  lor  diletto. 

Al  canto  della  selva  Ecco  rimbomba  : 
MaaoUo  1'  ombra  che  ogni  ramo  annoda 


La  passerella  gracchia ,  e  attorno  romba  : 
Spiega  il  pavon  la  sua  gemmau  coda  : 
Bacia  il  suo  dolce  sposo  la  colomba  : 
I  bianchi  cigni  fan  sonar  la  proda  : 
E  presso  alla  sua  vaga  tortorella 
n  pappagallo  squittisce  e  favella. 

Quivi  Cupido,  e  1  suoi  pennuti  frati, 
La»i  già  di  ferire  uomini  e  Dei , 
Prendon  diporto ,  e  con  gii  strali  aurati 
Fan  sentire  alle  fiere  i  erodi  omei. 
La  Dea  Ciprigna  fra'  suol  dolci  nati 
Spesso  sen  viene ,  e  Pasitea  con  lei , 
Quetando  in  lieve  sonno  gli  occhi  belli 
Fra  r  erbe  e'  fiori  e'  glovenl  arboscelli. 

Move  dal  colle  mansueta  e  dolce 
La  schiena  del  bel  monte ,  e  sopra  I  crini, 
D' oro  e  di  gemme  un  gran  palazzo  folce. 
Sudato  già  nei  clcillan  cammini. 
Le  tre  Ore ,  che  'n  cima  son  bobolce , 
Pascon  d' ambrosia  i  fior  sacri  e  divini  : 
Né  prima  dal  suo  gambo  un  se  ne  coglie , 
Ch'  un  altro  al  del  più  apre  le  sue  foglie. 

Raggia  davanti  all' usdo  una  gran  pian- 
ta» 
Che  fronde  ha  di  smeraldo ,  e  pomi  d' oro  ; 
E  pomi  eh'  arrestar  femo  Atalanta , 
Che  ad  Ippomene  dierao  il  verde  alloro. 
Sempre  sovr'  essa  Filomena  canta  ; 
Sempre  sott'  essa  è  delle  Nhife  un  coro. 
Spesso  Imeneo  col  suon  di  sua  zampogna 
Tempra  lor  danze ,  e  pur  le  nozze  agogna. 

La  regia  casa  il  sereno  aer  fende , 
Fiammeggiante  di  gemme  e  di  fin  oro. 
Che  chiaro  giorno  a  mezza  notte  accende 
Ma  vinta  è  la  materia  dal  lavoro. 
Sopra  colonne  adamantine  pende 
Un  palco  di  smeraldo,  in  cui  già  foro 
Aneli  e  sUnchi  dentro  a  Mongibello 
Sterope  e  Bronte  ed  ogni  lor  martello. 

Le  mura  attorno  d' artifido  miro 
Forma  un  soave  e  luddo  berillo. 
Passa  pel  dolce  orfental  zaffiro 
Neil'  ampio  albergo  il  di  puro  e  tranquillo  ; 
Ma  il  letto  d' oro  in  cuM'  estremo^ro 
Si  chiude  contra  Febo  apre  il  vessillo. 
Per  varie  pietre  il  pavimento  ameno 
Di  mirabii  pittura  adorna  il  seno. 

Mille  e  mille  color  forman  le  porte , 
Di  gemme  e  di  sì  vivi  intagli  chiare , 
Che  tutte  altre  opre  sarian  rozze  e  morte , 
Da  far  di  sé  Natura  vergognare. 
Neil'  una  è  scuiu  l' infelice  sorte 
Dei  vecchio  Celio  ;  e  in  visu  irato  pare 
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36  POEMI 

Suo  figlio ,  e  con  la  falce  adunca  sembra 
Tagliar  del  padre  le  feconde  membra. 

Ivi  la  Terra  con  distesi  ammanti  [glia; 
Par  eh*  ogni  goccia  di  quel  sangue  acco- 
Onde  nate  le  Furie  e  i  fier  Giganti 
Di  sparger  sangue  iuTlsta  mostran  voglia. 
D*  un  seme  stessoJn  diversi  sembiand 
Paion  le  Ninfe  uscite  senza  spoglia , 
Pur  come  snelle  cacdatrlcl  la  selva , 
Cir  saettando  or  una  or  altra  belva. 

Nel  tempestoso  Egeo  in  grembo  a  TcU 
Sì  vide  il  fusto  genitale  accolto, 
Sotto  diverso  volger  di  pianeti      [volto  ; 
Errar  per  l'  onde  in  bianca  schiuma  av- 
E  dentro  nau  In  atti  vaghi  e  lieti 
Una  donzella  non  con  uman  volto , 
Da*  Zefiri  lascivi  spinta  a  proda ,    [goda. 
Gir  sopra  un  nicchio;  e  par  che  M  del  ne 

Vera  la  schiuma ,  e  vero  il  mar  direste , 
Il  nicchio  ver,  vero  11  soflìar  de'  venti. 
La  Dea  negli  occhi  folgorar  vedreste , 
E  'I  del  riderle  attorno  e  gli  elementi  : 
L*  Ore  premer  1*  arena  in  bianche  veste , 
L*  aura  increspar  II  crin  distesi  e  lenti  : 
Non  una,  non  diversa  esser  lor  Caccia, 
Come  par  che  a  sorelle  ben  confacela. 

Giurar  potresti  che  dell*  onde  uscisse 
La  Dea  premendo  eoa  la  destra  il  crino. 
Con  r  altra  il  dolce  pomo  ricoprisse  ; 
E  stampata  dal  pie  sacro  e  divino , 
D*  erba  e  di  fior  la  rena  si  vestisse  ; 
Poi  con  sembiante  lieto  e  pellegrino 
Dalle  tre  Ninfe  In  grembo  fosse  accolta , 
E  di  stellato  vestimento  Involta. 

Questa  con  ambe  man  le  tien  sospesa 
Sopra  r  umide  trecce  una  ghirlanda 
D*  oro  e  di  gemme  orientali  accesa  : 
Quella  una  perla  agli  orecchi  accomanda  : 
L*  altra  al  bel  petto  e  bianchi  omeri  Intesa 
Par  che  ricchi  monili  intorno  spanda. 
De*  qua*  soiean  cerchiar  le  proprie  gole 
Quando  nel  del  gvidavan  le  carole. 

Indi  paion  levate  in  ver  le  spere 
Seder  sopra  una  nuvola  d*  argento  : 
L*  aer  tremante  ti  parria  vedere 
Nel  duro  sasso,  e  tutto  *i  del  coMento  : 
Tutu  II  DU  di  sua  behi  godere, 
E  dd  fdice  letto  aver  talento  : 
Qascun  sembrar  nel  volto  maraviglia, 
Con  fronte  crespa  e  rilevate  dgUa. 

Nello  estremo  sé  stesso  il  <SvUi  Fabro 
Formò ,  felice  di  si  dolce  palma , 
Ancor  della  f adDa  imito  e  8cal>ro  « 


EROICI. 
Quasi  obbliando  per  lei  ogni  salma. 
Con  dlsire  aggiungendo  labro  a  labro , 
Come  tutta  d*  amor  gli  ardesse  r  ahna  : 
E  par  via  maggior  foco  acceso  In  elio , 
Che  qud  eh'  avea  lasdato  In  MongibeDo. 

N^  altra,  In  un  formoso  e  bianco  tauro 
SI  vede  Giove  per  amor  converso 
Portarne  11  dolce  suo  ricco  tesauro , 
E  lei  volgere  il  viso  al  lito  perso 
In  atto  paventosa;  e  1  be'  crin  d'  auro 
Scherzan  nel  petto  per  lo  vento  avverso  : 
La  vesta  ondeggia  e  indietro  fa  ritomo; 
L*  una  man  tien  al  dorso,  e  l' altra  al  corno. 

Le  ignudc  piante  a  sé  ristrette  accog^e , 
Quasi  temendo  'I  mar  che  non  le  l>agne  : 
Tale  atteggiata  di  paure  e  do^e 
Par  chiami  in  van  le  sue  dolci  compagne  ; 
Le  quali  assise  tra  fioretti  e  foglie 
Dolenti  Europa  ciascheduna  piagne. 
Europa  sona  il  lito,  Europa,  riedi  : 
Il  toro  nota ,  e  talor  bacia  i  piedi,  [d*  oro  ; 

Or  si  fa  Giove  un  cigno ,  or  pioggia 
Or  di  serpente ,  or  di  pastor  fa  fede , 
Per  fornir  l' amoroso  suo  lavoro; 
Or  trasformarsi  in  aquila  si  vede , 
Come  Amor  vuole ,  e  nel  celeste  coro 
Portar  sospeso  11  suo  bel  Ganimede; 
Lo  quale  ha  di  dpresso  il  capo  awUtto, 
Ignudo  tutto,  e  sol  d*  erl>etta  dato. 

Passi  Nettuno  un  lanoso  montone; 
Passi  un  torvo  giovenco  per  amore  : 
Passi  un  cavallo  11  padre  di  Chirone  : 
Diventa  Febo  In  Tessaglia  un  pastore; 
E  'n  picdola  capanna  si  ripone 
Colui  eh'  a  tutto  '1  mondo  d4  splendore  ; 
Né  gli  giova  a  sanar  sue  piaghe  acerbe. 
Perché  conosca  le  virtù  dell*  erbe. 

Poi  segue  Dafne,  e  *n  sembianza  si  lagna 
Come  dicesse  :  0  Ninfa ,  non  ten  gire  : 
Ferma  il  pie ,  Ninfa ,  sopra  la  campagna, 
Ch'  lo  non  ti  seguo  per  farti  morire  : 
Cosi  cerva  leon ,  cosi  lupo  agna. 
Ciascuno  M  suo  nemico  suol  fui^ire; 
Me  perché  fuggi ,  o  donna  dd  mio  cere , 
Cui  di  seguirti  é  sol  cagione  amoret 

DaU*  altra  parte  la  bella  Arlanaa 
Con  le  sorde  acque  di  Teseo  si  dote, 
E  dell*  aurae  dd  sonnodie  la  inganna; 
Di  paura  tremando,  come  sole 
Per  picdol  veatoUn  palustre  canna  : 
Par  dM  in  atto  alibia  impresse  tal  parole  ; 
Ogni  fiera  di  te  seno  è  cmdele  : 
Ognun  di  le  pie  mi  aaria  fedelf. 


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STANZE. 


¥kBiopi«im  carro  d*  eUen  •  di  pw- 
[piao 
CopeitoBaeco,  Il  qual  duo  tigri  guidano, 
E  con  lui  por  elle  r  aita  rana  stampino 
Satiri  e  Bacclie,  e  con  toc!  alte  gridano, 
(hm  si  Tede  oodeggfart  quel  par  cb*  In- 
cian^iiBo;  [ridano: 

Qnel  eoo  on  eemlNa  boe  :  <piel  par  ^e 
Qnal  fa  d'  un  cono,  e  qoal  ddk  man 

dotoia, 
Qnal  Ila  preso  nnaNinfa ,  e  qual  si  rotola. 

Soprar  asin  Silen ,  di  l>er  sempre  arido, 
Gm  Tene  grosse,  nere,  e  di  mosto  umide 
Marddo  sembra,  sonnaccbioso,  e  grarido: 
Lelnd  badi  rio  rosse ,  enfiate  e  fumlde  : 
L' ardite  Ninfe  1*  asinel  sno  parido 
Pnngon  eoi  tirso  ;  ed  el  con  le  man  tumide 
A' erin  S'appiglia;  ementre  sì  r  attlszano, 
Casca  nel  eolio,  e  i  Satiri  lo  rizzano. 

Quasiin  un  tratto  flsta  »  amau ,  e  tolu 
Dai  fiero  Pfuto  Preserplna  pare    [sciolta 
Sopra  un  gran  carro,  e  la  sua  chioma 
A*  zefiri  amorosi  TentUare; 
La  bianca  festa  in  un  bel  gremboaocolta 
Sembra  I  com  fioretti  g^  versare  t 
Si  percuote  ella  il  petto ,  e  In  rista  piagne. 
Or  la  andre  chiamando,  or  le  compagne. 

Posa  già  del  leone  il  Aero  spogtto 
Ercole,  e  Yeste  femailnlna  gonna  : 
Colui  dm  '1  mondo  da  grave  cordoglio 
A?ea  scagqMto;  ed  or  serve  una  doma. 
E  pnòsofiHr d*  Amor  1*  Indegno  orgoglio, 
CU  con  gN  omer  già  fece  al  del  colonna , 
E  qudlaman  eon  che  era  a  tenere  uso 
La  dava  poderosa,  or  torce  un  ftisow 

Gli  oraer  setosi  a  Pollfemo  ingombrano 
L*  orriba  chiome,  e  nel  gran  petto  ca- 
scano ;  [brano  ; 
E  fresche  ghiande  r  aspre  tempie  adom- 
Presso  a  sé  par  sue  pecore  che  pascano  ; 
Né  a  eeotnl  dal  cor  giammai  «^sgombrano 
U  dold  aesriri  lai ,  che  d' amor  nascano  ; 
AmdtntlOdipianioedolQrnuicero  [cero. 
Seggia  bi  un  freddo  sasso  appiè  d*  un  a- 

Dall*  una  all'  altra  oreccliiaun  arco  face 
n  dglio  kanto  lungo  ben  sd  spanne  : 
Largo  sotto  la  fronte  il  naso  giace; 
Paion  di  schiuma  biaMhegglarlezamio. 
Tra*  piedi  hall  cane  ;a  sotto  li  baaado  tace 
Una  zampogna  ben  di  eento  camu.  [note 
E  guarda  y  mar  eh' ondeggia,  e  dpestre 
Par  canti ,  a  mova  le  lanose  gote. 

Edioach*dln  èhianoaplù  cheUlattt, 


Ma  più  superba  assd  eh' una  fitflik  ; 
E  che  molte  ghiriande  le  ha  già  fìtfte , 
E  serbale  una  cerva  molto  beUa , 
Un  orsacchin  che  già  col  can  combatte  ; 
E  che  per  id  si  macera  e  flagella  ; 
E  che  ha  gran  voglia  di  saper  notare 
Per  andare  a  trovarla  Infln  nd  mare. 

Duo  formod  delfini  un  carro  tirano; 
Sovr* esso  è  Galatea,  che '1  fren corregge: 
E  qud  notando  parimente  spinano  ; 
Ruotad  attorno  più  lasdva  gregge. 
Qud  le  salse  onde  sputa,e  qua!  s*  aggirano, 
Qoal  parche  per  amor  giuochi  e  vanegge. 
La  bdia  Ninfa  con  le  suore  fide 
Di  d  rosso  cantar  vezzosa  ride. 

Intorno  ai  bel  lavor  serpeggia  acanto 
Di  rose  e  mirti  e  lieti  fior  contesto. 
Con  vari  augei  d  fatti ,  che  il  lor  canto 
Pare  udir  negli  orecchi  manifesto  : 
Né  d*  dtro  d  pregiò  Tulcan  mal  tanto. 
Né  *1  vero  stesso  ha  più  dd  ver  che  questo  : 
E  quanto  i*  arte  intra  sé  non  comprende. 
La  mente  immaginando  clilaro  Intende. 

Questo  è  il  loco  che  tanto  aVener  plae- 
A  Vener  bdla,  alla  madre  d*  Amore,  [que, 
Qui  ]'  arder  fraudolente  in  prima  nacque , 
Che  spesso  fa  cangiar  voglia  e  colore  : 
Quei  che  soggioga  H  dtày  la  terra  e  Tacque, 
Che  tende  agli  occhi  red ,  e  prende  il  core  ; 
Dolce  in  sembland ,  in  atto  aceri)o  e  fello , 
Giovane  nudo,  e  faretrato  augeDo. 

Or  poi  che  ad  ali  tese  iri  pervenne. 
Forte  le  scosse ,  e  giù  cdosd  a  pÌond>o, 
Tutto  serrato  ndle  sacre  penne. 
Come  a  suo  nido  fa  lieto  colombo. 
L'  aer  forzato  assd  stagion  ritenne 
Della  pennuta  strisda  il  forte  rombo. 
Ivi  racquete  le  trionfanti  ale. 
Superbamente  inver  la  madre  sde. 

Trovoiia  asdsa  in  letto  fàor  dei  lembo 
Pur  mo  di  Marte  sdolta  dalie!  bracdà , 
Il  qud  rovescio  le  giacetaln  grembo 
Pascendo  gii  occhi  pur  della  sua  faoda. 
Di  rosesoprif  ior  pioveva  un  nembo 
Per  rinnovargli  ali*  amorosa  tracda  : 
Ma  Vener  dava  a  lui  eon  voglie  pronte 
MiUe  bad  negH  occhi  e  odia  fironte.    - 

Sopra  e  d*  intomo  1  picdoletti  Amori 
Schenàvan  nudi  or  qua  or  là  votando, 
E  qud  condì  di  mUle odori 
Giva  le  wpMtiè  rose  tentllando: 
Qud  la  faretra  «nplea  di  freschi  flori^ 
Poi  sopra  U  lotto  la  venia  i 


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28  POEMI 

Qual  la  cadente  nuvola  rompea 
Ferino  In  su  T  ali ,  e  poi  giù  la  scotea  : 

Come  avea  dalle  penne  dato  un  crollo , 
Così  r  erranti  rose  cran  riprese  : 
Nessun  del  vaneggiare  era  satollo. 
Quando  apparve  Cupido  ad  ali  tese 
Ansando  tutto ,  e  di  sua  madre  al  collo 
Gittossi ,%  pur  co'  vanni  il  cor  le  accese 
iUlegro  In  visU,  esl  lasso,  che  appena 
Potea  ben  per  parlar  riprender  lena. 


EROia. 

Onde  vien' ,  (igUo  1  o  quai  n*  apporti  no- 
Vener  gli  disse ,  e  lo  baciò  nel  volto  ;  [ve? 
Ond*  eslo  tuo  sudor  7  quai  fatte  hai  prove  ? 
Qual  Dio,  qual  uom  hai  ne*  tuoi  lacci  in- 
volto ? 
Fai  tu  di  nuovo  in  Tiro  mugghiar  Giove  ? 
0  Saturno  ringhiar  perPelio  folto? 
Quel  die  ciò  sia ,  non  umil  cosa  panni , 
0  figlio ,  o  sola  mia  potenaia  ed  armL 


UBRO  SECONDO. 


Eran  già  tutti  alla  risposU  attenti 
I  pargoletti  intomo  all'aureo  Ietto, 
Quando  Cupido  con  occhi  ridenti 
Tutto  protervo  nel  lascivo  aspetto 
Si  stringe  a  Marte,  e  con  gli  straU  ardenti 
Della  faretra  gli  rìpunse  il  petto, 
E  con  le  labbra  tinte  di  veleno 
Baciollo,  e  'l  foco  suo  gli  mise  In  seno. 

Poi  rispose  alla  madre  :  E'  non  è  vana 
La  cagion  che  sì  lieto  a  te  mi  guida, 
Gh*Ìo  ho  tolto  dal  coro  di  Diana 
U  primo  conduttor,  la  prima  guida. 
Colui  di  cui  gioir  vedi  Toscana, 
Di  cui  già  infin  ai  del  la  fama  grida, 
Infin  agl'Indi,  Infin  al  vecchio  Mauro, 
Giulio,  minor  fratel  del  nostro  Lauro. 

L'antica  gloria  e  '1  celebrato  onore 
Chi  non  sa  della  Medica  famiglia? 
E  del  gran  Cosmo,  italico  splendore. 
Di  cui  la  patria  sua  si  chiamò  figlia? 
E  quanto  Pietro  al  paterno  valore 
Aggiunse  pregio,  e  con  qual  maraviglia 
Dal  corpo  di  sua  patria  rimosse  abbia 
Le  scellerate  man ,  la  crudel  rabbia? 

DI  questo  e  della  nobile  Lucrezia 
Nacquene  Giulio,  e  pria  ne  nacque  Lauro  ; 
Lauro,  eh' ancor  della  bella  Lucrezia, 
Arde  ;  e  dura  ella  ancor  si  mostra  a  Lauro  ; 
Rigida  più  ch'in  Roma  già  Lucrezia, 
0  In  Tessaglia  colei  eh'  è  fatu  un  lauro  ; 
Né  mai  degnò  mostrar  di  Lauro  agli  occhi 
Se  non  tutta  superba  I  suol  begli  occhi. 

Non  priego,  non  lamento  al  meschin  va- 
Ch'ella  sta  fissa  come  torre  al  vento  ;  [le 
Perch'io  Id  punsi  col  piombato  strale, 
E  col  dorato  lui  ;  di  che  or  mi  pento. 
Ma  tanto  scoterò ,  madre ,  queste  ale , 


Che  foco  accenderolle  al  petto  drento. 
Richiede  ormai  da  noi  qualche  restauro 
La  lunga  fedeltà  del  franco  Lauro. 

Che  tuttor  panni  pur  veder  pel  campo 
Armato  lui ,  armalo  il  corridore , 
Come  un  fier  drago  gir  menando  vampo. 
Abbatter  questo  e  quello  a  gran  furore  : 
L'armi  lucenti  sue  spargere  un  lampo 
Che  facdan  tremar  l'aere  di  splendore  : 
Poi  fatto  di  virtute  a  tutti  esempio, 
RlporUme  II  trionfo  al  nostro  tempio. 

E  che  lamenti  già  le  Muse  femo! 
E  quanto  Apollo  s'è  già  meco  dolio, 
Ch'  lo  tenga  11  lor  poeta  In  tanto  scherno  ! 
Ed  io  con  che  pietà  suoi  versi  ascolto  l 
Ch'Io  r  ho  già  visto  al  più  rìgido  verno, 
Pien  di  pruina  1  crln ,  le  spalle  e  '1  volto 
Dolersi  con  le  stelle  e  con  la  luna 
DI  lei ,  di  noi ,  di  sua  crudel  fortuna,     [te  : 

Per  tutto  11  mondo  Ita  nostre  laudi  spar- 
Mai  d*  altro,  mal,  se  non  d' amor  ragiona  ; 
E  polca  dir  le  tue  fatiche,  o  Marte, 
Le  trombe  e  l'arme  e  'l  furor  di  Bellona: 
Ma  volle  sol  di  noi  vergar  le  carte, 
E  di  quella  gentil  eh' a  dir  lo  sprona. 
Ond'  lo  lei  farò  pia,  madre,  al  suo  amante; 
Che  pur  son  tuo,  non  nato  d'adamante. 

Io  non  son  nato  di  ruvida  scorza , 
Ma  di  te,  madre  bella,  e  son  tuo  figlio; 
Né  crudele  esser  degglo  ;  ed  ei  mi  sforza 
A  riguardarlo  con  pietoso  dglio  ; 
Assai  provato  ha  l'amorosa  forza , 
Assai  giaciuto  è  sotto  il  nostro  artiglio. 
Giusto  è  ch'd  facda  omal  co'  sosplr  tregua; 
j  E  del  suo  buon  servir  premio  consegua. 

Ma  il  bel  Giulio,  ch'a  noi  sUto  è  ribello, 
E  sol  di  DeUa  seguito  ha  il  trionfo, 


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STANZE. 


Or  dietro  ali*  orme  del  suo  buon  frateUo 
Vien  dtenato  innaiud  al  mio  trionfo  : 
f^  mostrerò  giammai  pietate  ad  elio 
Fin  che  ne  porterà  nuovo  trionfo  ; 
Ch'io  gli  bo  nel  core  dritta  una  saetta 
Dagli  occhi  della  bella  Simonetta. 

E  sai  quanto  nel  petto  e  neUe  braccia, 
Quanto  sopra  il  destriero  è  poderoso  : 
Por  mo  lo  Tidi  sì  feroce  in  caccia, 
Ole  parea  il  bosco  di  lui  paventoso; 
Tutu  aspreggiau  avea  la  bella  faccia, 
Tatto  adirato ,  tutto  era  focoso. 
Tal  vid'io  te  là  sopra  al  Termodonte 
Cavalcar,  Marte ,  e  non  con  està  fronte. 

Quest'è,  madre  gentil,  la  mia  vittoria; 
Quinci  è  •!  mio  travagliar,  quinci  è  *1  su- 
Cosi  va  sovr  '  al  del  la  nostra  gloria ,  [dorè  ; 
n  nostro  pregio ,  Il  nostro  antico  onore  : 
Cosi  mai  cancellata  la  memoria 
IH  te  non  fia ,  né  del  tuo  figlio  Amore  ; 
Cosi  canteran  sempre  e  versi  e  cetre 
distrai,  le  fiamme,  gii  archi  e  le  faretre. 

Fatu  ella  allor  più  gaia  nel  sembiante, 
Balenò  intomo  uno  splendor  vermiglio, 
Da  fare  un  sasso  diventare  amante. 
Non  pur  te.  Marte  :  e  tale  ardea  nel  cìgUo, 
Qoal  suol  la  bella  Aurora  fiammeggiante  : 
Poi  tutto  al  petto  si  ristringe  11  figlio; 
E  trattando  con  man  sue  chiome  bionde. 
Tatto  U  vagheggia  ;  e  lieu  gli  risponde  : 

Assai,  bel  figlio.  Il  tuo  deslr  m*  aggrada. 
Ole  nostra  gloria  ognor  più  l'ale  spanda. 
Chi  erra ,  tomi  alla  verace  strada  : 
Obbligo  è  di  servir  chi  ben  comanda. 
Pur  convien  che  di  nuovo  In  campo  vada 
Lauro,  e  si  cinga  di  nova  ghirlanda; 
Che  virtù  negli  affainnl  più  s' accende. 
Come  l'oro  nel  foco  più  risplende. 

Ma  in  prima  fa  mestier  che  Giulio  s'armi, 
^  che  di  nostra  fama  il  mondo  adempì  : 
E  tal  del  forte  Achille  or  canu  l'armi, 
E  rinnova  in  suo  stil  gli  antichi  tempi , 
Che  diverrà  testor  de'  nostri  carmi , 
Cantando  pur  degli  amorosi  esempi  ; 
Onde  la  nostra  gloria,  o  bel  figliuolo, 
Vedrem  sopra  le  stelle  alzarsi  a  volo. 

E  voi  altri,  miei  figli,  al  popol  tosco 
Lieti  volgete  le  trionfanti  ale  : 
Gite  tutti  fendendo  i'aer  fosco; 
Tosto  prendete  ognun  l'arco  e  lo  strale: 
Di  Marte  11  fiero  ardor  sen  venga  vosco. 
Or  vedrò,  figli,  qual  di  voi  più  vaie  : 
Gite  tutti  a  ferir  nel  toscan  coro; 


29 


Ch'  l' serbo  a  chi  fler  prima  un  arco  d'oro. 
Tosto  al  suo  dire  ognun  arco  e  quadretta 
Riprende,  e  la  faretra  al  fianco  alloga  ; 
Come  al  fischiar  del  comlto  sfrenelia 
La  nuda  ciurma ,  e  i  remi  mette  in  voga. 
Già  per  I'aer  ne  va  la  schiera  snella  : 
Già  sopra  alla  citU  calan  con  foga. 
Cosi  I  vapor  pel  bel  seren  giù  scendono, 
Che  palon  stelle,  mentre  I'aer  fendono. 

Vanno  spiando  gli  animi  gentili , 
Che  son  dolce  esca  all'amoroso  foco: 
Sovr' essi  batton  forte  i  lor  fucili, 
E  fangll  apprender  tutti  a  poco  a  poco  : 
L' ardor  di  Marte  ne'  cuor  giovenili 
S' afllggc  e  quelli  infiamma  del  suo  giuoco: 
E  mentre  stanno  Involti  nel  sopore , 
Pare  a'  giovan  far  guerra  per  Amore. 

E  come  quando  II  Sole  i  Pesci  accende, 
Di  sua  virtù  la  terra  è  tutta  pregna; 
Clift  poscia  Primavera  fuor  si  stende 
Mostrando  al  del  verde  e  fiorita  Insegna  : 
Cosi  ne'  petti  ove  lor  foco  scende. 
S'abbarbica  un  disio  che  dentro  regna: 
Un  disio  sol  d'eterna  gloria  e  fama. 
Che  r  Infiammate  menti  a  virtù  chiama* 

Esce  sbandita  la  viltà  d'ogni  alma, 
E,  benché  tarda  sia,  pigrizia  fugge  : 
A  liberiate  l'una  e  l'altra  palma 
Legan  gli  Amori  ;  e  quella  iraU  rugge. 
Solo  In  disio  di  gloriosa  palma 
Ogni  cor  glovcnii  s'accende  e  strugge: 
E  dentro  al  petto  sopito  dal  sonno 
Gli  spiriti  d'Amor  posar  non  ponno. 

E  cosi  mentre  ognun  dormendo  langoe, 
Ne'  lacci  è  involto,  onde  giammai  non  esce: 
Ma  come  suol  fra  l'erba  il  plcclol  angue 
Tacito  errare,  o  sotto  l'onde  li  pesce. 
Si  van  correndo  per  l'ossa  e  pel  sangue 
GII  ardenti  spiritelli ,  e  '1  foco  cresce. 
Ma  Vener,  come  i  presti  suoi  corrieri 
Vide  partili ,  mosse  altri  pensieri. 

Pasltea  fé'  chiamar,  del  Sonno  qK>sa, 
Pasitea  delle  Grazie  una  sorella, 
Pasltea,  che  dell'altre  è  più  famosa. 
Quella  che  sopra  tutte  è  la  più  beUa; 
E  disse  :  Muovi ,  o  Ninfa  graziosa , 
Trova  il  consorte  tuo  veloce  e  snella  : 
Fa  che  mostri  al  bel  Giulio  tale  Immago, 
Che  '1  faccia  dimostrarsi  al  campo  vago. 

Cosi  le  disse  ;  e  già  la  Ninfa  accorta 
Correa  sospesa  per  l'aria  serena  : 
Quete  senz' alcun  rombo  l'ale  porta, 
E  lo  ritrova  In  men  che  non  balena  : 


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20  pofln 

Ai  owro  ddla  Notte  tecea  seorU  t 
B  l'aria  intono  aiM  di  Sogni  piena 
Di  farle  fomie,  e  stranier  portamenti; 
E  CMea  raoquetare  i  fiumi  e  i  Tenti.  [Te, 

Come  la  Ninfea' saol  gravi  ocdii  appar- 
Gol  folgorar  d'mi  riao  glieli  aperse: 
Ogni  nube  dal  dglio  Tia  dlqMirTe, 
Che  la  fona  del  raggio  non  sofferse. 
Gtaicmi  de*  Sogni  dentro  alle  lor  lar? e 
Gli  al  fe'  incontro,  e  1  viso  discoperse: 
Ma  poi  di' dia  Morfeo  tra  gli  altri  scdse , 
Lo  chiese  al  Sonno  ;  e  tosto  indi  si  sreise. 

Indi  si  SYdse,  e  di  questo  oooTenne 
Tosto  ammonirìo;  e  parti  sema  posa. 
i^»pena  tanto  il  dg^  alto  sostenne. 
Che  latU  era  già  tutu  sonnacchiosa. 
Vassen  Telando  senza  morer  penne, 
E  ritoma  a  sua  Dea,  Ueta  e  gioiosa. 
Gli  aodti  Sogni  ad  obbedir  s' affrettano , 
E  sotto  nuore  fogge  si  rassettano. 

Quali  I  soldati  che  di  fuor  s'attendono, 
Quando  sensa  sospetto  par  che  giacciano, 
Pnr  suon  di  tromba  al  guerreggiar  s' ac- 
cendono, 
.  Testonsi  le  corazse ,  e  gli  dmi  allacciano  ; 
E  giù  did  fianco  le  spade  sospendono , 
Grappan  le  lance,  e  I  forti  scudi  imbrac- 
E  cosldlrisati  1  destrier  pungono  [dano: 
Toaito,  che  la  nemica  schiera  giungono. 

Tempo  era  quando  l'alba  s'arridna, 
B  dlTien  fosca  l' aria,  or' era  bruna  ; 
E  già  il  carro  stellato  Icaro  inchina, 
E  par  nd  Tolto  scolorir  la  Luna; 
Qaando  dò  eh'  al  bd  Giulio  il  cid  destina 
Mostrano  i  Sogni  e  sua  dolce  Fortuna  ; 
Moke  al  principio,  d  fin  poi  troppo  amara; 
Perocché  sempre  dolce  d  mondo  è  rara. 

Fargli  Teder  feroce  la  sua  donna , 
Tutta  nd  Tolto  rigida  e  protenra 
Legar  Cupido  afia  Terde  colonna 
Della  felice  pianu  di  Minenra, 
Armata  sopra  alla  candida  gonna. 
Che  '1  casto  petto  col  Gorgon  conserva , 
E  pv  che  tutte  gn  spennacchi  l'aU^ 
E  dw  rompa  al  meschin  l'arco  e  gli  strali. 

Ahimè!  quanto  era  mutato  da  quello 
Amor,  che  mo  tornò  tutto  gioiosol 
Koo  era  sopra  Pde  altiero  e  snello, 
Nm  dd  trionfo  suo  punto  orgoglioso: 
Ami  merco  chiamava  il  meschhidlo 
Miseramente,  e  con  Tolto  pietoso  ; 
Gridando  a  GluUo:  Miserere  md; 
DifMidlBl  t  0  bd  Giulio ,  da  eoatd. 


EBOia. 

E  Giulio  a  lui  dentro  d  fallace  sonno 
Parea  risponder  con  niente  confusa: 
Come  poss'  lo  dò  far,  dolce  mio  donno? 
Che  neU'  armi  di  PdU  è  tutu  chiusa. 
Vedi  I  miei  spirti,  che  sofErir  non  ponno 
La  terribH  sembiansa  di  Medusa , 
n  rabbioso  fischiar  delle  ceraste , 
E  '1  Tolto  e  l'elmo  e  '1  folgorar  ddl'  aste. 

Alia  gli  occhi,  alza,  Giulio,  a  queUa 
fiamma  [bra: 

Che  come  un  sol  col  suo  splendor  t'adom- 
Quivi  è  colei  che  l'dte  menti  infianmia , 
E  che  da'  petti  ogni  viltà  disgombra. 
Con  essa,  a  guisa  di  semplice  damma , 
Prenderd  quesU,  eh'  or  nel  cor  t' Ingom- 
TanU  paura ,  e  t' invilisce  l' alma ,  [bra 
Ch'ella  ti  serba  sol  trìonfd  palma. 

Cod  dicea  Cupido;  e  già  la  Gloria 
Scendea  giù  folgorando  ardente  vampo: 
Con  essa  Poesia ,  con  essa  Istoria 
Volavan  tutte  accese  del  suo  lampo. 
Costd  parea  che  ad  acquisUr  vittoria 
Rapisse  Giulio  orribilmente  In  campo; 
E  che  l'arme  di  Palla  dia  sua  donna 
Spogliasse,  e  lei  lasciasse  in  bianca  gonna. 

Poi  Giulio  di  sue  spoglie  armava  tutto, 
E  tutto  fiammeggiar  lo  facea  d'auro: 
Quando  era  d  fin  dd  guerreggiar  con- 

dutto. 
Ai  capo  gì' Intrecciava  oliva  e  lauro  : 
Ivi  tornar  parea  sua  gioia  in  lutto  ; 
Vedead  tolto  il  suo  dolce  tesauro  : 
Vedea  sua  Ninfa  in  trisu  nube  awdU 
Dagli  occhi  crudelmente  essergli  tdU. 

L'aria  tutu  parea  divenir  bruna, 
E  tremar  tuUo  dell'abisso  il  fondo: 
Parea  sanguigna  in  dd  fard  la  luna , 
E  cader  giù  le  stelle  nd  profondo. 
Poi  vedea  lieta  in  forma  di  Fortuna 
Sorger  sua  Ninfa  ;  e  rabbellirsi  11  mondo  ; 
E  prender  lei  di  sua  viU  governo; 
E  lui  con  seco  far  per  fama  etemo. 

Sotto  colali  ambagi  d  giovanetto 
Fu  mostro  de'  suoi  fati  il  leggier  corso. 
Troppo  felice ,  se  nd  suo  diletto 
Non  mettea  Morte  acerba  11  cnidd  morso. 
Ma  che  puote  a  Fortuna  esser  disdetto  ? 
Ch' a  nostre  cose  allenU  e  stringe  il  morso: 
Né  vd  perch' altri  la  ludnghl  o  morda, 
Gh'a  suo  modo  d  guida,  e  sU  pur  sorda. 

Adunque  il  tanto  lamentar  che  giova  ? 
A  che  di  pianto  pur  bagniam  le  gote  t 
Se  pur  convien  di' dia  ne  guidi  e  mnovt  ; 


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STAlfEE. 


ti 


Se  mortai  fona  contra  lei  non  puote. 
Se  eon  sue  penne  il  nostro  mondo  cova  ; 
E  tempra  e  volge  come  ruol  le  mote. 
Beato  qual  da  lei  suoi  pensler  solre, 
E  tutto  dentro  alla  Virtù  s'involve! 
Oli  felice  colui  che  lei  non  cura, 
E  che  a'  suol  grati  assalti  non  s*  arrende , 
Ma  come  scoglio  che  incontro  al  mar  dura, 

0  torre  che  da  Borea  si  difende, 
Suoi  ccdpi  aspetta  con  fronte  sicura, 
E  sta  sempre  provristo  a  sue  vicende  : 
Da  sé  sol  pende;  in  sé  stesso  si  fida; 
Né  guidato  è  dal  caso,  anzi  lui  guida. 

Già  carreggiando  il  giorno  Aurora  lieta 
Di  Pegaso  strlngea  l'ardente  briglia: 
Surgea  dal  Gange  li  bel  solar  pianeta , 
Baggiando  intomo  con  F aurate  ciglia: 
Già  tutto  parea  d'oro  il  monte  Oeta  : 
FuggiU  di  Laton  era  la  figlia  : 
Surgevan  mgladosl  in  loro  stelo 

1  fior  chinati  dal  notturno  gelo. 

La  rondinella  sopra  li  nido  allegra 
Cantando  salutava  il  nuovo  giorno  : 
E  gi4  de'  Sogni  la  compagna  negra 
A  sua  spelonca  avea  fatto  ritorno; 
Quando  con  mente  insieme  lieta  ed  egra 
SI  destò  Giulio,  e  girò  gli  occhi  intomo  ; 
Gli  occhi  intomo  girò  tutto  stupendo. 
D'amore  e  d'un  disio  di  gloria  ardendo. 

Fargli  vedersi  tuttavia  davanti 
La  Gloria  armata  in  su  l'ali  veloce 
Chiamare  a  giostra  i  valorosi  amanti, 
E  gridar,  Giulio ,  Giulio ,  ad  alU  voce. 
Già  sentir  pargli  le  trombe  sonanti , 
Già  divien  tutto  nell'armi  feroce. 
Co^  tutto  focoso  in  pie  risorge , 
E  verso  il  del  cotai  parole  porge: 

0  sacrosanta  Dea,  figlia  di  Giove, 
Per  cui  U  tempio  di  Giano  s'apre  e  serra; 
La  cui  potente  destra  serba  e  move 
intiero  arbitrio  e  di  pace  e  di  guerra, 
Virglne  santa,  che  mirabli  prove 
Mostri  del  tuo  gran  nume  in  cielo  e  *n  terra, 
Che  I  valorosi  cuori  a  virtù  infiammi, 


Soccorrimi  or ,  Tritonia ,  e  virtù  dammi. 

S'Io  vidi  dentro  alle  tue  armi  chiusa 
La  sembianza  di  lei  che  me  a  me  fura  : 
S'io  vidi  II  volto  orribii  di  Medusa 
Far  lei  contro  ad  Amor  troppo  esser  dura  : 
Se  poi  mia  mente  dal  tremor  confusa 
Sotto  il  tuo  schermo  diventò  sicura: 
S' Amor  con  teco  a  grandi  opre  mi  chiama, 
Mostrami  il  porto,  o  Dea,  d'eterna  fama. 

E  tu  che  dentro  all'aflbcata  nube 
Degnasti  tua  sembianza  dimostrarmi , 
G  ch'ogni  altro  pensler  dal  cor  mi  robe, 
Fuor  che  d'amor,  dal  qual  non  posso 

aitarmi; 
E  m'infiammasti,  come  a  suon  di  tube 
Animoso  cavai  s'infiamma  all'armi, 
Fammi  intra  gli  altri,  o  Gloria,  si  solenne , 
Che  lo  baua  infino  ai  elei  teco  le  penne. 

E  s' io  son,  dolce  Amor,  se  son  pur  degno 
Essere  il  tuo  campion  contra  costei , 
Contra  costei,  da  cui  con  forza  e  ingegno 
(Se  1  ver  mi  dice  il  Sonno)  avvinto  sei. 
Fa  si  del  tuo  furor  mio  pensler  pregno, 
Che  spirto  di  pietà  nel  cor  le  crei. 
Ma  virtù  per  sé  stessa  ha  l'ali  corte; 
Perché  troppo  é  il  valor  di  costei  forte. 

Troppo  forte.  Signor,  é'I  suo  valore. 
Che,  come  vedi,  il  tuo  poter  non  cura 
E  tu  pur  suoli  al  cor  gentil.  Amore, 
Riparar  come  augello  alla  verdura: 
Ma  se  mi  presti  li  tuo  santo  furore, 
Leverai  me  sopra  la  tua  natura, 
E  farai,  come  suol  marmorea  rota, 
Ch'  ella  non  taglia ,  e  pure  il  ferro  arroU. 

Con  voi  men  vengo.  Amor,  Minerva, 
e  Gloria, 
Che  '1  vostro  foco  tutto  il  cor  m'avvampa: 
Da  voi  spero  acquistar  l'alta  vittoria; 
Che  tutto  acceso  son  di  vostra  lampa  : 
Datemi  aita  sì,  che  ogni  memoria 
Segnar  si  possa  di  mia  etema  stampa, 
E  faccia  umil  colei  ch'or  mi  disdegna; 
Ch'io  porterò  di  voi  nei  campo  insegna. 


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32 


POEMI  raoia 


TRISSINO. 


ITALIA  LIBERATA. 


LIBRO  IX. 

ABGOVEZfTO. 

Da  Pirtenope  escito  il  capitano 
Giunge  a  Cassino,  ove  lasciato  il  campo 
Sale  all'ostel  d'un  eremita  santo  : 
Ivi  da  lui  condutto  in  uno  speco 
Vede  del  padre  l'ombra,  e  per  virtudo 
D*un  angel  entra  in  un  fiorito  prato. 
Colà  su  due  miragli,  ed  il  passato 
Ed  il  futuro  scorge;  e  quindi  l'ombre 
De^  poeti ,  de'  soft  e  de'  guerrieri 
Illustri  un  tempo,  a  lui  si  fanno  innanzi. 
Vede  sue  glorie,  e  dell'imperio  il  fato; 
Infin  che  torna  con  Traiano  al  vallo. 


La  bella  Aurora  da  1*  aurato  letto 
Del  suo  caro  Tlton  si  risurgea, 
Per  apportare  a  noi  V  eterna  luce  ; 
Quando  '1  gran  capitanlo  de  le  genti , 
Essendo  stato  in  Napoli  tre  giorni , 
Se  n*  uscì  fuor  con  tutto  quanto  *1  campo , 
Elasdovv'entro  Erodlano  altero 
Con  molta  gente  a  guardia  de  le  mura. 
Ed  egli  se  n*  andò  verso  Cassino , 
Per  Irsen  quindi  a  la  citti^l  Roma. 
E  come  pose  il  quarto  alloggiamento, 
Trovossi  a  pie  del  solitario  monte , 
Ov'era  posta  la  sacrata  cella 
Di  Ben^etto  ;  veramente  spirto 
Benedetto  da  Dio ,  salubre  al  mondo. 
Quivi  il  buon  capitan  mandando  gli  occhi 
Verso  la  cima ,  vide  un  bel  pratello , 
Cinto  di  alcuni  altissimi  cipressi , 
E  di  tre  grandi  e  ben  fronduti  allori , 
Avanti  ad  una  plccoletta  stanza , 
Tanto  divoto ,  e  venerando  In  vlsu , 
Quanto  altra  cosa  mai  che  avesse  scorta. 
Onde  gli  nacque  un  desiderio  ardente 
DI  visitar  quell'  onorau  cella  ; 
Ma  non  ardiva  abbandonare  il  vallo, 
Perch*el  non  era  ancor  tutto  munito. 
E  stando  in  quel  pensler,  venne  la  notte; 


Poi  la  mattina ,  anz*  Il  spuntar  de  1*  alba 
Gli  apparve  in  sogno  1*  ombra  di  suo  padre. 
Che  spinse  fuor  di  bocca  este  parole  : 

Figliuol  mio  caro ,  che  per  tanti  mari , 
E  per  tanti  perigli  sei  condotto 
Al  soave  terren  dove  eh*  lo  nacqui  ; 
Ascendi  ancora  a  la  di  vota  stanza , 
Ch*  ha  quell*  adomo  e  bel  pratello  avanti. 
Quivi  dimora  un  benedetto  vecchio, 
Tanto  diletto  a  Dio,  che  gli  fa  noto 
Tutto  *1  secreto  suo,  tutto  'l  futuro. 
Priegal  soavemente,  ch*e*  ti  mostri 
Qò  che  tu  dei  schivare  In  questa  impresa, 
E  ciò  che  tu  dei  far,  per  ottenere 
Certa  vittoria  de  la  gente  gota. 
E  priegalo  anco  ad  impetrarmi  grazia. 
Dal  Padre  onnipotente  de  le  stelle , 
Ch*  io  possa  alquanto  dimorar  con  teco 
Visibilmente  ne  la  propria  forma. 

Così  gli  disse  l'ombra  di  suo  padre; 
E  poi  subitamente  indi  disparve. 
Onde  *1  gran  capiUnio  In  pie  levossi, 
E  si  vestì  di  panni ,  e  poscia  d^armi  ; 
E  tolto  seco  il  callido  Traiano, 
Andò  sul  monte  a  la  divota  cella 
Seuz' altra  compagnia,  senz'altro  scorta. 
E  come  fur  tra  quelli  antiqui  allori, 


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ITAUA  LIBERATA. 


33 


Che  flooo  iBtonio  al  prato,  un  veccbio 

aperse 
L* uscio  (Tua  oratorio,  e  Tenne  fuora, 
Degno  di  tanU  rìverenxa  in  vista, 
Quanto  aver  possa  una  terrena  fronte. 
Egli  avea  in  dosso  una  cuculia  bianca, 
Lunga  fino  a  la  terra,  e  la  sua  barba 
Tutta  canuta  gli  copriva  II  petto. 
Questi  andò  contra  BeUsario,  e  disse  : 

Gapltanio  gentil ,  quanto  mi  piace 
Vedervi  al  nostro  solitario  albergo. 
Buon  tempo  è ,  ch'io  v'aspetto  in  queste 
Perporrefaillbertàritaliaafllitta.  [parti. 
Or  sia  lodato  Iddio ,  che  siete  giunto  ; 
Andiamo  entr'a  lachiesa,  a  render  prima 
Grazie  ed  onore  al  Re  de  1*  universo , 
Che  n*  ha  condotti  a  si  felice  giorno , 
Dappoi  ragionerem  de  1*  altre  cose. 

Cori  diss'  egli ,  e  per  la  mano  il  prese, 
E  dolcemente  lo  stringea ,  mirando 
La  lacda  sua  con  un  paterno  affetto. 
Poi  lo  menò  ne  l' oratorio  santo , 
E  quivi  udita  una  divou  messa , 
Che  celebrò  quel  benedetto  vecchio , 
SI  poser  tutti  a  ragionare  insieme  : 
E  prima  il  capitan  così  gli  disse  : 

Padre  gentil  d'ogni  virtute  adomo, 
Grande  amico  di  Dio,  quando  vi  mostra 
E  v'apre  ogni  celato  suo  secreto  ; 
Vedendo ,  che  sapete  e  quel  eh'  io  sono , 
E  l' alta  impresa  ch'io  son  posto  a  fare , 
Penso,  che  ancor  sappiate  ogni  pensiero 
Che  si  ritruovi  chiuso  entr*  al  mio  petto. 
Pur  vi  discoprirò  con  la  mia  lingua 
L' onesto  mio  desire ,  e  quel  eh'  io  bramo 
Da  la  vostra  santissima  persona. 
Vorrei  saper,  padre  beato,  come 
Si  deggia  governar  quest'alta  impresa; 
E  dò  eh*  io  debbia  far,  per  ottenere 
Certa  vittoria  de  la  gente  gota. 
Ancor  vi  priego  ad  impetrarmi  grazia 
Dal  Padre  onnipotente  de  le  stelie, 
t^'l  caro  genitor  possa  parlarmi 
Vidbllmente  ne  la  propria  forma. 
Deh  fate ,  padre ,  questi  onesti  doni 
Al  divoto  orator,  che  ve  gli  chiede , 
Ch'agevolmente  gli  potete  fare, 
Sendo  col  Re  dei  del  tanto  congiunto. 
Non  gli  negate  a  me,  ch'io  vengo  a  porre 
La  vostra  cara  Esperia  in  liberUde 
Con  le  nostre  fatiche ,  e  '1  nostro  sangue. 

Cosi  disse  il  barone  ;  a  cui  rispose 
n  buon  servo  di  Dio  con  tal  parole  : 


Illustre  capitan,  voi  dite  il  vero, 
Ch'  io  so  l' alU  cagion  eh'  a  noi  vi  i 
Perchè  sta  mane ,  anz*  il  spuntar  de  V  alba, 
L' angd  Erminio ,  e  l' ombra  di  Camillo 
Mi  disse  il  tutto ,  e  mi  richiese  a  farlo  : 
Ed  io  liberamente  gli  promisi. 
Ond'  ho  pregato  il  Re  de  l' universo 
Di  queste  grazie,  ed  et  ne  fia  cortese; 
Ma  vi  bisogna  entrar  dentr*a  qud  speco 
Sena'  altra  compagnia  che  le  vostr'arme. 
E  quest'  ahno  signor  starà  qui  fuori , 
Fin  che  s'adempia  il  bel  vostro  desire. 

Cosi  diss'  egli ,  e  prese  una  gran  chiave 
Ch'avea  da  canto,  e  disserrò  la  porU 
D*  una  profonda  e  paventosa  bucca , 
Tal  che  '1  baron  senti  rizzarsi  i  peli 
Per  la  persona  a  qudl'  orribil  vista. 
Pur  entrò  dentro,  e  la  ferrata  porta 
Per  sé  medesma  se  gli  chiuse  dietro  : 
Onde  restò  nel  cuor  tutto  confuso. 
Ma  1*  angdo ,  che  stava  ad  aspettarlo 
Ne  la  spelonca ,  gli  toccò  la  testa 
Con  una  verga  che  teneva  in  mano  ; 
Ond'  d  fu  preso  da  profondo  sonno , 
E  cadde  in  terra ,  come  fosse  morto. 
Dappoi  lo  tolse  leggermente  in  bracdo, 
E  lo  portò  sopra  un  erboso  colle 
D' un  più  meraviglioso  e  lieto  mondo. 
Questo  è  la  facda  del  Signore  etemo. 
In  cui  descritte  son  tutte  le  cose. 
Che  son ,  che  furo ,  e  che  dovran  venire  ; 
Ma  non  la  può ,  se  non  per  grazia  estrema. 
Veder  uom  vivo  ;  e  con  tal  grazia  ancora 
Non  gli  si  mostra  mal  ne  la  sua  forma. 

Ma  voi ,  che  avete  in  del  divino  albergo. 
Eterne  Muse ,  or  mi  donate  aluto , 
Si  eh'  io  possa  narrar  qual  ei  là  vide. 

Quei  colle  avea  dal  suo  sinistro  canto 
Un  specchio  grande ,  assai  maggior  che'l 
Ov'  eran  tutte  le  passate  cose.        [sole, 
E  poi  dal  destro  ne  teneva  un  altro, 
Ch'  avea  dipinto  In  sé  tutto  'I  futuro. 
E  per  quel  colle  ogni  presente  effetto, 
Ch'  usciva  fuor  del  destro  albergo,  andava 
Correndo  a  l'altro  con  mlrabil  fuga. 
Ma  questi  sono  a  Dio  tutti  un  sol  specchio 
Se  ben  paion  diversi  a  noi  mortali. 
Or  quivi  adunque  In  un  erboso  prato 
L' angd  depose  Belisario  il  grande , 
Ov'era  allegra  l'ombra  di  Camillo 
Suo  padre,  usdta  dd  sinistro  cerchio, 
Per  dimorar  col  suo  flglluol  diletto. 
Ma  come  poi  Hi  smisurata  luce , 


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14  POEMI 

Gh*af«a  quel  loco,  aperse  gH  occhi  gravi 
n  BeUsarìo ,  e  gH  disclolsc  il  sonno , 
Conobbe  U  padre  ;  e  fattoseli  contra 
^r  abbnMxiarìo ,  lacrimando  disse  : 

O  caro  padre  mio ,  quanto  m*  allegro 
Vedervi  In  questi  fortunati  alberghi , 
Dopo  tante  fatiche  e  tand  alfonni  I 

Goal  dlcea  piangendo  e  sospirando; 
Spot  voleva  chncondarU  il  collo 
Con  le  sue  braccia  ;  ma  quell*  ombra  Hev« 
Si  risolveva,  come  fa  una  spera 
Di  sole,  o  come  una  compressa  nebbia; 
Tal  che  le  braccia  non  strhigevan  nulla. 
Ed  ti  piangea  dicendo  :  Ah  non  fuggite, 
Lasclat^ni  abbracciar  si  care  membra. 

Dopo  queste  accoglienze,  il  buon  Ca- 
Guardava  iso  Belisario  in  volto,  [millo 
Gom'  uom  che  vede  tutto  il  suo  contento  ; 
Poi  dolcemente  sospirando,  disse  : 

Diletto  mio  flgliuol,  che  grave  soma 
T  ha  posto  adosso  il  correttor  del  mondo  7 
Guarda  ben ,  che  sott*  essa  non  trabocchi  ; 
Aedo  che  poi  qualche  fortuna  avversa 
Non  t'adombrasse  le  vittorie  avute. 

L' angelo  Erminio  allor  seguì  dicendo  : 

Dunque,  Camillo  mio,  perch'ei  non 
caschi 
Ne  l'error  che  tu  temi ,  lo  vo*  mestrarii 
Quest'onorato  specchio  da  man  destra, 
Ch'  ha  in  sé  raccolto  tutto  l'avvenire; 
Qie'l  Re  del  del  m' ha  detto,  eh' iogUmo- 
Le  cose  che  verran  in'a  mill'annl,  [stri 
E  ch'Io  non  debbia  trapassar  quel  segno. 
Ma  perchè  meglio  lo  comprenda,  e  noti, 
Fla  buon  che  porga  una  leggera  occhiaU 
Nel  specchio  a  mao  sinistra  dd  passato. 

E  cosi  detto,  gU  disdolse  U  velo 
Che  l' Incarco  d'Adamo  intorno  gli  occhi 
GU  aveva  involto  ;  e  poi  gli  disse  :  Ormira 
L'anime  ch'escon  da  la  destra  sfera , 
E  sene  van  correndo  a  la  sinistra 
Per  quesu  nostra  commutabO  parte. 
QuesU  son  quel,  che  vengono  a  la  vita, 
E  prendono  un  boceon  per  dasom  vaio 
De  1  dui,  che  soo  ne'  lati  de  la  porta, 
L' un  pien  di  dolce,  e  r  altro  pien  d*  amvo. 
Tenuti  saldi  Ui  man  da  dui  dooadli  ; 
Né  ponno  a  vita  andar  sema  gustarne. 
Mira  colui,  che  toi  dal  destro  vaso 
U  boceon  primo  di  dolcezza  immensa. 
Poi  si  rivolge  eoo  diletto  a  l'altro. 
Perchè  lo  crede  parimente  dolce; 
E  pigliane  un  boceon  maggior  del  primo 


EROICI. 
Ma  trova  questo  esser  sì  forte  amaro , 
Cb'  a  pena  a  mal  suo  grado  può  giottirlo. 
Vedi  queU*  altro ,  che  'I  boceon  primiero 
Tol  da  l'amaro  del  secondo  vaso, 
E  poi  si  volge  timoroso  a  l' altro. 
Perchè  lo  crede  parimente  amaro; 
Onde  piglia  un  boceon  minor  che  '1  primo. 
Dal  vaso  del  doldssimo  liquore. 
E  però  awien ,  che  quesU  vita  umana  [ce. 
Sempre  ha  l'amaro  suo  maggior,  che  1  dol- 
Qud  giovhietto  poscia ,  e  quella  donna 
Che  dopo  11  manducar  gli  porgon  bere; 
L' uno  è  l' Errore,  e  l' altra  è  l' Ignoranza. 
Guarda  quelle  lascive  meretrid , 
Varie  di  veste  e  d*  apparenzla  vaga , 
Che  vanno  Intorno  a  I  giovinetti  incauti , 
E  cercano  d'Indurii  al  loro  amore  : 
Queste  son  le  diverse  opinioni, 
E  le  diverse  voluttati  umane. 
Che  reggono  la  vita  de  le  genti; 
Mira,  ch'alcuna  guida  1  loro  amanti 
A  dritto  calle,  e  V altre  1  soorgon  poi 
A  mal  cammino,  e  predplzlo  orrendo. 
Quelle  tre  belle  giovinette  ignudo. 
Che  due  di  loro  a  noi  mostrano  H  volto. 
Ma  quella,  eh'  è  nd  mezzo,  e  tlen  le  braccia 
Sul  petto  a  r  altre,  volge  in  qua  le  spalle, 
Per  non  mirare  tt  benefido  fatto , 
Poi  che  quel!'  altre  due  con  vista  allegra 
Risguardan  «empre  al  ricevuto  bene  : 
Queste  son  le  tre  Grazie ,  il  cui  bd  nodo 
Confennaelega  il  buon  commerdo  umano 
Vedi  una  donna  là  sopra  un  gran  sasso 
Quadrato,  e  sodo ,  quella  è  la  Dottrina  : 
E  l'altre  due,  che  poi  le  stanno  a  canto 
Son  sue  figliuole,  e  si  dimanda  l'nna 
La  Veritade  e  la  Ragione  è  l'altra. 
Quella  ch'è  deca  là  sopra  una  palla 
Rotonda,  e  che  non  posa,  è  la  Fortuna, 
Male  tre  vecchie  poi ,  che  Insieme  stanno, 
E  l'nna  tlen  la  rocca,  e  l'altra  il  fuso. 
La  terza  il  stame  tronca,  son  le  Parche, 
Che  filano  le  rite  de  1  mortalL 
Quella  che  è  d  superba,  è  la  BeDeoa; 
L'altra  è  U  NobilU,  l'altra  la  Gloria; 
E  l'altra  è  la  Ricchezza,  che  non  cura 
Infamia  ed  o<tto,  e  di  sé  stessa  gode. 
Qud  fandulletto  è  U  Riso  ch'è  sì  aUegro; 
Quell'altro  è  'i  Giuoco  poi  che  con  hii 

scherza. 
Vedi  due  belle  donne,  e  dui  fondulH, 
Che  l' una  guarda  il  del ,  l'altra  la  terra  ; 
QueUe  son  le  due  Veneri,  e  gli  Amori^ 


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ITALIA  UffiRATA. 


Gdestf  r  ODI ,  e  r  va  :  ftt  adtrì  del  Tolgo. 
Qudia  che  è  n,  totU  Testita  a  Toxle, 
E  uni  wm  gii  aUnndooa ,  è  la  Sperania  : 
E  quello  è  il  Sonno  neghlUoeo  e  lento. 
La  donna  poi ,  che  so  quell'  alto  teogllo 
Siede  gioconda ,  e  tiene  il  scettro  lo  mano, 
t  la  FeUdtà ,  cbe  Toi  BortaU 
Cercate  sempre,  e  mai  non  la  trofate. 
E  «pielle  damigdle ,  cb*  tri  intorno 
Stanno  al  servigio  suo,  son  le  VirtotL 
Rifolu  gH  occhi  a  la  sinistra  parte. 
Mira  ((Bell'altre  sanguinose  e  crude 
Donne ,  che  pakm  si  feroci  In  Tista; 
L' una  è  la  Guerra  e  r  ahraè  la  Vendetta. 
Vedi  la  Povertà ,  conosd  il  Pianto  ; 
E  la  Piena  pia  iera  assai  die  un  drago. 
Conosci  l' AyariiU  e  la  Yecchieiza, 
E  la  Fame  e  1  Fastidio  e  U  Padca, 
La  Discordia,  1*  AflbMno  e '1  Tradimento, 
E  FempU  Ingnititudhie ,  eh'  è  sola 
Causa  e  radice  d'  faiflniti  maU. 
OiBDè!  non  dimorlam  più  lungamente 
Fra  queste  orrende  e  venenose  serpi. 
Andiamo ,  an<&nio  a  la  sinistra  sfera. 
Che  ha  le  cose  passate;  entriamo  in  essa. 
Per  starvi  un  poco,  e  poscia  andar  ne  l'at- 
Cori  parlando  l'angelo, menoHI  [tra. 
Con  gran  celerità  nel  manco  albergo. 
Quella  amplissima  sfera  avea  tre  porte , 
La  maggior  de  le  quali  era  guardata 
Da  le  figliuole  de  l' antico  Cadmo  ; 
Queste  aveano  con  seco  il  bel  Poema , 
E  la  gentile  Istoria  sua  consorte , 
Con  altre  molte  generose  ancelle. 
L'altre  due  porte  poi ,  eh'  eran  minori , 
V  una  tenea  la  Favola  per  guardia , 
L' altra  la  Statuaria  e  la  Pittura; 
Ma  quello  etemo  messaggler  del  delo 
Gli  fece  intrar  per  la  primiera  porta, 
De  le  brunette  giovani  Fenid. 
Come  tur  dentro ,  videro  un  gran  mondo. 
Con  frfà  bd  lume  assai  che  1  nostro  Sole; 
Con  altra  Luna  e  con  più  chiare  st^e. 
Eranvi  prad ,  con  fontane  e  rivi, 
E  ti  cari  arbttacd,d  vaghi  firutti, 
Ch'  era  dHettocstremo  a  riguardarlL 
Bdlsarfo  stupì  di  qndla  vista; 
E  rivolgendo  gli  oodil  hi  ogni  parte. 
Vide  a  man  destra  un  bd  fiorito  colle. 
Ne  la  cui  dmn  era  una  vaga  fonte , 
Con  pia  chlar*  acqua ,  e  di  piò  larga  vena. 
Ch'aere  eonvoiso mai  mostrasse  al  sole. 
Quiil  «I  bd  ^eeehlo  oonfaitonsa  chioma^ 


E  con  barba  canuta,  ed  occhi  oscuri , 
L' aveva  in  guardia ,  e  dispensava  a  tutti 
n  buon  liquor  de  1*  onorato  monte. 
Allora  nacque  un  desiderio  immenso 
A  Belisario  di  saper  chi  egli  era, 
E  dimandonne  a  V  angelo  In  tal  modo  : 

Vero  amico  di  Dio ,  celeste  messo , 
Non  vi  sia  grave  dir ,  chi  sia  quel  vecchio 
Che  dispensa  tant'  acqua  ;  e  quella  gente 
Che  dtibonda  va  d*  intomo  al  colle. 

A  cui  rispose  il  messaggler  dd  delo  : 

Quello  è  *1  dirin  da  voi  chiamato  Omero, 
Che  parve  deco  al  mondo  ;  ma  più  vide, 
E  seppe  più  ch'altr'uom  che  fosse  in  terra , 
Per  la  cui  patria  ancora  Atene  e  Smirna; 
E  cinque  altre  dttà  fanno  contesa. 
E  le  donne  leggiadre,  che  d'intorno 
Gli  stanno  e  per  ancelle ,  e  per  mhilstre , 
Son  le  da  voi  si  celebrate  Muse , 
Figlie  de  la  Memoria  e  de  l' Ingegno. 
Qud  che  tol  l' acqua  con  si  largo  vaso 
Dd  sacro  vecchio,  è  il  buon  Virgilio  vostro. 
Che  seguì  primaSIracnsa ,  ed  Ascra , 
Per  selve  e  campi ,  e  poi  divenne  al'  arme. 
Ec6o  Euripide  e  Sofode ,  ecco  II  Calvo , 
Che  parve  pietra  a  quel  volantcuccello  ; 
Onde  lasdovri  Ir  la  testuggin  sopra. 
Per  lei  q)ezzare  e  lui  condusse  a  morte. 
Vedi  con  lor  Pacuvlo ,  ed  Axzio  ;  e  Varo, 
Fra  la  non  molta  tragica  caterva. 
Mire  queir  dtra  gente ,  che  ridendo 
Pipano r  acqua  ;  Il  primo  èli  gran Menan* 
Poi  Filemo ,  Aristofane  e  Cratino ,  [dro , 
Cedilo  grave,  con  Terenzio  e  Plauto. 
Risguarda  poi  la  lirica  famìglia , 
Pindaro ,  Saffo ,  Anacreonte ,  Alceo , 
CatuHo  il  dotto ,  e  posda  Orazio  e  Basso. 
Volgi  la  vtsU  a  la  Elegia ,  che  mena 
Al  dolce  ber  Cdìlmaco ,  e  Fileta, 
E  Properzio ,  e  Tibullo ,  Oridio  e  Gallo. 
L' Egloga  il  suo  Teocrito  conduce , 
Senza  nuli'  altro  Greco  ;  e  l'accompagna 
Il  vostro  Mantovan  da  lunge  alquanto. 

Già  ponea  fine  al  suo  parlare  accorto 
L' angel  di  Dio ,  quando  '1  baron  gH  disse  ? 

Deh  grave  non  vi  sia ,  edeste  messo , 
Di  nominard  ancor  quella  beli'  ombre , 
Che  par  d  dotta,  ed  halacosdad'oro; 
E  di  quegli  altri  che  gli  stanno  intorno. 

A  cui- rispose  O  messaggier  del  cielo  : 

Questi  è  il  dotto  Pitagora  da  Sarao, 
Queir  dtro  è  Archita ,  e  quello  è  quel ,  ch« 
Nom^  per  savio  l' apoDinea  voce ,    [solo 


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36  POEMI 

Socrate,  eh*  ebbe  sì  ritrosa  moglie, 
E  fu  il  primo  inventor  de  ia  morale. 
L' altro  è  •!  divin  Platone,  e  quel  oh*  è  seco, 
£  il  gran  speculator  de  la  natura, 
Onde  i  Peripatetici  ebber  orto. 
E  quello  è  Zenofonte  attica  musa. 
Vedi  il  buon  Epicuro  e  i  duri  stoici , 
Glie  Tolean  fare  ogni  peccato  eguale  : 
E  Diogene  Cinico  e  Arlstippo, 
Molto  contrari  ne  le  sette  loro. 
Ecco  Nigidio  Figulo  e  Varrone, 
Fra  quella  turba  italica  sì  rara. 
Volgi  la  vista  un  poco  a  1*  altra  parte , 
Vedi  Ippocrate  medico  eccellente , 
Con  quello  eccellentissimo  Galeno, 
Che  vinse  ognun  d*  esperienza ,  e  d*arte. 
Vedi  Oribasio  e  Paulo ,  che  *1  seconda. 
E  fra  i  Latini  Antonio  Musa  e  Celso. 
Risguarda  alquanto  quelli  acuti  ingegni 
Euclide  e  Tolomeo ,  con  quel  da  Perga , 
Che  la  materia  conica  pertratta , 
Con  le  sue  sezion ,  che  sono  II  cerchio , 
E  r  elipsi  e  l' iperbole ,  con  l' altra , 
Che  sola  è  differente  dal  cilindro. 
Ma  dove  lasciam  noi  le  chiare  trombe 
Demostene  ed  Eschin  ?  guarda  più  in  alto , 
Che  gli  vedrai  contendere ,  ed  urtarsi , 
Presso  a  V  antico  Isocrate  e  Lisia. 
Vedi  quel  Marco  Tullio  fra  i  Romani , 
Che  fu  la  idea  de  V  eloquenzia  vostra. 
Vedi  Messalla,  vedi  II  buon  Sulpizio, 
Antonio  e  Crasso  fra  V  immensa  turba 
Di  tanti  degni  spiriti  eloquenti. 
Non  vo*  lasciar  gì*  istorici  da  canto; 
Quel  vecchio ,  ciie  si  sta  fra  quelle  Ninfe , 
Erodoto  è,  Tucidide  è  quell'altro. 
Che  con  lui  giostra ,  e  *1  buon  Polibio  è  'i 
Vedi  Salustio  e  Cesare ,  che  vanno  [terzo  ; 
Imianzi  a  Livio ,  ond*  ei  gU  guarda  torti. 
Vedi  Plutarco  e  Plinio ,  e  quelli  acuti 
Grammatici ,  Apolionh)  e  Prisciano. 
Ma  non  star  più ,  baron,  fra  tanti  ingegni  ; 
Che  chi  volesse  risguardarli  tutti , 
Mon  si  potria  mirar  nuli'  altra  cosa  ; 
Bastiti  avere  i  più  famosi  udito. 
Però  volgiamci  a  quei  eh'  ebl>er  possanza 
Maggiore,  e  fur  più  cari  a  la  Fortuna , 
Dicea  l'angel  di  Dio;  d' indi  menollo 
Ov*  eraii  duchi,  Impcradori  e  regi, 
Tutti  divisi  In  tre  vallette  amene. 
E  come  giunse  ne  la  prima  valle, 
61  volse  lieto  a  Belisario ,  e  disse  : 
Qui  fi  dimoran  l' ombre  di  coloro, 


EROia. 
Ch'  ebbero  1  regni  gloriosi  in  terra. 
Guarda  colui,  eh' a  pena  si  discerne, 
Tant'  è  lontan  ;  quello  è  1'  anUquo  Nino , 
Ch'  ebbe  ne  l'Asia  sì  famoso  impero  : 
E  la  sua  moglie  Babilonia  cinse 
Di  mura  laterizie  con  bitume. 
Quel ,  che  da  gii  altri  è  separato  alquanto^ 
È  Moisè,  il  qual  per  volontà  divina 
Condusse  ii  popol  suo  fuor  de  l'Egitto; 
E  quello  è  David  re ,  che  cantò  i  Salmi , 
Che  son  da  voi  sì  frequenuti  e  letti  ;  [pio. 
Quell'  altro  è  Salomon ,  che  fé'  11  gran  tem« 
Rivolta  gli  occhi  ov'  è  quella  gran  luce, 
Vedi  Agamennon  re  degli  altri  regi , 
Che  andaro  a  Troia  ;  e  Menelao  suo  frate . 
Quell'altro  è  Achille,  che  ne  l'aspre  guerre 
Non  si  potea  né  vincer,  né  ferire. 
Vedi  Diomede ,  Aiace,  Idomeneo, 
Nestor,  Ulisse  e  Slenelo,  con  gli  altri 
Che  stcr  dieci  anni  intomo  a  quelle  mura. 
Da  l'altra  parte  é  Priamo  ed  Alessandro, 
Ed  Ettor,  quasi  inespugnabil  torre 
De  la  sua  patria ,  col  figliuol  d' Anchise , 
E  con  Polidamante ,  ed  altri  molti , 
Che  la  difeser  quel  sì  lungo  tempo. 
Dopo  costor  mira  11  figliuol  di  Marte 
Romulo ,  questi  die  l' inizio  e  'I  nome 
A  la  città ,  che  ha  dominato  11  mondo; 
A  la  città ,  che  la  sua  gloria  innalza 
Fin  al  supremo  cerchio  de  le  stelle  ; 
Ed  ebbe  sotto  11  suo  divino  impero 
Ciò  che  '1  elei  copre  e  che  circonda  11  mare. 
Vedi  dietro  a  costui  Pompilio  eTullo    [tro 
Sedere ,  e  Marzio,  e  l' un  Tarquinio  e  l' al- 
Che  '1  sangue  di  Lucrezia  indi  l'espulse. 
Mira  quel  re ,  ch*  ha  sì  l>enigno  aspetto  ; 
Quello  é  il  gran  Perso,  nominato  Ciro, 
Padre  de  la  milizia  e  de  1  soldati  ; 
Da  la  cui  vita  ancor  si  tol  la  norma 
D*  acquistar  regni  e  governare  Impeij.  [de« 
Quel  ch*  é  si  ardito ,  fu  Alessandro  ilGran- 
Che  andò  vincendoli  mondo  fino  a  gl'Indi. 
Seleuco  e  Tolomeo  gli  vanno  dietro, 
Soldati  suoi ,  poi  re  de  i*Onente. 
Non  ti  vo* nominar  Cambis  e  Serse» 
E  Dario,  ed  altri  di  minor  virtute. 
Se  iHsn  fur  regi  sontuosi  e  grandi; 
Basti  11  notar  le  più  famose  teste. 
Vedi  dui  Macedonici  Filippi, 
Vedi  un  Demetrio  espugnator  di  terre. 
Quello  è  Pirro  EpiroU,  e  quello  è  ii  vec- 
Re  Masslnlssa,  e  poi  lugurta  e  Rocco,  [chlo 
Quei  sono  Antioco,  Mitridate  e  Perseo, 


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TtALlX 
Ch*  ebbero  al  loro  ardir  sì  dora  sorte. 
Goarda  color,  che  son  presso  a  l'entrata, 
Atila  il  erodo,  che  Aquileia  prese, 
Mosso  dal  dipartir  de  le  cicogne. 
Vedi  Alarico,  che  dopo  mill'annl 
E  cento,  e  più,  con  ingegnosa  fraudo 
Saccheggia  e  prende  la  città  di  Roma; 
E  poi  sepolto  fia  presso  a  Cossenza 
Sotto  M  gran  letto  del  corrente  fiume. 
Dopo  costui  Giserico  a  tal  preda 
Corre  chiamato  da  1*  irata  Eudossa 
E  spoglia  Roma  con  rapina  immensa. 
Vedi  poi  Teodorico,  che  in  Ravenna 
Con  fraudo  uccide  il  perfido  Odoacro; 
D' hidi  governa  ben  r  Italia  afflitta. 
E  quel  che  gli  vien  dietro ,  è  suo  nipote 
Teodato  re ,  che  qui  scn  Yen*  lersera , 
Deposto  del  suo  regno ,  e  poscia  estinto. 
Come  fu  nota  1*  ombra  di  Teodato 
A  Belisario,  in  lei  guardando,  disse  : 

0  mal  felice  re ,  quanto  era  meglio 
A  non  mandar  la  tua  cugina  a  morte , 
E  servar  fede  ai  correttor  del  mondo  ! 
Perchè  del  mal  non  suole  uscir  mai  bene. 

Cosi  diss*  egli  ;  a  cui  rispose  V  ombra  : 

Ognun  dopo  1*  error  diventa  saggio , 
Se  la  fortuna  al  suo  pensier  ribella. 
Cosi  face*  io ,  cosi  farà  colui , 
Che  mi  fece  ire  anz'  il  mio  tempo  a  morte, 
Quando  sarà  prigion  ne  le  tue  mani. 

E  detto  questo ,  subito  si  tacque. 
Allora  Tangel  glorioso  disse  : 

Non  è  da  star  più  tempo  in  questa  valle. 
Andiamo  a  Y  altra ,  ove  V  imperio  slede , 
Che  solca  tutto  governare  il  mondo. 

Così  parlando,  se  n*entraro  in  essa. 
Pc^  1*  angel  seguitò  :  Guarda  queir  ombra. 
Che  par  si  ardente  e  sì  feroce  in  vista. 
Quello  è*l  gran  ditutor,  che  vinse  i  Galli, 
E  poi  ruppe  in  Tessalia  il  gran  Pompeo  ; 
E  si  fé'  serva  la  città  di  Roma , 
Che  Tavea  generato,  ond'  ei  fu  morto 
Da  i  veri  amici  de  la  patria  loro. 
Colui ,  che  *1  siegue ,  è  il  fortunato  Augu- 
Che  fece  dirsi  imperador  del  mondo,  [sto. 
Quando  ebbe  vinto  Marcantonio  in  mare , 
Con  la  regina  del  secondo  Egitto; 
E  chiuse  il  tempio  del  bifronte  Giano. 
Non  rìsguardar  Tiberio ,  e  Calo  e  Claudio , 
Ch'  imperar  dopo  lui ,  né  il  fier  Nerone , 
Né  Galba ,  ed  Oto ,  né  Vitellio  il  grasso , 
Che  non  fur  degni  di  sì  gran  fortuna. 
Guarda  Vespaslao ,  col  figlio  Tito  ; 


LIBERATA.  37 

L' altro  non  già ,  ch*  ebbe  condegna  morte, 
Guarda  ancor  Nerva  e  l'ottimo  Traiano, 
Assunto  al  grande  imperio  fuor  di  Spagna , 
Di  Spagna  genitrice  de  la  gente. 
Più  vaga  de  l' onor  che  de  la  vita. 
Mira  Adriano  ed  Antonino  il  Pio, 
Principi  eccelsi ,  e  quel  mirabil  Marco , 
Di  cui  non  fu  già  mai  signore  in  terra 
Di  più  sant'  opre ,  e  di  maggior  virtute. 
Non  rìsguardare  il  suo  figliuolo  indegno 
Di  tanto  padre;  mira  Pertinace , 
E  lascia  GlulTan,  guarda  Severo; 
Ma  non  guardar  né  il  figlio ,  né  Macrino, 
N*  Eliogaballo  infamia  de  le  genti. 
Mira  il  buon  Alessandro ,  e  lascia  stare     - 
Massimino,  e  Balbino,  e  Pupleno, 
E  gì'  infelici  Gordiani ,  e  i  tristi 
Filippi ,  e  Decio ,  e  Gallo  e  Valeriano , 
Con  Galieno  suo  figlìuoi,  eh'  afilisse 
L*  imperio ,  e  fu  di  molta  ignavia  carco. 
E  guarda  Qaudio  poi  che  vinse  1  Goti , 
E  tanti  n*  uccideo ,  tanti  ne  prese , 
Che  empio  di  servi  ogni  provincia  vostra. 
Vedi  il  valente  Aureliano  in  arme. 
Che  Zenobia  menò  nel  suo  trionfo , 
E  mira  quello  eletto  dal  senato. 
Tacito ,  pien  d'  ogni  gentil  virtute. 
Guarda  il  gran  Probo,  ch*  acquistò  la  pace 
Universale  a  tutto  quanto  il  mondo  ; 
Onde  per  sdegno  I  pessimi  soldati , 
Che  la  guerra  volean ,  gli  dier  la  morte. 
Queir  altro  é  Caro  ;  e  quello  è  quel  buon 

prence 
Dioclezian ,  che  poi  che  *i  mondo  vinse, 
E  govemol  vent'  anni  in  tanta  altezza , 
Depose  giù  quell*  acquistato  impero  ; 
E  visse  poi  dieci  anni  in  bel  giardini 
Privatamente  là  presso  a  Salona; 
Né  volse  ripigliar  l' imperio  mai , 
Ben  che  di  ciò  ne  fosse  assai  pregato. 
Dopo  Masslmlan ,  Galerio  e  Cloro , 
E  Severo  e  Licinio,  che  nimico 
Fu  de  le  lettre ,  e  le  appellava  peste. 
Vien  il  gran  Costantino ,  il  qual  fu  il  primo 
Fautore  aperto  a  la  cristiana  fede , 
Questi  insuurò  Bisanzo,  e  fecel  tale, 
Che  concorrea  con  la  città  di  Roma; 
Ond'  or  Costantinopoli  si  cliiama. 
Quello  é  il  buon  Giullan ,  eh'  é  suo  nipote , 
E  fu  sì  amico  a  i  studj  de  le  Muse , 
Ma  non  a  Cristo ,  onde  fu  forse  esdnto. 
Non  risguardar  Gioviniano ,  e  mira 
Quel  Valentinlan  che  gli  vien  dietro 


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M  POEMI 

Con  Vaiente  suo  frate ,  e  col  figlfoolo 
Nomato  Grattano,  e  col  nipote, 
Cb'  imitò  1'  a?o  suo  se  non  col  nome. 
Quello  è  Teodosio  poi ,  che  '1  mondo  parte 
Ad  Onorio ,  ed  Ancadio  suoi  figliuoli , 
Onde  ne  seguitò  A  gran  mina 
A  l'onorato  imperio  del  Ponente; 
Che  Roma  fu  veduta  andare  a  sacco 
Dal  fiero  inganno  de  la  gente  gota. 
Poi  Valentiman ,  eh*  Aezio  estinse 
Lascia ,  ed  Avito ,  e  Malorano ,  ed  anco 
Severlano ,  Antemio ,  e  poi  Liiierìo , 
E  Glicerio ,  e  Nepote ,  e  quello  Augusto , 
In  cui  finì  l' imperio  d'Occidente; 
Perciò  che  1  re  de  gli  Eruli  il  depose  ; 
E  dopo  lui  vacò  quella  gran  sede , 
E  vacherà ,  se  ben  tu  la  racquisU. 
Da  r  altra  parte  è  Marziano ,  e  Leo, 
Mira,  e  Zenone  Isauro,  che  fu  vivo 
Da  la  moglie  sepolto;  e  dopo  lui 
Vedi  Anastagio  fulminato  In  terra, 
Quand*  ebbe  gli  anni  prossimi  a  nonanta  ; 
Gostor  l'imperio  avean  de  l'Oriente. 

Allora  il  capitan  rivolse  gli  occhi , 
E  visto  che  Giustin  dopo  Nastagio 
Sedea  ne  l' alto  e  glorioso  seggio , 
Corse  divoto  ad  abbracciarli  1  piedi , 
Per  onorar  1'  antiquo  suo  signore  ; 
Ma  nulla  strinse ,  onde  sorrise  l' ombra , 
E  disse  :  Belisario  mio  gentile , 
Onel  che  ti  mena  In  questa  nostra  sfera , 
Ti  dovea  dir ,  che  cosi  fatti  offici 
Mai  non  si  fan  tra  l' alme  de  i  defonti  ; 
Perchè  slam  tutti  in  questi  luoghi  eguali. 
Vattene  pur  al  dritto  tuo  viaggio  ; 
E  se  ritorni  su,  narra  al  mio  fig^o. 
Che  si  prepara  a  lui  quell'  ampia  sede. 
Che  vedi  là,  si  gloriosa  ed  alta. 
Quanto  alcun'  altra  de  la  nostra  valle. 

Cosi  disse  Giustino;  e'I  capitano 
Già  volea  fare  a  lui  lunga  risposta , 
Quando  l'angel  di  Dio  disse  :  Barone, 
Non  star  a  consumar  parlando  il  tempo 
Con  r  ombre  lievi ,  bastiti  il  vederle. 

E  detto  questo ,  il  pose  ne  la  terza 
Valle,  che  aveva  ì  capitani  antichi  : 
E  gli  mostrò  Temistocle ,  che  vinse 
Con  trecento  galee  tre  milla  navi 
Nel  stretto,  che  è  vicino  a  Salamina, 
E  Milziade,  e  Fin  vitto  Epaminonda, 
Alcibiade   e  Gillppo,  e  Agesilao, 
Traslbulo,  Lisandro  e  Timoteo, 
Con  molti  e  molti  valorosi  Greci. 


EROICT. 
D' Indi  rivolto  al  gran  popol  di  Marte, 
Mostrolli  i  dui  Seipioni ,  e  '1  buon  Camillo, 
li  gran  Pompelo ,  e  il  fortunato  Siila , 
Marcello,  Mario,  Paulo  Emilio  e  Fabio, 
E  Metello  Numidico  e  LucuOo, 
E  quei  di  libertà  sì  grandi  amici 
Fabrizio ,  Declo ,  Cato ,  Cassio  e  Bruto  ; 
Con  tanti  capitan  d'una  sol  terra. 
Quanti  di  tutti  e  popoli  del  mondo. 
Poi  fra  i  Cartaginesi  dimostrolll 
Annibale  eh'  andava  innanzi  a  gii  altri , 
E  '1  suo  destr'  occhio  avea  privo  di  luce, 
Ed  era  seco  Amilcare  suo  padre , 
Cognominato  Barca,  onde  fur  poi 
Detti  1  Barchini  ,e  Barchlnona  in  Spagna. 
Poi  seguitando,  disse  a  lui  rivolto  : 
Vedi  anch'  Aezio ,  eh'  Atila  sconfisse 
Ne'  campi  cateiaunicl ,  e  se  questi 
Da  l' ingrato  signor  non  era  estinto , 
Atila  mai  non  vi  facea  quel  danni. 
Ve'  Bonifacio,  ed  Aspare  che  puote. 
Far  altri  Imperador ,  ma  non  sé  stesso  ; 
Perciò  eh'  era  ariano ,  e  quella  setta 
Era  in  quel  tempo  da  l' imperio  esclusa. 
Qui ,  Belisario  mio ,  sarà  il  tuo  nido , 
Poi  eh'  arai  vinta  l' Africa  e  l' Europa , 
E  consertata  l'Asia  al  grand'  impero. 
Avendo  appresso  te  dui  re  prigioni , 
E  dui  notabilissimi  trionfi. 
Come  s' avviva  al  sospirar  de'  venti 
Carbone  acceso ,  o  quasi  estinta  fiamma , 
Cotal  divenne  Belisario  in  fronte 
Al  dolce  suon  del  destinato  onore. 
Né  men  fu  lieta  1'  alma  di  Camillo , 
Vedendo  al  suo  figliuol  tà  degno  albergo. 
Ma  tempo  è  che  si  vada  a  l' altra  sfera , 
Disse  queir  angel  glorioso  e  santo. 
Sì  che  non  guardar  più  quei  sacerdoti , 
Né  quei  eh'  han  sparso  per  la  patria  il  san- 
Né  i  conditor  de  le  ben  poste  leggi ,  [gue , 
Né  gli  ottim'  inventor  de  1'  util  arti. 

E  detto  questo ,  usci  di  quel  gran  loco , 
E  s'avviò  per  gire  al  destro  cerchio 
Con  Belisario  e  l' ombra  di  Camillo. 
Quei  cerchio  avea  sei  porte,  onde  s'intrava 
Al  contemplar  de  le  future  cose. 
La  prima  avea  la  Profezia  per  guardia, 
E  la  seconda  li  Sogno,  e  la  Mania 
Tenea  la  terza,  e  poi  l'Astrologia; 
Ma  la  Negromanzia  reggea  la  quinta. 
La  sesta  era  in  custodia  de  le  Sorti. 
L' angelo  Erminio  poi  menò  1  baroni 
Per  quella  porta  che  guardava  11  Sógno  ; 


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ITALIA  LIBERATA. 


C  éamt  foron  ne  la  destra  sfera, 
TrofVOB  l'aere  nebuloso  e  bruno, 
Siaile  a  quel  eh*  al  ghmger  de  la  notte 
Si  sparge  In  del  con  ToscuraU  Luna. 
Però  ^  dbae  U  measaggler  divino  : 

Gapitanto  gentil.  Tolgi  la  tìsU, 
E  ben  aflaa  gH  occhi  In  quella  gente, 
Ohe  siede  tattorao  ad  una  gran  dttade , 
B  tenta  nfllenMxfi  per  pigliarla; 
MaqaelbaroB,  che  è  dentro,  la  difende; 
Onde  s' adopn  ogni  lor  Dona  indamo, 
Guarda  se  ti  eonosd  esser  colui , 
Che  la  difende;  e  se  conosci  Roma, 
E  gH  aspri  Goti  che  gli  stanno  intomo, 
PIÙ  nonerosi ,  che  non  è  l' arena 
Kf' Baritdmi  liti ,  o  I  pead  In  l' onde. 
Qnivl  darsnti  assai  fadche  e  danni; 
Ma  goarda  un  poco  In  là  che  tu  gli  cacd 
Cea  fitnperio  lor  fin  a  Ravenna. 
Mira  poi,  che  Ravenna  ancor  si  rende, 
Dopo  quelle  vittorie,  a  le  tu  mani; 
E  Meni  U  re  prìgioQ  dentr*  a  Bisenso, 
CosL  tanta  preda  e  tanta  gloria  teco, 
Qnant'  avesse  oom  già  mai  che  fosse  al 
Allara  U  capitanio  alzò  le  mani ,    [mondo. 
E  fjKk  occhi  al  delo,  e  sospirando  disse  : 
Quanto  vi  dei>bo ,  o  Prowidensa  etema, 
Qi*  apparecchiate  a  le  firtkhe  nostre 
Qgesto  si  caro  e  glorioso  pregio  I 
M  rangel  sMto  seguitò  '1  suo  dire  : 
Mira  color  che  restano  al  governo 
D'Italia  dopo  te,  come  son  lenti 
A  riparare  a  la  surgente  fiamma; 
Onde  i  rimedj  lor  saranno  indamo. 
Vedi  Aldibaldo  nuovo  re  de'  Goti 
Romper  ViteUio  là  presso  a  Trivigi  ; 
Vedi  poi  Bello,  eh'  Aldibaldo  uccide 
Per  lamogUè  d' Dr^  che  gU  fu  tolta.     » 
Ne  la  coi  sede  Alarico  vien  posto  : 
Ma  poscia  anch' egli  è  parimente  ucciso  ; 
Onde  Totihi  ascende  a  quell'  altezza. 
Mira  ancor  qui  la  presa  di  Verona 
Dal  valorooo  Artabazo ,  e  dappoi 
L' Ignavia  de  1  prefetti  die  la  perde. 
Vedi  poi  come  Totila  combatte 
Con  quei  Romani  là  presso  a  Faenza , 
E  tosto  i  rompe;  e  parimente  ancora 
Rompe  a  Fiorenza  le  romane  squadre. 
Poi  prende  Benevento,  e  manda  a  terra 
Le  mura;  e  pigila  i  Galabrì ,  e  i  Lucani , 
Edi  PngHesi  con  prestezza  immensa. 
Vince  Bemetrio  con  l' armata  in  mare, 
E  poida  H  prende,  e  col  capestro  al  collo 


A  le  mura  di  Napoli  il  conduce  ; 

Onde  la  terra  misera  si  rende  ; 

Ed  d  le  spiana  le  eminenti  mura. 

Poi  mette  assedio  a  la  dttà  di  Roma , 

Onde  V  imperador  ti  fa  tornarvi 

Con  poca,  e  poco  valorosa  gente, 

E  senza  alcun  favor  de  la  Fortuna; 

Che  '1  Re  del  dd  sarà  con  lui  sdegnato, 

Ch*  avendo  avuta  una  vittoria  tale, 

Qual  tu  gli  dai,  non  riconosce  averla 

Da  Dio ,  né  da  l' estreme  tue  fatiche  ; 

E  non  vi  rende  i  meritati  onori. 

E  però  non  potrai  donare  aiuto 

A  r  infelice  assediata  Roma  ; 

Onde  con  tradimento  ella  fia  presa 

Dal  orudo  re  digesto  di  spianarla. 

E  manda  i  muri  primamente  a  terra , 

Poi  vuol  distmgger  gli  edifid  tutti , 

Ma  per  lo  scrìver  tuo  gli  lascia  in  piedi« 

Ben  la  fa  vota  d' uomini  ;  onde  resta 

Quella  dttà  eh'  ha  dominato  il  mondo , 

Con  le  sue  case  desolate  ed  arse. 

Né  solamente  la  dttà  di  Roma 

Vedi  per  terra,  ma  l' Italia  tutta 

Veder  potrai  con  le  spianate  mura 

De  le  città  eh'  a  Totila  si  diero. 

Tu  ben  dappoi  li  sforzi  ancor  munire 

L' onorata  regina  de  le  terre , 

E  le  fai  ritornar  la  gente  dentro. 

Ma  poi  che  con  grand'  arte  1'  hai  munita. 

Quei  dispieUto  Totila  ritoma 

Con  r  esercito  suo  per  prcnderF  anco  ;    *■ 

Ma  nulla  fa ,  eh'  ella  è  da  te  difesa. 

Onde  senza  profitto  indi  si  parte 

Con  vergogna  e  con  danno  ;  e  qui  s'  ar>*e- 

Ch  'esser  potrebbe  alcuna  volta  vinto,  [de, 

Tu  poi  ti  parti  fuor  d' Italia ,  e  vai 

A  guardar  l'  Asia  dal  furor  del  Persi  ; 

Come  l' impone  11  correttor  del  mondo , 

Per  volontà  de  le  superne  rote. 

Ma  quando  poi  sarai  partito  quindi , 

Totila  plgiierà  1'  afflitta  Roma, 

Col  nuovo  tradimento  de  gf  Isauri  ; 

E  manderà  quei  dttadini  a  morte. 

Vedi  che  prende  Corsica  e  Sardegna , 

E  scorre  la  Sicilia ,  e  fa  gran  prede  ; 

Poi  divien  possessor  d*  Italia  tutta. 

Da  poche  terre  in  fuor  eh'  avean  gii  Esar- 

Onde  r  hnperador  placando  prima  [  dd* 

li  Signor  di  là  su ,  eh'  era  sdegnato , 

Manda  il  pradente  e  calttdo  Narsete 

Centra  questo  cradel ,  con  tanta  gente , 

Che  cuopre  tutta  la  campagna  d' arme; 


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40  POEMI 

E  quando  giunto  fia  ne  la  Toscana  « 
VerralU  il  crudo ToUla  a  1*  incontro, 
Con  tulio  quanto  il  fior  de'  suoi  soldati  ; 
Ivi  combatte ,  ivi  fia  rotto  e  vinto 
Totila,  ed  ivi  ancor  correndo  in  fuga. 
Vedi  che  Asbado  Gepido  il  ferisce , 
Onde  ne  more  ed  è  sepulto  a  Capra. 
E  vedi  poi  la  femmlnetu  gota. 
Che  mostra  il  loco ,  ove  sotterra  è  posto. 
Ecco  i  Romani  che  lo  traggon  fuori , 
E  veduto  che  V  han ,  Io  tornan  sotto  ; 
Vedi  che  *1  forte  Telo  a  lui  succede  ; 
Vedi  eh'  ucciso  è  là  presso  al  Vesevo, 
Mentre  che  piglia  In  braccio  il  terzo  scudo, 
Gb'  avea  cangiato  il  primo  e  poi  il  secondo 
In  quella  ferocissima  batUglia; 
Percb'  eran  pieni  di  saette  e  lance. 
Quello  è  '1  suo  capo  che  si  porta  intorno 
Sopra  queir  asta ,  e  si  dimostra  a  tutti. 
Né  però  i  Goti  lascian  la  batUglia, 
Per  esser  senza  re  ;  ma  si  combatte 
Fin  a  1*  oscuro  tempo  de  la  notte. 
11  di  seguente  si  combatte  ancora 
Infin  al  tardi  e  poi  si  viene  a  patti  ; 
Che  i  Goti  si  contcntan  di  lasciare 
Tutta  la  Italia  libera  a  i  Romani , 
E  passar  l' alpi  con  le  mogli  loro  ; 
Né  mai  per  tempo  alcun  venirgli  contra. 
Così  con  questi  patti  se  n'  andranno , 
E  passeranno  a  l' isola  di  Tuie  ; 
Onde  ara  fin  quella  terribll  guerra , 
*  Poi  che  durata  fia  presso  a  veni'  anni. 
A  quel  parlare  il  capitanio  eletto 
S' allegrò  tutto ,  e  sorridendo  disse  : 

Or  avverrà  quei  che  Procopio  espose 
Nel  primo  cominciar  di  questa  impresa  ; 
Quando  mirando  il  grand*  augurio,  disse  : 
Che  r  altro  drago  ancor  rimarria  morto 
Per  le  man  nostre ,  e  fia  1*  Italia  sciolta. 
Quel  drago  adunque  é  Totila ,  eh*  ucciso 
Sarà  per  la  vittoria  di  Narsete, 
Che  riporrà  l'Esperia  In  libertade. 
Così  diceva  il  figlio  di  Camillo  ; 
Onde  r  etemo  messaggier  del  cielo 
Con  la  fronte  asscnlilli ,  e  poi  seguettc  : 

Vedi ,  che  '1  grande  Giustiniano  arriva 
Al  fine ,  e  satisface  a  la  natura , 
Volando  al  del  con  le  purpuree  piume. 
Vedi  poi ,  clie  succede  al  grande  impero 
Giustino  e  la  bellissima  Sofia , 
E  rivocan  d' Italia  il  buon  Narsete  ; 
Poi  quella  donna  garrula  si  vanta, 
Qie  lo  farà  filar  tra  le  sue  serve  ; 


EROia. 
Ond'  ei  per  sdegno  ordisce  un*  aspra  teli 
Gol  fiero  Albino  re  de'  Longobardi. 
11  qual ,  come  Narsete  a  morte  giunga , 
Si  piglierà  l'Ausonia  intomo  al  Pado; 
Sì  che  r  ingratitudine  ancor  fia 
Nuova  cagion  che  Italia  si  mini. 
Ah  vizio  intollerabil  de  le  genti. 
Vizio,  che  mandi  a  terra  ogni  virtute; 
E  noci  al  mondo  più  d' ogni  altro  errore  ! 
Vedi  poi ,  come  il  scellerato  Albino 
Fa ,  che  Rosmonda  sua  consorte  beva 
Col  vaso  de  la  testa  di  suo  padre. 
Che  fia  da  lui  ne  la  battaglia  ucciso  ; 
Onde  la  donna  da  giust'  Ira  mossa 
Uccide  il  fiero  suo  marito,  e  fugge 
Con  Almachilde  poi  dentr'  a* Ravenna. 
Vedi  anco  come  dietro  al  bel  Giustino 
Siede  Tiberio ,  e  poi  Maurizio  e  Foca; 
E  d' indi  il  buon  Eraclio,  che  sconfisse, 
Corrode ,  ed  arde  Persia ,  e  ne  riporta 
Un  gran  trionfo  con  la  croce  avanti  ; 
La  fiamma  là,  che  ne  l' Arabia  nasce , 
E  eh'  arde  l' Asia  e  l' Africa ,  e  trapassa 
In  mezzo  Europa ,  e  fagli  immensi  danni , 
Fia  di  Maumelto  ;  il  qual  con  nuova  setta , 
Che  Sergio  gli  darà ,  farà  adorarsi  ; 
E  fia  li  flagel  de  la  cristiana  fede. 
Vedi  la  stirpe ,  che  d' Eraclio  nasce , 
Governare  ottani' anni  il  grande  impero. 
Mira  Leonzo,  e  Absimiro, con  gli  altri 
Eletti  imperador  de  l' Oriente , 
Infino  al  tempo  de  ia  bella  Irene. 
Quivi  r  imperio  occidentale  ancora 
Ritorna  in  piedi,  e  si  riporta  In  Francia; 
Coronandosi  in  Roma  Carlo  Magno 
Da  Leon  papa ,  quando  ara  difesa 
La  Chiesa ,  e  preso  il  re  de'  LongoJMrdi , 
^Ch'  avean  tenuto  quasi  Italia  tutta 
In  dura  servitù  cento  e  cent*  anni. 
Vedi  r  imperio  d' Oriente  poscia 
Calare,  infin  che  Balduino  acquista 
La  famosa  città  di  Costantino; 
La  qual  il  Paleologo  poi  ripiglia. 
Avendo  ucciso  il  suo  pupillo,  e  tolto 
Al  successor  de  i  Lascari  l' impero, 
Che  poi  starà  ne  i'  onorata  stiip® 
De  i  Paleoioghi ,  d' uno  In  altro  er«de. 
Fin  che  Maumelto  gran  signor  de'  Turchi 
Prenda  Costantinopoli ,  e  mini 
La  casa  paleoioga;  perchè  ucciso 
Fia  Costantino  in  quel  confliUo  amaro,* 
Onde  ara  fin  l' imperio  d' Oriente. 
Come  udì  questo  il  capllanio  eccelso  « 


L 


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ITAUA 
MoQ  potoo  ritener  le  guance  asduue; 
Ma  fur  d'amare  lacrime  coperte. 
Per  la  pietà  del  miserabU  fine, 
Ch*  afer  doTea  quel  gloiloso  impero. 
Poi  segoitando,  Tangelo  gii  disse  : 

L'imperio  d'Occidente,  dopo  Carlo, 
Ari  tre  Lodorid ,  con  dui  Carli , 
Un  Lotario,  un  Arnolfo;  e  poi  si  parte 
Di  Francia ,  e  yien  condotto  in  Alemagna  ; 
E  dassi  ad  Otto  duca  di  Sassogna 
A  cui  succede  il  second*  Otto ,  e  *1  terzo. 
Questi  ritornerà  Gregorio  papa 
In  sede;  onde  elettori  al  grande  impero 
Dappoi  faransi  principi  germani. 
Tre  saran  sacri;  il  primo  fia  Cologna, 
Trereri  F  altro,  e  '1  Maguntino  è  *I  terzo. 
E  tre  soluti  ;  il  duca  di  Sassogna, 
Il  conte  Palatino  e  'I  Brandemburgo. 
Ha  se  fosser  discordi,  e  tre  per  parte. 
Allora  il  re,  che  la  Boemia  regge. 
Sari  fatto  elettore ,  e  potrà  dare 
A  qual  parte  Torri  vittoria  certa. 
Ad  Otto  terzo  siegue  Arrigo  primo, 
E  poi  Currado ,  e  po'  il  secondo  Arrigo , 
Poi  Tiene  il  terzo ,  si  ne  l'arme  fiero , 
Che  combatteo  sessantadue  battaglie. 
A  cui  segui U  il  quarto  e  poi  Lotario, 
E  Currado  secondo,  e  Federico, 
Che  da  la  rossa  barba  ebbe  il  cognome. 
Principe  eletto  e  di  virtù  suprema. 
Dietro  a  lui  siede  Arrigo  e  poi  Filippo, 
Ed  Otto  quarto;  a  cai  siegue  li  secondo 
Federico  gentil,  pien  d'ogni  loda. 
Simile  a  1*  avo  di  pnidenzia,  e  d'arme, 
Ma  più  fautor  d*  Italia  e  de  le  Muse. 
Poi  Tien  la  casa  d' Austria  al  grande  impe- 
La  casa  d'Austria ,  Tcramenle  capo    [ro  ; 
De  r  altre  case  che  mai  furo  al  mondo; 
Madre  di  unti  imperadori  e  duchi , 
E  re,  d' ogni  gentil  virtute adorni. 
Il  primo  d' essa ,  eh'  a  V  imperio  ascenda, 
Sari  il  conte  Rodolfo ,  che  combatte 
Con  Ottachiero,  e  vincelo,  e  1'  uccide; 
Poi  Tince  il  falso  Federico,  e  l' arde. 
Dietro  a  costui ,  ne  l' alto  imperio  siede 
Alberto  suo  figliuol ,  che  rompe  e  \  ince 
Adolfo  d' Esia ,  e  fallo  andare  a  morte. 
Yìen  poscia  Arrigo ,  quel  da  Lucimborgo  : 
E  Ludovico  di  Baviera ,  e  Carlo , 
E  Vincislao,  Ruberto  e  Sigismondo, 
Tutti  de  1  Lucimborghi  ;  e  dopo  questi 
L' imperio  toma  a  la  gran  casa  d*  Austria, 
E  stari  io  essa  ancor  di  grado  in  grado , 


LIBERATA.  41 

Fin  che  trapasserà  questo  millesmo. 
Nel  quale  il  sommo  Imperador  del  delo 
Vuol ,  ch*  io  ti  mostri  le  future  cose. 
Ma  quanto  durerà  dopo  mili'  anni 
L' imperio  in  Austria,  mi  convien  tacere, 
Per  non  passare  il  deputato  segno 
Da  questo  di  fin  al  millesim'  anno. 
Vedi  là,  dietro  a  Sigismondo  altero, 
Alberto  d' Austria ,  ch*  a  I*  imperio  ascen- 
Erede  univcrsal  de  i  Ludmborghi.  [de , 
Dopo  costui  vien  Federico  il  terzo. 
Principe  giusto  ed  amator  di  pace , 
Ch'  anni  cinquantaquattro  ara  il  governo 
De  1*  imperio  di  Roma  ;  a  la  qual  meta 
Nuli'  altro  aggiunse  imperador  del  mondo. 
Meravigliossi  Belisario  il  grande. 
Quando  l'angel  dicca,  eh' a  quella  meta 
Null*aItro  aggiunse  imperador  del  mondo: 
Perdo  die  aver  solea  per  cosa  ferma, 
Ch*  anni  dnquantasel  regnasse  Augusto. 
Ma  quel  celeste  messaggler ,  che  vide 
Come  foglia ,  eh'  è  chiusa  in  lucid*  ambra , 
II  dubbioso  pensier  di  quel  barone , 
A  lui  si  volse,  e  sorridendo  disse  : 

Valoroso  signor,  che  illustri  il  qiondo. 
Sappi  che  Ottavio  e  Marcantonio ,  poi 
Che  fu  'I  ventoso  Lepido  deposto. 
Signoreggiar  più  di  dicci  anni  insieme. 
Ma  come  Ottavio  vinse  11  suo  collega 
In  Azzio ,  ch*  or  la  Prcvesa  si  chiama , 
Allor  fu  solo  imperador  di  Roma, 
Allor  fu  Augusto ,  allora  il  mondo  resse 
Quattr*  anni  o  poco  men  sopra  quaranta  : 
Si  che  non  t'ammirar  di  quel  ch*  io  dissi. 
Vedi  poi  dietro  a  Federico  terzo. 
Quel  Massimilian  che  è  suo  figliuolo. 
Questi  sarà  si  valoroso  in  guerra. 
Si  liberale  e  si  benigno  in  pace , 
Che  le  delizie  fia  di  quella  etade. 
Guarda  il  nipote  di  costui,  ch'arriva 
AI  grande  impero anz'  il  millesUn'  anno. 
Che  m' ha  prefisso  a  dimostrarti  il  ddo« 
Questo  fia  Carlo,  figlio  di  Filippo, 
Mandato  a  voi  da  la  divina  altezza. 
Per  adomare  e  rassettare  11  mondo. 
Costui  farà  col  suo  valore  immenso 
Ritornare  a  1*  Italia  11  secol  d' oro. 
Né  solo  andrà  da  i  Garamanti  a  gì'  Indi , 
E  dal  gran  Nilo  al  fiume  de  la  Tana 
Soggiogando  a  1*  imperio  ogni  paese; 
Ma  anco  trapasserà  con  grande  armata 
Di  là  da  r  equinozio  a  I*  altro  polo, 
E  piglierà  più  terra  assai ,  che  questa 


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42  POEMI 

Di  qua,  che  'n  tre  gran  parti  fn  divisa  ; 
Quindi  riporterà  tant*  oro  e  sennne , 
Gh'adomeran  tntti  i  paesi  Tostri. 
Al  maoTcr  di  costui ,  tremar  Tedrassi 
Li  Gallia ,  e  spaventarsi  il  re  de*  Torchi , 
E  r  Africa  adorare  il  suo  vessillo. 
Ma  non  ti  vo*  più  dir,  che  1  suoi  gran  fatti 
Trapasseriano  in  qudl'  altro  millesmo , 
Che  '1  Motor  di  là  su  vuol  ch'io  ti  celi. 
Ma  Yo'  lasciare  i  capitani  e  1  regi , 
E  i  ponteild  sommi  ;  in  cui  vedresti 
Nicola  quinto,  e  1  decimo  Leone, 
Si  veri  amici  a  i  studj  ed  a  gì*  ingegni , 
Che  de  1  lor  frutti  allegrerassi  '1  mondo. 
Dunque  lasciam  tutti  costor  da  canto, 
Che  sarla  lungo  il  nominare  ognuno  ; 
E  voltiam  gli  occhi  al  monte  de  le  Muse. 
Vedi  quel  che  è  la  su  presso  a  la  cima, 
Colui  fla  Dante ,  mastro  de  la  lingua , 
Ch*  allor  1*  lulia  nomerà  materna  ; 
Questi  dipingerà  con  le  sue  rime 
Divinamente  tutta  quelia  etade. 
L*  altro,  che  sieguc  lui ,  sarà  il  Petrarca, 
Che  con  bel  stile,  e  con  parole  dolci 
Descriverà  quegli  amorosi  afletti , 
Che  desta  amor  ne  gli  animi  gentili  ; 
Vincendo  ogni  altro  che  già  mai  ne  scrisse. 
n  terzo  fia  il  Boccaccio ,  le  cui  prose 
Saranno  ingombre  di  pensier  lascivi. 
Rlsguarda  un  poco  gì*  inventor  de  1*  arti  ; 
Lustra  con  gli  occhi ,  e  mira  quei  Tedeschi 
Ch*  han  ritrovato  1*  arte  de  la  stampa 
In  Argentina ,  là  vicino  al  Reno  ; 
Per  cui  si  scriverà  tanto  in  un  giorno, 
Quanto  altrimente  si  farla  in  un  anno. 
Ma  guarda  ancor  più  là  verso  coloro , 
Che  prendon  nitro  con  carbone  e  solfo , 
E  ne  fan  polve ,  e  pongonla  in  quel  ferro 
Cavato  e  poscia  una  pallotta  sopra, 
E  dangli  fuoco ,  e  fan  tanto  rimbombo , 
Che  si  vede  il  terren  tremarli  intomo. 
Questi  son  quel  che  truovan  la  bombarda. 
La  qual  divisa  in  colubrine ,  e  sacri , 
E  cannoni ,  e  schlopetti ,  ed  archtbnsi , 
Farà  tal  danno  a  1  muri ,  ed  a  le  genti  ; 
Che  non  si  potrà  farvi  alcun  riparo , 
Più  che  si  faccia  a  i  folgurì  del  cielo. 
A  questo  Belisario ,  alzò  la  fronte, 
E  rlsguardando  assai  quel  nuovo  ingegno. 
Desiderava  di  portarlo  seco 
Giù  nella  viu,  a  debellare  i  Goti  ; 


EROICI. 
Di  che  s' avvide  il  messaggier  del  delo, 
E  disse  a  lui  queste  parole  tali  : 

Capitanio  gentil ,  volgi  la  mente 
Ad  altro ,  perchè  Dio  non  ha  permesso 
Ancora  al  mondo  quel  flagello  orrendo. 
Che  se  indugiasse  a  darlo  ben  milT  anni , 
E  mille,  e  mille,  fia  troppo  per  tempo. 
Mira  quella  dttà ,  che  'n  mezzo  l' acque 
Surge  tra  il  Sile ,  e  r  Adige ,  e  la  BrenU  ; 
Quella  è  Venezia,  gloria  del  terreno 
Italico,  e  rifugio  de  le  genti , 
Da  la  sevizia  barbara  percosse. 
Questa  regina  fia  di  tutto  1  mare , 
Specchio  di  libertà ,  madre  di  fede , 
Albergo  di  giustizia,  e  di  quiete. 
Le  cui  virtù  sempre  saranno  eccelse , 
Ed  ampie  in  ogni  sua  futura  etade; 
Ma  più  sotto  l' imperio  del  buon  GrltU , 
Che  ponerà  la  vita  in  abbandono , 
E  la  difenderà  da  tutu  Europa, 
Che  fiali  a  torto  congiurata  contra  ; 
E  come  poi  sarà  nel  gran  governo. 
Che  queir  ampia  dttà  chiamerà  duce. 
La  tenirà  sicura  in  tant'  altezza. 
Che  tutti  quanti  1  prlndpl  del  mondo , 
A  pruova  cercheran  d'  esserli  amid. 
Ma  s*  io  volesse  correr  le  sue  lodi , 
Mi  mancheriano  le  parole,  e  *1  tempo. 
Che  forse  non  fu  mal  sopra  la  terra 
Nessun  eh'  avesse  in  sé  tante  virtuti. 
Or  sarà  ben  dappoi ,  ch*  lo  t*  ho  mostralo 
Ciò  ch*  è  piaciuto  a  la  bontà  divina, 
Ch'  io  ti  rimandi  al  tuo  munito  \'aIIo; 
E  costui  vada  a  la  sua  sede  etema. 

Cosi  gli  disse  r  angelo,  e  toccoUo 
Poi  con  la  verga ,  ch*  ei  teneva  hi  mano , 
Onde  1*  assalse  fieramente  11  sonno  ; 
E  gii  fece  lasdar  quella  licenza. 
Che  volea  tor  da  V  ombra  di  suo  padre. 
Quindi  l'angelo  il  prese,  e  riportoilo 
Addormentato  sopra  il  bd  prateUo , 
Ed  appoggiollo  ad  un  di  quelH  aìlori, 
E  lieto  se  n'  andò  volando  ai  ddo; 
Ma  quel  baron  cadeo  sobito  a  I*  erba, 
E  tulle  1*  armi  gli  sonaro  hitorao , 
Tal  che  destossl ,  e  sollevossi  in  piedi. 
Poi  ratto  a  qud  rumore  usd  di  <^a 
Con  dolce  aspetto  11  venerando  vecchio  i 
Onde  il  gran  Belisario  tnginocchlosst 
Nanzi  a  1  suoi  piedi ,  e  benedir  si  fece, 
E  poi  toraossl  con  Traiano  al  vallo. 


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ITAUk  LmERATA. 


48 


LIBRO  XXII. 

mam  m  corsamontk. 


Al  fin  de  le  parole  11  mil  Sarmento 
lloftrò  ona  lettra  falsa  che  parea 
DI  BSD  d'EipidU  che  scrìTcsse  questo. 
Onde  1  gran  doca  ttfanalito  molto 
Dar  more  e  da  Tira  e  dal  sapere, 
Che  noo  mancara  a  hri  Tirtù  né  fona, 
Bodeari  dentro  e  ifisse  :  AndÌamo,andiamo 
A  trar  questa  meschina  Aior  di  pene.' 
ABor  Sannento  preparato  arendo 
E  land  e  fuochi  cominciò  la  strada , 
E  Corsamoote  diamontato  a  piedi 
Lasciò  II  camallo  e  Panni  in  queOà  grotta 
A  goanfia  di  Boletto  e  portò  seco' 
La  spada  woIsl  e  la  celada  e  1  scudo, 
Gbè  non  pensava  aver  bisogno  d'arme; 
T>erclò  che  posta  avea  tutta  la  speme 
DI  Bberar  la  sua  diletta  sposa. 
Ne  le  promesse  lalse  di  Burgenzo. 
Ma  dil  spera  aver  ben ,  da  chi  gli  è  stato 
Nimloo  espresso,  ha  debole  il  coniglio. 
Come  Doletto,  eh*  era  ìtì  rimaso. 
Vide  I  baroni  in  quella  occulu  Tia, 
Andò  per  Paltra  parte  entro  al  castello, 
E  ghmto  In  esso  pose  in  su  le  mura 
Una  faoeUa  accesa  per  signale, 
Che  al  moTesser  prestamente  i  Goti , 
Perdo  che  G>rsamonte  era  in  quel  luogo. 
Ma  eome  11  duca  per  Foecalta  via 
Insieme  con  Burgienzo  e  con  Sarmento, 
81  ittrorar  Tlcfad  a  quella  torre , 
Of* era  driusa  Elpidla,  nsdr  del  buco; 
E  mentre  che  Sarmento  ad  una  guardia 
De  la  prigion  dicea  che  aprisse  tosto , 
Ed  ella  pur  tenea  la  cosa  in  lungo, 
Ffaigeodo  non  saper  trovar  le  chiaTi, 
Omisero  1  God  dentro  a  quel  castello , 
Con  gran  fàrore  e  con  grldori  immensi , 
Ch'erano  stati  aperti  da  Doletto. 
Anor  1^ accorse  11  duca  esser  tradito, 
E  Tobesi  a  Sarmento  Irato  e  disse: 

Ahi  falso  traditor  tu  m*hài  pur  cotto, 
Come  si  colge  11  lupo  entro  a  la  fossa; 
R  dteni  un  pugno  tale  In  una  tempia, 
Che  franse  Tosso  e  ruppeU  11  cerrdlo, 
E  lo  distese  morto  In  sul  terreno; 
M  il  Tolse  per  dare  aneo  a  Bnrgenso, 


Ma  non  lo  vide ,  che  1  ribaldo  cauto 
Restò  nel  buco  e  chiuse  ÌtÌ  la  porta. 
In  questo  aggiunse  il  duca  di  Yicenxa, 
Con  trenta  milia  Goti  in  un  squadrone; 
Questi  era  a  pie  con  gli  altri  che  i  cavalli 
Avean  lasdati  ognun  fuor  de  la  porta. 
Ed  andò  contra  Corsamente  e  disse  : 

Tu  sarai  colto  pur  a  questa  volta , 
Acerbo  cane  e  non  potrai  fuggire. 

E  detto  questo  lasdò  gire  un'asta 
Possente  e  grossa  e  colselo  nel  scudo. 
Tal  che  l' acerbo  e  impetuoso  ferro 
Di  quella  gli  passò  sei  grosse  piastre 
Di  fino  acdaro  che  1  coprìano  tutto, 
E  posda  ne  la  settima  si  tenne. 
Ma  Corsamente  intrepido  e  virile 
Torse  quell'asta  con  la  mano  ed  ella 
Ruppe  la  punta  sua  presso  a  l'acciaro 
Primo  dov'era  sculto  il  gran  leone, 
Qie  quel  baron  portava  per  Insegna* 
Né  perchè  fosse  rotta  la  sua  punta. 
Lasciò  di  trarla  anch' ei  verso  U  nimico. 
Che  lanciata  l'avea  dentro  al  suo  scudo. 
Ma  non  l'accolse  che  saltò  da  un  lato, 
E  si  schermi;  ben  colse  Spinabello, 
Fil^iuol  di  Sergio  conte  di  Yaldagno, 
cai' era  ivi  appresso  in  mezzo  de  la  fronte, 
E  cosi  senza  punta  franse  l'osso 
Del  capo ,  e  penetrò  fin  al  cervello  ; 
Onde  cadeo  disteso  In  terra  morto* 
n  che  vedendo  Marzio  ebbe  paura^ 
E  'n  dietro  si  tirò  tra  le  sue  genti , 
E  poi  gridava  con  orribil  voce: 

Fatevi  innanzi ,  o  generosi  Goti , 
Ora  che  avemo  il  lupo  entro  a  la  cava: 
Non  vi  smarrite  no  per  1  suol  colpi , 
Che  non  possono  aver  lunga  durata, 
Né  risparmiate  saettami  e  lande, 
Che  tosto  morto  il  vederete  in  terra. 

Cosi  gridava  Marzio;  onde  volare 
Infinite  saette  entro  al  gran  scudo 
DI  Corsamente  ed  e'volgeaal  Intorno, 
E  presa  avendo  In  man  forrlbil  spada. 
La  f aoea  sfavillar  per  ogni  parte. 
E  ferì  Solimano  In  una  tempia, 
Figlinol  di  Gallo  conte  di  AsIgUaco, 
E  lo  mandò  disteso  in  sul  terreno. 
Uccise  poi  GfiAddo  e  Galabronte, 


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44  POEIO 

Cb'erin  iigiiuoi  di  Durìo  e  Crìspatora; 

Frìma  a  Grìffaldo  trapassò  b  panda, 

A  Galabronte  poi  parti  la  tesU; 

Che  gli  cadeo  su  l'ima  e  1*  altra  spalla; 

Oode  Tedendò  quelli  orribìl  corpi , 

Tutu  si  ritirò  la  gente  goU, 

E  '1  duca  Marzio  ancor  rimase  avanti  « 

E  vedendosi  quivi  alzò  la  spada, 

Che  la  necessità  lo  fece  ardito, 

E  menò  su  la  tesu  a  Gorsamonte 

E  se  non  era  l'ottima  celada, 

E  la  maniglia  de  la  buona  Areta, 

Lo  mandava  in  due  parti  sul  sabbione. 

Ma  quelle  due  difese  lo  salvaro; 

Poi  Gorsamonte  a  lui  Uro  una  punta, 

E  colsel  proprio  sotto  '1  destro  fianco, 

E  senza  dubbio  lo  mandava  a  morte , 

S'egli  non  si  scliermia,  tal  che  sospinse 

Disbrizzo  il  ferro  e  andò  tra  carne  e  pelle; 

Pur  il  sangue  gli  usci  fuor  de  la  piaga. 

Ma  quando  Marzio  si  senti  ferito, 

E  vide  il  sangue  suo  cadere  in  terra. 

Si  tenne  morto  senz' alcun  rimedio, 

E  per  disperazion  fatto  sicuro. 

Alzò  con  ambe  man  l'acuta  spada, 

E  diede  a  Gorsamonte  su  la  testa 

Un  fiero  colpo  e  con  sì  gran  furore 

Che  quasi  lo  mandò  stordito  al  piano. 

E  Gorsamonte  allor  empio  'l  suo  petto 
Tanto  di  sdegno  e  di  vergogna  e  d'ira. 
Che  raddoppiaro  in  lui  tutte  le  forze: 
Onde  prese  ancor  el  la  spada  orrenda 
Con  ambe  due  le  sue  possenti  mani , 
E  diede  a  Marzio  su  la  spalla  manca 
n  maggior  colpo  che  mal  fosse  udito, 
E  '1  petto  gli  Darti ,  la  schena  e  '1  busto, 
E  gli  usci  fuori  appresso  il  destro  fianco, 
E  'n  due  pezzi  il  mandò  sopra  l'arena. 
Che  ciascun  d'essi  avea  una  man  e  un 

braccio 
E  l'un  tenea  la  spada  e  l'altro  il  scudo  ; 
Così  quel  duca  ebbe  spietau  morte 
Per  man  de  l'animoso  Gorsamonte. 
E  come  il  lupo  che  in  un  chiuso  ovile 
Per  arte  del  pastor  si  truova  colto; 
E  i  giovinetti  pastorelli  e  i  cani 
Gli  sono  intomo  per  mandarlo  a  morte 
Ed  e*  s'aiuta  con  l' acuto  dente; 
Poi  quando  aflerra  un  cane  entro  a  la  gola 
E  sanguinoso  lo  distende  a  terra. 
Fuggono  i  pastore!,  fuggono  i  cani 
Per  la  paura  de  l'orribil  fiera; 
Cosi  tuUa  fuggia  la  gente  gou 


EROICL 

Per  la  paura  del  possente  duca, 
Che'n  dui  pezzi  mandò  il  nimico  al  piano. 
E  dopo  questo  quel  barone  audace 
Si  messe  dietro  a  la  fugace  gente, 
E  tanti  n'uoddea  con  l'empio  brando. 
Ch'altro  non  si  vedea  che  morti  e  sangue  ; 
E  certamente  tutti  erano  uccisi. 
Se  non  giungeva  Totila  e  Bisandro, 
E  Telo  ed  Asinarìo  e  Rodorico, 
Gol  secondo  squadrone  a  darti  aiuto  ; 
Questi  venian  gridando  :  Morte,  morte 
Al  nimico  cnidd  eh'  è  chiuso  in  gabbia  ; 
E  cosi  entrare  dentro  a  la  gran  rocca 
Con  quelli  orrendi  e  paventosi  gridi  ; 
Ma  Gorsamonte  non  si  mosse  nulla. 
Che  nd  suo  cuor  non  entrò  mai  paura; 
E  si  cacciò  tra  lor  col  brando  in  mano, 
E  '1  primo  che  feri,  fu  Squardaferro, 
Signor  di  Campo  Lungo  e  San  Germano, 
Poscia  uccise  Rodon,  Pilasso  e  Targo, 
Rodon  nel  collo  e  Targo  ne  la  tempia 
Feritte,  e  '1  fier  Pilasso  ne  la  panda. 
E  sbaragliava  ancor  quest'altra  schiera. 
Se  '1  re  de'  Goti  e  '1  resto  de  la  gente 
Non  fossero  saliti  in  su  le  mura 
Da  la  parte  di  fuor  con  molte  scale, 
Lasdando  a  basso  guastatori  e  fabbri 
Circa  le  torri  con  livlere  e  picchi. 
Per  minarle  addosso  a  Gorsamonte. 
E  questo  fece  il  re  perchè  Burgenzo 
Detto  gli  avea  che  'i  duca  ha  una  managUa 
Ch'a  Gnatia  gli  donò  la  buona  Areta, 
Ch'esser  non  può  né  punto  né  ferito: 
Però  bisogna  ovver  gettarli  Mdosso 
Qualche  gran  torre  ower  fiaccarlo  in  modo 
Che  per  stanchezza  sia  condotto  a  morte; 
E  questo  parve  a  lui  consiglio  eletto. 
Perch'era  più  sicuro  il  sur  lontano 
E  ferir  quel  baron ,  che  andarli  appresso. 
Onde  fece  salir  la  terza  schiera 
Sopra  le  mura  al  lume  de  la  luna, 
CJie  rilucea  come  se  fosse  giorno, 
E  lasdò  a  basso  i  guastatori  e  1  fabbri 
Con  ferri  a  scalpellar  circa  le  torri. 
Poi  nella  piazza  Totila  e  Bisandro, 
E  Tdo  e  gii  altri  principi  de  1  Goti 
Erano  intorno  11  glorioso  duca 
Con  spade  e  lance  e  con  orribll  sassi , 
Ed  e'  si  stava  Intrepido  e  col  scudo 
Si  difendeva  e  col  tagliente  brando. 
Col  quale  uccise  11  giovane  Gradarco, 
Ch'era  fratd  di  Totila  basUrdo, 
Figiiuol  di  Serpentano  e  di  Armerina  » 


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ITALIA 
D'Armerina  gentil  che  ascosamente 
Lo  partoii  nel  bosco  del  Martello , 
Per  tema  di  Altamonda,  eh*  era  madre 
Di  Totila  e  moglìer  di  SerpenUno, 
Ma  non  schifò  però  Todio  e  *1  furore 
Di  quella  donna,  che  com'ebbe  inteso 
n  parto  di  costei ,  fece  annegarla 
Kel  Home  impetuoso  de  la  Piave  : 
E  n  fandullin  di  lei  fu  poi  nutrito 
Da  certe  pastorelle  in  quella  seWa, 
E  cresciuto  di  forza  e  di  bellezza. 
Tenne  a  TriTlgi  a  rìtroTare  il  padre, 
E  Totila  suo  frate  che  l'accolse 
Om  gran  diletto  e  poi  menollo  a  Roma, 
E  quivi  era  con  lui;  ma  troppo  innanzi 
SI  spinse,  onde  '1  feroce  Gorsamonte 
Con  la  sua  spada  ^  trafisse  il  petto, 
E  morto  lo  mandò  sopra  la  piazza. 
U  che  vedendo  ognun ,  stava  lontano , 
Facendo  guerra  con  le  lance  e  1  sassi 
PIA  volentieri  assai  che  con  le  spade; 
E  Gorsamonte  col  suo  scudo  in  braccio 
Sostenea  tutto  il  stuol ,  come  un  dngiale, 
Ch'  abbia  d' intorno  cacciatori  e  cani , 
Con  spiedi  e  dardi,  ed  e'  si  volge  e  freme 
Col  pelo  irsuto  e  col  feroce  dente. 
Tal  che  non  osa  alcuno  andarli  appresso. 
Perchè  qualunque  a  lui  si  fa  vicino. 
Non  si  diparte  senza  sparger  sangue. 
Cosi  faceano  i  prìncipi  de  i  Goti , 
Ch'erano  a  basso  intomo  a  Gorsamonte; 
Ma  quei  ch'eran  saliti  su  le  mura , 
Gettavan  tante  lance  e  tanti  sassi , 
Sopra  il  t>aron  che  combatteva  in  piazza, 
Ch'era  cosa  mirabile  a  vederìa. 
Né  mai  fioccò  dal  del  si  spessa  neve. 
Nel  freddo  tempo  de  l'algente  bruma. 
Né  A  spessa  gragnuola  a  i  giorni  estivi 
Tempestò  mai  su  le  terrene  piante. 
Come  spesse  cadeau  le  dure  pietre , 
E  l'aste  forti  e  i  penetranti  dardi 
Sopra  il  gran  scudo  del  possente  duca; 
Tal  che  faceanlo  alcuna  volta  andare 
A  mal  suo  grado  col  ginocchio  in  terra; 
Ma  non  possendo  riparare  a  un  tempo 
Col  scodo  a  quei  di  sotto  e  a  quei  di  sopra. 
Si  trasse  indietro  al  pie  d'un'alu  torre, 
Ch'era  posta  in  un  canto  de  la  piazza. 
Coperta  d'un  gran  vòlto,  e  da  le  spalle 
Del  muro  de  la  rocca  era  difesa, 
E  sol  davanti  avea  la  strada  aperta. 
Quivi  fermossi  l'animoso  duca, 
Facendo  im'  incredibile  difesa , 


LIBERATA.  45 

E  parea  proprio  un  scoglio  avanti  un  porto. 
Che  da  l'onde  del  mar  tutto  è  percosso 
Con  estremo  romor  d'orribil  vento. 
Ed  ei  sta  saldo  e  col  suo  starsi  inmioto 
Frange  e  disperde  dò  che  a  lui  s'appressa  ; 
Cosi  parea  quel  Gorsamonte  audace  ; 
E  ben  da  tutto  il  stuol  s'arìa  difeso. 
Se  qud  ch'eran  di  fuor  co  i  picchi  in  mano , 
E  che  più  di  quattr'ore  avean  picchiato 
Intorno  al  fondamenti  de  la  torre. 
Non  la  facean  cader  sopra  il  suo  capo. 
E  nel  cader  che  fece ,  ancora  accolse 
Turbone  e  Barìcardo  e  Fuligante, 
Due  cugini  di  Teio,  un  di  Bisandro , 
Con  più  di  novecento  altre  persone; 
Ma  questo  parve  nulla  al  re  de' Goti , 
Poiché  '1  suo  gran  nimico  era  sott'  essa. 
Le  genti  come  vider  quella  torre 
Caduta  sopra  l'animoso  duca. 
Mandarono  un  gridor  fin  a  le  stelle; 
E  cosi  morto  fu  quel  gran  guerriero. 
Con  danno  estremo  de  l'Italia  afflitta. 
Poi  non  fu  Goto  alcun  che  non  pigiasse 
Legnami  o  sassi  e  no  1  gettasse  sopra 
La  gran  mina  e  le  cadute  pietre , 
Quasi  temendo  ancor  che  quindi  uscisse , 
E  tutti  quanti  gli  mandasse  a  morte. 
Cosi  gettando  ognun  materia  molta , 
Crebbe  su  quella  piazza  un  alto  monte, 
Non  minor  del  Testacdo  e  non  men  grave 
Di  quel  che  '1  grande  Encelado  ricuopre. 

Il  Re  del  cielo,  a  cui  dispiacque  e  dolve 
La  morte  d'un  tant' uom, ma consentilla. 
Per  non  si  contrapporre  al  sue  destino , 
Chiamò  l'angelo  Erminio,  e  cosi  disse: 

Diietto  e  fido  messaggier  del  delo , 
Tu  vedi  il  grave  ed  immaturo  fine 
Del  più  forte  guerrier  che  fusse  in  terra; 
Vestiti  l'ale  e  va  volando  a  Roma, 
E  narra  al  capitano  de  le  genti , 
Che  'I  buon  duca  di  Scizia  è  in  gran  pe- 
Di  lasciarli  la  Vita,  e  digli  appresso  [rigiio 
La  causa  de  l'orribil  sua  sciagura, 
Ma  non  gli  dir  però  che  sia  caduta 
La  torre  addosso  lui ,  né  che  sia  morto. 
Acciò  che  vada  tosto  a  darti  aluto. 

L*  angel  di  Dio ,  dopo  il  divln  precetto. 
Aggiunse  l'ali  a  sue  velod  piante, 
E  venne  giuso,  come  fa  il  baleno. 
Che  ne  la  notte  limpida  sdntilia, 
E  nunzia  che  sarà  sereno  e  caldo. 
Poi  presa  la  sembianza  d'Orsicino, 
Andò  dov'era  il  capitano,  e  disse: 


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46  poiao 

niustre  capitan ,  gloria  del  mondo , 
Io  stara  in  guardia  a  la  Flaminia  porta , 
E  questa  notte  in  l'ora  de  le  squille 
Venne  a  trovarmi  un  uom  di  tal  presenza, 
Gh*  un  de*  messi  parea  del  paradiso  ; 
E  mi  disse  :  Orsicin,  vattene  tosto 
Al  vice  imperador  de  T  Occidente  « 
E  digli ,  come  il  forte  Gorsamonte 
Stato  è  rinchiuso  dentro  del  casteDo 
Di  Prima  Porta,  e  tutto  il  campo  goto 
Y'è  posto  intomo  per  mandarlo  a  morte, 
E  quivi  fu  condotto  da  Burgenzo , 
Con  arte  e  con  promessa  di  trar  quindi 
La  bella  Elpidia  e  di  condurla  a  Roma. 
Digli  che  vada  tosto  a  darli  aiuto , 
Che  questo  è  il  di  che  caccieranno  i  Goti 
Con  gran  mina  lor  dentro  a  Ravenna. 
Così  da  parte  di  quel  messo  etemo 
Vi  dico  e  parimente  ancor  v'esorto. 
Ch'andiate  prestamente  a  darli  aiuto. 

E  detto  questo ,  via  spari  come  ombra  : 
Onde  '1  gran  capitano  ben  conobbe, 
Ch'egU  era  un  messaggier  del  paradiso, 
E  senza  indugio  alcun  levossi  in  piedi , 
E  ratto  si  vesta  di  panni  e  d'arme. 
Poi  quell'  angel  di  Dio  con  gran  prestezza 
Sotto  la  forma  di  Garterio  araldo. 
Se  n'andò  a  risvegliar  tutta  la  gente  ; 
E  trovò  prima  l'onorato  Achille, 
Che  come  intese  la  spietata  nuova 
Di  Corsamente  e  '1  suo  periglio  estremo, 
Senza  curar  d'alcun  futuro  male. 
Perchè  non  era  salda  ancor  la  piaga, 
Gh' Ablavio  diede  a  lui  sotto  '1  costato , 
Che  fu  più  perigliosa  che  non  parve, 
Levossi  e  si  vesti  di  ludd'arme, 
E  ratto  s'avviò  verso  la  corte. 
Quivi  trovò  che  Belisario  armato 
Sopra  Vallarco  vQlea  gire  a.  canqw, 
E  le  schiere  venian  con  molta  fretta, 
Ch'eran  sollecitate  da  gli  aralctt. 
Al  giunger  di  costui  si  raUegraro 
Alquanto  in  vista  le  adunate  genti. 
Come  eutropia  a  l'apparir  del  sole; 
Ed  e'  poi  disse  il  capitano  eccelso  : 

Illustre  capitano  de  le  genti , 
Andiamo  a  dare  aiuto  a  Corsamente, 
Ed  andiam  tosto,  che  '1  soccorso  lento 
Suol  giovar  poco  epoca  grazia  acquista; 
E  così  detto,  tutti  s'awlaro 
Verso  '1  castello  al  lume  de  la  luna; 
E  come  furo  appresso  a  la  gran  rocca 
Trovar  Burgenzo  insieme  con  Doletto , 


EROIGL 

I  qual,  dappoi  che  fu  sepolto  11  duca 
Da  la  mina  di  queU'alU  torre, 
Ritomaro  a  la  grotu  di  Sarmeato , 
Per  prender  il  cavai  di  Corsamooie, 
E  per  donarlo  a  l'empio  re  de'  Goti  ; 

E  seco  aveano  a  man  quel  buon  corderò. 
Perchè  non  volse  alcun  di  loro  kt  sella; 
Ma  come  s'inoontraro  In  quella  gente , 
Ch'avea  condotta  Belisario  il  grande. 
Si  smarrir  tutti  e  si  volean  fuggire. 
Pur  presero  anUmento  e  se  a'  andare 
Al  capitano  lagrimod  In  vieta, 
E  Burgenzo  gli  disse  in  questa  fonaa  : 

Illustre  capitane  de  le  genti 
Assai  mi  duol  de  l'immatura  marte 
Di  Gorsamonte  e  del  suo  case  acerbo; 
Dio  sa  ch'io  non  velea  menarlo  meco 
In  quel  periglio,  ed  e'  venir  vi  volse. 
Spinto  d'amore  e  da  soverchio  ardire; 
Ma  chi  si  fida  troppo  ne  la  feria, 
É  spesso  vinto  da  l'alimi  censigttoi» 

Così  disse  Burgeazo,  e  qod  aigaore. 
Che  per  bocca  de  l'angelo  sapeva 

II  tradimento  fatte  e  non  la  morte 

Di  Corsamente,  anzi  l'avea  per  viva; 
Come  udì  quella  ebbe  dolere  laiaianeo 
E  feoesl  narrar  tutta  la  cesa. 
Ed  egli  la  narrò,  dieende  speno. 
Che  questo  fatto  fu  senza  sua  colpa. 
Com'  ei  si  tacque  11  oq^itano  eoeelao 
Guardolle  torto  e  con  favella  acerba 
GU  disse  :  Ah  traditor  tu  l' hai  ooadolte 
In  quella  rocca  con  fallaci  lagaoni, 
E  sei  sUte  caglea  del  no  morire. 
Ma  non  lo  ve'  lasciar  senza  vendetta; 
E  subite  ordinò  che  foaser  presi 
Doletto  e  lui,  poi  gU  mandò  legali 
Sotto  la  guardia  di  Traiano  a  RoaM. 
Achille  come  udì  l'acerba  morte 
Di  Gorsamonte  suo  perfette  aadoo. 
Ch'era  amate  da  hd  più  ^e  sé  stesso. 
Con  le  man  gravi  si  percosse  il  capo, 
E  poi  gemendo  e  lacrimando  mdto , 
Si  lamentava  esser  rimase  in  vita, 
E  che'l  crudele  Ablavio  aon  l'oecise; 
Onde  per  oensolarie  il  baon  LudUo, 
Che  tema  avea  che  non  si  desse  morie. 
Per  man  lo  prese  e  lagrimava  seco; 
Lagrlmava  con  lui  Sertorlo  e  Giro, 
Bessano  e  Magno  e  mold  altri  baiòoi 
Per  l'empia  morte  de  l' eccelso  < 
Né  finito  saria  quel  dure  piaato. 
Se  1  capitano  eccelso  de  le  geott 


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ITALLl  UBERATA. 


Rqq  1^  ^na  queste  parche  tali  : 

MoQ  oonsomate  lagrimando  U  tempo, 
Biroid  Obiitii  e  caivalieri  eletti; 
Ma  ocmn  di  toI  ch'amava  Cocsamonte 
S'adopri  a  far  di  lui  chiara  YendetU; 
Che  più  gnu  le  ila  che  doglie  e  pianti  ; 
Ghè  la  veudetu  è  il  pianto  de  i  goerrìerì , 
Rè  mal  sta  bene  a  gfi  uomini  robusti 
D  lacrtmar,  come  fanciulli  o  donne. 
Goal  padò  quel  cantano  eccelso; 
E  poi  fece  ordinar  le  ardite  schiere. 
Ed  assali  con  molta  (uria  i  Goti, 
Ch'erano  inlenti  ad  atterrar  le  toni, 
E  a  gettar  pietre  in  sul  l>arone  estinto: 
Onde  in  poc'oca  tutti  gli  disperse; 
Perchè  da  la  vigilia  de  b  notte , 
E  da  U  tema  dei  (erir  del  duca, 
E  dal  piacer  ch'avean  de  la  sua  morte, 
Erano  tutti  albticati  e  standiL 
Or  chi  vedesse  Achille  avanU  gli  altri, 
E  Mmidrllo  e  Bessan,  Lucilio  e  Oro 
Urtare  in  essi  e  far  del  sangue  loro 
Yerm^llio  U  prato  ed  innalxarsi  il  fiume. 
Dirla  che  non  fu  mai  simil  macello. 
L'ardito  Ciro  uccise  Sacripardo, 
Fratei  cngln  del  principe  Bisandro; 
Questi  era  il  più  superbo  e '1  più  arrogante 
Baroo  de  Tlstda  e  combattea  con  tutti 
Qoe*  suoi  Ticini  sema  alcun  vantaggio  ; 
Questi  peroomo  fu  da  Tasta  fiera 
Del  conte  Ciro  e  fu  mandato  a  morte. 
Che  1  petto  gli  pasiò  fin  a  le  valle; 
Tal  che  deridere  d*aver  avuto 
Vantaggio  d*  arme  e  di  destrier  gagliardo. 
Per  nsdrdalemandiqoelinrone. 
Acni  aotteraegiial,sc&ondi  grado; 
Che  fu  ancor  egli  come  di  Trieste. 
Achme  uccise  Folco  e  Maroolisto , 
Tarpone  e  Bibngaro  e  Garimbaldo, 
L'un  dopo  l'altro  con  diversi  colpi  ; 
Folco  ieri  nd  petto,  e  MarcoUsto 
In  fronte,  e  poi  Tarpone  e  BUingaro, 
L'un  nel  beUioo  e  l'altro  ne  la  pancia, 
E  GarlaybaUo  nel  sinistro  fianco. 
Mundelio  uccise  Oveno  ed  OrigiHo; 
Beanoo  AMardo,  e '1  bel  Lucilio  Orsaldo, 
E  Magno  ocdse  Orante,  e  '1  capitano 
Ne  mandò  tre  con  la  sua  lancia  a  morte, 
Arfdarco  e  Grancone  ed  Oilonte, 
Oilonte  crudel  ch'avea  le  membra 
Come  un  gigante  e  1  cnorcome  un  leone; 
Ma  l'ano  e  l'altro  a  lui  dier  poco  aiuto; 
Che  BellMio  gli  pasiò  la  goU 


47 


E  lo  distese  morto  in  sui  terreno. 
Allor  si  messe  totalmente  in  fuga 
La  gente  gota  e  ognun  di  lor  foggia 
Chi  qua,  chi  ìà  verso  1  vidni  coUL 
li  re  s'era  fuggito  al  primo  assalto. 
Sopra  un  suo  corridor  verso  Vaienti, 
E  Totila  fugg^  verso  Rignano, 
Bisandro  a  Castel  Nuovo,  e  Bodorico 
A  Monte  Bosso  ed  Unigintro  a  Sottri, 
Telo  a  Baccano  e  fuwi  alcun  di  loro. 
Che  correndo  n'andò  fino  a  VilerlM: 
Ma  seguitati  un  pezzo  da  1  Bomani, 
Tanti  ne  £ur  feriti  e  tanti  uccisi. 
Ch'era  coperta  la  «'^mp^gM  tutta 
Di  cavai  morti  e  d' uomini  e  di  M"g^, 
Allora  il  capitano  de  le  genti 
Fece  sonar  raccolta  e  poscia  disse 
A  la  ridotta  gente  este  parole  : 

Signori  eletti  a  lil>erare  il  mondo. 
Or  che  fuggita  s*è  la  gente  gota. 
Con  tanta  occislone  e  tanto  sangue. 
Quanto  spargesser  mai  fuorde  i  lor  petti. 
Pia  ben  che  noi  si  ritorniamo  in  Roma 
Acciò  che  losto  andiam  verso  Bavenna, 
Che  per  la  rotta  acerba  ch'hanno  avuta, 
E  per  la  fuga  lor  molto  dlspena 
Non  ridurransi  agevolmente  insieme; 
E  noi  si  tosto  gli  saremo  addosso 
Che  tempo  non  araa  da  far  difesa; 
Perchè  dopo  le  rotte  de  i  nimlci. 
Chi  vuole  aver  di  lor  vittoria  a  pieno. 
Non  gli  dia  spazio  mai  di  ristorarsL 
Sarà  poi  ben  che  resti  li  conte  Ciro, 
Con  le  sue  genti  e  iaccia  trarre  il  coipo 
Di  Corsamonte  fuor  de  le  mine, 
E  con  Elpidia  lo  conducili  a  Boma, 
Ch'ivi  faremM  i  meritati  onori; 
Ed  ivi  ordinerem  la  nostra  andata 
Con  diligenza  e  con  prestezza  immensa. 

Co^  diss' egli,  e  subito  partissi, 
E  rimenò  tutta  la  gente  in  Boma, 
Da  quella  in  fuor  ch'ivi  lasciò  con  Ciro. 
Ma  Ciro  che  rimase  entro  a  la  rocca, 
Fece  cavar  di  sotto  a  quelle  pietre 
Il  morto  Corsamonte  e  poi  lavario« 
E  rinvesdrio  de  le  ludd'arme. 
Per  farlo  indi  portar  da  1  suol  soldati 
A  seppellir  ne  la  città  di  Roma: 
Ma  l'onorata  Elpidia  ch'era  chiusa 
Ne  l'alU  rocca,  udendo  il  gran  romore. 
Che  si  iacea  la  notte  in  su  la  piazza, 
Avea  dentro  al  suo  petto  aspro  cordoglio  ; 
Poi  dicea  nel  suo  cuor  :  Di  che  pavento  « 


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48  POEMI 

Meschina  mei  Meschina,  ch'io  mi  trovo 
Nelpeggior  stato  che  mai  fosse  al  mondo 
Né  cosa  aTer  poss'io  che  non  sia  meglio. 
Se  Gorsamonte  fosse  in  queste  parti , 
Arei  giusu  cagion  d'aver  timore 
De  la  sua  vlu,  a  me  più  di  me  cara; 
Or  ei ,  si  come  credo ,  si  ritrova 
In  luogo  assai  lontan  da  questa  rocca, 
Tal  che  non  può  sapere  i  miei  tormenti , 
Che  sarebbe  venuto  a  darmi  aiuto  ; 
Ma  pur  mi  trema  il  cuor,  né  so  la  causa. 

Cosi  fra  sé  dicea  la  bella  donna  ; 
Ma  come  poi  col  di  s'aperse  l'uscio 
De  la  gran  torre  per  le  man  di  Ciro, 
Gh'e' v'  entrò  dentro  e  disse  este  parole  : 

Illustre  principessa  di  Tarento, 
Uscite  omal  de  la  prigione  amara  ; 
Venite  meco  a  la  città  di  Roma  ; 
Che  Gorsamonte  mio  fratel  cugino 
yha  posto  in  libertà  con  la  sua  morte. 

Cosi  le  disse  Ciro ,  ed  ella  tosto , 
Udendo  quella  aqierrima  novella. 
Come  una  inspiritata  corse  fuori 
DI  quella  prigionia  col  cuor  trafitto, 
Per  veder  s'era  ver  che  fosse  estinto 
Il  suo  diletto  ed  onorato  duca; 
Ma  come  vide  Gorsamonte  morto 
Nel  cataletto  in  mezzo  a  suoi  soldati , 
Cadde  a  rìnverso  tramortiu  in  terra  ; 
E  le  donzelle  sue  che  gli  eran  dietro , 
La  raccolsero  In  braccio  e  tutte  intomo 
Stavano  a  lei  con  lagrimosa  fronte  ; 
Ed  ella  poi  che  ritornoUi  il  spirto, 
Dimandò  a  Ciro ,  come  era  venuto 
U  duca  in  quei  castello  e  chi  l' uccise  ; 
E  Ciro  le  narrò  tutta  la  cosa  ; 
Onde  l'afflitta  e  sconsolata  donna 
Con  le  man  bianche  si  percosse  il  petto , 
È  i  capei  d' oro  si  traea  di  tesU, 
E  poi  piangendo  e  sospirando  disse  :  [sorte 

Qual  donna  al  mondo  ha  più  contraria 
DI  me ,  che  solamente  al  mondo  nacqui 
Per  segno  ower  bersaglio  a  la  fortuna? 
Il  padre  mio  fu  da  Tebaldo  ucciso 
A  tradimento  con  orribii  modo  ; 
E  la  mia  madre  poi  vedendo  il  teschio 
Di  suo  marito  cadde  in  terra  morta  : 
Ond'io  dolente  ed  orfana  rimasa 
Nel  mezzo  de  le  forze  de  1  nimtci , 
Venni  a  Brandizio  a  Belisario  il  grande, 
Per  dimandarti  in  questi  affanni  aiuto , 
Ed  e'  mi  die  per  moglie  a  Gorsamonte , 
Duca  di  Sdzla ,  uom  di  valore  immenso , 


ERpia. 
Gh'  avea  Tebaldo  di  sua  mano  ucdso , 
E  fatta  la  vendetta  di  mio  padre  ; 
Ond'  io  sperava  che  costui  dovesse 
Esser  la  mia  difesa  e'I  mio  contento  : 
Poi  mentre  eh'  io  venia  per  far  le  nozze 
A  Roma  presa  fui  da  Turrismondo, 
E  posta  in  questa  asperrima  prigione  ; 
Che  Dio  volesse  allor  eh'  lo  fosse  estinU; 
Poscia  il  gran  duca  per  cavarmi  quindi, 
È  suto  ucciso  anch'  ei  da  gli  empj  Goti , 
Per  r  empio  tradimento  di  Burgenzo; 
Ed  lo  pur  vivo  e  fra  miserie  tante , 
Ancora  ardisco  di  guardare  II  sole. 
0  come  è  ver  che  non  è  mal  si  grave , 
Che  noi  sopporti  la  natura  umana; 
Ma  se  la  sorte  mia  non  vorrà  trarmi 
Di  vita,  spero  di  trovare  un  modo. 
Da  non  veder  mal  più  luce  del  sole. 
Cosi  dicea  quella  dolente  donna , 
Con  si  gravi  sospiri  e  tal  lamenti , 
Ch'  arian  mosso  a  pietà  le  piante  e  1  marmi  ; 
Dappoi  salita  sopra  un  palafreno, 
Che  fece  darli  l' onorato  Ciro, 
Con  le  donzelle  sue  colme  di  pianto, 
Accompagnaro  il  corpo  entro  a  la  terra. 
E  Giro  ancor  con  l'altra  gente  d'arme 
Gli  andavan  dietro  e  con  sospiri  amari 
Fondean  da  gli  occhi  lor  lacrime  calde  ; 
Ma  quando  furo  a  la  Fìamlna  porta, 
Trovaron  tutti  i  chierici  di  Roma, 
Che  stavan  quivi  con  doppieri  accesi 
Ad  aspettario,  e  poi  gli  andaro  avanti , 
Cantando  salmi  in  lamentevoi  note  ; 
E  dopo  questi  andaro  a  cinque  a  cinque  ; 
Tutta  la  legion  eh' avea  in  governo. 
Con  le  bandiere  lor  tratte  per  terra  ; 
E  dietro  a  quei  stendardi  andava  un  paggio 
Il  qual  menava  il  suo  cavallo  Ircano 
Poco  avanti  al  feretro  tanto  mesto. 
Che  parca  lagrimare  il  suo  signore  : 
E  '1  vice  impcrador  dietro  al  feretro. 
Con  tutti  gli  altri  prìncipi  romani. 
Vestiti  a  bruno  e  lagrìmosl  e  mesti 
Accompagnaro  quel  baron  defunto 
Al  loco  eletto  per  lo  suo  sepolcro. 
Poi  non  fu  alcun  del  gran  popol  di  Roma 
Né  giovane,  né  femmina,  né  vecchio. 
Che  non  si  ritrovasse  ad  onorarlo, 
E  non  piangesse  la  sua  dura  morte. 
Cosi  con  quel  beli'  ordine  n' andaro 
Fino  a  la  chiesa  u'  fu  deposto  II  corpo , 
Con  tanti  torchi  e  luminari  Intorno, 
Che  parea  tutta  quanta  arder  di  fiamme. 


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Quivi  !■  beDa  Elpldia  e  le  sue  donne, 
Tagfiar,  piangendo,  le  lor  chiome  bionde, 
K  le  gettar  sopra  il  barone  estinto  ; 
Ma  prima  Elpidia  disse  este  parole  : 
Signor,  pigliate  le  infdid  chiome 
Di  quella  che  doveva  esservi  sposa, 
Se  ben  unqua  da  toì  non  fu  veduta, 
Se  non  presso  a  Brandiiio  una  sol  volta , 
Li  ad  vista  crodel  v'ha  date  molte 
Fatlcbe,  e  oe  la  fin  mandowi  a  morte, 
Senxa  soa  colpa  ;  ond*  ella  per  dolore 
Jlon  tuoi  mal  più  veder  luce  del  sole. 
Goal  dioendo  e  Jacrimando  insieme. 
Pose  le  chiome  d*  or  dentro  a  le  mani 
Sohila,  e  moUi  de  l' estinto  duca, 
C3m  Bosse  in  quei  baron  dirotto  pianto  ; 


ITALIA  LIBERATA. 


49 


Ma  più  d'ogni  altro  l'onorato  Achille, 
Piangea  con  voci  dolorose  ed  alte , 
Che  facea  lacrimar  tutu  la  gente. 
Poi  ne  la  piasza  eh'  è  'nanai  a  la  chiesa , 
S*  apparecchiava  una  superba  tomba 
Di  finisshni  marmi ,  e  dentro  a  quella. 
Dopo  la  mesu  oraslon  funebre 
Ne  la  qual  dottamente  il  buon  Terpandro 
Narrò  tutte  le  laudi  del  defunto , 
E  dietro  al  canto  de  i  devoti  pred , 
Vi  fu  rinchiuso  l'onorato  corpo. 
Con  molte  q>oglie  gloriose  intomo. 
Che  acquistò  già  ne  le  battaglie  orrende. 
Poi  tutu  1  gesti  suoi  furon  descritti 
Entro  a  quei  bianchi  e  ben  politi  marmi 
Con  lettre  d' oro  e  con  parole  elette. 


MARINO. 


ADONE. 


CANTO  DI  FAUNI. 


Quanti  favoleggiò  nunl  profani 
L' etade  antica ,  han  quivi  i  lor  soggiorni. 
Lari,  sileni,  semicaprl,  e  pani. 
La  man  di  tirso.  Il  crin  di  Tite  adomi. 
Geni  salaci ,  e  rustici  silvani , 
Fauni  saltanti ,  e  satiri  bicomi , 
£  di  ferule  verdi  ombrosi  i  capi 
Senxa  fren ,  senza  vel  bacchi ,  e  priapl. 

E  menadi,  e  bassaridi  vi  scerai     [ce, 
Ebbre  pur  sempre ,  e  sempre  a  bere  accon- 
cile intente  or  di  latini ,  or  di  falerni 
A  votar  tasze,  ed  asciugar  bigonce. 
Ed  agiute  dai  furori  intemi 
Rotando  i  membri  in  sozze  guise  e  sconce 
Cdebran  l'orgie  lor  con  queste  o  tali 
Fescennine  canzoni ,  e  baccanali. 

Or  d'ellera  si  adomino,  e  di  pampino 
I  giovani,  e  le  vergini  più  tenere, 
E  gemina  nell'  anima  si  stampino 
L'iamiagfaie  di  libero,  e  di  Venere. 


Tutti  ardano,  si  accendano,  ed  arvampino 
Qua!  Semele,  che  al  folgore  fu  cenere; 
E  cantino  a  Cupidine,  ed  a  Bromio 
Con  numeri  poetici  un  encomio. 

La  cetera  col  crotalo,  e  con  l'organo 
Sui  margini  del  pascolo  odorifero , 
n  cembalo,  e  la  fistola  si  scorgano 
Col  zufolo,  col  timpano,  e  col  pifléro; 
E  giubbilo  festevole  a  lei  porgano , 
Che  or  espem  si  nomina,  or  lucifero; 
Ed  empiano  con  musica,  che  crepiti, 
Quest'isola  di  fremiti,  e  di  strepiti. 

I  satiri  con  cantici ,  e  con  frottole 
Tracannino  di  nettare  un  diluvio. 
Trabocchino  di  lagrima  le  ciotole, 
Che  stillano  Pusilipo ,  e  Vesuvio. 
Sien  cariche  di  fesclne  le  grottole, 
E  Tersine  dolcissimo  profluvio. 
Tra  frasshii ,  tra  platani ,  e  tra  salici 
Eq>rimansi  del  grapooli  nei  calici. 
3 


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so  POEMI 

Chi  cupido  è  di  suggere  T  amabile 
Del  balsaiDO  aromatico ,  e  del  pevere , 
Non  mescoli  il  carbuncolo  potabile 
Gol  Rodano,  con  P  Adice,  o  col  Tevere; 
Che  è  perfido,  sacrìlego,  e  dannabile, 
E  gocciola  non  merìu  di  bevere 
Chi  tempera ,  ehi  intorbida ,  chi  incorport 
Coi  rìvoli  il  crìsolito,  e  la  porpora. 

Ma  guardinsi  gli  spiriti  che  fumano, 
Non  facciano  del  cantaro  alcun  strazio, 
E  l'anfore  non  rompano,  che  spumano , 
Già  gravide  di  liquido  topazio. 


EROia. 

Che  gli  nomini  ire  in  estasi  costnmanoi 
E  si  altera  ogni  stomaco  che  è  sazio; 
E  il  cerebro  che  fervido  lussuria. 
Più  d'Ercole  con  Impeto  si  infuria. 

Mentr*elle  Ivan  cosi  con  canti  e  baBI 
Alternando  evoè  giolive  e  liete, 
Intente  tuttavia  negl'intervalli 
Sgonfiando  gli  otrì,  ad  inafiiar  la  sete; 
Passando  Adon  di  quelle  amene  valli 
Nelle  più  chiuse  viscere  segrete , 
Trovò  morbida  mensa,  ed  apprestati 
Erano  intomo  al  desco  i  seggi  auratL 

CCanto Mttiino,  totitolato  Le  JkliMit.) 


LE  MARAVIGLIE. 


ARGOMENTO. 

Di  sfera  in  srera  colassti  salita 
Venere  con  Adone  in  ciel  sen  viene 
A  cui  Mercurio  poi  quanto  contiene 
11  maggior  mondo  in  piccol  moudo  addita. 


CANTO  DFXIMO. 


Musa,  tu  che  del  ciel  per  torti  calti 
Infaticabilmente  il  corso  roti , 
E  mentre  de'  volubili  cristalli 
Qual  veloce ,  e  qual  pigro  accordi  i  moti , 
Con  armonico  piede  in  lieti  balli 
Dell'Olimpo  stellante  il  suol  percoli. 
Onde  di  quel  concento  il  suon  si  forma, 
Che  è  del  nostro  cantar  misura  e  normi; 

Tu,  divina  virtù,  mente  immortale. 
Scorgi  l'audace  ingegno,  Urania  sagg^. 
Che  oltre  i  proprì  confin  si  leva  e  sale 
A  spaziar  per  la  celeste  piaggia. 
Aura  di  tuo  favor  mi  regga  l'ale 
Per  sì  alto  sentier  sicch'io  non  caggia. 
Movi  la  penna  mia,  tu  che  11  del  mo>1, 
E  detta  a  novo  stil  concetti  novi. 

Tifi  prìmier  per  l' acque  alzò  l' antenne^ 
Con  la  cetra  sotterra  Orfeo  discese, 
Spiegò  per  l'aure  Dedalo  le  penne. 
Prometeo  al  cerchio  ardente  il  volo  stese» 
Ben  conforme  all'  ardir  la  pena  venne 
Per  cosi  stolte  e  temerarie  imprese; 


Ma  più  troppo  ha  di  rìschio,  e  di  spavento 
La  strada  inaccessibile  ch'io  tento. 

Tento  iusoUte  vie,  dal  nostro  senso, 
E  dal  nostro  intelletto  assai  lontane. 
Onde  qualor  di  sollevarvi  io  penso 
0  di  questo ,  o  di  quel  le  voglie  insane , 
Quasi  debil  potenza  a  lume  immenso , 
Che  abbacinata  In  cecità  rìmane,       [pò 
L' uno  abbagliato ,  e  l' altro  infermo  ezop- 
Si  stanca  al  sommo,e  si  confonde  al  troppo. 

E  se  pur,  che  noi  vinca ,  e  noi  soverchi 
L'infinito  splendor,  talvolta  avviene, 
E  che  il  pensier  vi  poggi ,  e  che  ricerchi 
Del  non  trito  cammin  le  vie  serene, 
Immaginando  quel  superni  cerchi , 
Non  sa,  se  non  trovar  forme  terrene. 
So  ben ,  che  senza  te  toccar  si  vieta 
A  si  tardo  cursor  sì  eccelsa  meta. 

Tu,  che  di  Beatrice  il  dotto  amante 
Già  rapisti  lassù  di  scanno  in  scanno, 
E  H  felice  scrittor,  che  d'Agramente 
Immortalò  l'alu  rulna,  e  U  danno. 


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ADONI. 


SI 


Gaidasd  d,  che  sul  destrier  volante 
Seppe  conduiri  11  pdadin  britanno^ 
PÙsarper  grazia,  or* anco  a  me  concedi 
Del  tuo  gran  tempio  alle  acerete  sedi. 
Già  per  gli  am|^  del  del  spazj  sereni 
Dinanzi  al  Sol  Lucifero  fuggiva , 
E  quel  acotendo  i  suol  gemmati  freni 
L*ascio  purpureo  al  novo  giorno  aprirà. 
Feadean  le  nebbie'a  guisa  di  baleni 
Anelando  i  destrier  di  fianuna  Tira, 
E  redeansi  pian  pian  nel  renir  loro 
Ceder  T  ombre  notturne  ai  fiati  d*oro. 

DaHe  stalle  di  Cipro,  ore  si  pasce 
Grao  famiglia  d'augei  semplici ,  e  molli, 
Sei  ne  scelse  in  tre  coppie ,  e  in  auree  fasce 
Al  tlmon  del  bel  carro  Amor  legolli. 
Torcer  lorredi  incontr'al  di,  che  nasce, 
Le  vezzose  cerrid,  e  i  vaghi  colli, 
E  te  smaltate,  e  colorite  gole 
Tàtte  abbellirsi,  e  variarsi  al  Sole. 

Vengon  gemendo,  e  con  giocondi  pasti 
Mtvoo  dtati  al  bd  viaggio  II  piede. 
Al  bd  viaggio,  ove  apprestando  vasd 
Ytntn  con  colui,  che  U  cor  le  diede. 
Al  governo  del  fren  Mercurio  stasd , 
E  del  corso  sublime  arbitro  siede , 
Sovra  la  prindpal  poppa  lunata 
Posa  la  bella  ooppia  innamorata. 

Sdolser  d*  un  landò  le  colombe  a  volo 
Legate  al  giogo  d*or,  l'ali  d'argento. 
Si  aprirò  I  deli ,  e  serenossi  il  polo, 
Sparver  le  nubi ,  ed  acquetossi  il  vento. 
DI  canori  augelletti  un  lungo  stuolo 
Le  secondò  con  musico  concento, 
E  sparser  mille  passere  lasdve 
Di  garriti  d'amor  vod  festive. 

Quelle  innocenti ,  e  candide  augelette. 
Da'  cui  rostri  si  apprende  amore,  e  pace. 
Non  temon  già,  d'amor  ministre  elette, 
Losmerio  ingordo ,  o  il  peregrin  rapace. 
Con  lor  l'aquila  scherza  ;  altre  saette 
Nd  cor,  che  nell'artiglio  aver  le  place. 
1  più  Aeri  dintorno  auge!  grifagni 
SÒn  di  nenrid  lor  (atti  compagni. 

Precorre ,  e  segue  il  carro  ampia  falange 
(Parte  il  circonda)  di  valletti  arcieri, 
Ed  altri  a  consolar  l'Alba  che  piange, 
Col  venir  della  Dea  volan  leggieri. 
AHri  al  Sol,  che  rotando  esce  di  Gange, 
Perchè  sgombri  la  via ,  van  mesaaggieri. 
Qascuno  il  primo  alle  fugad  stelle 
Procura  di  annunziar  l'alte  novelle. 
0  tu ,  che  in  novo,  e  disusato  modo 


Saggia  scorta  mi  gnidi  a  qudgran  regno 
(Disse  a  Mercurio  Adone),  ove  non  odo, 
Che  altri  di  pervenir  (usse  mal  degno, 
Pria  eh' io  giunga  lassù,  solvimi  un  nodo. 
Che  forte  implica  il  mio  dubbioso  ingegno. 
È  fors'egli  corporeo  ancora  il  cielo. 
Poiché  può  ricettar  corporeo  vdo  1  [tiene. 

Se  corpo  ha  il  del,  dunque  materia 
Se  egli  è  material,  dunque  è  composto; 
Se  composto  mei  dal ,  ne  segue  bene 
Che  è  dei  contrari  alle  discordie  esposto  ; 
Se  soggiace  al  contrari ,  ancor  conviene. 
Che  alla  corruzTon  sia  sottoposto. 
Eppur  dd  del  parlando,  udito  ho  sempre, 
Ch'egli  abbia  incorrottibill  le  tempre. 

Tace,  e  in  tal  suono  al  detti  apre  la  via 
n  dotto  timonier  dd  carro  aurato: 
Negar  non  vo',  che  corpo  H  dd  non  sia 
DI  pdpabil  materia  edificato. 
Che  far  col  moto  suo  qoeir  armonia 
Non  potrebbe ,  eh'  d  là ,  mentre  è  giralo. 
È  tutto  corpord  ciò  che  d  move , 
Edòcheha,  ilqual,  eilquanto,  Udonde, 
en  dove. 

Ma  sappi ,  che  non  sempre  è  da  Natnra 
La  materia  a  tal  fin  temprata  e  mista. 
Perchè  abbia  a  generar  cotd  mistnra, 
Quel  che  perde  mutando  in  qud  che  ae- 

quisU; 
Ma  perchè  quantità  prenda,  e  figura, 
E  del  corpo  alla  forma  ella  sussista; 
Né  di  material  quanto  è  prodotto 
Dee  necessariamente  esser  corrotto. 

Materia  dar  questa  mi^ria  suole 
Al  discorso  mortai,  che  sovente  erra. 
Chi  fabbricata  la  celeste  mole 
Di  foco  e  fumo  tien,  chi  d' acqua  e  terra. 
Se  arrivassero  al  ver  sì  fatte  fole. 
Sarebbe  quivi  una  perpetua  guerra. 
Cod  di  qud  che  l'uom  non  sa  vedere. 
Favoleggiando  va  mille  chhnere. 

La  materia  dd  del,  sebben  sublima 
Sovra  l'dtre  il  suo  grado  in  eminenza. 
Non  però  dalla  vostra  dtra  d  stima. 
Nulla  tra  gl'individui  ha  differenza. 
Ogni  materia  parte  è  della  prima. 
Sol  la  forma  d  varia,  e  non  l'essenn. 
Varietà  tra  le  sue  parti  appare. 
Secondo  che  efle  son  più  dense,  o  rare. 

Bastiti  di  saper,  che  peregrina 
impressione  in  sé  maà  non  riceve 
La  perfetta  natura  adamantina 
Di  qud  corpo  lassù  lubrico  e  lieve. 


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S2 


POEUI  EROia. 


Paragonarsi  (ancorché  pura  e  fina) 
QualiU  d*  elemento  a  lei  non  deve. 
Un  flore  scelto,  una  sostanza  quinta. 
Da  cui  di  pregio  ogni  materia  è  vinta. 

La  sua  figura  è  circolare  e  tonda. 
Periferia  continua,  e  senza  punto. 
Termin  non  ha,  ma  spazio  egual  circonda  ; 
li  principio  col  fin  sempre  ha  congiunto. 
Lhiea,  che  appien  d*ognÌ  eccellenza  al>- 
Alla  divinità  simile  appunto,      [bonda; 
E  la  divina  Eterniude  imiu , 
Perpetua,  indissolubile,  infinita. 

Or  a  questa  del  elei  materia  etema 
L* anima,  che  V  informa,  è  sempre  uniu. 
Questa  è  quella  virtù  santa  e  superna, 
Spirto,  che  le  dà  moto  ,  e  le  dà  vita. 
Senza  lei ,  che  la  volge  »  e  la  governa , 
Fora  sua  nobiltà  troppo  avvilita. 
Miglior  foran  del  cici  le  pietre  istesse. 
Se  la  forma  motrice  ei  non  avesse. 

Questa  con  lena  ognor  possente  e  franca 
Della  macchina  sua  reggendo  il  pondo. 
Le  rote  mai  di  moderar  non  manca 
Di  quel  grand' oriuol,  che  gira  a  tondo. 
Per  questa  in  guisa  tal ,  che  non  si  stanca, 
L' organo  immenso ,  onde  ha  misura  il 
Con  sonora  vertigine  si  volve  [mondo , 
Né  si  discorda  mai ,  né  si  dissolve. 

Cosi  dicea  di  Giove  il  messaggiero. 
Né  lasciava  d'andar,  perch'ei  parlasse. 
De'  campi  intanto,  ov*  ha  Giunone  impero. 
Lasciate  avea  le  reglon  più  basse , 
E  già  verso  il  più  attivo ,  e  più  leggiero 
Elemento  drizzava  il  lucid'  asse. 
La  cui  sfera  immortai  mai  sempre  accesa 
Passò  senza  periglio ,  e  senza  offesa. 

Varcato  il  puro ,  ed  innocente  foco, 
Che  alla  gelida  Dea  la  faccia  asciuga , 
L'etra  sormonta,  ed  a  più  nobil  loco 
Già  presso  al  primo  del  prende  la  fuga, 
E  il  suo  corpo  incontrando  a  poco  a  poco. 
Che  par  specchio  ben  terso,  o  senza  ruga, 
In  queste  note  il  favellar  dislingue 
U  maestro  dell'  arti,  e  delle  Ungue  : 

Adon ,  so  che  saper  di  questo  giro 
Brami  1  secreti ,  ove  slam  quasi  ascesi , 
Con  tanta  attenzion  mirar  ti  miro 
Nel  volto  delia  Dea,  madre  dei  mesi; 
Che  sebben  tu  mi  taci  il  tuo  desiro , 
E  la  dimanda  tua  non  mi  palesi , 
Ti  veggio  in  fronte  ogni  pensier  dipinto, 
Più  che  se  per  parlar  fusse  distinto. 

Questo ,  a  cui  slam  vicini ,  è  della  Luna 


L' orbe,  che  imbianca  il  elei  con  suol  splen- 
Candida  guida  della  Notte  bruna ,  [dori , 
Occhio  de' ciechi ,  e  tenebrosi  orrori. 
Genera  le  rugiade,  i  nembi  aduna. 
Ed  è  ministra  de'  fecondi  umori. 
Dagli  altrui  raggi  illuminata  splende. 
Dal  Sol  toglie  la  luce ,  al  Sol  la  rende. 
Di  questo  corpo  la  grandezza  vera 
Minor  sempre  è  del  Sol ,  né  mai  l' adombra. 
Che  della  terra  a  misurarla  intera 
La  trentesima  parte  appena  ingombra. 
Ma  se  s'accosta  alla  terrena  sfera, 
Egual  gli  sembra,  e  gli  può  farqualch'om- 
Sol  per  un  sol  momento  allor  si  vede  [bra. 
Vincer  il  Sol,  d'ogni  altro  tempo  cede. 
Ha  varie  forme ,  e  molti  aspetti  e  molti  ; 
Or  é  tonda,  or  bicorne,  or  piena,  or  scema. 
E  sempre  tien  nel  Sol  gli  occhi  rivolti , 
Che  la  percote  dalla  parte  estrema 
Onde  sempre  almen  può  l' un  de'  due  volti 
Partecipar  di  sua  beltà  suprema. 
Fa  ciascun  mese  il  suo  periodo  intero, 
E  circondando  il  del ,  cangia  emispero. 
Perché  s'appressa  a  voi  più  che  gli  altri 
orbi, 
Suol  sopra  i  vostri  corpi  aver  gran  forza. 
Donna  é  de' sensi ,  e  Dea  di  mali  e  morbi  ; 
Elia  sol  gli  produce ,  ella  gli  ammorza. 
Quanto,  o  padre  Ocean  nel  grembo  as* 

sorbi, 
Quanto  in  te  vive  sotto  dura  scorza, 
E  il  moto  istesso  tuo  cangiando  usanza 
Altera  al  moto  tuo  stato,  e  sembianza. 

Il  frutto,  e  il  fior,  la  pianta,  e  la  radice. 
Il  mare,  il  fonte,  li  fiume,  e  l'onda,  eiipe- 
Prendon  da  questa  ogni  virtù  motricCffsce, 
E  il  moto  ancor,  quand'  ella  manca  o  ere- 
Del  cerebro  ella  é  sol  govematrlce  ;  [sce. 
Di  quanto  il  ventre  chiude,  e  quanto 
E  tutto  ciò,  che  in  sé  parte  ritiene  [n'esce, 
D'umida  qualità,  con  lei  conviene. 

Cosa ,  non  dico  sol  Saturno ,  o  Giove 
Nel  mondo  inferlor  propizia,  o  fella. 
Ma  qua]  altra  o  che  posa ,  o  che  si  move, 
Stabil  non  versa,  o  vagabonda  stella. 
Che  non  passi  per  lei  ;  quante  il  del  piove 
Influenze  laggiù,  scendon  per  quella. 
Per  quella  chiara  lampada  d' argento,  [to. 
Che  é  dell*  ombre  notturne  alto  ornamen- 
Onde  se  avvien,  che  giri  il  bel  sembiante 
Collocato  e  disposto  in  buon  aspetto, 
Ancorché  variabile  e  vagante , 
Partorisce  talor  felice  efletto. 


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ADONE. 


58 


mFortima  non  mai,  fuor  che  incostante, 
Sperì  dilunque  a  lei  nasce  soggetto , 
Qie  con  perpctoo  error  0a  die  lo  spinga 
Foor  di  patria  a  menar  vita  raminga. 
*  Con  più  diffuso  ancor  lungo  sermone 
n  isico  diTin  Tolea  seguire. 
Quando  a  mezao  il  discorso  il  bel  garzone 
La  faTella  gli  tronca,  e  prende  a  dire: 
D'una  cosa  a  q>lar  l'alu  cagione 
Caldo  mi  move  e  fcrrldo  deslre. 
Cosa,  che  da  che  pria  l'occhio  la  scorse, 
Sempre  ha  la  mente  mia  tenuu  In  forse. 

D'alcune  ombrose  macchie  impressa  io 
veggio 
Ddla  trìfomie  Dea  la  guanda  pura. 
Dimmi  il  perchè;  tra  mille  dubb)  ondeggio, 
Né  so  trovarne  opinion  secura. 
Qodl  immondo  contagio  (ioti  rìchieggio) 
Di  bruite  stampe  11  vago  volto  oscura? 
Cosi  ragiona ,  e  1*  altro  un'  altra  volta 
La  parola  ripiglia,  e  dice  :  Ascolta. 

Poiché  cotanto  addentro  intender  vuoi, 
Al  bd  quesito  soddisfar  prometto. 
Ma  di  dò  la  ragion  ti  dirà  poi 
L' occhio  vie  meglio  assai ,  che  l' intdictto. 
Non  mancan  già  filosoli  tra  voi , 
Che  notato  hanno  in  lei  questo  difetto. 
Studia  ciascun  d'Investigarìo  a  prova. 
Ma  chi  si  apponga  al  ver  raro  si  trova. 

Aflèma  alcun,  che  d'altra  cosa  densa 
Sia  tra  Febo,  e  Febea  corpo  framcsso. 
La  qual  dello  splendor,  eh'  d  le  dispensa. 
In  parte  ad  occupar  venga  il  reflesso. 
U  che  se  fusse  pur,  come  altri  pensa , 
fkm  sempre  11  volto  suo  fora  l'istcsso, 
ffè  sempre  la  vedria  chi  in  lei  si  afOsa 
lo  un  loco  macchiata,  e  d'una  guisa. 

Havvi  chi  crede ,  che  per  esser  tanto 
Cintia  vidna  agli  clementi  vostri , 
Della  natura  elementare  alquanto 
Coovien  pur  che  partedpe  si  mostri. 
Cosi  la  gloria  immacolata,  e  il  vanto, 
Cerca  contaminar  de'  regni  nostri. 
Come  cosa  dd  dei  sincera  e  schietta 
Poisa  di  vii  mistura  essere  inretta. 

Altri  vi  fu ,  che  esser  qud  globo  disse 
Quasi  opaco  cristal ,  che  11  piombo  ha  die- 
E  che  col  suo  reverbero  venisse  [tro. 
L'ombra  delle  montagne  a  fario  tetro. 
Ma  qual  si  terso  mal  fu,  che  ferisse 
Per  cotanu  distanza,  acdalo,  o  vetro? 
E  qual  vasta  cerviera  in  specchio  giunge 
L'haagine  a  mirar  cosi  da  lunge? 


Egli  è  dunque  da  dir,  che  più  secreta 

Colà  s'asconda,  ed  esplorata  invano 
Altra  cagion ,  che  penetrar  si  vieta 
All'ardimento  dell'ingegno  umano. 
Or  io  ti  fo  saper,  che  quel  pianeta 
Non  è  (com' altri  vuol)  polito  e  piano. 
Ma  ne'  recessi  suol  profondi  e  cupi 
Ha  non  mcn  che  la  terra ,  e  valli,  e  mpl. 

La  superflde  sua  mai  conosciuta 
Dico,  che  è  pur  come  la  terra  istessa. 
Aspra,  ineguale,  e  tumida,  e  scrignuU, 
Coiica%*a  in  parte,  In  parte  ancor  convessa. 
Quivi  veder  potrai  (ma  la  veduta 
Noi  può  rafflgurar,  se  non  s' appressa) 
Altri  mari,  altri  fiumi ,  ed  altri  fonti , 
Città,  regni ,  provincie,  e  piani ,  e  monti. 

E  questo  è  quel ,  die  fa  laggiù  parere 
Nei  bel  viso  di  Trivla  i  segni  foschi, 
Bcndiè  altre  macchie,  che  or  non  puoi  ve- 
dere [noschi , 
Vo'che  entro  ancor  vi  scorga,  e  vi  co- 
Clie  son  più  spesse ,  e  più  minute,  e  nere, 
E  8onpurscog1ì,ecolll,ecampÌ,eboschl. 
Son  nel  più  puro  delle  bianche  gote. 
Ma  da  terra  affissarle  occhio  non  potè. 

Tempo  verrà,  che  senza  Impedimento 
Queste  sue  note  ancor  fien  note  e  chiare, 
Mercè  di  un  ammirabile  strumento. 
Per  cui  dò  che  è  lontan ,  vidno  appare  ; 
E  con  un  occhio  chiuso ,  e  l' altro  intento 
Speculando  ciascun  l'orbe  lunare. 
Scordar  potrà  lunghissimi  intervalli 
Per  un  picciol  cannone ,  e  due  cristalli. 

Dd  telescopio  a  questa  etate  Ignoto 
Per  te  fia,  Galileo,  l'opra  composta,     [to. 
L'opra,  che  al  senso  altrui,  benché  remo- 
Fatto  molto  maggior  l' oggetto  accosta. 
Tu  sol  osservator  d'ogni  suo  moto, 
E  di  qualunque  ha  In  lei  parte  nascosta. 
Potrai ,  senza  die  vel  nulla  le  chiuda. 
Novello  Endimion ,  mirarla  ignuda. 

E  col  medesmo  ocdiial  non  solo  In  Id 
Vedrai  dappresso  ogni  atomo  distinto. 
Ma  Giove  ancor  sotto  gli  auspicj  miei 
Scorgerai  d'altri  lumi  intomo  dnto, 
Onde  lassù  dell'Amo  1  semidei 
Il  nome  lascerà  sculto,  e  dipinto. 
Che  Giulio  a  Cosmo  ceda  allor  fia  giusto , 
E  dal  Medici  tuo  sia  vinto  Augusto. 

Aprendo  il  sec  dell' Ocean  profondo. 
Ma  non  senza  periglio ,  e  senza  guerra , 
Il  ligure  Argonauta  al  basso  mondo 
Scoprirà  novo  ddo,  e  nova  terra. 


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M  POEMI 

Ta  del  ciel,  non  del  mar  Tifi  secondo, 
Quanto  gira  spiando,  e  quanto  serra 
Sema  alcun  rischio, ad  ogni  gente  ascose 
Scoprirai  nove  luci ,  e  nove  cose. 

Ben  dei  tu  molto  al  ciel ,  che  ti  discopra 
L'iuTenzlon  dell'organo  celeste. 
Ma  vieppiù  il  cielo  alla  tua  nobil  opra. 
Che  le  bellezze  sue  fa  manifeste. 
Degna  è  1*  imagin  tua ,  che  sia  là  sopra 
Tra  i  lumi  accolu ,  onde  si  fregia  e  veste , 
E  delle  tue  lunette  11  vetro  frale 
Tra  gli  eterni  zalfir  resti  immortale. 

Non  prima  no,  che  delle  stelle  istesse 
Estingua  il  cielo  1  luminosi  rai , 
Esser  dee  lo  splendor,  che  al  crin  ti  tesse 
Onorata  corona,  estinto  mal. 
Chiara  la  gloria  tua  vivrà  con  esse, 
E  tu  per  fama  in  lor  chiaro  vi^Tai , 
E  con  lingue  di  luce  ardenti  e  belle 
Ftvelleran  di  te  sempre  le  stelle. 

Non  avea  ben  quel  ragionar  fornito 
Il  secretario  de*  celesti  Numi, 
Quando  il  carro  hnmortal  vide  salito 
Sovra  il  lume  minor  de'  due  gran  lumi , 
Trovoasi  Adone ,  in  altro  mondo  uscito , 
In  dui  prati ,  in  altri  boschi ,  e  fiumi. 
Quindi  arrivò  per  non  segnato  calle 
Presso  un  speco  riposto  in  chiusa  valle. 

Qrconda  la  spelonca  erma  e  remota 
Verdeggiante  le  squame,  angue  custode, 
Angue,  che  attorce  in  flessuosa  rota 
Sue  parti  estreme,  e  sé  medesmo  rode. 
Donna  canuta  U  crin,  crespa  la  gota. 
Del  ori  semMaote  il  ciel  s*  allegra  e  gode , 
Ddl' antro  venerabile  e  divino 
Slede  sul  Hmltare  adamantino,     [quelle 

PwdMle  ognor  da  queste  membra  e 
Mille  pargoleggiando  alme  volanti , 
E  taCla  piena  intono  è  di  mammelle. 
Ondi  attattando  va  turba  d'infanti. 
Misiirator  de'  dell,  e  delle  stelle, 
E  cancelller  de*  suoi  decreti  santi , 
Le  leggi,  al  cui  sol  cenno  il  tutto  vive. 
Ne*  gran  tetl  dd  fato  un  veglio  scrìve. 

Calvo  èH  ve^o,  e  rugoso,  e  spande  al 
Deliabarba  prolissa  il  bianco  pelo,   [petto 
Severo  la  vista,  e  di  robusto  aspetto , 
E  grande  ri,  dM  quasi  adombra  H  cielo. 
É  tutto  Ignudo,  e  senza  vesta,  eccetto 
Quaato  B  ricopre  un  varlabil  velo. 
Agli  sembra  nel  eorso,  ha  I  pie  calaatl. 
Ed  a  guisa  di  augd,  gli  omeri  alati. 

Tiendhrtsabidae  vetri  in  soUaschleBa 


EROICI. 
Lucida  ampolla,  onde  traspar  di  foro 
Sempre  agitata,  e  prigioniera  arena , 
Nunzia  verace  delle  rapid'ore. 
A  filo  a  filo  per  angusta  vena 
Trapassa,  e  riede  al  suo  continuo  errore  , 
E  mentre  ognor  si  volge,  e  sorge,  e  cade , 
Segna  gli  spazi  dell'umana  etade. 

Di  servi ,  e  serve ,  ad  ubbidirgli  avvezza 
Moltitudine  intomo  ha  reverente. 
Di  quella  maestà,  che  il  tutto  sprezza , 
Provida  esecutrice  e  diligente. 
Mostrava  Adon  desio  d'aver  contezza 
Qual  si  fusse  quel  loco ,  e  quella  gente  ; 
Onde  cosi  di  quel  secreti  immensi 
Il  suo  condudtor  gli  aperse  i  sensi  : 

Sacra  a  colei ,  che  gli  ordini  fatali 
Ministra  al  mondo,  è  questa  grotta  annosa. 
Non  solo  impenetrabile  ai  mortali , 
Agli  occhi  umani ,  ed  alle  menti  ascosa , 
Sicché  alzarvi  giammai  la  vista ,  o  1*  ali 
Intelletto  non  può ,  sguardo  non  osa , 
Ma  gl'interni  recessi  anco  di  lei 
Quasi  appena  spTar  sanno  gli  Del. 

Natura  universal  madre  feconda 
È  la  donna ,  che  assisa  ivi  si  mostra. 
In  quella  cava  ha  sua  magion  profonda. 
Occulto  albergo,  e  solitaria  chiostra. 
Giusto  è ,  che  ognun  di  voi  ie  corrisponda , 
Yuotei  onorar  qual  genitrice  vostra; 
E  ben  ie  devi  tu ,  come  creato         [to. 
Più  bel  d' ogni  altro.  Adone,  esser  più  gra* 

Quell'uomo  antico  che  alle  spalle  ha  1 
vanni 
È  quel,  che  ogni  mortai  cosa  consuma, 
Domator  di  monarchi,  e  di  tiranni. 
Con  cui  non  è  chi  contrastar  presuma. 
Parto  del  Tempo  dispensier  degli  anni , 
Che  scorre  II  del  con  si  spedita  piuma , 
E  sì  presto  sen  fugge,  e  sì  leggiero. 
Che  è  tardo  a  seguitarlo  anco  il  pensiero. 

Con  l'ali,  che  sì  grandi  ha  sulle  terga, 
Vola  tanto  che  il  Sol  l' adegua  appena. 
Sola  però  l'Eternità,  che  alberga 
Sovralestelle,  il  giunge,  e  l'incatena. 
La  penna  ancor,  che  dotte  carte  verga. 
Passa  il  suo  volo ,  e  11  suo  furore  affrena. 
Cori  (chi  il  crederebbe  7)  uà  fragii  foglia     ^ 
Può  di  chi  tutto  può  vincer  l' orgoglio.       f 

DI  duro  acciaio  ha  temperati  i  denti. 
Infrangibili,  etemi,  adasaantini. 
Ddle  torri  superile,  ed  eminenti 
Rode  e  rompe  con  questi  i  sassi  alpini  { 
I  Dei  gran  teatri  I  porfidi  hioenti , 


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Degfl  eccelsi  colossi  i  marmi  fini. 
DiTontor  del  tutto ,  alfin  risolve 
Le  pia  salde  materie  iu  trita  poWe. 

IN  sua  forma  non  so  se  t'accorgesti , 
Qm  non  è  mai  Tbtessa  alla  veduta. 
Facdm ,  ed  età  di  tre  maniere  ha  questi , 
L'aceri»,  la  virile,  e  la  canuta. 
Tu  Tedi  ben,  come  sembiante ,  e  gesti 
Varia  sovente,  e  d'or* in  or  si  muta. 
L'effigie,  che  pur  or  n'offerse  innanzi, 
Altra  ne  sembra,  e  non  è  più  qual  dianzi. 

Vedigli  assiso  ai  piedi  un  potentato. 
Da  cui  tutte  te  cose  ban  vita  e  morte, 
Con  un  gran  libro ,  le  cui  carte  è  dato 
Volger  (com' ella  vuoi)  solo  alla  Sorte. 
A  questo  Nume,  che  si  appella  Fato, 
Detta  quant'ei  determina  in  sua  corte. 
Quegli  lo  scrìve,  ed  ordina  al  governo. 
Primavera,  ed  Autunno,  Estate ,  e  Inver- 
no. 
Gomandan  questi  al  secolo ,  e  palese 
Gli  fan  ciò  che  far  dee  di  punto  in  punto. 
n  secol  poi  che  ha  le  sue  voglie  intese , 
Al  lustro  Impon  che  l'eseguisca  appunto. 
Dhistro  air  anno,  e  l'anno  al  mese,  il  mese 
Al  giorno,  il  giorno  all' ora,  el'oraalpun- 
GmI  dispon  gli  affari,  e  con  tal  legge  [to. 
Signoreggia  1  mortali ,  e  il  mondo  regge. 
Vedi  qoe'  duo,  1*  un  giovinetto  adomo , 
Cndldo,  e  biondo,  e  con  serene  d^ia; 
L'altra  founlna,  e  bruna,  e  vanno  Intor- 
E ritengono  in  meno  una  lor  figlia,  [no, 
SoB  color  (se  noi  sai]  la  Notte,  e  il  Giorno, 
E  r  Aurora  è  tra  ior  bianca  e  vermiglia. 
Or  mira  quelle  tre ,  che  tutto  han  pieno 
Di  gomitoli  d' acda  11  lembo ,  e  il  seno. 

QueQe  le  Parche  son ,  per  cui  laggiuso 
6  llaU  la  viU  a  tutti  voi. 
Nel  suo  volto  guardar  sempre  han  per  uso , 
Tutte  dipendon  sol  dai  cenni  suoi. 
Quella  tien  la  conocchia ,  equesta  il  fuso , 
L'altra  torce  lo  stame ,  e  11  tronca  poi. 
Vedi  U  Verità  figHa  del  vecchio ,  [chio. 
Che  hmansi  agli  occhi  gli  sostlen  lospec- 
Quanto  In  terra  si  fa,  là  dentro  el  mira, 
E  deO*  altrui  follie  noU  gli  esempi. 
Vede  l'umana  aanbixton  che  aspira 
In  aiille  modi  a  fargH  oltraggi  e  scempL 
Crede  fiaccargli  alcun  la  forza,  e  l' ira 
Ergendo  statue ,  e  fabbricando  tempj. 
Altri  coatro  gli  driua  archi ,  e  trofei , 
Piramidi,  obellscfai,  e  mausolei, 


Ride  egH  allora ,  e  sì  sei  prende  a  gioco , 


ADONE.  55 

Scorgendo  quanto  r  uom  s'inganna,  ed 

erra; 
E  poiché  in  piedi  ha  pur  tenute  un  poco 
QucHe  macchine  altere,  alfin  le  atterra. 
Dalle  in  preda  dell'  acqua ,  owerdcl  foco , 
Or  le  dona  alia  peste ,  ora  alla  guerra. 
Le  q>argc  in  fumo  in  quella  guisa  o  in 

questa 
Sicché  vestìgio  alcun  non  ve  ne  resta. 

E  di  ciò  la  ministra  è  sol  queir  una , 
Che  è  cicca,  e  d' un  delfin  sul  dorso  siede. 
Calva  da  tergo ,  e  11  crine  in  fronte  aduna. 
Aiata,  e  tien  sovra  una  palla  il  piede. 
Guarda  se  la  conosci ,  è  la  Fortuna , 
Cile  al  paterno  terren  passar  U  diede. 
Mira  quanti  tesor  dissipa  al  vento. 
Mitre ,  scettri ,  corone ,  oro ,  ed  argento. 

Quattro  donne  reali  a  pie  le  miri , 
E  son  le  monarchie  dell'  universo. 
D' or  coronata  è  quella  degli  Assiri , 
D*  argento  l' altra ,  che  ha  l' impero  perso, 
La  Grecia  appresso  con  men  ricchi  giri 
Porta  cerchiato  il  crin  <U  rame  terso. 
L' ultima ,  che  di  ferro  orna  la  chiomSi 
È  la  guerriera  e  bellicosa  Roma. 

Ma  ciò  che  vai ,  se  H  tutto  è  un  sogno 
Stolto  colui ,  che  in  vanità  si  fida,   [breve  7 
Dritto  è  ben ,  che  d' un  ben  che  perir  deve, 
L' un  filosofo  pianga ,  e  V  altro  rida. 
Sola  Virtù  del  Tempo  avaro ,  e  lieve 
Può  l'ingorda  sprezzar  rabbia  omicida. 
Tutto  il  resto  il  crudel,  mentre  che  fugge, 
E  rapace,  e  vorace,  invola,  e  strugge. 

Guarda  sull'  uscio  pur  della  caverna , 
E  vedrai  due  gran  donne  assise  quivi, 
E  quinci  e  quindi  dalla  foce  intema 
Di  qualità  contraria  uscir  duo  rivi. 
Siede  l' una  da  destra ,  e  luce  eterna 
Le  fregia  il  volto  di  bei  raggi  vivi , 
Ridente  In  vista ,  e  di  un  aspetto  santo. 
In  man  Io  scettro,  ed  ha  stellatoli  manto. 

È  la  FeUdtà,  de'  cui  vesUgi 
Cerca  ciascun,  né  sa  trovar  la  traccia. 
Ma  da  larve  deluso,  e  da  prestigi 
Di  quella  in  vece,  la  Miseria  abbraccia. 
Stanno  molte  donzelle  a'  suol  servigi 
D' occhio  giocondo,  e  di  piace  voi  faccia. 
Vita ,  abbondanza ,  e  ben  contente  e  liete 
Festa,  gioia,  allegra,  pace  e  quiete. 

Lungo  il  suopièconlimpid'  onda  e  riva 
Mormorando  sen  va  soavemente 
Il  destro  fiumicel ,  da  cui  deriva , 


DI  letizia  inunortal  vena  corrente. 


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5G  POEMI 

Ella  un  lambicco  in  man  sovra  la  riva 
Colmo  dell*  acqua  tien  di  quel  torrente , 
E  (come  vedi  ben)  fuor  della  boccia 
In  terra  le  distilla  a  goccia  a  goccia. 

A  poco  a  poco  ingiù  versa  il  diletto. 
Perchè  altri  non  può  farne  intero  acquisto. 
Scarso  è  l' uman  conforto ,  ed  imperfetto, 
E  qualche  parte  in  sé  sempre  ha  di  tristo. 
Quel  ben,  che  qui  nel  cielo  è  puro  e  schiet- 
Piove  laggiù  contaminato  e  misto ,  [to , 
Perocché  pria  che  caggia,  el  si  confonde 
Con  qucU'  altro  ruscel,  che  amare  ha 
r  onde. 

L' altro  ruscel ,  che  men  purgato  e  chia- 
Passa  da  manca,  è  tutto  di  veleno ,  [ro 
Vieppiù  che  fiel,  vieppiù  che  assenzio 

amaro, 
E  sol  pianti ,  e  sciagure  accoglie  in  seno. 
Vedi  colei ,  che  li  vaso ,  onde  volaro 
Le  compagne  d'Astrea, tutto  n'ha  pieno, 
E  con  prodiga  man  sovra  1  mortali 
Sparge  quanti  mai  fur  malori  e  mali. 

Pandora  è  quella  ;  il  bossolo  di  Giove 
Folle  audacia  ad  aprir  le  persuase. 
Fuggi  lo  stuol  delle  Virtudi  altrove , 
Le  Disgrazie  restaro  in  fondo  al  vase. 
Sol  la  Speranza  in  cima  ali*  orlo ,  dove 
Sempre  accompagna  i  miseri ,  rimase  ; 
Ed  è  quella  colà  vestita  a  verde,      [de. 
Che  in  del  non  entra ,  e  nell*  entrarsi  per- 

Or  vedi  come  fuor  dell'  ampia  bocca 
I>eU'  urna  rea,  che  ogni  difetto  asconde , 
In  larga  vena  scaturisce  e  flocca 
Il  sozzo  umor  di  quelle  perfid'  onde. 
Dell'  altro  fiume ,  onde  piacer  trabocca , 
Questo  in  copia  maggior  l'acque  diffonde. 
Perchè  in  quel  nido  di  tormenti  e  guai 
Sempre  l' amaro  è  più  che  il  dolce  assai. 

Vedi  Morte,  Penuria,  e  Guerra,  e  Peste, 
Vecchiezza ,  e  Povertà  con  bassa  fronte , 
Pena,  Angoscia,  Fatica  afflitte  e  meste 
Figlie  appo  lei  d*  A>emo ,  e  d' Acheronte. 
Ve'  1*  empia  Ingratitudine  tra  queste , 
Prima  d' ogni  altro  mal  radice  e  fonte. 
E  tutte  uscite  son  del  vaso  immondo 
Per  infestar,  per  infetUre  il  mondo. 

Non  ti  maravigliar ,  che  affiamni  e  doglie 
In  questo  primo  del  faccian  dimora. 
Perchè  la  Diva ,  onde  il  suo  moto  ei  toglie , 
È  di  ogni  morbo ,  e  di  ogni  mal  signora. 
In  lei  dominio ,  e  potestà  s' accoglie 
E  sovra  i  corpi ,  e  sovra  l' alme  ancora. 
Ma  se  di  ogni  bruttura  iniqua  e  fella 


EROia 
Vuoi  la  schiuma  veder,  volgiti  a  quella. 

Si  disse ,  e  gli  mosurò  mostro  difforme 
Con  orecchie  di  Mida,  e  man  di  Gacco.' 
AI  duoi  volti  parca  Giano  biforme. 
Alla  cresta  Priapo ,  al  ventre  Bacco. 
La  gola  al  lupo  avca  forma  conforme , 
Artigli  avea  d' arpia,  zanne  di  dacco. 
Era  iena  alla  voce ,  e  volpe  ai  tratti , 
Scorpione  alla  coda ,  e  simia  agii  atti. 

Chiese  alla  guida  Adon ,  di  che  natura 
Fussc  bestia  sì  strana ,  e  di  che  sorte  ; 
Ed  intese  da  lui ,  che  era  figura 
Vera ,  ed  idea  della  moderna  Corte. 
Portento  orrendo  dell'  età  futura, 
Flagcl  del  mondo,assai  peggior  che  morte, 
Dell'  Erinni  infernali  aborto  espresso , 
Vomito  dell'  Inferno ,  Inferno  istesso. 

Ma  di  questa  (dicea)  meglio  è  tacerne. 
Poiché  ogni  pronto  stil  vi  fora  zoppo. 
Ben  mille  lingue,  e  mille  penne  eterne 
In  mia  vece  di  lei  parleran  troppo. 
Mira  in  quel  tribunal ,  dove  si  sceme 
Di  gente  intorno  adulatrìce  un  groppo, 
Donna  con  torve  luci ,  e  lunghe  orecchie , 
Che  da'  fianchi  si  tien  due  brutte  vecchie. 

L'Autorità  tirannica dlpigne 
Quella  superba  e  barbara  sembianza, 
E  l'assistenti  sue  sciocche,  e  maligne 
Son  la  Sospizlone ,  e  l' Ignoranza.   Igne, 
Labbra  ha  verdi  e  spumanti,  e  man  sangui- 
Mostra  rigor,  furor,  fasto,  arroganza  ; 
Porge  la  destra  ad  una  donna  ignuda, 
Di  cui  non  è  la  più  perversa  e  cruda. 

QuesU  tutu  di  sdegno  accesa  e  tinta , 
E  di  dispetto,  e  di  fastidio  è  piena; 
E  da  turba  crudel  tirata,  e  sphita 
Giovinetta  gentil  dietro  si  mena. 
Che  l' una  e  l' altra  mano  al  tergo  avvinta 
Porta  di  dura  e  rigida  catena , 
Smarrita  il  viso ,  e  palUdetta  alquanto. 
Ed  ha  bianca  la  gonna ,  e  bianco  il  manto. 

La  Calunnia  è  colei,  che  al  trono  angusto 
Per  man  la  tragge ,  e  par  d' astio  si  roda. 
Bella  la  facda  ha  si ,  ma  dietro  al  busto 
Le  si  attorce  di  serpe  orrida  coda. 
L' altra  condotta  nel  giudizio  Ingiusto  « 
A  cui  le  bracda  indegno  ferro  annoda, 
È  r  incorrotta  e  candida  Innocenza, 
Sovraffatta  talor  dall'  Insolenza. 

Il  Llvor  r  è  dincontra ,  il  quale  approva 
La  falsa  accusa ,  e  la  risguarda  In  torto. 
Aconito  infemal  nel  petto  cova, 
E  di  squallido  bosso  ha  11  viso  smorto , 


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ADONE. 


57 


SlnDe  ad  uom ,  che  afflitto  ancor  si  trova 
Da  lungo  morbo,  onde  guarì  di  corto. 
Coppia  d'ancelle  alla  Calunnia  applaude, 
(Testimoni  malvagi)  Insidia,  e  Fraude. 
Segue  costoro  addolorau,  e  piange 
Di  tal  perfidia  il  torto,  e  la  menzogna 
La  Penitensa,  che  si  affligge  ed  ange 
Presso  ìa  Verità ,  clie  la  rampogna , 
Esi  squarcia  la  vesta,  e  il  crìn  si  frange, 
E  di  duol  si  dispera,  o  di  vergogna, 
E  col  flagel  di  una  spinosa  verga 
Si  batte  il  corpo,  e  macera  le  terga. 

Oimè,  non  stiam  più  qui,  lasdam  per 
Di  questi  mostri  abominandi  il  nido.  [IMo 
Tacquesi ,  e  lungo  un  tortuoso  rio 
Quindi  sviollo  U  saggio  duce  fido. 
D'un*  oscura  isolctta  Adon  scoprio 
Non  molto  lunge ,  ancor' incerto,  il  lido. 
L'aria  avea  d' ogn'  intomo  opaca  e  bruna 
Qual  fosca  notte  in  nubilosa  luna. 

Giace  in  mezzo  d' un  fiume,  il  qual  sì 
Dilaga  r  aòque  sue  placide  e  ctiete ,  [roco 
E  va  si  lento,  e  mormora  sl^  poco, 
Che  provoca  in  altrui  sonno,  e  quiete. 
Ecco  (Mercurio  allor  soggiunse)  Il  loco. 
Dove  discorre  il  sonnacchioso  Lete, 
Da  cui  la  verga  mia  forte ,  e  possente 
Prende  virtù  d'addormentar  la  gente. 

L'isola  d'ogni  parte  abbraccia  e  chiude 
(Come  scorger  ben  puoi  )  l' onda  letale  ; 
Sembra  oziosa  e  livida  palude , 
Onde  caligin  densa  in  alto  sale. 
Vedi  quante  in  quell'acque  anime  Ignude 
Vanno  a  lavarsi ,  ed  a  tuflarvi  l'ale 
Pria  che  le  copra  il  corrottibll  velo. 
Per  obliar  dò  che  han  veduto  in  cielo. 

Vedine  molte,  che  a  bagnar  le  piume 
Vengon  pur  nelle  pigre  onde  infelici , 
£  perdon  pur  dentro  il  medesmo  fiume 
La  conoscenza  de'  cortesi  amici. 
Son  gì'  ingrati  color  che  han  per  costume 
Dimenticar  favori ,  e  beneficj , 
E  scrìver  nelle  foglie,  e  dare  ai  venti 
Gii  obblighi ,  le  promesse ,  e  i  giuramenti. 
Altre  ne  vedi  ancor  quassù  dal  mondo 
Salire  ad  or  ad  or  macchiate  e  brutte , 
Le  quai  non  pur  di  quel  licore  immondo 
Corrono  a  ber,  ma  vi  s' immergon  tutte. 
Genti  son  quelle,  che  da  basso  fondo 
Son  per  fortuna  ad  alto  grado  addutte. 
Dove  ciascun  divien  sì  smemorato , 
die  più  non  gli  sowien  del  primo  stato. 
0  dei  terreni  onor  perfifla  usanza, 


Con  cui  r oblìo  di  subito  si  beve. 
Onde  con  repentina  empia  mutanza 
Viensi  l' uomo  a  scordar  di  quanto  deve  ; 
E  non  solo  d' altrui  la  rimembranza 
In  lui  s' offusca ,  e  si  smarrisce  in  breve , 
Ma  sì  del  tutto  ogni  memoria  ha  spenta, 
Che  di  sé  stesso  pur  non  si  rammenta. 

Il  paese  dei  Sogni  è  questo,  a  cui 
Pervenuti  noi  slamo  a  mano  a  mano. 
Vedi  che  appunto  nel  sembianti  sul 
Simile  al  sogno ,  ha  non  so  che  del  vano , 
Che  apparisce,  e  sparisce  agli  occhi  altrui, 
E  visibile  appena  è  di  lontano. 
Qui  da  Giove  scacciato  il  Sonno  nero 
Contumace  del  del,  fondò  l'impero. 

Ma  per  poter  varcar  l'onda  soave 
Sarà  buon,  che  alcun  legno  or  si  prepari. 
Ed  ecco  allora  in  pargoletta  nave 
Strania  ciurma  apparir  di  marinari , 
Itatone ,  e  Tarassio  il  remo  grave , 
E  Plutode,  e  Morfeo  movean  del  pari. 
Era  il  veccbio  Fantaslo  il  galeotto, 
Al  mestier  del  timone  esperto  e  dotto. 

Presero  un  porto ,  ove  d' elettro  puro , 
All'  angel  vigilante  un  tempio  è  sacro. 
Quindi  scolpito  sta  l' Èrebo  oscuro, 
Quind  d'Ecate  bella  il  simulacro. 
In  suir entrar,  pria  che  si  passi  al  muro 
V  ha  di  duo  fonti  un  gemino  lavacro  ; 
Che  fan  cadendo  un  mormorio  secreto , 
Pannlcchia  è  detto  l' un,  l'altro Negrcto. 

Fa  cerchio  alla  città  selva  frondosa  , 
Che  dà  grato  ristoro  al  corpo  lasso 
La  mandragora  stupida ,  e  gravosa , 
E  il  papavero  v'  ha  col  capo  basso. 
L'orso  tra  questi  languido  riposa, 
E  riposanvi  all'ombra  II  ghiro ,  e  11  tasso. 
Né  d'abitar  quel  rami  osano  augelli, 
Fuor  che  nottole,  e  gufi,  e  pipistrelli. 

D'un  Iri  a  più  color  case,  e  contrade 
Stansi  tra  lumi  tenebrosi  occulte. 
Quattro  porie  maestre  ha  la  clttade. 
Due  di  terra,  e  di  ferro  Indse  e  scuUe, 
Le  qual  rispondon  per  diritte  strade 
Della  Pigrizia  alle  campagne  Inculle  ; 
E  per  queste  sovente  o  falsi ,  o  veri 
Escono  i  Sogni  spaventosi  e  fieri. 

Dell'  altre  due  ciascuna  il  fiume  guarda  ; 
L'una  è  d'avorio,  e  si  disserra  idlora. 
Che  è  nd  suo  centro  la  sugion  più  tarda , 
L'altra  di  corno,  e  s'apre  in  sull'aurora. 
Perquella  a  scherni  rl'uom  turba  bugiarda 
D' ingannatrid  imagini  vien  fora. 


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'ig  poBau 

<Da  queaU  soglion  Crar  Taulme  vaghe 
Visioni  del  Ter  spesso  presaghe. 

La  bella  coppia  entrò  per  l*uscio  ebumo, 
E  ftir  quell*  ombre  da*  suoi  raggi  rotte. 
Il  MIO  palagio  ombroso,  e  taciturno 
Nella  piazza  maggior  tenea  la  Notte. 
Dall*  altra  parte  di  vapor  notturno 
Velato,  e  chiuso  tra  profonde  grotte 
L'albergo  ancor  del  Sonno  si  Tedea, 
Che  sovra  un  letto  d'ebano  giacea. 

0  di  quante  fantastiche  bugie 
Mostruose  apparenze  intomo  vanno  1 
Sogni  schivi  del  Sol ,  nemici  al  die, 
Fabri  d*  iUusion ,  padri  d*  inganno. 
Minotauri ,  centauri ,  idre,  ed  arpie , 
E  gerloni ,  e  briarei  vi  stanno. 
Chi  sirena ,  chi  sfinge  al  corpo  sembra. 
Chi  di  ddopo ,  e  chi  di  fauno  ha  membra. 

Chi  par  i>ertucci,  ed  è  qual  bue  cornuto. 
Chi  tutto  è  capo,  e  il  capo  poi  senz*  occhi. 
Altri  han  com'  hanno  I  mergi  il  becco  acu- 
Altri  la  barba  a  guisa  degli  alocchi.  [to, 
Altri  con  (accia  umana  è  si  orecchiuto. 
Che  convien ,  che  ogni  orecchia  il  terren 

locchL 
AltH  ha  pie  d'oca,  e  di  (alcone  arUgUo, 
L' occhio  nel  ventre,  e  nel  l>eUico  il  dg^lo. 

Vedresti  effigie  angelica,  e  sembiante. 
Poi  si  termina  il  piede  in  piedisulk>. 
Visi  di  can  con  trombe  d' elefante , 
Colli  di  gru  con  teste  di  cavallo. 
Busti  di  nano,  e  bracda  di  gigante, 
AH  di  parpaglion,  creste  di  gallo , 
Con  code  di  pavon  grifi,  e  pegasi. 
Fusi  per  gambe ,  e  pifferi  per  nasi. 

Alcun  di  lor,  quasi  spalmato  legno. 
Vola  a  vda  per  l'aure ,  e  scorre  a  nuoto , 
Ma  di  due  rote  ha  sotto  un  altro  ingegno , 
Onde  corre  qual  carro ,  e  varia  moto. 
Con  un  mantice  alcun  di  vento  pregno 
Gonfia ,  e  sgonfia  soffiando  il  corpo  voto , 
E  tanti  fiati  accumula  nell'epa. 
Che  come  rospo  alfin  ne  scoppia  e  crepa. 

E  questi ,  ed  altri  ancor  più  contraffatti 
Ve  n' ha,  picdoli  e  grandi ,  Interi  e  mozzi , 
Quasi  vive  grottesche ,  o  q>irti  astratti , 
Scherzi  del  caso,  e  dd  pensiero  abbozzi. 
Parte  alle  spoglie,  alle  fattezze ,  agli  atti 
Son  lieti  e  vaghi,  e  parte  inunondi  e  sozzi. 
Moia  al  gesto,  al  vestir  vili  e  plebd. 
Molti  di  regi  in  abito,  e  di  Dd. 

Tra  gli  altri  Adon  vi  riconobbe  quello , 
Che  in  Opro  già,  quand'eitn'fior  dormiva 


EBOICI. 
RappresentogU  il  dmulacro  beilo 
Della  sua  bella,  ed  amorosa  Diva. 
E  già  quel  pigro  e  losinghier  drappello 
Dietro  alla  Notte,  che  volando  usdva. 
Gli  s'accostava  in  mille  foime  intorno 
Per  gravargli  le  ciglia,  o  torgli  il  giorno. 

Ma  il  suo  dottor  d  se  n'accorse,  e  presto 
Gli  fé'  le  lud  alzar  stupide,  e  basse. 
Vener  sorrise,  ed  d  posda  che  desto 
L'ebbe  non  volse  più  che  ivi  indogiasae. 
Ma  mostrandogli  a  dito  or  quello,  or  qoe- 
All'  altra  riva  un*  altra  volta  il  trasse,  [sto, 
Dimandavalo  Adon  di  molte  cose, 
Ed  a  molte  dimando  egli  rispose. 

E  giunta  a  mezzo  di  suo  corso  ornai 
L'umida  Notte  aU'Ocean  seendea, 
E  con  tremanti ,  e  pallidetti  ral 
Più  d' un  lume  dal  dd  seco  cadea. 
Qnto  di  folte  stdle,  e  più  che  mal 
Chiaro  il  pianeta  inargentato  ardea. 
Vagheggiando  con  occhio  intento  e  vago 
In  fresca  valle  addormentato  II  Vago. 

Deh  perdonimi  il  ver,  se  altrui  par  forse, 
Ch'Io  qui  del  cid  la  dignitate  off'enda. 
Polche  laddove  Tempo  unqua  non  corse , 
L'Ore  non  splegan  mai  notturna  benda. 
Facdol,  perchè  cosi  qud  che  non  scorse 
II  senso  mai ,  i'  intendimento  Intenda , 
Non  sapendo  trovar  fuor  di  Natura 
A^  q>azi  celesti  dtra  misura. 

In  questo  mezzo  11  condottier  superno 
Le  sei  vaghe  corderò  al  carro  aggiunse. 
Fece  entrarvi  gli  amanti ,  ed  al  governo 
Assiso  poi,  ver  l'altro  dd  le  punse. 
Ed  al  bd  tetto  dd  suo  albergo  eterno 
In  poche  ore  rotando,  appresso  giunse. 
Intanto  il  parlator  facondo  e  saggio 
La  noia  dleggeria  dd  gran  viaggio. 

Eccod  (gii  diceva),  eccoci  a  vista 
Della  mia  stella,  che  più  su  d  gira. 
Candida  no ,  ma  variata  e  mista     [tira, 
Di  un  tal  livor ,  che  al  piombo  alquanto 
Picdoia  d ,  che  quad  appena  è  vista, 
E  talor  sembra  estUita  a  dii  la  mira, 
E  ndle  notti  più  serene  e  chiare 
Dell'anno  sol  per  pochi  med  appare. 

Questo  gli  awien  non  sol  perchè  minore 
Ddl' altre  erranti,  e  delle  fisse  è  molto. 
Ma  però  che  da  luce  aasd  maggiore 
Gli  è  spesso  il  lume  inecdissato  e  tolto. 
Souo  1  raggi  dd  Sole  11  suo  splendor* 
Nasconde  d,  che  vi  riman  sepolto, 
E  tra  que'  lampi ,  onde  d  copre  e  vetat 


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ADONE. 


Quali  fa  ladda  Debbia,  attrai  ri  cda. 

Ma  dall'essere  al  Sol  tanto  ilciBa 
Maggktr  fona  e  vigor  prende  sovente, 
Come  ancor  quesu  del  tao  cor  reina 
Per  riBteasa  cagione  è  più  possente. 
Seco,  e  col  Sole  in  compagnia  cammina, 
Seco  la  rota  sua  compie  egualmente. 
Beocbè  tra  noi  sia  gran  disognagliania , 
C^  assai  di  hne,  e  di  belU  mi  afansa. 

La  qualità  di  sua  natura  è  bene 
Mutabile,  volubile,  faiquleta. 
Si  varia  ognor,  né  mai  fermessa  tiene. 
Or  inCuBta,  or  seconda,  or  trisU,  or  lieU , 
Ma  quesu  tanta  instabilU  le  viene 
Arila  congtunilon  d'altro  pianeu. 
Perch'io  son  tal,  che  negU  effetU  miei 
Buon  co*  buoni  mi  mostro,  e  reo  co*  rd. 
Naseon  per  la  virtù  di  questa  luce 
I  intelletti,  ingegni  acuti. 

ma,  ed  uomini  produce 
CauU  agli  aflari,  e  neiriadustrìe  mtuU. 
Tago  desk»  di  nuove  cose  induce, 
E  d'incognite  al  mondo  arti,  e  virtuti. 
Per  Id  sol  chiaro  e  eeMm  divenne 
Delle  lingue  lo  studio,  e  delle  penne. 
E  quando  questa  tua  dolce  lumiera 
Vi  apiiBcall  raggio  suo  lieto  benigno , 
Quel  fortunato,  al  cui  natale  impera. 
Riesce  in  terra  U  più  famoso  d^M). 
Cosi  lo  Die  ddla  seconda  sfera 
Paria  ai  vago  igliuol  del  re  Ciprigno, 
E  tuttavia,  mentre  cod  gli  conta 
1^  proprie  doti,  il  patrio  del  sormonta. 
Aveanl*  aureo  timon  per  la  via  torta,  . 
Driziato  già  le  mattutine  ancelle. 
Già  su  1  conin  della  dorata  porta 
Giunto  era  il  Soie,  e  fea  sparir  le  stelle; 
La  cai  leggiadra  messagglera,  e  scorta 
Sgombrandointanto queste  nubi,  e  quelle. 
Per  le  piagge  spargea  chiare ,  ed  ombrose 
Dela  terra,  e  dd  dd  rugiade,  e  rose. 

Quando  vi  giunse,  e  conia  coppia  scese 
Smn  le  sogfie  dd  lucente  chiostro. 
Come  fu  dentro  Adon,  vide  un  paese  [stro; 
CsQ  più  bd  giorno,  e  più  bd  dd,  che  0  no- 
Pol  dietro  alle  sue  scorteti  camndn  prese 
Per  un  ampio  sentler,  che  gM  Iti  mostro; 
E  hi  un  gran  pian  d  ritrovare  adagio, 
Nd  cui  mesto  sorgea  nobil  palagio. 

Palagio,  cbe  al  modeBe,  aHa  figura 
Qnad  #aiillleatro  avea  sembianza. 
Ogni  edificio,  ogni  artifizio  oscura. 
Ogni  iafffo ,  ogni  ricdiezza  avanza. 


Vista  nd  prhno  g^ro  hd  di  Natura 
(Disse  CUlenio)  la  secreta  stanza. 
Or  ecco,  o  bdl'  Adon ,  sei  giunto  in  parte 
Dove  l'dbergo  ancor  vednd  ddT  Arte. 

Ddl'Arte  emula  sua  la  casa  è  questa» 
Eccola  là ,  se  <U  vederia  brami. 
Di  gemme  In  fil  tirate  è  la  sua  vesta. 
Trapunta  dk  ricchissimi  ricami, 
ìfira  di  che  bd  fregj  orna  la  testa , 
Come  rintrecda  de*  più  vercD  rami. 
Di  -stromenti ,  e  di  macchine  ancor  vedi 
Qual  e  quanto  si  tlen  cumulo  a'  piedL 

Mira  penne ,  e  pennelli ,  e  mira  quanti 
Vi  ha  scarpelli ,  e  martelli,  asce,  ed  Incudl  « 
BolinI,  e  lime,  drdnl,  e  quadranti, 
SubbJ ,  e  wpoìty  aghi,  e  fod,  e  spade,  e  scudi 
Cod  diceagli,  e  procedendo  avanti. 
La  gran  maestra  trdasdò  suol  studj, 
E  riverente,  e  con  cortese  Inchino, 
Urolllosd  d  messaggìer  dirino. 

Dd  divin  messaggiero  Adon  condutto 
La  porta  entrò  della  celeste  mole. 
DI  diamante  ogni  muro  area  costrutto. 
Che  lampeggiando  abbarbagliava  il  Sole; 
E  l'immenso  cortile  era  per  tutto 
Intorniato  di  diverse  scole , 
E  molte  donne  in  cattedra  sedenti 
Vedeansi  quivi  ammaestrar  le  genti. 

Queste  d* etate,  o  di  bdiczza  egudl 
(Mercurio  ripigliò)  vergini  dette 
Sono  ancelle  deU'arte,  e  liberali. 
Perocché  1*  uoro  fan  libero,  son  dette. 
Fonti  inesausti ,  oracoli  Immortali 
Dd  saper  vero,  e  non  son  più  che  sette 
Fidate  guide ,  iUustratrìd  sante 
Del  senso  deco,  e  ddT  ingegno  errante. 

Colei,  che  è  prima,  e  tiene  in  man  le 
Della  sublime,  e  spaziosa  porta,     [  chiari 
Di  tutte  le  dtre  facoltà  più  grari 
Agli  anni  rozd  è  fondamento ,  e  scorta. 
Quella,  che  con  ragion  belle  e  soari 
Loda,  biasma,  difende,  accusa,  esorta, 
É  la  diletta  mia,  che  dalla  bocca 
Mentre  che  versa  il  mei ,  1*  aculeo  scocca. 

Ve*  rdtra  poi  con  la  faretra  a  lato, 
Sottile  arderà  a  saettare  intenta. 
Che  bene  acuti  ognor  dalTarco  aurato 
Di  strali  in  vece  1  sillofl^smi  avventa. 
Passa  ogni  petto  d'aspri  dubbj  armato, 
Nega,  prova,  conferma,  ed  argomenta, 
Sdoglie,  dichUra,  e  dalle  cose  vere 
Distingue  II  fdso ,  alfin  conchiude  e  fere. 

Vedi  queir  dtre  ancor  quattro  donzelle 


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60  POEMI 

DI  sembUnte ,  e  di  toUo  alquanto  oscure. 
Tutte  d*un  parto  sol  nacquer  gemelle, 
E  trattan  pesi ,  e  numeri ,  e  misure. 
L*  una  contemptatrice  è  delle  stelle , 
E  suol  vaticinar  cose  future. 
Vedi  che  ha  in  man  la  sfera,  e  dei  pianeti 
Si  diletta  di  cspor  gli  alU  secreU. 

L* altra,  che  con  la  pertica  disegna 
E^  triangoli ,  e  tondi ,  e  cubi ,  e  quadri , 
GonlÌnee,e  punti  il  ?er  mostrando,  insegna 
Righe,e  piombi  adoprar,  compassi,  e  squa- 
La  terza  di  sua  man  figura  e  segna  [dri. 
Tariffe  egregie,  e  calcoli  leggiadri. 
Sottrae  la  somma,  la  radice  trova, 
MolUplica  il  parUto,  e  fa  la  prova. 

Instruisce  a  compor  1*  ultima  suora 
E  fughe,  e  pause,  e  sincope,  e  battute, 
E  temprar  note  ali*  armonia  sonora 
Or  lente  e  gravi ,  or  rapide  ed  acute. 
Altre  vederne  non  men  sagge  ancora 
Oltre  queste  potrai  fin  qui  vedute. 
Benché  le  sette,  eh*  io  t*  ho  conte  e  mostre, 
Sien  le  prime  a  purgar  le  menti  vostre. 

Ecco  altre  due  sorelle,  e  del  Disegno, 
E  della  Simmetrìa  pregiate  figlie. 
L*  una  con  bel  colori  in  tela ,  o  in  legno 
Sa  di  nulla  formar  gran  meraviglie. 
L*  altra,  che  nell*  industria,  e  nell*  ingegno 
Non  ha  (trattane  lei)  chi  la  somiglie, 
Sa  dar  col  ferro  al  sasso  anima  vera. 
Al  metallo,  allo  stucco,  ed  aUa  cera. 

Eccoti  ancor  col  mappamondo  avante, 
E  con  la  carta  un*  altra  giovinetta. 
Che  scoprendo  i  paesi ,  e  quali  e  quante 
Regioni  ha  la  terra,  altrui  diletta. 
Sentenze  poi  religiose  e  sante 
Damigella  celeste  altrove  detta. 
Di  Dio  discorre ,  e  dell*  eterna  vita 
Al  discepoli  suoi  ia  strada  addita. 

Mira  colà  quella  matrona  augusta. 
Che  per  toga  e  per  laurea  è  veneranda. 
i  la  Legge  civil,  che  santa,  e  giusta 
Sol  cose  oneste  e  lecite  comanda. 
Quella,  che  porge  d* altrui  febbre  adusta 
Amara,  e  salutifera  bevanda, 
£  di  ogni  morbo  uman  medicatrice. 
Che  sua  virtù  non  chiude  erba,  o  radice. 

Guarda  or  colei ,  che  spiriti  divini 
Spira,  sebben  fattezze  alquanto  ha  brutte, 
E  par,  che  ognun  1*  onori,  ognun  1*  Inchini, 
Qual  madre  universal  dell*  altre  tutte. 
Quella  è  Sofia,  che  rabbuffaU  I  crini, 
Vagra,  e  con  guance  pallide  e  distrutte, 


EROia. 
Con  scalzi  piedi ,  e  con  squarciati  panni 
Pur  di  dotti  scolari  empie  gli  scannL 

Azione,  passione,  atto,  e  potenza  « 
Qualità,  quantità  mostra  in  ogni  ente. 
Genere ,  e  specie ,  proprio ,  e  differenza  « 
Relazione,  sostanza,  ed  accidente. 
Con  qual  legge  natura,  e  providenza 
Crea  le  cose,  e  corrompe  alternamente. 
La  materia,  la  forma,  il  tempo,  il  moto 
Dichiara ,  e  il  sito ,  e  1*  infinito ,  e  11  voto. 

Tien  due  donne  da*  fianchi.  Una  che  sto» 
Sovra  quel  sasso  ben  quadrato  e  sodo ,  [de 
È  la  Dottrina,  che  a  chiunque  il  chiede 
Di  ogni  difficoltà  discioglle  il  nodo. 
L*  altra  che  con  la  libra  in  man  si  vede 
Pesar  le  cose,  ed  ha  il  martello,  e  11  chiodo, 
É  la  Ragion ,  che  con  accorto  ingegno 
A  nessun  crede,  e  vuol  da  tutti  11  pegno. 

Ma  queir  altra  colà,  che  ha  sì  leggiere 
Le  penne,  è  Dea  del  mondo,  anzi  tiranna. 
Di  fallace  cristallo  ha  due  visiere. 
Che  r  occhio  illude ,  e  il  buon  gludido  ap- 
E  le  fa  guatar  torto,  e  travedere ,  [panna 
Sicch*altrui  spesso,  e  sé  medesma  inganna. 
Di  un  tal  canglacolor  la  spoglia  ha  mbta , 
Che  r  apparenze  ognor  muta  alla  vista. 

Né  di  tanti  color  gemmanti  e  belle 
Suol  Taugel  di  Giunon  rotar  le  piume, 
Né  di  tanti  arricchir  Tali  novelle 
Quel  dei  Sole  in  Arabia  ha  per  costume. 
Né  di  tanti  fiorir  veggionsi  quelle 
Dell* alato  figliuol  del  tuo  bel  Nume, 
Di  quante  eli'  ha  le  sue  varie  e  diverse 
Verdi,  bianche,vermÌgUe,  e  rance,  e  perse* 

Opinion  s'appella,  e  molte  ha  seco 
Ministre  infami,  e  meretrici  infide. 
Larve,  che  uscite  del  tartareo  speco 
Vengon  dell'alme  incaute  a  farsi  guide, 
Ed  é  lor  capo  un  giovinetto  cieco, 
Ch'Errore  ha  nome,  e  lushigando  ride, 
D*un  licore  Incantato  Inebbria  1  sensi, 
E  lui  seguendo  a  precipizio  viensi. 

Mira  intomo  astrolabi ,  ed  ahnanacchi , 
Trappole,  lime  sorde,  e  grimaldelli, 
Gabbie,  bolge,  giornee,  bossoli,  e  sacchi , 
Labirinti,  archipendoli ,  e  livelli, 
Dadi,  carte,  pallon,  tavole,  e  scacchi, 
E  sonagli,  e  carrucole,  e  succhiali, 
Naspl,  arcolai,  vetticchl,  e  orinoli. 
Lambicchi,  bocce,  mantici,  e  croduolL 

Mira  pieni  di  vento  otri,  e  vesdche, 
E  di  gonfio  sapon  turgide  paUe, 
Torri  di  fumo,  pampini  d' orticbei 


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ADONE. 


et 


Fiori  di  iucche,  e  piume  Tcrdl ,  e  gialie, 
Angni ,  8carabei ,  grilli ,  formiche , 
Vespe,  zanzare,  lucciole,  e  farfalle  « 
Topi ,  gaUi ,  bigatti ,  e  cento  tali 
StraTaganze  d'ordigni,  e  d'animali. 

Tutte  queste ,  che  Tedi ,  e  d' altri  estrani 
Fantasmi  ancor  prodigiose  schiere , 
Sono  i  capricci  degi'  ingegni  umani , 
Fantasie,  frenesie  pazze ,  e  chimere. 
y*ba  molinl ,  e  palei  mobili  e  vani 
Girelle,  argani,  e  rote  In  più  maniere. 
Altri  forma  bau  di  pesci ,  altri  d*  uccelli , 
Vari ,  eccome  son  rari  1  cerrGlii. 

Or  mira  all'ombra  della  sacra  pianU 
Fregiau  il  crin  dell'onorate  foglie 
La  Poesia,  che  mentre  scrive,  e  canta, 
Il  fiore  di  ogni  scienza  insieme  accoglie. 
La  FaTola  è  con  lei ,  che  orna,  ed  ammanta 
Le  vaghe  membra  di  pompose  spoglie. 
L'accompagna  l'Istoria  ignuda  donna. 
Senza  vel ,  senza  fregio ,  e  senza  gonna. 

Vedi  la  Gloria,  chequalSol  risplendc, 
Vedi  l'Applauso  poi,  vedi  la  Lode, 
Vedi  f  Onor,  che  a  coronarla  intende 
Di  luce  etema ,  onde  trionfa  e  gode. 
Ma  vedi  ancor  coppia  di  furie  orrende, 
Che  di  rabbia  per  lei  tutta  si  rode. 
La  persegue  l' Invidia  empia ,  e  crudele , 
Che  ha  le  vipere  in  mano ,  In  bocca  il  fiele. 

La  maligna  Censura ognor l'è  dietro , 
E  quant'ella  compone  emenda,  e  tassa. 
Col  vaglio  ogni  suo  accento ,  ogni  suo  me- 
Crivella ,  e  poi  per  la  trafila  il  passa,     [trò 
Posticci  bagli  occhi  In  fronte,  e  son  di 
Or  se  gli  affigge,  or  gli  ripone  e  lassa  [vetro, 
Ifou  con  questi  gli  altrui  lievi  errori , 
Né  scorge  intanto  i  suol  molto  maggiori. 

Qò  detto ,  di  diaspri ,  e  di  alabastri 
CU  mostra  un  arsenal  capace  e  grande. 
Che  sovr*  alte  colonne ,  e  gran  pilastri 
Le  sue  volte  lucenti  appoggia  e  spande , 
Turba  v'  ha  dentro  di  diversi  mastri , 
Ingegner  d'opre  illustri  e  memorande. 
Qui  di  lavori  ancor  non  mal  più  visti 
Soggloman  (dice)  1  più  famosi  artisti. 

Di  quanto  mal  fu  ritrovato  In  terra , 
0  si  ritroverà  degno  di  stima, 
0  sia  cosa  da  pace ,  o  sia  da  guerra , 
Qui  ne  fu  l' esemplar  gran  tempo  prima. 
Qui  pria  per  lunghi  secoli  si  serra 
Ignoto  ad  ogni  gente,  ad  ogni  clima. 
Poi  si  pubblica  al  mondo  e  si  produce 
AD'  umana  notizia,  ed  alla  luce. 


Vedi  Prometeo  figlio  di  lapeto. 
Che  di  spirto  celeste  il  fango  Informa. 
E  vedi  Cadmo  autor  dell'  alfabeto. 
Da  cui  prendon  le  lingue  ordine  e  norma. 
Vedi  il  Siracusan ,  che  il  gran  secreto 
Trova ,  ond'  un  picdol  cielo  ha  moto ,  e 
E  il  Tarentln,  che  la  colomba  hnita;[forma. 
E  il  grand'  Alberto ,  che  al  metal  dà  vita. 

Ecco  Tubai  primo  inventor  de'  suoni , 
Il  Tebano  Anfioue,  e  il  Trace  Orfeo. 
Ecco  con  altre  corde ,  ed  altri  tuoni 
Lino,  lopa,  Tamira,  e  Timoteo. 
Ecco  con  nove  armoniche  ragioni 
Il  mirabil  Terpandro ,  e  il  buon  Tirteo , 
Fabri  di  nove  lire,  e  nove  cetre. 
Animatori  d' arbori ,  e  di  pietre. 

Mira  Tesibio,  e  mira  Anasslmene 
Su  la  mostra  segnar  l' ore  correnti. 
Mira  Pirode  poi ,  che  dalle  vene 
Trae  della  selce  le  scintille  ardenti. 
Anacarsi  è  colui ,  mira  che  tiene 
In  mano  il  folle ,  e  dà  misura  ai  venti. 
Mira  alquanto  più  in  là  metter  in  uso 
Esculapio  lo  specchio ,  e  Closlro  il  fuso. 

E  Gige  v'  ha ,  che  la  pittura  inventa , 
Ed  hawi  col  pennello  Apollodoro, 
E  Corebo  è  con  lor ,  che  rappresenta 
Della  plastica  Industre  li  bei  lavoro, 
E  Dedal  ;  clie  agguagliar  non  si  contenta 
Con  sue  penne  nel  volo  e  Borea ,  e  Coro , 
Ma  macchUiando  va  d'asse ,  e  di  legni 
Ingegnoso  architetto  alti  disegnL 

Epimenlde ,  Eurialo ,  Iperbio ,  e  Dosso 
Templi ,  e  palagi  ancor  fondano  a  prova , 
E  Trasone  erge  il  muro ,  e  cava  il  fosso 
Danao ,  che  11  primo  pozzo  In  terra  trova. 
Navi  superbe  edifica  Mìnosso, 
Tifi  il  tlmon ,  con  cui  l'afl'reni ,  e  mova. 
Bellorofonte  è  tra  costor,  ch'io  narro, 
Ed  Eritonio  co*  cavalli ,  e  il  carro. 

Guarda  Aristeo  con  quanto  util  fatica 
Del  mei ,  del  latte  alla  cultura  intende. 
Trltolemo  a'  mortai  mostra  la  spica, 
Bige  1*  aratro,  che  la  terra  fende. 
Preto  allo  scudo,  Mìdia  alla  lorica 
Travaglia,  Etolo  il  dardo  a  lanciar  prende. 
Scite  pon  r  arco  In  opra,  e  la  saetta, 
L' asu  Tirren ,  Pantasilea  l' accetta. 

Hawi  poi  mille  fabrìcati  e  fatU 
Da  Cretensi ,  da  Siri ,  e  da  Fenici , 
Mossi  da  rote  impetuose,  e  tratU 
Altri  arnesi  guerrieri ,  altri  artificj. 
Vedi  arpagoni,  e  scorpioni,  e  gatti, 


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63  POE» 

Macchine  di  clttadi  espugnatrid , 
E  da  cozzar  con  torri ,  e  con  pareti 
Catapulte,  baliste,  ed  arteU. 

Bertoldo  Tedi  là,  nato  in  sul  Reno , 
Che  per  strage  del  mondo ,  e  per  mina 
D' irreparabil  fulmine  terreno 
Fonde,  temprato  airinfemal  fucina. 
Quegli  è  Giovanni  (o  fortunato  appieno  ! 
Che  le  stampe  introduce  in  Argentina  ; 
E  ben  gli  dee  Magonza  etema  gloria. 
Come  eterna  egli  fa  1*  altrui  memoria. 

Cosi  parlando  per  eccelse  scale 
Sovr*  aureo  palco  si  trovar  saliti , 
E  quindi  cntraro  in  galleria  reale , 
Che  volumi  accogllea  quasi  infiniti. 
Eran  con  bella  serie  In  cento  sale 
Riposti  in  ricchi  armari  e  compartiti , 
Legati  in  gemme ,  ed  ogni  classe  loro 
Distinguea  la  cornice  in  linee  d' oro. 

Ceda  Atene  famosa ,  a  cui  già  Serse 
Rapi  gli  archivj  d*ogni  antico  scritto. 
Che  poi  dal  buon  Seleuco  ali*  armi  perse  : 
Ritolti ,  in  Grecia  fer  nuovo  tragitto. 
Nò  da*  suol  Tolomei  d' opre  diverse 
Cumulato  Museo  celebri  Egitto. 
Né  di  tal  libri  in  quest*  etate,  e  tanti, 
Urbin  si  pregi,  o  il  Vatican  si  vanti. 

Molti  n'  eran  vergati  in  molle  cera , 
Molti  in  sottili ,  e  candide  membrane. 
Parte  In  fronde  di  palma ,  e  parte  n*  era 
Di  piombo  in  lame  ben  polite  e  piane. 
In  caldeo  ve  n*  avea  scritta  una  schiera , 
Altri  In  lettre  fenicie ,  e  sorlane , 
Altri  in  egizj  simboli,  e  figure. 
Altri  in  note  furtive,  e  cifre  oscure. 

Questo  è  r  erario ,  In  cui  si  fa  conserva 
Seguì  Mercurio)  de*  più  scelti  inchiostri 
Di  quanti  mai  scrittor  Febo,  e  Minerva 
Sapran  meglio  imitar  tra*  saggi  vostri. 
I  nomi ,  a  cui  non  noce  età  proterva , 
Vedi  a  caratter  d'  or  scritti  ne*  rostri. 
Qui  stan  le  ior  fatiche,  e  qui  son  sUte 
Pria  che  composte  sieno ,  e  che  sien  nate. 

Quanti  d*  illustri  e  celebrati  autori 
Si  smarriscon  per  caso  empio  e  sinistro 
Degni  di  vita,  e  nobili  sudori. 
Ed  or  Nettuno ,  or  n*  è  Vulcan  ministro  7 
Or  qui  di  tutti  quei  ricchi  tesori  ) 
Che  si  perdon  laggiù ,  si  tien  registro. 
Sacre  memorie ,  ed  involate  agli  anni , 
Che  traman  morte  agli  onorati  affanni. 

La  libreria  del  dotto  StaglriU , 
Che  n  fior  conlien  d*  ogni  scrittura  ektu  9 


EROia. 
DI  cui  Teofrasto  in  suIT  osdr  d!  viu 
Lascerà  successore ,  è  qui  perfetta. 
D*  Empedocle,  Plttagora ,  ed  Archita 
VI  ha  le  dottrine ,  e  qualunque  altra  setta. 
Di  Talete,  Democrito ,  e  Solone, 
Parmenide ,  Anassagora,  e  Zenone. 

Petronio  vi  ha,  di  cui  gran  parte  asooie 
Torbido  Lete  In  nebbie  oscure  e  deche. 
Di  Tadto  vi  son  1*  ultime  prose , 
Tutte  di  Livio  le  bramate  deche. 
La  Medea  di  Nasone ,  ed  altre  cose 
De'  Latini  miglior,  non  men  che  gredie. 
Cornelio  Gallo  con  Lucrezio  Caro,    [ro. 
Ennio , ed  Aedo  ,ePacuvlo,eTucca,eVa- 

D*  Andronico ,  e  di  Nevio  i  drammiOetl, 
Di  Cedilo ,  e  Lldnto  anco  vi  stanno , 
E  di  Publio  Terenzio  i  più  faceti 
Sali ,  che  alle  salse  acque  in  preda andraa- 
E  non  pur  d*  al  tri  Istorid ,  e  poeU      [no  ; 
Le  disperse  reliquie  albergo  ▼*  hanno, 
Ma  gli  oracoli  ancor  delle  SibiQe, 
Scampati  dal  furor  delle  faville. 

Tacque ,  e  volgendo  Adon  l' occhio  In  di- 
vide gran  quantità  di  libri  sdolti,   [sparte 
Che  avean  malconce  e  lacere  le  carte , 
Tutti  sossopra  In  un  gran  mucchio  accolti. 
Giacean  negletti  al  suol ,  la  maggior  parte 
Rosi  dal  tarlo ,  e  nella  polve  involti. 
Or  perchè  (disse)  esposti  a  tanto  danno 
Dal  beli*  ordine  questi  esdusl  stanno? 

E  perchè  senza  onor,  senza  ornamento 
DI  coverta ,  o  dì  nastro  Io  qui  gli  trovo? 
Un  fra  gli  altri  gittato  al  pavimento 
Ne  veggo  là  fra  Druslano ,  e  Bovo , 
Che  (se  creder  si  deve  all'argomento} 
Porta  un  titolo  illustre  :  Il  Mondo  novo. 
Ma  sì  logoro  par,  s'io  ben  discemo. 
Che  quasi  il  mondo  vecchio  è  più  moderno. 

Di  scusa  certo,  e  dì  pietà  son  degni 
(Sorridendo  1*  interprete  rispose) 
Quel ,  che  d*  ogni  valor  poveri  ingegni 
Si  sforzan  d*  emular  l' opre  famose; 
Che  Ingordigia  d'onor  non  ha  ritegni 
Nelle  cupide  menti  ambiziose, 
E  quando  alto  volar  ne  veggion*  uno, 
A  quel  seguo  arrivar  vorria  dascuno. 

Non  mica  a  tutti  è  di  toccar  concesso 
Della  gloria  Immortal  la  dma  alpina. 
Clii  volar  vuol  senz'  ali ,  accoppia  spesso 
Air  audace  salita  alta  mina. 
Ma  quantunque  avvenir  soglia  l'istesao 
Quasi  in  ogni  bell'arte,  e  disdpUoa, 
Non  si  vede  però  maggior  tracollo, 


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ADOME. 


Che  di  cM  wtgae  indegnamente  Apollo. 

Dietro  ai  chiari  icrittor  di  Smirna,  e 
Manto, 
Per cni sempre Tirrannoidud, e  Tarmi, 
Tentando  intan  di  pareggiarli  al  canto , 
PIÙ  d*  uno  arroterà  lo  stile ,  e  1  carmi. 
0  qoanti  poi ,  con  quanto  stadio  e  quanto 
Ddl*  italico  stuol  di  Teder  panni 
Tracciar  con  poca  lode  i  due  migliori , 
Gbe  In  sul  Pò  canteran  guerre  ed  amorì. 

Che  di  poemi  in  quella  lingua  cresca 
Nomerosa  farragine,  e  di  rime, 
Ln  lacfl  troppo  invenxlon  tedesca 
N*  è  cagion ,  che  per  prezzo  il  tutto  Impri- 
Ma  se  alcuna  sarà,  che  mal  riesca,    [me. 
L'opra,  che  tu  dicesti,  è  tra  le  prime. 
CoA  fistiano  1  monti,  e  il  topo  nasce. 
Ma  poi  nato  eh*  egli  è,  si  more  In  fasce. 

Poiché  si  fatti  parti  un  breve  lume 
Visto  appena  han  laggiù  nel  vostro  mondo, 
n  vecchiarel  dalle  vdod  piume, 
Qud  che  vedesti  già  nell'  altro  tondo. 
Qui  ridnrie  in  un  monte  ha  per  costume 
Per  seppellirie  in  tenebroso  fondo. 
AUin  le  porta  ad  attuflar  nel  rio. 
Che  copre  il  tutto  di  perpetuo  oblio. 

Ma  più  non  dimorìam ,  che  poiché  aque- 
Tlho scorto  etemi  eluminosi  mondi ,   [sti 
Gmverrà ,  che  altro  ancor  ti  maniresti 
Bel  secreti  del  Fato  alti  e  profondi , 
E  vie  mollo  maggior,  che  non  vedesti , 
Maraviglie  vedrai ,  se  mi  secondi. 
Qui  tacque ,  e  in  ricca  loggia  e  spaziosa 
n  coudosse  a  mirar  mirabU  cosa. 

Tasto  edilizio  d*  ingegnosa  sfera 
Reggea ,  quari  gran  mappa,  un  piedistallo. 
Che  si  appoggiava  ad  una  base  intera 
Tutta  intagiiau  del  miglior  metallo. 
Era  d'ampiezza  assai  ben  grande ,  ed  era 
FabricaU  d' acciaio ,  e  di  cristallo. 
La  cerchlavan  per  tutto  In  molti  giri 
Fasce  A  lucidissimi  zaffiri.  [dea 

Forma  avea  d*  un  gran  pomo,  e  risplen- 
Più  che  lucente ,  e  ben  polito  specchio , 
E  d'aurd  seggi  intomo  intorno  avea 
Per  risguardarla  un  comodo  apparecchio. 
Quivi,  mentre  che  intento  Adon  tenea 
L'occhio  alla  palla ,  al  suo  parìar  r  oreo- 
Mercurioseco,  e  con  la  Dea  s' assise,  [chlo. 
Indi  da  capo  a  ragionar  si  mise. 

Qoesu  (dicea)  sovramortal  fattura. 
La  goal  confonde  ogni  creato  ingegno. 
Opra  mirabli  è,  ma  di  Natura, 


E  di  divhi  Maestro  alto  disegno. 
L' artefice  di  tanta  architettura. 
Che  d' ogni  altro  artificio  eccede  il  segno  ^ 
Fu  questa  mia  del  gran  Fattor  sovrano 
(Benché  imperfetta]  imitatrice  mano. 

Sudò  molto  la  man,  né  V intelletto 
Poco  in  si  nobil  macchina  soflTerse, 
E  lungo  tempo  inabile  architetto 
Sue  fatiche ,  e  suoi  studj  invan  disperse! 
Ma  quei ,  eh'  é  sol  tra  noi  fabro  perfetto , 
Del  bel  lavor  l' invenzion  m' aperse, 
E  il  secreto  mi  fé*  facile  e  lieve 
Di  raccorre  il  gran  mondo  in  spazio  breve. 

E  che  sìa  ver,  rivolgi  a  questa  mia 
Adamantina  fabrica  le  ciglia. 
Di'  se  vedesti,  o  se  esser  può,  che  aia 
Istromento  maggior  di  meraviglia. 
ComposU  é  con  tant'arte  e  maestria. 
Che  al  globo  universal  si  rassomiglia. 
Mirar  nel  cerchio  puoi  limpido  e  terso 
Quanto  1*  orbe  contien  dell*  universo. 

Formar  di  cavo  rame  un  cielo  angusto 
Fia  forse  in  alcun  tempo  altrui  concesso , 
Dove  or  sereno ,  or  di  vapori  onusto 
L*  aere  vedrassi,  e  il  tuono,  e  il  lampo 
E  tener  moto  regolato  e  giusto  [espresso. 
La  bianca  Dea  con  l' altre  stelle  appresso, 
E  con  perpetuo  error  per  l' alta  mole 
Di  fera  in  fera  ir  tra  le  sfere  il  Sole. 

Ma  dove  un  tal  miracolo  si  lesse, 
0  chi  senno  ebbe  mai  tanto  profondo. 
Che  compilar,  compendiar  sapesse 
La  gran  rota  del  tutto  in  picdol  tondo  1 
Al  magbtero  mio  sol  si  concesse 
Fare  un  vero  model  del  maggior  mondo , 
Lo  qual  del  mondo  Insieme  elementare 
(  Non  che  sol  del  celeste  ),  é  l' esemplare. 

Onde  di  quante  cose  o  buone ,  o  ree 
Passate  ha  il  mondo  In  qualsivoglia  etade, 
E  di  quante  passar  poscia  ne  dee 
Per  quante  ha  colaggiù  terre ,  e  contrade , 
Qui  son  le  prime  originarie  Idee, 
Dove  scorger  si  può  dò  che  vi  accade. 
Riluce  tutto  in  questo  vetro  puro 
Gol  passato ,  e  il  presente ,  anco  il  futuro. 

Vedi  le  zone  fervide ,  e  l' algenti , 
E  dove  boUe ,  e  dove  agghiaccia  l' anno, 
Vedi  con  qual  misura  agli  elemenU 
Tutti  i  corpi  celesti  in  giro  vanno. 
Vedi  il  sentier,  laddove  1  duo  lucenti 
Passeggieri  del  ciel  difetto  fanno. 
Vedi  come  veloce  11  moto  gira 
Delciel  ,cheogulaltrocieldietrositira. 


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64  POEBO 

Ecco  i  tropici  poi ,  quindi  discemi 
Volgersi  il  cancro ,  e  quinci  il  capricorno , 
Dove  agguagUan  del  pari  i  corsi  alterai 
La  notte  al  sonno ,  alla  vigilia  il  giorno. 
Ecco  i  coiuri ,  uniti  al  poli  eterni , 
Che  Sempre  il  del  van  discorrendo  Intor- 
Ecco  con  cinque  linee  i  paralelll ,       [no. 
E  nel  bel  mezzo  il  principal  tra  quelli. 

Eccoti  là  sotto  il  più  basso  cielo 
Il  foco ,  che  sempr*  arde ,  e  mai  non  erra. 
Mira  dell'acque  il  trasparente  gelo. 
Cheli  gran  vaso  del  mar  nei  ventre  serra. 
Mira  deir  aria  molle  il  sottil  velo , 
Mira  scabrosa  e  ruvida  la  terra. 
Tutta  librata  nel  suo  proprio  pondo , 
Quasi  centro  del  elei ,  base  del  mondo. 

Rimira,  e  vi  vedrai  distinti,  e  chiari 
Boschi,  colli,  pianure,  e  valli,  e  monti. 
Vedrai  scogli ,  ed  arene ,  isole ,  e  mari , 
E  laghi ,  e  fiumi ,  e  ruscelletti ,  e  rontl , 
Provincie ,  e  regni ,  e  di  costumi  vari 
Genti  diverse ,  e  d*  abiti ,  e  di  fronU. 
Vedrai  con  peli ,  e  squammc ,  e  penne,  e  ro- 
E  fere,  e  pesci,  ed  augellettl,  e  mostri,  [stri, 

Vedi  la  parte ,  ove  V  aurora  al  tauro 
li  capo  indora,  e  1*  oriente  alluma. 
Vedi  1* altra,  ove  lava  al  vecchio  mauro 
11  pie  di  sasso  V  africana  spuma. 
Vedi  là  dove  sputa  il  fiero  cauro 
Sulle  balze  rifee  gelida  bruma. 
Vedi  ove  il  negro  con  la  negra  gente 
Suda  sotto  r  ardor  dell'  asse  ardente. 

Ecco  le  rupi,  onde  trabocca  li  Nilo, 
Che  la  patria ,  e  il  natal  si  ben  nasconde. 
Ecco  r  Eufrate  che  per  dritto  filo 
Le  due  gran  rcglon  parte  con  Tonde. 
L*lndo  è  colà,  che  per  antico  stilo 
Fa  di  tempeste  d*  or  ricche  le  sponde. 
Quel]'  è  il  terren ,  là  dove  sferza  e  scopa 
Le  sue  fertili  piagge  il  mar  d'Europa. 

Vuoi  r  Arabie  veder  per  te  famose , 
La  Petrea,  la  DeserU,  e  la  Felice! 
Eccoti  il  loco  appunto  ove  t' espose 
La  trasformata  già  tua  genitrice. 
Ve'  le  rive  di  Cipro ,  ambiziose 
Di  una  tanti  bellezza  abiutrice. 
Conosci  il  prato ,  ove  perdesti  ii  core  ? 
È  quello  il  tetto ,  ove  t' accolse  Amore? 

Grande  è  il  teatro ,  e  nei  suoi  spazi  im- 
mensi 
Chi  langue  in  pena ,  e  chi  gioisce  In  gioco. 
Ma  per  non  ti  stancar  la  mente ,  e  i  sensi 
In  cose  ornai,  che  ti  rilevan  poco, 


EROia. 
Tanto  sol  mostrerò,  quanto  appartlensi 
Alla  beli'  esca  del  tuo  dolce  foco. 
Sai  pur ,  che  protettrice  è  questa  Dea 
Della  stirpe  di  Dardano ,  e  d' Enea. 

Le  diede  sovra  Pallade ,  e  Giunone 
Paride  già  delle  bellezze  11  vanto , 
Benché  tragico  n'ebbe  il  guiderdone, 
E  corser  sangue  il  Slmoenta ,  e  il  Santo. 
Questa  (ma  non  già  sola )  è  la  cagione , 
Ch'  ella  il  seme  troiano  ami  cotanto. 
Mirolla  in  questo  dir  Mercurio ,  e  rise. 
L' altra  arrossi  col  rimembrar  d' Anchise. 

Or  mentre  (  segui  poi  )  del  cavo  fianco 
Uscito  del  destrier ,  che  insidie  chiude  « 
Stuol  di  greci  guerrieri  il  Frigio  stanco 
Assai  con  armi  impetuose  e  crude, 
Sotto  la  scorta  del  buon  duce  franco 
Ricovra  alla  meotica  palude 
Una  gran  parte  di  reliquie  vive. 
Esuli ,  peregrine ,  e  fuggitive. 

Taccio  il  corso  fatai  di  queste  genti  « 
E  de*  suoi  vari  casi  il  lungo  giro  ; 
Per  quanti  fortunevoli  accidenti 
In  Germania  passar  con  Marcomiro; 
Come  di  Marcomiro  i  discendenti 
Nel  gallico  terren  si  stabilirò , 
Dappoiché  Fcrramondo  al  mondo  venne , 
Che  dello  scettro  il  primo  onor  vi  tenne. 

Né  fia  d' uopo  additarti  ad  uno  ad  uno 
Di  quest'  ampia  miniera  1  gran  monarchi. 
E  le  palme ,  e  le  spoglie ,  e  di  ciascuno 
L' eccelse  imprese ,  e  gli  onorati  incardii. 
La  folta  selva  degli  eroi ,  che  aduno 
Consenti  pur  che  brevemente  io  varchi , 
E  scelga  sol  del  numero  eh' io  dico. 
Col  degno  figlio  il  valoroso  Enrico. 

Volgi  la  vista  ove  ii  mio  dito  accenna , 
E  la  lega  vedrai  l' insegne  sciorre, 
E  quasi  armata,  ed  animata  Antenna , 
Tre  foreste  di  lance  in  un  raccorre. 
Ma  d' altra  parte  ii  paladin  di  Senna 
Vedile  pochi  e  scelti  a  fronte  opporre. 
Vedi  con  quanto  ardire  oltre  Garona 
Fa  le  truppe  marciar  contro  Perooa. 

MonUgna,  che  del  del  tocchi  1  con- 
fini. 
Selva  d'antiche,  e  condensate  piante. 
Fiume  che  d' aita  rupe  in  giù  nilni , 
Tempesta  in  nembo  rapido  e  sonante. 
Neve  indurata  in  freddi  gioghi  alpini  « 
Fiamma  eh'  Euro  alle  stelle  erga  fumante. 
Mar,  cielo ,  inferno  ali'  animosa  spada 
Forano  agevol  guado,  e  piana  strida. 


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AD(»<E. 


«5 


Gnerrier ,  deslrierì  atterri ,  anni ,  sten- 
dardi 
Spezza ,  e  sprezzando  gli  urti ,  apre  le  stra- 
Ncmbi  di  sassi,  grandini  di  dardi,      [de. 
Turbini  d*  aste ,  fulmini  di  spade 
Pknrongli  sopra,  ed  d  dei  più  gagliardi 
Sostien  gì'  incontri ,  agi'  impeti  non  cade , 
Né  stanco  posa,  né  ferito  langue. 
Fatto  scoglio  di  ferro  in  mar  di  sangue. 

Tutto  dei  sangue  osili  molle ,  e  vermiglio 
Abbatte ,  impiaga ,  uccide ,  ovunque  toe- 

cbL 
Vedil  vibrando  a  prova  11  ferro ,  e  il  ciglio, 
Ferir  col  brando,  e  spaventar  con  gli  oc- 
Se  altri  Ulor  neir  orrido  scompiglio  [chi. 
Si  rivolge  a  mirar  qual  colpi  ei  scocchi , 
Dal  guardo  è  pria ,  che  dalla  spadaucdso, 
E  chi  fugge  la  man  non  campa  il  viso. 

Chi  gU  contenderà  l' alto  diadema. 
Se  un  oste  tal  d' ogni  poter  disarma? 
Né  sol  dappresso  il  Rodano  ne  trema, 
Ma  fa  da  lunge  impallidir  la  Parma. 
Ecco  del  Tago  la  speranza  estrema, 
n  signor  degli  Allobrogi  che  s' arma. 
Ecco  che  In  prova  al  paragon  concorre 
Con  l' italico  AchiUe  U  gallo  Ettorre. 

Odi  Parigi  I  fieri  tuoni,  e  vedi 
Quanti  1*  Irata  man  fuhninl  avventa? 
Deh  che  pensi  ?  o  che  fai  ?  perchè  non  cedi  ? 
Già  co*  giganti  suoi  Flegra  paventa. 
Stendi  stendi  le  palme ,  e  picU  chiedi , 
E  l'auree  chiari  al  regio  pie  presenta. 
Stolu  sei  ben  se  altro  pensler  ti  move. 
Cosi  si  vince  sol  l' ira  di  Giove. 

Vedilo  entrar  nelle  famose  mura , 
Ed  occupar  le  mal  difese  porte. 
Van  con  la  fuga  cieca ,  e  mal  secura 
Declinando  Q  furor  del  braccio  forte, 
L* IgDobil  pianto,  e  la  plebea  paura; 
CU  non  fugge  da  lui  segue  la  morte. 
Battuto  dal  timor  cade  il  consiglio, 
E l' ordine  confuso  è  dal  periglio. 

Eccolo  alfin,  eh'  è  con  applauso  eletto 
De' Galli  alteri  a  governare  11  freno, 
Me  studia  quivi  con  tiranno  affetto 
Beni  usurpati  accumularsi  In  seno. 
Con  larga  man,  con  gioviale  aspetto  [no, 
Versa  d*  oro ,  ov*  è  d' uopo ,  Il  grembo  ple- 
E  d*  or  in  or  regnando  istruì  più  scopre 
Gcnerod  pensier ,  magnanim'  opre. 

Non  ri  ha  più  loco  ambizione  Ingorda , 
Kob  più  stolto  furor,  discordia  fiera. 
Noo  ri  ha  pmdeiiia  deca ,  0  pietà  sorda , 


Pace ,  e  giustizia  In  quell'  Impero  impera. 
Sa  far  (sì  ben  le  repugnanze  accorda) 
Autunno  germogliar  di  Primavera, 
Mentre  fra  gli  aurei  gigli  a  Senna  in  riva 
Pianta  dopo  la  palma  anco  l' oliva. 

Virtù  quanto  è  maggior,  tanto  è  più  q>es- 
Dell'  Invidia  maligna  esposta  ai  danni ,  [so 
La  qual  suol  quasi  a  lei  far  queir  {stesso , 
Qie  il  tarlo  al  legni,  e  la  Ugnuola  al  panni. 
Qua!  ombra,  che  va  sempre  al  corpo  ap- 
presso. 
La  perseguita  ognor  con  vari  affanni. 
Ma  son  gli  oltraggi  suol,  che  offendon  poco. 
Lime  del  ferro,  e  mantici  del  foco. 

Mira  il  fior  de'  migliori ,  al  cui  gran  lume 
L' altrui  sciocco  livor  divien  farfalla , 
Mercè  di  quel  valor ,  che  per  costume 
Quanto  si  affonda  più,  più  sorge  a  galla , 
Malgrado  di  chi  nocergli  presume , 
Ai  pesi  è  palma ,  alle  percosse  è  palla  ; 
Onde  di  novo  onor  doppiando  luce 
È  fatto  inclito  re  d' Inclito  duce. 

Del  guerrier  forte,  1  cui  gran  pregj  esal- 
Fia  tale  e  tanta  la  sublime  altezza ,  [to 
Che  come  Olimpo  olirà  le  nubi  in  alto 
Non  teme  1  venti ,  e  1  fulmini  dlsprezza , 
Co^  d' invidia ,  oppur  d*  insidia  assalto 
Danneggiar  non  potrà  tanta  grandezza , 
Anzi  ogni  offesa,  ed  ogni  ingiuria  loro 
Sarà  soffio  alla  fiamma,  e  fiamma  all'  oro. 

Se  non  eh'  io  veggio  di  furor  d' Inferno 
Di  una  furia  terrena  II  petto  acceso, 
E  punto  dalle  vipere  d' Avemo 
Un  cor  malvagio  a  perfid'  opra  inteso. 
Non  vedi  là ,  come  colui ,  clie  a  scherno 
Prese  eserciti  armati ,  a  terra  ha  steso 
Mosso  da  folle,  e  temeraria  mano 
Con  un  colpo  crudel  ferro  villano? 

Quando  ali*  alte  speranze  in  sen  concclte 
Tenendo  il  mondo  già  tutto  converso , 
Cinto  d'armi  forbite,  e  genti  elette 
Spaventa  11  Moro,  ed  atterrisce  II  Perso, 
E  gli  appresta  fortuna,  e  gli  promette 
Lo  scettro  universa!  dell'  universo, 
Pria  che  egli  vada  a  trionfar  d' altrui , 
Vien  Morte  Iniqua  a  trionfar  di  lui. 

Vansl  le  Virtù  tutte  a  seppellire 
Nel  sepolcro,  che  chiude  II  sol  de'  Franchi, 
Salvo  la  Fama,  che  non  vuol  morire  « 
Perchè  alle  glorie  sue  rita  non  manchi  ; 
E  come  al  caso  orribile  a  ridire 
1  suoi  tant'  occhi  lagrimando  ha  sunchl , 
Così  per  farlo  ancor  sempre  Immorule 


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ee  POEMI 

SI  apparecchia  a  stancar  le  lingue ,  e  1*  ale. 

Ma  che  ?  Se  da  colei,  che  vince  il  tutto , 
È  Tinto  alfine  il  sempre  invitto  Enrico , 
L'idto  onor  de*Borbon  quasi  distrutto 
In  parte  a  ristorar  vien  LodoTico, 
Che  da  fA  degno  stipite  produtto. 
Aggiunge  gloria  al  gran  lignaggio  amico , 
E  sotto  r  ombra  del  materno  stelo 
Alza  felice  i  verdi  rami  ai  cielo. 

Or  mi  volgo  colà ,  dove  Baiona 
Smalta  di  gigli  i  fortunati  lidi. 
Veggio  superbo  11  mar  che  s*  incorona 
DI  gemme ,  e  d*  or ,  qual  mal  più  ricco  li 
Già  già  r  arena  sua  tutta  risona       [vidi. 
DI  lieU  bombi,  e  di  festivi  gridi. 
Veggio  per  1*  onde  placide  e  tranquille 
Sfavillar  lampi ,  e  lampeggiar  faville. 

Né  1*  indico  oceano  orientale 
Tante  aduna  nel  sen  barbare  spoglie  : 
Né  lo  stellato  elei  cumulo  tale 
Di  bellezze ,  e  di  lumi  in  fronte  accoglie. 
0  spettacol  gentil,  pompa  reale, 
0  ben  nato  consorte ,  o  degna  moglie  ! 
Qual  concorso  di  regi ,  e  di  reine 
Scende  a  felicitar  l'acque  marine  !  [mostro, 

Risguarda  in  mezzo  al  fiume, ov'  io  U 
Vedrai  colonne  eburnee ,  aurei  sostegni 
Con  un  gran  sovradel  di  iucid' ostro 
Far  ricca  tenda  a  un'  isola  di  legni ,  [stro 
Che  fianco  a  fianco  aggiunti,  e  rostro  a  ro- 
Porgono  il  nobil  cambio  ai  duo  gran  re- 
gni* 
Mentre  prendono ,  e  dan  Spagna  a  Parigi 
Llsabetta  a  Filippo ,  Anna  a  Luigi. 

Ma  vedi  opporsi  agi*  imenei  felid 
Suddite  al  Gallo,  e  ribellanti  schiere, 
E  coprir  di  Guascogna  1  campi  aprici 
Quasi  dense  boscaglie ,  armi  guerriere. 
Quinci,  e  quindi  avversarie,  e  protettrici 
Splegan  Guisa.e  Gondé  bande,  e  bandiere. 
Ma  del  figlio  d'Enrico  il  novo  Enrico 
SI  mostra  si ,  non  è  però  nemico. 

L' nno'è  colui,  che  sotto  ha  quel  destrie- 
Baio  di  pelo,  Itallan  di  razza,  [ro 
DI  tre  vaghi  aironi  orna  11  cimiero, 
E  di  crod  vennlgUe  ehno,  e  corazza. 
Benché  misto  di  bigio  abbia  il  crin  nero , 
GII  agi  abbandona,  ed  esce  armato  In  plaz- 
E  carco  In  un  d'esperienza,  e  d'anni,  [za, 
Toma  di  Marte  al  già  dismessi  afl^annl. 

L'altroé  quel  pÌùloiitaB,che  lacanqM- 
Soorre  dÌferro,ed'ofgnveluceiite.  [gna 
&  Mi  verde  degù  anni ,  e  r  acoonqiagna 


EROICI. 
Fiera ,  e  di  novità  cupida  gente. 
Ha  neUo  scudo  i  gigli ,  e  di  Brettagna 
Cavalca  ubero  un  corridor  possente, 
E  tien  dal  fianco  attraversata  al  tergo 
Una  banda  d' azzurro  In  sufi*  usbergo. 

Già  già  numero  immenso  Ingombra  Q 
Di  tende  armate,  e  di  trabacche  tese.[plaii& 
Piagne  dbfatte  il  misero  Aquilano 
K  le  messi ,  e  le  moli  al  bel  paese. 
Già  tinto  il  giglio  d'or  di  sangue  umano. 
Clic  è  pure  (ahi  ferità  !  )  sangue  francese. 
Sembra  quel  fior ,  clic  del  suo  re  trafitto 
Ndie  foglie  purpuree  il  nome  ha  scritto. 

Gallia  infelice ,  ahi  qual  s'appiglia,  ahi 
Nelle  viscere  tue  morbo  Intestino  !  [quade 
Rode  li  tuo  sen  profondo  interno  male 
Di  domestico  tosco  e  dttadino. 
Pugnan  discordi  umori  In  corpo  frale 
Si  eh'  io  preveggio  il  tuo  morir  vidno  ; 
Ed  al  tuo  scampo  ogni  opra ,  ogni  arte  è 
Se  Medica  pietà  non  ti  risana.        [  vana , 

Pon  colà  mente  alia  gran  donna  d'Amo 
Con  qual  valor  la  sua  ragion  difende. 
Né  con  petto  tremante ,  o  viso  scarno 
Fra  tante  cure  sue  posa  mai  prende. 
Vorrebbe  (e  il  tenu  ben,  ma  11  tenu  bidar- 
Senza  ferro  estirpar  le  teste  orrende,  [no) 
Le  teste  di  quell'idra  empia  ed  immonda. 
Di  veleno  infemal  sempre  feconda. 

Che  non  fa  per  troncarìe  ?  ecco  pospone 
Alle  pubbliche  cose  U  ben  privato , 
Ed  all'Impeto  ostll  la  viu  espone 
Per  salvar  del  gran  pegno  H  dubbio  stato. 
Ad  accordo  venir  pur  si  dispone, 
E  sospende  tra  V  ire  il  bracdo  armato , 
Purché  il  furor  s' acqueti ,  e  cesai  queCa 
D' orgoglio  insano  aquilonar  procella. 

Ma  quando  alfin  la  gran  tempesta  scorge. 
Che  l'aria  offusca ,  e  II  mar  conturba  e 
E  che  l'onda  terribile  più  aorge,  [mesce, 
E  che  II  vento  implacabile  più  cresce, 
Al  ben  saldo  timon  la  destra  porge. 
Drizzasi  al  polo ,  e  di  canrahi  non  esce. 
Or  con  forza  reggendo,  or  con  higegiio 
Tra  tMti  flutU  U  travagliato  legno. 

Fissa  dritto  colà  meco  lo  sguardo , 
Dove  l'ampia  riviera  11  passo  serra. 
Quivi  campeggU  il  gran  camplon  Guisv- 
Contro  col  non  si  tien  torre,  né  terra,  [do, 
E  par  che  dka  intrepido  e  gagliardo , 
Chi  la  pacerìcuaa,  abbia  la  guerra; 
E  con  prodezza  alla  baldanza  eguale 
Dell'avversario  I  miglior  forti  ] 


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ADOflE. 


«7 


L' esercito  red  canto  prorrede  [stanca 
DI  genti,  e  d*aniii,  e  non  s'allenta,  o 
Per  eseguir  quanto  gio  vevol  crede , 
O  necessario  aDa  Corona  franca. 

0  seoia  esempio  iocomparabil  fede,  [ca. 
Quando  ai  casi  opportuni  ogni  altro  man- 
Sol  qnesd  al  par  delle  più  forti  mura 
Mostra  petto  costante ,  alma  secura. 

Fa  gran  lerate  di  caralli  e  fanti. 
Che  può  contro  costor  1*  oste  nemica  i 
Genie  miglior  non  Tide  11  Sol  tra  quanti 
Clnser  spada  giammai ,  TesUr  lorica. 
Non  sanno  in  guerra  indomiti  e  costanti 
O  temer  rischio ,  o  ricusar  latica. 
Usi  in  ogni  stagion  con  l'armi  greTi 
Bete  I  sudori ,  e  calpestar  le  nevi. 

0  qual  ferror  di  Marte,  o  qual  già  tocca 
Al  Te  crescente  II  cor  foco  d'ardire! 
Brama  di  gir  tra'  folgori ,  clie  scocca 
Più  d'un  cavo  metallo,  a  sfogar  l'ire. 
Ma  dappoiché  non  può  là  dove  fiocca 
La  tempesta  del  sangue ,  in  pugna  uscire, 
Vaseene  o  cacda  esercitando ,  o  giostra , 
Che  una  effigie  di  guerra  almen  gli  mostra. 

Cod  leon  dalla  mammella  irsuta 
Uso  ancora  a  poppar  cibi  noTelli , 
Tosto  che  r  unghia  ai  pie  sente  cresciuta , 
Alla  bocca  le  zanne,  al  collo  1  Telli , 
Già  la  rupe  natia  sdegna  e  rifiuta , 
La  tana  angusta,  e  le  riyande  imbelli  ; 
Qtk  segue  là  tra  le  cornute  squadre 
Per  le  getule  selre  Q  biondo  padre. 

Ma  quella  Dea  (ch'altro  che  Dea  non  deve 
Dirsi  colei,  che  a  dlYln' opre  aspira) 
Smorza  intanto  quel  foco ,  e  non  l' è  greve 
Per  la  comun  salute  Q  placar  l' ira* 

1  congiurati  principi  riceve, 
E  raccampato  esercito  ritira. 
Ed  al  popol  fellone  e  contumace 
Perdonando  11  fallir,  dona  la  pace. 

Ecco  d'astio  privato  ancor  bollire 
De*  dud  IstessI  gV  animi  Inquieti, 
E  in  stretta  lega  ammutinati  ordire 
DI  novelle  congiure  occulte  reti. 
Ecco  Taccorto  re  viene  a  scoprire 
Di  qoel  trattato  i  taciti  secreti, 
E  da*  sospetti  d'ogni  oltraggio  indegno 
Con  la  prigione  altrui  libera  il  regno. 

Po!chè  11  pensier  del  macchinato  danno 
Tano  riesce ,  e  d*  ogni  effetto  voto , 
Del  capo  afiltto  le  reliquie  vanno 
Qoal  polve  sparsa  allo  spirar  di  Noto. 
Ma  per  nove  caglon  pur  anco  fanno 


Novo  tra  lor  sedizioso  moto  ; 
Eppur  con  nove  forze ,  e  genti  nove 
La  regia  armata  a'  danni  lor  si  move. 

Fuor  de'  materni  imperj  intanto  uscito 
Passa  il  re  novo  a  possedere  il  trono , 
Da  cui  pria  calcitrante ,  e  poi  pentito 
Chi  pur  dianzi  l' offese ,  ottien  perdono. 
Richiamata  è  Virtù ,  Marte  sbandito 
Per  queir  alto  donzel ,  di  cui  ragiono, 
L'alto  donzel ,  che  sostener  non  pavé 
Con  si  tenera  man  scettro  sì  grave. 

11  Tamigi ,  il  Danubio ,  il  BeU ,  il  Reno 
L'ama,  11  teme,  l'ammira  anco  da  lunge, 
Anzi  fin  nell'  italico  terreno 
A  dar  le  leggi  coi  gran  nome  giunge. 
E  se  pur  di  vederne  espresso  appieno 
Un  degno  esempio  alcun  desio  ti  punge, 
Risguarda  in  riva  al  Pò,  come  si  face 
Arbitro  della  guerra,  e  della  pace. 

Io  dico ,  ove  tra  il  Pò ,  che  non  lontano 
Nasce,  e  la  Dora,  e  il  Tanaro  risiede 
li  bel  paese ,  al  cui  fecondo  piano 
La  montagna  del  ferro  11  nome  diede. 
Vedrai  Savola  con  armata  mano , 
Che  due  cose  in  un  punto  a  Mantoa  chiede, 
11  pegno  della  picciola  nipote , 
E  de'  confln  la  patteggiata  dote. 

Vedi  di  Cadmo  il  successor,  che  viene 
In  campo  a  por  le  sue  ragioni  antiche, 
E  perchè  l' una  nega ,  e  Y  altra  tiene , 
Case  unite  in  amor  toman  nemiche. 
Forse  nutrisci ,  o  Mincio ,  entre  le  vene 
Il  seme  ancor  delle  guerriere  spiche , 
Poiché  veggio  dal  sen  della  tua  terra 
Pullular  tuttavia  germi  di  guerra? 

Veder  puoi  di  Torio  l' invitto  duce. 
Cui  non  ha  Roma,  o  Macedonia  eguale, 
Che  carriaggi ,  e  salmerìe  conduce 
Con  varie  sovra  lor  macchine ,  e  scale. 
Su  lo  spuntar  della  diurna  luce 
A  Trino  arriva,  e  la  gran  porta  assale. 
Vedi  stuol  piemontese,  e  savoiardo 
Quivi  atuccar  l'espugnator  pettardo. 

Ecco  rotto  il  rastel ,  passato  il  ponte , 
Non  però  senza  sangue ,  e  senza  morti. 
Le  genti  alloggia  all'  alu  rocca  a  fronte , 
Prende  I  quartler  più  vantaggiosi  e  fori! , 
Manda  la  valle  ad  appianar  col  monte, 
I  picconieri ,  e  1  manovali  accorti , 
Mette  1  passi  a  spedir  scoscesi  e  scabri 
Con  vanghe,  e  zappe,  e  guastadorì,  e  fabri. 

Fa  con  gabbie ,  e  trincee  steccar  dlntor- 
De'  miglior  posti  1  più  securi  siti;    [no 


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68  POEMI 

Col  sembiante  real  vergogna  e  scorno 
Accresce  ai  vili ,  ed  animo  agli  arditi. 
Par  fiamma,  o  lampo,  or  parte,  or  fa  ritor- 
Gercando  ove  conforti,  ed  ove  aiti ,    [  no 
Mentre  ilcannon,  che  fulminando  scoppia, 
Nel  rìvellin  la  batteria  raddoppia. 

Ed  egli  in  un  co*  generosi  figli 
Studia,  come  talor  meglio  si  batta. 
Sempre  occupando  infra  1  maggior  perìgli 
La  prima  entrata ,  e  1*  ultima  ritratta. 
Gonvicn,  che  pur  di  ceder  si  consigli 
La  terra  alfin  per  non  restar  disfatta, 
Ed  apre  al  vlndtor,  che  Tassecura 
Dalia  preda ,  dal  ferro ,  e  dall'  arsura. 

Moncalvo  a  un  tempo  espugna  anco  e 
conquista  ; 
Ma  chi  può  qui  vietar  che  non  si  rube? 
Va  il  tutto  a  sacco.  0  qual  confusa  e  mista 
Scorgo  di  fumo  ,  e  polve  oscura  nube  ! 
E  se  pari  Tudir  fusse  alia  vista. 
Risonar  v*  udirei  timpani,  e  tube. 
Rendersi  i  difensor  gi&  veder  parmi , 
Salve  le  vite  con  gli  arnesi,  e  Tarmi. 

Pur  neli*Albamedcsma  Alba  è  sorpresa, 
Eppur  dalle  rapine  oppressa  langue. 
Il  miser  cittadin  non  ha  difesa 
Per  doglia  afflitto ,  e  per  paura  esangue. 
Va  il  soldato ,  ove  il  trac  fra  V  ire  accesa 
Fame  d*  or,  sete  d*  or  più  che  di  sangue. 
Suscita  Toro,  ciré  sotterra  accolto, 
E  seppellisce  poi  chi  1*  ha  sepolto,  [nisce 

Di  buon  presidio  il  gran  guerrier  for- 
Le  prese  piazze,  ed  ecco  il  campo  ha  mos- 
Nova  milizia  assolda,  e  ingagliardisce  [so. 
Di  gente  elvezia ,  e  valesana  il  grosso. 
Ecco  delia  città,  che  impaludisce 
Là  tra  il  Oelbo ,  e  la  Nizza ,  il  muro  ha 
Ecco  a  difesa  del  signor  di  Manto  [scosso. 
U  vicino  Spagnoi  moversi  intanto. 

Per  reverenza  dell*  insegne  ibcre 
Toglie  a  Nizza  1* assedio,  e  si  ritragge, 
Quindi  van  di  cavalli  armate  schiere 
D*  Incisa,  e  d*  Acqui  a  disertar  le  piagge. 
Tragedia  miserabile  a  vedere 
Le  eulte  vigne  divenir  selvagge, 
E  dal  furor  del  foco,  e  delle  spade 
AbbattuU  1  flUaggi,  arse  le  biade. 

Trema  Casale;  a  temprar  armi  intesi 
Sudano  i  fabrl  alle  fucine  ardenti. 
L'acdar  manca  a  unt*  uopo ,  onde  son 
Mille  dagli  ozi  lor  ferri  innocenti,    [presi 
Rozzi  non  solo,  e  villarecd  arnesi, 
Ma  dtudini  artefici  stromentl 


EROICI. 
Forma  cangiano ,  ed  uso ,  e  lar  ne  Tedi 
Elmi ,  e  scudi,  aste,  ed  azze ,  e  spade,  e 
spiedi. 
Il  vomere  già  curvo ,  or  fatto  acuto , 
A  Bellona  donato,  a  Cerer  tolto, 
Su  la  sonante  incudine  battuto, 
D*  aratore  in  guerrier  vedi  rivolto. 
L* antico  agrlcoltor  rastro  forcuto. 
Nel  fango,  e  nella  ruggine  sepolto. 
Vestendo  di  splendor  la  viltà  prima, 
Riogiovcnisce  al  fòco ,  ed  alla  lima. 

Inunto  e  quinci  e  quindi  ecco  spediti 
Vanno,  e  vengono  ognor  corrieri,  e  messi. 
Che  il  buon  re ,  eh*  io  dicea ,  vuol  che  so- 
piti 
Sicno  1  contrasti,  e  la  gran  pugna  cessi  ; 
Ed  acciocdiò  gii  aliar  di  Unte  liti 
In  non  sospetta  man  resthi  rimessi. 
Ai  deputati  imperlali,  e  regj 
Fa  consegnar  della  vittoria  i  pregj. 

S'induce  alfin,  capitolati  i  patti, 
L*'eroe  dell*  Alpi  a  disarmar  la  destra  « 
E  del  defiiuitor  de*  gran  contratti 
Tra  le  mani  il  deposito  sequestra. 
Ma  qual  rio  sacrilegio  è  che  non  tratti 
L*  empia  discordia  d*ogni  mal  maestiat 
Ecco  da  capo  al  rinnovar  dell*  anno 
Novi  interessi  a  nove  risse  il  tranno. 

Tornano  a  scorrer  1*  armi ,  ove  ancor 
La  prateria  sì  desolata  e  rasa ,  [  stassi 
Che  ne  stillano  pianto ,  e  sangue  i  sassi , 
Poiché  fabbrica  in  pie  non  v*é  rìmasa. 
Né  resta  agli  abitanti  afflitti  e  lassi 
Villa,  borgo,  podcr,  castello,  o  casa. 
Già  8*  appresta  la  guerra ,  e  già  la  tromba 
Altri  chiama  alla  gloria,  altri  alia  tomba. 

Colui ,  eh*  é  primo ,  e  la  divisa  ha  nera, 
E  suir  usbergo  bruu  bianca  la  croce 
(Ben  11  conosco  alla  sembianza  altera], 
È  Cario,  il  cor  magnanimo  e  feroce. 
Di  corno  In  corno,  e  d*  una  in  altra  schiera 
Il  volo  impenna  al  corridor  veloce. 
Per  tutto  a  tutti  assiste,  e  il  suo  valore 
Intelletto  è  del  campo ,  anima,  e  core. 

Spoglia  di  grosso,  e  mal  curato  panno. 
Lacerala  da  lance,  e  da  quadrelia, 
L*  armi  gli  copre,  e  fregio  altro  non  hanno. 
Né  vuol  tanto  valor  vesta  più  bella. 
Spada,  splendido  don  del  re  britanno , 
Cinge,  né  v*  ha  ricchezza  eguale  a  quella. 
Ricca ,  ma  più  talor  suo  pregio  accresce. 
Che  i  rubin  tra  i  diamanti  il  sangue  mesce. 

Mira  colà ,  dove  distende  e  sporge 


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ADONE. 


09 


Asti  Terso  AquUon  FanUcfae  mura. 
Poco  laoge  di  fuor  vedrai  clie  sorge 
Un  picdol  colle  in  mezzo  alla  pianura. 
Quindi  (fuor  che  la  testa)  armato  ei  scorge 
Le  classi  tutte,  e  il  suo  poter  misura. 
Qaiodi  del  campo  in  general  rassegna 
RiTede  ogni  guerrier,  nou  ogo*  insegna. 

Qoasi  pastor,  che  le  lanose  gregge 
Con  la  proTida  Terga  a  pasco  adduca. 
Con  leggiadre  ordinanze  altrui  dà  legge 
Il  coraggioso,  il  t)eliicoso  duca. 
Per  mostrar  quivi  a  chi  l' aflTrena  e  regge 
Come  di  ferro,  e  di  valor  riluca , 
Spiegi  ogni  stuol  vessilli ,  e  gonfaloni , 
Gonfia  stendardi ,  e  sventola  pennoni. 

Quanto  d*  Insobria  11  bel  confin  circon- 
fìn  sotto  le  ligustiche  pendici ,         [da 
Quanto  di  Sesia,  e  Bormia  irriga  l'onda 
Voto  riman  di  torbe  abiutrici. 
Quei ,  che  nella  vallea  cupa  e  profonda 
Soggloman  del  Monviso  alle  radici 
Vengonvi ,  e  di  Provenza ,  e  di  Narbona 
Quei ,  che  bevon  Durenza ,  Isara,  e  Sona. 

Né  pur  d'Augusta  solo ,  e  di  Lucerna 
Le  valU  inculte,  e  le  monugne  algenti. 
E  dagli  aspri  cantoni  Agauno ,  e  Berna 
Maodanvi  copia  di  robuste  genti; 
Ma  giù  dall'  Alpi ,  ove  nud  sempre  verna , 
V  inondan  quasi  rapidi  torrenti 
Per  le  vie  di  Bernardo,  e  di  Gebenna 
Quei,  che  lasciano  ancor  Llgeri,  e  Senna. 

Un  che  con  armi  d' or  va  seco  al  paro, 
È  l'Aldighlera,  Il  maresclal  temuto. 
Che  sotto  giogo  di  pesante  acciaro 
Doma  il  corpo  rugoso,  e  il  crin  canuto. 
Ecco  di  Damlan  l'eccidio  amaro. 
Da'  due  franchi  guerrier  preso  e  battuto. 
Ed  ecco  d'Alba  la  seconda  scossa. 
Chi  fia,  che  impeto  tanto  affrenar  possa? 

Poo  mente  a  quel  cimier,  che  con  tre  ci- 
IM  Uanca  piuma  si  rincrespa  al  vento,  [me 
È  di  Vittorio,  il  principe  sublime. 
Del  Piemonte  alta  speme,  alto  ornamento. 
Ben  r  intemo  valor  negli  atti  esprime , 
Ha  di  latte  il  destrier,  l' armi  d'argento , 
E  d'un  aureo  monii,  che  al  petto  scende, 
Groppo  misterioso  al  collo  appende. 

Vedi  con  quanto  ardire,  e  in  che  fler 
Inaspettato  a  Messeran  s'accampa,  [atto 
E  giunto  a  Cravacor  quasi  in  un  tratto 
Di  mina  mortai  segni  vi  sumpa. 
Gii  questo,  e  quel,  poiché  del  giusto  patto 
Noo  fur  contenti ,  in  vive  flainme  avvampa. 


Già  d'ambedue  con  estermhilo  duro 
Spianato  è  il  forte,  e  smantellato  il  muro. 

Vuol  veder  un,  che  nato  a  grandi  impre- 
D' emular  il  gran  padre  s'affatica  7     [se , 
Mira  Tommaso ,  11  giovane  cortese , 
Che  tinu  di  sanguigno  ha  la  lorica, 
E  II  cuoio  del  ieon  sovra  l'arnese 
Porta,  dell'avo  Alcide  insegna  antica. 
Di  seta  ha  i  velli ,  e  con  sottil  lavoro 
Mostra  il  ceffo  d'argento,  e  l' unghie  d'oro. 

Vedilo  in  dubbia  e  perigliosa  mischia 
Passar  tra  mille  picche,  e  mille  spade. 
Già  dal  volante  fulmine,  che  flschia, 
Trafitto  il  corridor  sotto  gli  cade. 
Ma  ne'  casi  maggior  vieppiù  s'arrischia 
Quel  cor,  che  col  valor  vince  l'etade, 
E  pien  d'ardir  più  generoso  ed  alto 
Preso  novo  destrier,  toma  all'  assalto. 

Miralo  poi,  mentre  il  maggior  fratello 
Con  gran  guasto  di  morti ,  e  di  prigioni 
Rompe  il  soccorso,  e  il  caplun  di  quello 
Uccide ,  che  confuso  è  tra'  pedoni , 
Della  cavalleria  giunto  al  drappello 
Torre  i  regj  stendardi  a  due  campioni , 
Indi  mandarli  per  eterno  esempio 
D*  alta  prodezza  ad  appiccar  nei  tempio. 

Solo  il  gran  Filiberto  altrove  intanto 
Dubbioso  spettator,  stassi  In  disparte. 
Ma  il  buon  Maurizio  con  purpureo  manto 
Regge  il  paterno  scettro  in  altra  parte , 
E  l'alte  leggi  del  governo  santo 
Con  giusta  lance  al  popoli  comparte. 
Talor  pio  cacciatore  ai  fidi  cani 
Del  devoto  Amedeo  dispensa  1  pani. 

0  se  mal  prenderà.  Tifi  celeste. 
Il  gran  timon  della  beata  nave. 
Da  quai  scogli  secura ,  a  quai  tempeste 
Sottratta,  correrà  calma  soave! 
Già  la  vegg'io  per  quelle  rive  e  queste 
Portar,  nov'Argo,  di  gran  merci  grave, 
Scorta  da  divin  Zeffiro  secondo , 
Il  vello  d'oro  a  vestir  d'oro  il  mondo. 

Ma  vedi  or  come  freme,  e  come  ferve 
Contro  costoro  il  fior  d'Italia  tutta. 
Genti  ali'  Ibero  o  tributarie,  o  ser\'e. 
Gioventù  ben  armata,  e  meglio  Instmtta. 
Ben  a  tante,  e  si  fiere  armi ,  e  caterve. 
Si  oppon  r  inclito  Estense ,  e  le  ributta. 
Alfin  pur  all' esercito ,  che  passa. 
Libero  II  camroin  cede ,  e  il  varco  lassa. 

Passan  l'ardite  schiere,  e  di  Milano 
Il  prefetto  maggior  tra'  suol  ì'  accoglie* 
Eccolo  là  sovra  un  corrente  Ispano, 


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TO  POEBU 

Che  i*  insegne  reali  ali*  aura  scioglie. 
11  baston  general  di  capitano 
Tien  nella  destra ,  e  veste  oscure  spoglie. 
Mira  poi  come  in  un  feroci  e  vaghi 
S*arman  dall*  altro  lato  i  gran  Gonzaghi. 

Quei,  eh'  ha  d'un  verde  scuro  a  fiocco  a 
fiocco 
La  sopravesta,  è  di  Nlverse  il  pregio. 
Vedi  un  che  ha  d*  or  lo  scudo ,  e  d' or  lo 

stocco , 
Quegli  è  Vincenzo  il  giovinetto  egregio. 
L*  altro,  che  splende  di  lucente  cocco, 
E  in  sembiante  ne  viene  augusto  e  regio, 
Riposato  nel  gesto,  e  venerando, 
QuegU  (s'io  ben  comprendo)  è  Ferdi- 
nando. 

Lascia  i  bei  studj ,  e  prende  a  guerra  ac- 
Dai  tranquilli  pensier  cura  diversa,  [cìnto 
Manto  che  il  fior  dei  lucid*  ostri  ha  tinto. 
Fa  ricca  pompa  ali*  armatura  tersa. 
Groppo  di  gemme  in  dma  il  tiene  avvinto 
Sicché  l'omero,  e  il  petto  gli  attraversa, 
Ma  pur  l'acciar  con  argentau  luce 
Sotto  la  fina  porpora  traluce. 

Vedi  il  Toledo,  che  VerceUi  alTronU, 
Già  l' ha  di  stretto  assedio  incoronata. 
La  città  tutta  alle  difese  pronta 
Sta  sulle  mura,  e  sulle  torri  armata. 
Vedi  lo  scalator,  che  su  vi  monta, 
E  il  cittadino  a  custodir  l'entrata; 
Ma  poiché  assai  resìste,  e  si  difende. 
Per  difetto  di  pólve  alfin  si  rende. 

In  questo  mezzo  il  capitano  alpino 
I>i  far  gualdane,  e  correrìe  non  resta. 
Fìlìzzano,  ed  Annone,  e  il  Monferrino 
Con  mille  piaghe  in  mille  guise  infesta. 
Oltre  il  frutto  perduto ,  il  contadino 
Forzaèche paghi  or  quella  taglia, orque- 
Corre  l'altrui  licenza ,  ove  l' alletta    [sta 
Desire  o  di  guadagno,  o  di  vendetU. 

Cosi  divisa,  e  dell'istorie  ignote 
Svela  U  fosco  tenor  lo  Dio  d'Egitto, 
Quando  nel  terso  acciar,  tra  le  cui  rote 
Quanto  creò  Natura  é  circoscritto. 
Adone  in  parti  alquanto  indi  remote 
Volgesi  e  vede  un  non  minor  conflitto, 
Dove  la  gente  in  gran  diluvio  inonda , 
E  diffuso  in  torrenU  il  sangue  abbonda. 

Onde  rivolto  al  messagger  volante, 
Della  beila  facondia  arguto  padre, 
Disse,  o  nunzio  divin,  tu  che  sai  tante 
Meraviglie  formar  nove  e  leggiadre, 
L* altra  guerra,  che  fan  quindi  distante 


Eaoia. 

L'  altre,  che  altrove  io  veggio  armate 

squadre,  [cor  quivi 

Fammi  conto,  onde  awien,  poiché  an- 

Par  si  combatta,  e  corra  il  sangue  in  rivi. 

Io  ti  dirò  (risponde);  altra  cagione 
Austria  in  un  tempo  a  guerreggiar  sospin* 
Con  la  donna  real  del  gran  leone ,  [gè 
Che  per  Adria  guardar  la  spada  stringe. 
Né  pur  del  sangue  di  più  d' un  squadrone 
La  terra  sola  si  colora  e  tinge , 
Ma  il  mare  istesso  in  non  men  fiero  assalto 
Rosseggia  ancor  di  sanguinoso  smalto. 

Se  gola  hai  di  vederio,  or  meco  afisa 
Dritto  le  luci,  ov'io  l'affiso  e  giro. 
Egli  giroUe,  e  in  disusata  guisa 
Vide  ondeggiar  lo  sferico  zaffiro» 
Già  di  Anfitrite  a  mano  a  man  ravvisa 
I  vasti  alberghi  entro  l'angusto  giro, 
E  di  gran  selve  di  spalmati  legni 
Popolati  rimira  i  salsi  regnL 

Dalle  rive  adriatiche,  e  dal  porto 
Di  Partenope  beila  alate  travi 
Già  dei  ferro  mordace  U  dente  torto 
Spiccano  onuste  di  metalli  cavL 
Già  quinci  e  quindi  a  par  a  par  s' é  seorto 
Un  naviglio  compor  di  molte  navi , 
Le  cui  veloci ,  e  volatrici  antenne 
Per  non  segnate  vie  batton  le  penne. 

Volan  per  l'alto,  e  de' cerulei  chiottri 
Arano  i  molli  solchi  i  curvi  abeti. 
Rompon  co'  remi ,  e  co'  taglienti  rostri 
Delle  prore  ferrate  il  sen  di  Teti. 

I  fieri  armenti  dei  marini  mostri 
Fuggono  spaventati  ai  lor  secreti. 
Sotto  l'ombra  degli  arbori  che  aduna 
Quest'  armau,  e  quell'altra,  U  mar  s'Im- 
bruna. 

Appena  omeri  quasi  ha  il  mar  bastanti 

II  peso  a  sostener  di  tanti  phil. 
Appena  il  vento  istesso  a  gonfiar  tanti 
Può  co'  fiati  supplir,  candidi  linL 
Fugaci  olimpi,  e  vagabondi  atlanti. 
Alpi  corrend ,  e  mobili  appennlni 
Paìon,  svelti  da  terra,  e  sparai  a  nuoto, 
I  gran  vascelli  alla  grossezza ,  al  moto. 

Veder  fra  tanti  aifamil  In  tanta  guerra 
La  vergin  beila  a  Qterea  diq[>iacqiie , 
La  vergin  bella,  che  s'annida  e  serra 
Tra  1  lucenti  cristaUi,  ov'eUa  nacque; 
Ond'  hanno  insieme  il  mar  lite,  e  la  terra, 
L'una  gli  offre  le  rive,  e  l'altro  l'acque. 
Pugnan  con  belle  ed  ambiziose  gm 
Per  averla  tra  lor  la  terra,  e  U  wmn» 


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ADONE. 


Ecco  che  gorghi  già  di  foco,  e  polTc 
Vomiu  il  broDxo  concavo,  e  forato, 
Scoccajido  si ,  che  I  legni  apre  e  diasolve, 
Con  fiero  bombo  li  fulmine  piombato. 
Nebbia  d'orror  caliginoso  involre 
E  mare ,  e  del  da  questo ,  e  da  quel  lato. 
Sembra  ogni  canna  (tante  fiamme  spira) 
La  gola  di  Tifeo,  quando  si  adira. 

Giiviensi  ad  afferrar  poppa  con  poppa, 
GI4  spron  con  sprone  impetuoso  coxxa. 
Già  ¥ou  il  fuso,  e  il  fil,  che  Qoto  aggroppa 
DI  mille  vite  a  un  punto  Atropo  mozza. 
Spada  in  spada,  asu  in  asu  urtando  in- 
toppa, 
L*  acqua  gii  ne  divicn  squallida  e  sozza , 
E  del  sangue  comun  tinta,  somiglia 
Del  gran  golfo  Eritreo  1*  onda  YermigUa. 

L'una  classe  neil*  altra  avventa  e  scaglia 
Pregni  d*  occulto  ardor  globi ,  e  volumi , 
Onde ,  mentre  più  stretta  è  la  battaglia , 
Incendio  repentin  vien  che  s* allumi. 
Scoppian  le  cave  palle ,  e  fan  che  saglia 
TortM  alle  stelle  dì  faville ,  e  fumi. 
Tra  il  bitume,  e  la  pece,  e  il  nkro,  e  il  zolfo 
Oli  sbalza  al  ciel,  chi  sdrucciola  nel  golfo. 
Scorre  Vulcano,  e  mormorando  ruggc, 
E  tra  i  ruggiti  suoi  vibra  la  lingua. 
Gabbie  intomo,  e  castella  arde  e  distrugge, 
Né  sa  Nettuno  ornai ,  come  Testingua. 
L' esca  del  sangue ,  che  divora  e  sugge , 
Alimento  gli  porge ,  onde  s*  impingua. 
Vince ,  trionfa ,  e  con  la  man  rapace 
Depreda  il  tutto  imperioso ,  e  sface. 

In  ben  mille  piramidi  vedresti 
Sorger  la  fiamma  dagli  ondosi  campi , 
Alzar  le  punte ,  ed  a  quei  venti,  e  questi 
Crollar  le  coma ,  e  scaturirne  i  lampi. 
Tra  sì  fieri  spettacoli ,  e  funesti         [pi. 
Parche  la  fiamma  ondeggi,  e  Tonda  avvam- 
par che  tomi  alla  lite,  onde  pria  nacque , 
Fatto  abisso  di  foco,  n  ciel  dell'acque. 
L*  eccelse  poppe ,  e  le  merlate  rocche 
Son  cangiate  In  feretri ,  e  fatte  tombe. 
Con  rauche  voci ,  e  con  tremende  bocche 
Komoreggìan  tamburi ,  e  strldou  trombe. 
Lanciansl  1  dardi,  e  votansi  le  cocche, 
Vlbransi  l'aste ,  e  rotansi  le  frombe, 
Chi  muor  trafitto,  e  chi  mal  vivo  languc, 
Solcan  laceri  busti  II  proprio  sangue. 

Tremendi  casi ,  la  spietata  zuffa 
Mesce  di  ferro  in  un ,  d'acqua ,  e  di  foco. 
Oli  nei  fondo  del  pelago  s*  attufla , 
CU  del  sale  spumante  è  fatto  gioco, 


71 


Chi  galleggia  risorto,  e  il  flutto  sbùmi. 
Chi  tenta  risalir,  ma  gli  vai  poco. 
Che  ricade  ferito ,  ed  a  versare 
Vien  di  tepido  sangue  un  mar  nel  mare» 

Strepito  di  minacce,  e  di  querele. 
Di  percosse,  e  di  scoppi  i  lidi  assorda. 
Altri  con  man  delle  squarciate  vele 
S'attien  sospeso  in  aria  a  qualche  corda. 
Ma  giunto  dall'arsura  empia  e  crudele 
Vassi  a  precipitar  nell'onda  Ingorda, 
Onde  con  strana  e  miserabil  sorte 
Prova  quattro  elementi  in  una  morte. 

Or  quando  più  crudel  bolle  la  guerra , 
E  va  baccando  la  discordia  stolta , 
Quando  di  qua  di  là  l'onda,  e  la  terra 
Tutta  è  nel  sangue ,  e  nell*  orrore  Involta  ; 
Ecco  del  fier  Bifronte  li  tempio  serra 
Colui  che  anco  il  serrò  la  prima  volta. 
Placa  gli  animi  alteri ,  e  fa  che  cada 
L' Ira  dai  cori ,  e  dalla  man  la  spada. 

E  per  fermar  con  sempre  stabil  chiodo 
La  pace  che  è  gran  tempo  Ita  In  esigilo , 
Cristina  bella  In  sacrosanto  nodo 
Stringe  del  re  dei  monti  al  maggior  figlio. 
Vedrassl  II  groppo,  onde  si  gloria  Rodo , 
Insieme  Incatenar  la  palma,  e  il  gl^o. 
E  tu  di  gigli  allor,  non  più  di  rose 
Tesserai ,  Dea  d'amor,  trecce  amorose. 

Già  d'età,  già  di  senno,  e  già  cresciuto 
Tanto  è  di  forze  il  giovinetto  Augusto, 
Che  otUcn  del  pari  amabile ,  e  temuto 
Vanto  di  buono ,  e  titolo  di  giusto. 
Ma  r  orgoglio  dei  principi  abbattuto 
Sorge  ancor  più  superbo ,  e  più  robusto , 
E  il  bel  regno  da  lor  stracciato  a  brani 
Rassomiglia  Atteon  tra  i  propri  cani. 

Movesl  all'  armi ,  e  ne  va  seco  armato 
Enrico,  Il  primo  fior  del  regio  seme, 
Quel,  che  pur  dianzi  andò,  quasi  sdegnato. 
Co'  men  fedeli  a  collegarsi  Insieme. 
Sdegno  fu,  ma  fu  lieve  ;  or  che  allo  stato 
Del  gran  cugino  alto  periglio  el  teme, 
OH  sovvien  quando  è  d'uopo  In  tanta  im- 
Dl  consiglio,  d' aluto ,  e  di  difesa,   [presa 

Va  con  poche  armi  ad  assalir  la  fronte 
Dei  nemici  dispersi ,  e  II  sorprende. 
Non  vedi  Can ,  che  volontarie ,  e  pronte 
GII  (fisserra  le  porte,  e  gli  si  rende? 
Vedi  di  Sei  nel  sanguinoso  ponte 
Quante  squadre  rubelle  a  terra  stende. 
Poi  per  domar  la  scellerata  setta 
Ver  l'estrema  Blarae  11  campo  affiretta. 

Cede  lo  sfono,  e  r impeto  nemico. 


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n  POEMI 

Ingombra  NaiTarrin  terrore  e  gelo. 
Gli  v'entra,  e  neU*  entrarvi  il  re  eh'  io 
Non  men  che  di  valor  s' arma  di  telo,  [dico, 
Rende  ai  distrutti  altari  il  culto  antico, 
A  5è  stesso  Tonor ,  la  gloria  al  delo. 
Ogni  passo  è  vittoria,  ovunque  ei  vada , 
E  vince  senza  sangue,  e  senza  spada. 

Qual  uom ,  che  pigro  e  sonnacchioso 
dorme , 
Giace  col  corpo  in  sulle  piume  molli , 
Con  l'alma  del  pensier  seguendo  l'orme. 
Varca  fiumi ,  e  foreste ,  e  piani ,  e  colli  ; 
Tal  rivolgendo  Adon  gli  occhi  alle  forme, 
Della  cui  vista  ancor  non  son  satolli , 
Non  sa  se  vede ,  o  pargli  di  vedere 
Tra  lumi ,  ed  ombre  fanmagini  e  chimere. 

Mentre  eh*  ei  pur  dei  simulacri  accolti 
Nel  mondo  cristallin  l'opre  rimira. 
Del  silenzio  in  tal  guisa  1  nodi  ha  sciolti 
L'  alto  inventor  della  celeste  lira. 
Sappi ,  che  dietro  a  molti  corsi  e  molti 
Del  gran  pianeu  che  il  quart'orbe  gira. 
Pria  che  abbia  effetto  il  ver  staranno  asco- 
Le  qui  tante  da  te  vedute  cose.         [se 

Ma  quei  successi ,  che  ancor  chiude  il 
L' ho  voluto  mostrar,  come  presenti, [fato. 
Acciocché  miri  alcun  fatto  onorato 
Delle  più  degne  e  gloriose  genti. 


EROia. 
Fin  qui  Giove  permette ,  e  non  m' è  dato 
Più  in  là  scoprirti  del  futuri  eventL 
Or  tempo  è  da  fornir  l' opra  che  resta. 
Vedi  il  Sol ,  che  nel  mar  china  la  tetta. 
Vedi  che  armata  di  argentati  lampi 
Per  le  campagne  del  suo  dei  serene 
La  stella  Inferlor,  che  ornai  degli  ampi 
Spazi  dell'  orizzonte  il  mezzo  tiene. 
Mentre  dell*  aria  negli  aperti  campi 
A  combatter  col  di  la  notte  viene. 
Prende  a  schierar  delle  guerriere  ardenti 
I  numerosi  eserciti  lucenti. 

Lungo  troppo  11  cammino,e  breve  è  l'ora^ 
Onde  convien  sollecitare  il  passo , 
Per  poter,  r^ccorclau  ogni  dimora. 
Tornar  per  1*  orme  nostre  al  mondo  basso. 
Perocché  11  suo  bei  lume  ha  già  1*  Aurora 
Due  Tolte  acceso,  ed  altrettante  casso 
Da  che  partimmo,  e  qui  (fuor  che  a  felice 
Gente  Immortale)  il  troppo  star  non  lice. 

Così  Mercurio  ;  e  l'altro  allor  dintorno 
Dove  l' occhio  il  traea ,  volgendo  il  piede  , 
Le  ricche  logge  dell'  albergo  adomo 
Di  parte  in  parte  a  contemplar  si  diede. 
E  da  che  prese  a  tramontare  li  giorno. 
Che  ivi  all'  ombra  però  giammai  non  cede 
Non  seppe  mai  da  tal  visu  levarse 
Finché  Taltr*  Sliba  in  oriente  apparse. 


LA  PRIGIONE, 
CANTO  xin. 

ABCOMENTO. 

Tenta  la  maga  invan  rtrtl  profane. 


Chi  fu ,  che  alla  tua  lingua,  o  Zoroastro , 
Concesse  in  prima  autorità  cotanta? 
Donde  apprese  11  tuolngegno  adesserma- 
Dell*  arte  detestabile,  che  incanu  ?    [stro 
L'arte ,  che  contro  ogni  possanza d*  astro 
Vincer  Natura,  e  dominar  si  vanta? 
E  come  ponno  iniqui  carmi  e  rei 
Dell*  inferno ,  e  del  del  sforzar  gli  Dei  ? 

Da  qual  forza  fatai ,  che  gli  corregge , 
0  da  qual  patto  son  legati  e  stretti  ? 


È  necessaria,  o  volontaria  legge, 
Che  si  gli  rende  altrui  servi  e  soggetti? 
Quasi  chi  tutto  può,  chi  tutto  regge 
Tema  d'un  uom  disubbidire  ai  detti? 
È  talento,  o  timor  quel  che  gli  move 
Tant*  opre  a  far  prodigiose  e  nove? 
Deh  quante  volle  delle  lie\i  rote. 
Che  si  volgon  si  ratto  intomo  ai  poli , 
Veduto  ha  con  stupor  restarsi  immote 
Giove  l'immense  e  smisurate  moli? 


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ADONE. 


73 


Quante  'fid*  egli  aHe  malTage  note 
Le  Lune  in  del  moltipllcarsi ,  e  I  Soli  t 
Scorrere  i  tuoni  a  suo  dispetto ,  e  i  lampi , 
Scotersi  il  mondo,  e  titubarne  i  campi? 

Turbasi  al  suon  de'  mormorati  accenti 
L' ordine  delle  cose,  e  si  confonde. 
Nettun  senza  procelle,  e  senza  Tenti 
Gonfio,  i  Udi  del  ciel  batte  con  l'onde. 
Fot  quando  più  del  mar  fremon  ^i  armenti 
Ritira  il  pie  delle  vicine  sponde; 
E  rlcunrando  in  su  l' umide  fronti 
Toraan  per  l' erta  i  fiumi  ai  patri!  fonti. 

Ogni  fera  più  fera ,  e  più  rabbiosa 
La  soa  rabbia  addolcisce  e  disacerba. 
Non  è  leone  alder,  tigre  orgogliosa. 
Che  non  deponga  allor  l' ira  superba. 
ViNDita  il  fiel  la  serpe  velenosa , 
E  i  HTid'  orbi  suoi  stende  per  l' erba  ; 
E  smembrala  la  vipera  e  divisa 
Vive ,  e  rintegra  ogni  sua  parte  incisa. 

Ma  com*  è  poi,  cbe  i  versi  abbian  potere 
DI  separare  i  più  congiunti  cori  ? 
E  U  commercio  reciproco ,  e  II  piacere 
Santo  impedir  de'mariuli  amori? 
Come  dell*  alme  il  libero  volere 
Anco  scaldar  d'Involontari  ardori? 
Ed  agiUr  con  empie  fiamme  insane 
DI  maligno  furor  le  menti  umane? 

Falslrena  aspettò ,  cbe  piene  avesse 
Clntia  dell'  orbe  suo  le  parti  sceme , 
Ed  opportuno  alfln  quel  tempo  elesse, 
Cbe  congiunte  avea  già  le  coma  estreme. 
E  veggendo  anco  in  del  le  stelle  Istesse 
Seconde  all'arte  sua  volgersi  insieme. 
Nel  loco  usato  a  celebrar  sen  venne 
De*  sacrilegi  suoi  l' opra  solenne. 

Sorge  nel  sen  più  folto ,  e  più  confuso 
D' un  bosco  antico  un  solitario  altare, 
D*  alti  cipressi  Incoronato,  e  chiuso 
Là  donde  il  Sole  orientale  appare, 
Aperto  a  quella  parte,  ove  ba  per  uso 
Depor  la  luce ,  ed  attuffarsi  in  mare. 
Opaco  orror  l' ingombra,  e  lo  nasconde 
Sotto  perpetue  tenebre  di  fronde. 

Quivi  idoletti  vari ,  e  simulacri 
L'Innamorata  incantatrlce  accolse, 
E  quivi  a  più  color  tre  vdi  sacri 
Con  caratteri  e  segni  intomo  avvolse; 
E  polche  a'  membri  suoi  nove  lavacri 
D*  un'  acqua  fé' ,  cbe  da  tre  fonti  tolse , 
Oisdnu,  e  scalza  del  sinistro  piede 
U  foco ,  e  r  ostia  ad  appresUr  si  diede. 

Con  la  casta  rerbena,  il  maschio  incenso 


Le  fiamme  pria  dell'olocausto  alluma , 
E  di  vapor  caliginoso  e  denso 
E  r ara,  e  l' aria  orribilmente  alAima. 
Poi  di  virtutc  occulta  al  nostro  senso 
Dentro  il  magico  incendio  arde  e  consuma 
Mille  con  falce  tronche  erbe  maligne. 
Erbe  appena  ancor  note  alle  madrigne. 

Dello  stridulo  alloro  asperse  in  esso 
Le  nere  bacche  Innanzi  di  recise. 
Della  fico  selvaggia  il  latte  espresso, 
E  della  felce  il  seme  dia  vi  mise. 
E  la  radice ,  eh'  ha  comune  il  sesso 
Dell'  eringe  pinosa  anco  v'  Intrise, 
E  fra  gli  altri  velen ,  che  dentro  v'  arse , 
La  violenta  ippomene  vi  sparse. 

Arse  r  erbe ,  e  le  plantead  una  ad  una , 
Sette  volte  l'alUr  drconda  intorno. 
Tre  s' Inginocchia  ad  adorar  la  Luna , 
Tre  la  contrada,  ove  tramonta  11  giomo. 
D' una  pecora  poi  lagosa  e  bruna 
Con  la  manca  tenendo  il  manco  corno 
Con  la  destra  II  coltd ,  tra  1  fochi ,  e  i  fumi 
Trecooto  invoca  sconosduti  Numi. 

E  mentrechè  di  Stlge  e  FlegetontO 
L' occulte  Deità  per  nome  appella  , 
Versa  di  nero  vino  un  largo  fonte 
Infra  le  corna  alla  dannata  agnella. 
Non  pria  però,  che  dalla  fosca  fronte 
DI  lana  un  fiocco  di  sua  man  non  svdla , 
E  che  noi  gitti  entro  le  brage  ardenti 
Quasi  primi  tributi ,  e  libamenti. 

Poscia  con  ferro  acuto  apre  e  ferisce 
La  golaall'agna ,  e  la  trafigge  e  svena, 
E  del  sangue ,  che  fuor  ne  scaturisce[na. 
Caldo  e  fumante,  un' ampia  tazza  ha  pie- 
Con  l'estremo  del  labbro  indi  il  lambisce 
Lievemente  cod,  che  11  gusta  appena. 
Poi  con  olio ,  e  con  mde  in  copia  grande 
Alla  madre  comune  in  sen  lo  spande. 

Una  colomba  ancor  vaga  e  lasdva 
Uccise  di  candor  sinrile  d  latte , 
E  poiché  quante  piume  ella  vestiva 
Tarpate  l' ebbe  a  penna  a  penna  e  tratte , 
Donolle  in  cibo  a  quella  fiamma  viva 
Finché  fùr  tutte  in  cenere  disfatte; 
Ma  prima  le  legò  nell'  da  manca. 
Con  rosso  fil  la  calamita  bianca. 

Ciò  fatto,  strinse  in  tre  tenaci  nodi 
Una  ciocca  di  crin ,  eh'  io  non  so  come 
Dormendo  Adon,  con  sue  sagaci  frodi 
Gli  tolse  Ideala  dalle  bionde  chiome. 
Sputò  tre  volte,  e  in  tre  diverd  modi 
Disse  r  amante  suo  chiamando  a  nome  i 
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74  POEm 

Resti  legato,  né  mai  più  d  sdoglla 
11  crudo  sprezzator  d*  ogoi  mia  doglia. 

A  sembianza  di  lui  di  vergin  cera 
Immagin  poi  misteriosa  ammassa, 
E  con  un  stecco  di  mortella  nera 
Ben  aguzzo  e  pungente  ii  cor  le  passa. 
E  mentre  appo  i*  arsura  atroce  e  fiera 
A  poco  a  poco  distillar  la  lassa. 
Dice  volgendo  ilramoscel  del  mirto: 
Così  foco  d'amor  strugga  il  suo  spirto. 

D*  ippopotamo  un  core  alfine  ha  preso. 
Nella  riva  del  NQ  nato,  e  nutrito , 
Che  della  nova  Luna  al  raggi  appeso , 
Era  alla  sua  fredd* ombra  inaridito; 
E  di  faville  oltracocend  acceso, 
E  di  spilli  acutissimi  ferito, 
L' agita,  il  move,  il  trae  come  più  vole , 
Mormorando  tra  sé  queste  parole: 

Eccoli  cor  di  colui,  eh'  io  cotant'amo. 
Ecco  eh'  io  gli  ho  sett'  aghi  in  mezzo  affissi. 
Ecco  che  il  tiro  a  me  poi  con  quest'  amo 
Già  fabbricalo  sotto  sette  eclissL 
Ecco  sette  carbon  fotti  dei  ramo , 
Che  gi4  colse  mia  madre  entro  gli  abissi. 
Desti  dal  sacro  mantice  vi  aggiungo, 
E  sette  volte  intomo  intomo  il  pungo. 

Da' sacrifici  abominandi  ed  empj 
Cessò  la  fau,  e  d  parti  ciò  detto. 
Perchè  contro  colui ,  che  duri  scempj 
Ognor  faoea  dei  suo  piagato  petto. 
Sperava  pur  dopo  mlH'  altri  esempi 
Di  veder  nova  prova,  e  novo  effetto. 
Ma  di  tante  fatiche  al  vento  spese 
Alcun  fmtto  amoroso  indamo  attese. 

E  come  per  magie  mai ,  né  per  pianti 
Sperar  potea  rimedio  a  tk  gran  male , 
Se  la  Dea  degli  amori ,  e  degli  amanti , 
Che  invocava  propizia  avea  rivale  ? 
Se  colei ,  che  ha  negU  amorosi  incanti 
Sovrano  impero ,  e  potestà  fatale , 
Avea  malconcia  delle  piaghe  Istesse, 
In  quel  ch'cUa chiedea,  tanto  Interesse? 

Poiché  con  lungo  studio  Invan  compose 
Suggelli ,  e  rombi ,  e  turbini ,  e  figure. 
Né  seppe  mai  con  queste,  ed  altre  cose 
Quelle  voglie  espugnar  rigide  e  dure. 
Tornossi  in  voci  amare,  e  dolorose 
Con  Idonia  a  lagnar  di  sue  sventure. 
Lassa  (diceale)  in  che  mal  punto  11  guardo 
Volsi  da  prima  a  que'  bei  raggi ,  ond'  ardo. 

Per  mia  fatai  (cred'  lo)  morte  e  ruina 
Vidi  tanta  beltà  non  più  veduta. 
Infio  di  quanto  U  del  quaggiù  destini 


EROia. 
Diffidhnente  il  gran  tenor  il  i 
Chi  può  per  molte  scosse  in  balia  alpina 
Ben  robusta  piegar  quercia  barbuta? 
Quercia  ch'Austro  prendendo  e  Borea  a 

scherno. 
Tocca  col  capo  il  cid ,  col  pie  1*  inferno  ? 

Amo  statua  di  neve,  anzi  di  pietra. 
Pertinace  rigor,  fermo  desio. 
Egli  gela  alle  fiamme ,  ai  pianti  impetra. 
Né  di  voglia  cangiar  mi  vogUo  anch'  lo. 
lo  non  mi  pento ,  ei  non  però  si  spetra , 
Guerreggia  l' odio  suo  con  l' amor  mio. 
L' uno  In  esser  nemico ,  e  l' altra  amante 
Non  so  chi  di  noi  duo  sia  più  costante. 

Veggio  moversi  1  monti  anco  a'  miei  ver- 
Non  ammollirsi  un'  animato  sasso.       [si , 
Talor  dei  fiumi  indietro  il  pie  conversi , 
Fermar  non  so  d' un  fuggitivo  il  passo. 
I  mostri  umiliai  fieri  e  perdersi , 
Né  di  un  altier  garzon  l' animo  abbasso. 
Da  me  l' inferno  Islesso  é  vinto  e  domo , 
Né  son  possente  a  soggiogare  un  uomo. 

Semino  In  onda,  e  fabbrico  in  arena. 
Persuado  lo  scoglio ,  e  prego  il  vento. 
All'aspe  egizio,  ed  alla  tigre  armena 
Scopro  la  piaga  mia ,  narro  il  tormento. 
Idei  crudel ,  di  cui  mi  lice  appena 
Sol  la  vista  goder,  di  placar  tento. 
Se  far  potesse  a  questa  alcun  riparo , 
Forse  di  questa  ancor  mi  fora  avaro. 

Pregando,  amando,  lagrimando  (ahi 
Ottener  l' hnpossibile  credei.        [  folk  !  ) 
Fare  una  selce  impenetrabii  molle 
Piuttosto  che  quei  core ,  io  sperereL 
Quanto  più  foco  in  me  vede  che  bolle. 
Tanto  schernisce  più  gii  afianni  mieL 
Eppur  voiu  ad  amar  bellezze  Ingrate, 
Di  chi  mi  fa  doler  prendo  pietate. 

Né  per  tante  repulse  io  lascio  ancora 
Di  correr  dietro  all'ostinate  voglie. 
Ogni  altra  donna  alfin ,  che  s'innauKNn, 
Sebbene  il  morso  all'onestà  disdogUe, 
Pur  sfogando  il  martir,  che  l'addolori. 
Premio  della  vergogna.  Il  piacer  coglie. 
Io  senza  akun  diletto  averne  tolto 
Sol  della  propria  Infamia  il  fmtto  hocolto. 

Vendo  la  libertà ,  compro  11  dolore. 
Serva  son  di  colui ,  che  in  career  chiudo, 
E  pago  a  prezzo  d'anima ,  e  di  core 
Pianti ,  e  sospir,  che  il  fanno  ognor  più  cru- 
Da  cosà  caldo,  e  così  saldo  amore    [ do. 
Qual  mai  potrebbe  adamantino  scudo. 
Se  non  solo  qml  peUo  indir  leciro. 


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Altrui  tenero  Corse,  a  me  il  duro? 

0  bdU  c<M,  che  U  cor  gl'impiagi, 
Fdid  quei  bcf^  ocdii,  onde  arde  tanto. 
Quanto  o  quanto  sarei  d'intender  vaga 
Oli  ria  costei,  che  lia  di  tal  grazia  il  vanto  ! 
Ma  di  pietra  per  certo,  o  d'erba  maga 
EgU  in  sé  cdia  akun  possente  incanto. 
Poiché  giOTan  ai  poco  a  far  che  mi  ami 
Maik  tenaci,  o  magid  legami. 

Lungamente  sospeso  (Idonia  dice) 
Tenuto  ha  questo  dubbio  U  mio  pensiero* 
Ma  tu  che  badi  ?  ed  a  cui  meglio  Bce 
Spiar  di  un  tal  secreto  il  fatto  intero? 
Potrai  ben  tu  de'  Dati  esploratiice 
Sforzar  ^  abissi  a  confessarti  il  vero. 
Tu,  che  ri  dotta  sei  nell'arti  ascose^ 
E  sai  cotanto  dell'  oscure  cose. 

Qui  tace,  ed  ella  allor,  che  ben  possiede 
Quante  ha  Tessaglia  incognite  dottrine. 
Non  già  di  Ddo  i  tripodi  richiede. 
Non  di  Delfo  ricorre  alle  cortine , 
Non  di  Dodooa  ai  sacri  boschi  il  piede 
Volge  per  suppHcar  querce  indovine. 
Non  a  qualunque  oracolo  facondo 
Abbia  più  chiaro,  e  più  famoso  il  mondo. 

Non  il  moto,  e  11  color  cura  degli  esti 
Neir ostie  investigar  del  sacrifici. 
Né  deg^  augei  le  cai  giocondi ,  o  mesti 
Secondo  il  volo,  interpretar  gli  auspicj , 
Né  destri ,  o  manchi  1  fulmini  celesti 
Osserva,  o  rieno  Infausti ,  o  rien  felici. 
Né  q>ecolando  va  le  stelle ,  e  1  cieli , 
Ma  più  tacite  cose,  e  più  crudeO. 

Notte  era,  allor  che  dal  diurno  moto 
Ha  requie  ogiù  pensier,  tregua  ogni  duolo. 
L'onde  giacean,  tacean  Zefiro,  e  Noto, 
E  cedeva  11  quadrante  air  orinolo , 
Sopia  r  oom  la  fatica ,  Il  pesce  il  nuoto , 
La  fera  11  corso,  e  l' augelletto  11  volo. 
Aspettando  il  tornar  del  novo  lume 
0  tra  r  alghe,  o  tra  i  rami,  o  sulle  piume. 

Quand*  ella  prese  a  proferir  possenti 
€on  lungo  mormorio  carmi ,  e  parole; 
E  bisbigliando  1  suoi  profani  accenti , 
Atti  a  fermar  nel  maggior  corso  11  Sole, 
Il  corpo  S'Impinguò  di  quegli  unguenti. 
Onde  Tolar,  qual  pipistrello  suole , 
E  per  la  cui  vhtù  spesso  si  é  fatta 
Cagna,  lupa,  leonza.  Istrice,  e  gatta,   [ro, 
Sovra  un  monton  vieppiù  che  corvo  ne- 
Che  la  lana ,  e  la  barba  ha  folu  e  lunga , 
Monta,  ed  acconcio  ad  uso  di  destriero, 
Tool  che  in  brev*  ora  a  Babilonia  giunga. 


ADONE.  u 

Quel  pia  cbe  alato  folgore  lesero 
Per  r  aria  va,  senza  che  sprone  11  punga* 
Ella  alle  ooma  attienri,  e  non  le  lassa. 
Cavalca  i  nembi ,  e  i  turbini  trapMsa. 

Nata  tra  quel  snidano  era  pur  dianai, 
E  il  re  d'Assiria  aspra  discordia  e  dura , 
E  venuti  a  giornata  il  giorno  innanzi , 
Cohna  di  morti  avean  la  gran  piamm. 
Giacean  de'  busti  1  non  curati  avaari 
Sparri  sossopra  In  orrida  mistura, 
E  gonfio  con  le  coma  insanguinate 
A  lavarri  nel  mar  correa  l'Eufrate. 

Le  campagne  dintorno ,  e  le  foreste 
Son  di  tronchi  insepolti  Ingombre  e  pleM| 
Veggionsl  tutte  In  quelle  parti  e  in  queste 
Porporeggiar  le  faziose  arene^ 
Fatte  d'esca  crudel  mense  funeste 
A \vfA  Ingordi,  ed  altre  fere  oscene. 
Che  a  monte  a  monte  accumulate  la  terra 
Le  reliquie  a  rapir  van  della  guerra. 

ila  dalla  maga ,  che  dal  del  discendt^ 
Son  le  delizie  lor  turbate  e  rotle4 
Onde  lasciate  le  vivande  orrende , 
Fuggon  digiune,  e  timide  alle  grotte. 
Ella  di  fosche  nubi,  e  fosche  bende^ 
Che  raddoppiano  tenebre  alla  notte. 
Avvolta  il  capo,  inviluppata  i  crini, 
DI  quel  tragico  pian  scorre  1  confiaL 

Per  que' campi  di  sangue  umidi  e  tlatf 
Vassene  col  favor  dell' ombra  ebeta, 
E  la  confuslon  di  tanti  estind 
Volge  e  rivolge  tacita  e  secreta; 
E  mentre  de'  cadaveri  indistinti, 
A  cui  l'onor  del  tumulo  si  ¥Ìeta, 
Calcando  va  le  sanguinose  membra. 
Oscura  cosa ,  e  formidabll  sembra. 

Non  so  se  In  vista  si  tremenda  e  rea 
Là  nella  notte  più  profonda  e  muta 
Per  la  spiaggia  di  Coleo  uscir  Medea 
L' erbe  sacre  a  raccor  fu  mai  veduta, 
Quand'  ella  già  rinnoveilar  volea 
Del  padre  di  Giason  l' età  canuta. 
Atropo  forse  sola  a  lei  s' agguaglia 
Qualor  d'alcun  mortai  lo  stame  tag&a. 

Scelse  un  meschin  di  quella  mischia  lOf- 
Che  passato  di  fresco  era  di  vita.  [fa^ 
Intero  11  volto ,  Intera  avea  la  strozza^ 
Ma  d*  un  troncon  nel  petto  ampia  ferita. 
Se  sia  guasto  il  polmon ,  se  rotta  o  mozza 
Sia  r  aspra  arteria ,  ond'  ha  la  voce  usclta« 
Prendendo  a  perscrutar,  trova  la  maga« 
Che  ha  le  viscere  inUtte ,  e  senza  pi^Uia. 

Pende  U  fato  da  lei  di  molU  ucckL« 


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76  POEMI 

Che  dell'  alta  sentenza  In  dubbio  stanno , 
E  qual  di  tanti  dal  mortai  divisi 
Voglia  alla  luce  rivocar,  non  sanno. 
Se  tuo!  tutti  annodar  gli  stami  incisi , 
ConTien  che  ceda  Tinfeinal  tiranno. 
E  le  leggi  dell'  Èrebo  distrutte. 
Renda  alle  spoglie  lor  l'anime  tutte. 

Or  del  misero  corpo ,  a  cui  prescritta 
L*  ultima  linea  ancor  non  era  in  sorte , 
Lubrico  intomo  al  collo  un  laccio  gitta , 
E  con  groppi  tenaci  il  lega  forte. 
Indi  acciocché  più  lacera  e  trafitta 
Resti  la  carne  ancor  dopo  la  morte , 
Fin  dov*  entra  nel  monte  un  cupo  speco 
Su  per  sassi ,  e  per  spine  il  tira  seco. 

Pendesi  il  monte  in  precipizio ,  e  sotto 
Apre  la  cava  rupe  antro  profondo, 
Che  arriva  a  Dite ,  e  discosceso  e  rotto 
Vede  i  confin  dell* un  e  l'altro  mondo. 
Quivi  il  mesto  cadavere  è  condotto , 
Loco  sacro  per  uso  al  culto  immondo , 
Nel  cui  grembo  giammai  non  s' introduce 
Se  non  fatta  per  arte ,  ombra  di  luce. 

Neisen ,  che  quasi  ancor  tepido  langue, 
Fa  nove  piaghe  allor  la  man  per>  ersa , 
Per  cui  levando  il  già  corrotto  sangue , 
Il  vivo ,  e  il  caldo  In  vece  sua  vi  versa. 
Gli  sparge  ancora  In  ogni  vena  esangue 
Bi  varie  cose  poi  tempra  diversa. 
Ciò  che  di  mostruoso  unqua,  o  di  tristo 
Partorisce  Natura,  entro  v'ha  misto. 

Della  Luna  la  spuma  ella  vi  mesce , 
La  bava,  quando  in  rabbia  entra  il  mastino 
E  il  Ilei  vi  mette  del  minuto  pesce , 
Che  il  volo  arresta  del  fugace  pino. 
Ponvi  l'onda  del  mar  quando  più  cresce, 
E  di  Cariddi  il  vomito  canino , 
E  dell'  unico  augello  orientale 
Il  redivivo  cenere  immortale. 

L'incorruttibil  cedro,  e  l'amaranto, 
L*  immortai  mirra,  e  il  balsamo  v'  interna , 
La  feconda  virtù  del  grano  infranto, 
E  della  fera  fertile  di  Lema. 
Del  fegato  di  Tizio  ancor  alquanto. 
Che  sé  medesmo  rinascendo  etema , 
E  del  seme  del  bombice  v'  ha  messo , 
Verme  possente  a  suscitar  sé  s  esso. 

Il  cerebro  dell' aspido  vi  stilla, 
E  la  midolla  del  non  nato  infante , 
E  del  nido  aquilino,  onde  rapilla. 
Vi  pon  la  pietra  gravida  e  sonante. 
Hawl  V  occhio  del  lince,  e  le  pupilla 
Del  basilisco,  e  del  dragon  volante. 


EROia. 
Dell'  Iena  la  spina,  e  la  membrana 
Della  cerasU  orribile  affricana. 

Le  polpe  del  biscion ,  che  nel  mar  Rosao 
Guarda  la  preziosa  margheriu 
Infra  1*  altre  sostanze  ,  e  Insieme  l' osso 
Del  libico  chelidra  anco  vi  trlu. 
La  pelle  v'  é ,  eh'  ha  la  cornice  addosso 
Dopo  ben  nove  secoli  di  vita; 
Né  vi  mancan  le  viscere  col  sangue 
Del  cervo  alpin,  che  divorato  ha  V  angue. 

Ferri  di  ceppi ,  e  pezzi  di  capestri , 
Fili  arrotati  di  rasoi  taglienti. 
Punte  d'aguzzi  chiodi ,  e  sangui ,  e  mestrl 
Di  donne  uccise,  e  di  svenate  genti , 
De'  fulmini  la  polve,  e  degli  alpestri 
Ghiacci  il  rigore,  e  gli  aliti  de'  venti , 
E  i  sudori  del  Sol,  quand'arde  luglio 
Vi  distempra  confusi  In  un  mescuji^io. 

V*  aggiunse  d'Etna  1*  orride  faville , 
Di  Flegra  i  zolfi ,  e  di  Cerauno  i  fumi. 
Del  gran  Cocito  le  cocenti  stille. 
Del  pigro  Asfalto  i  fervidi  bitumi , 
E  di  mill'  altri  ingredienti  e  mille 
Abominande  fece,  empj  sozzumi. 
Infamie ,  e  pesti ,  onde  la  maga  abbonda. 
Incorporò  nella  mistura  immonda. 

Poiché  tai  cose  tutte  Insieme  accolte 
Nelle  fibre,  e  nel  core  infuse  gli  ebbe , 
E  dal  suo  sputo  infette  altr' erbe  molte 
Virtuose  e  mirabili  v'  accrebbe, 
Sovra  il  corpo  incurvossi ,  e  sette  volte 
Inspirò  il  fiato  a  chi  risorger  debbe. 
Al  miracolo  estremo  alfin  s'  accinse , 
E  il  proprio  spirto  ad  animarlo  astrìnse. 

Vestesi  pria  di  tenebrose  spoglie. 
Poi  prende  nella  man  verga  nefanda , 
Ed  alle  chiome ,  che  in  sul  tergo  accoglie , 
Fa  d' intrecciate  vipere  ghirlanda. 
Vieppiù  che  altra  efficace  Indi  discioglie 
La  fiera  voce ,  che  a  Pluton  comanda, 
E  move  ai  detti  suoi  sommessa  e  piana 
Lingua ,  che  assai  discorde  é  dall'  umana. 

De'  cani  imita  i  queruli  latrati , 
Ed  esprime  de'  lupi  1  rauchi  suoni , 
Forma  i  gemiti  orrendi ,  e  gli  ululati 
Delle  strigi  nottume,  e  de'  buboni, 
I  fischi  de' serpenti  infuriati. 
Gli  spaventosi  strepiti  de*  tuoni , 
Dell'acque  il  pÌanto,il  fremer  delle  fronde* 
Tante  voci  una  voce  in  sé  confonde. 

L' acr  puro  e  scren  s' ingombra  e  tigne 
A  quel  parlar  di  repentina  eclisse. 
Veggionsi  lagrimar  stille  sanguigne 


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ADONE. 


77 


L' alte  hici  del  elei  mobili  e  fisse , 
Bendò  fascia  di  nubi  atre  e  maligne 
Come  la  terra  pur  la  ricoprisse , 
E  le  vietasse  la  fraterna  vista. 
Della  candida  Dea  la  faccia  trista. 

D(^  i  preludi  di  un  susurro  interno 
Seco  pian  pian  sommormorato  alquanto , 
Cominciando  a  picchiar  1*  uscio  d' A  verno, 
In  più  chiaro  tenor  distinse  li  canto. 
Tartareo  Giove ,  che  del  foco  etemo 
Reggi  r  impero,  e  dell*  etemo  pianto. 
Al  cuisceUro  soggiace,  al  cui  diadema 
Tutto  il  volgo  dell'  ombre  e  serve ,  e  trema. 

Persefone  triforme ,  Ecate  ombrosa , 
Donna  dell*  Orco  pallido ,  e  profondo , 
Al  più  crudo  fralel  congiunto  in  sposa 
De'  tre  monarchi ,  ond*  è  diviso  il  mondo. 
Notte  gelida,  pigra,  e  tenebrosa, 
Figlia  del  Cao  confuso  ed  infecondo. 
Umida  madre  del  tranquillo  Dio, 
DeU'orror,  de]  silenzio,  e  dell'  oblio. 

Dive  fatali,  e  rigorosi  Numi, 
Che  sedete  a  filar  l' umane  vite, 
£  novo  stame  a  chi  già  chiusi  ha  i  lumi 
Fer  di  novo  spezzario ,  ancora  ordite. 
Codto,  e  tutti  voi  perduti  fiumi. 
Voi  che  irrigate  la  citU  di  Dite. 
Dolenti  case,  antri  nemici  al  Sole, 
Aprite  U  passo  all'  alte  mie  parole  : 
0  regi ,  e  voi  delle  malnate  genti 
Conosdtorì,  ed  arbitri  severi , 
Che  a  giusti ,  e  dei  fallir  degni  tormenti 
Condannate  gli  spirti  iniqui  e  neri. 
E  voi  ministre  ai  miseri  nocenti 
Di  supplici ,  di  strazj  acerbi  e  fieri , 
Vergini  orrende,  che  gli  stig]  lidi 
Fate  sonar  di  disperati  stridi  ; 

E  tu  vecchio  nocchier ,  che  altrui  fai 
A  quelle  reglon  malvage  e  crude ,  [scorta 
Solcando  l' onda  ognor  livida  e  smorta 
Della  bollente  e  fetida  palude. 
E  tu  vorace  can ,  che  in  sulla  porU 
Della  gran  reggia ,  ove  ogni  mal  si  chiude , 
Perchè  chi  v*  entra  più  non  n*  esca  mai , 
Con  tre  bocche ,  e  sei  iud  in  guardia  stai. 

Se  voi  sovente  ne'  miei  sacri  versi 
Con  labbra  pur  contaminate  invoco. 
Se  mai  di  sangue  uman  grate  v*  offersi, 
-Vittime  Impure  in  esecrabii  foco , 
Se  la  mint^gia  dei  bambln  dispersi , 
E  dal  materno  sen  tratti  di  poco. 
Posi  gli  aborti  in  sulla  mensa  ria, 
Asiistete  propizi  all'opra  mia. 


Già  ritor  non  pretendo  al  regni  vostri 
Le  possedute ,  e  ben  dovute  prede , 
Né  spirto  avvezzo  a  conversar  tra  mostri 
Per  lungo  tempo ,  oggi  per  me  si  chiede. 
Quel  che  dimando,  de*  temuti  chiostri 
Pose  pur  dlanri  in  sulle  soglie  il  piede , 
E  di  questa  vital  luce  serena 
Ha  quasi  1  raggi  abbandonati  appena. 

Non  nego  a  Morte  sua  ragion ,  né  deggio 
Del  giusto  dritto  defraudar  Natura. 
Sol  delle  stelle ,  e  non  del  Sol  vi  chegglo 
Si  conceda  a  costui  pìccola  usura. 
Godan  quegli  occhi ,  che  velati  or  veggio 
Di  caligine  cieca,  e  d'ombra  oscura. 
Poiché  per  sempre  pur  chiuder  gli  deve , 
Di  poca  luce  un'  intervallo  breve. 

Odi  spirito  ignudo,  anima  errante, 
Odi ,  e  ritorna  al  tuo  compagno  antico. 
Solo  qual  sia  1*  amor,  qual  sia  l' amante 
Rivela  a  me  del  mio  cmdel  nemico. 
Riedi  subito  al  loco,  ove  eri  innante. 
Dato  die  avrai  risposta  a  quant*  io  dico. 
Ritorna  alma  raminga ,  e  fugg^itiva , 
Rivesti  il  manto ,  e  il  tuo  consorte  avviva. 

Ciò  detto ,  non  lontan  mira,  ed  ascolta 
Del  trafitto  guerrier  1*  ombra  che  geme , 
Perchè  del  career  primo ,  onde  fu  tolta , 
Tra'  nodi  rientrar  paventa  e  teme, 
E  nei  petto  squarciato  un'altra  volta 
Riabitar  dopo  l' essequie  estreme. 
Chi  fin  laggiù  (  prorompe  )  in  riva  a  Lete 
Mi  turba  ancor  la  misera  quiete? 

Lasso ,  e  chi  della  spoglia ,  ond'  io  son 
carco. 
L'odiato  peso  a  sostener  m'affretta? 
Dunque  contro  il  destin  severo  e  parco 
Il  fil  tronco  a  saldar  Cloto  è  costretta? 
Deh  eh' io  ritorni  per  l'ombroso  varco 
Alla  requie  interrotta  or  si  permetU. 
Miser,  qual  fato  sì  mi  sforza  e  lega , 
Che  di  poter  morire  anco  mi  nega? 

Ch'  ei  sia  sì  poco  ad  ubbidir  veloce 
La  donna  spiritai  disdegno  prende , 
Onde  con  sferza  rigida  e  feroce 
Di  viva  serpe  il  morto  corpo  offende. 
Poi  con  più  alta ,  e  più  terribil  voce 
Solleva  il  grido,  che  sotterra  scende, 
E  penetrando  l  più  profondi  orrori 
Minaccia  all'  alma  rea  pene  maggiori. 

Su  su  che  tardi  ad  informar  quest'  ossa? 
Qual  più  forte  scongiuro  ancora  attendi? 
Credi ,  che  nell'  abisso ,  e  nella  fossa 
Non  ti  sappia  arrivar,  se  mei  iu)ntendi? 


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78  POEMI 

0  che  esprimer  <fiie'  bobì  or  or  non  possa 
Inuditi ,  ineffabili ,  tremendi , 
Che  ▼cnir  ti  teanae  a  me  datante 
CSòcli' io  f  hapoBgo ,  ad  eseguir  treman- 

Megera,  e  toì  deHa  spfietau  suora  [te? 
Suore  ben  degne,  e  degne  Dee  del  nàie, 
M* udite?  a  cui  pari' lo?  tanta  cHmoni 
Dunqne  tI  Kce?  e  si  di  me  ?!  cale? 
E  ami  Tenite  ?  e  non  traete  ancora 
Fuor  del  penoso  baratro  Infemalo 
Da  serpenti  agitata ,  e  da  facelle , 
L' alma  infelice  a  riveder  le  stelle? 

lo  Ti  farò  delle  magion  notti^ne 
A  fona  uscir  di  scosse,  e  di  flagellL 
Vi  seguirò  per  ceneri ,  e  per  urne. 
Vi  scaccerò  da*  roglii ,  e  dagli  areUI. 
Sarete  toì  si  sorde  e  taciturne, 
Quand*  io  co'  propri  titoli  T'appelli? 
0  con  note  più  fiere  ed  esecrande 
loTocar  deggio  pur  quel  nome  grande? 

A  lai  detti  (  o  prodigio  !  )  ecco  repente 
U  sangue  intepidir  gelido  e  duro, 
E  le  Tene  irrigar  d'umor  corrente. 
Che  gi4  pur  dianzi  irrigidite  furo, 
Rlplen  di  spirto,  e  d'alito  vivente 
MoTesi  già  rimmobil  corpo  oscuro. 
Già  già  palpiu  il  petto,  ed  ogni  fibra 
Me'  freddi  polsi  si  dibatte  e  Tibra. 

I  nenri  stende  a  poco  a  poco,  e  sorge, 
E  comincia  ad  aprir  l' egre  palpebre. 
Tornali  calor,  ma  somministra  e  porge 
Alle  guance  un  color,  cb'  è  pur  funebre. 
Pallidezza  si  fatu  in  lui  si  scorge. 
Che  somiglia  squallor  sì  lunga  febre  ; 
E  con  la  morte  ancor  confusa  e  mista 
Giostra  la  vita ,  che  pian  pian  racquista. 

DI'  di' (die' ellaallor)percuÌBÌ  strugge 
Colui ,  per  cui  mi  struggo  ?  alzati ,  e  dillo. 
Qual  il  cor  fiamma  gli  consuma  e  sugge? 
Qual  laccio  il  prese  ?  e  quale  strai  feriUo  ? 
Dimmi ,  ond*  avvlen ,  che  più  m' aborre  e 
fugge,  [Io? 

Quant'  io  più  11  seguo ,  e  più  per  lui  sfavil- 
Se  fia  mal  che  si  muti ,  e  quando ,  e  come 
Narra,  e  dimmi  del  tutto  11  loco,  e  il  nome. 

Se  avverrà ,  che  tu  eh  laro  il  ver  mi  sco- 
Non  come  fan  gli  oracoli  dubbiosi,  [pra. 
Degna  mercè  riceverai  dell'  opra 
In  virtù  de' miei  versi  imperiosi. 
Farò ,  che  più  non  tornerai  di  sopra , 
Né  più  verrà  chi  rompa  i  tuoi  riposL 
Da  chiunque  incantar  ti  vorrà  mal 
FriBco  per  tutti  i  secoli  sarat 


EBOICL 

Cosigli  (fice ,  e  carme  aggiunge  a  qne« 
sto. 
Per  cui  quait'  ella  vuol ,  saver  gK  ha  dato. 
Quei  sparge  alfine  un  flebil  snono  e  mesto  , 
Articolando  in  tal  favella  il  fiato:  [nesto. 
Non  io ,  non  già  nel  mondo  empio  e  fii- 
Donde ,  giunto  pur  or ,  son  richiamato , 
Delle  Parche  mirai  gli  atri  secreti. 
Né  vi  lessi  del  Fato  i  gran  decreti. 

Pur  quanto  sostener  potè  il  brer*  oso 
D' una  fugace  e  momenUnea  vita. 
Dirò  dò  che  d'udirne  oggi  laggiuso 
Bfi  fu  permesso  innanzi  alla  partita. 
Oggi  ho  di  quel ,  eh'  a  tua  notizlaè  chiuso. 
Dall'  empia  Gelosia  l'istoria  udita; 
Dall'  empia  Gelosia ,  furia  perversa , 
Che  con  l' altre  taior  furie  conversa. 

Disse,  che  il  bel  garzon ,  eh'  a  te  si  plae* 
E  chedeir  amor  tuo  cura  non  piglia,  [qne. 
Dal  re  di  Cipro  è  generato ,  e  nacque 
Per  fraude  già  dell'  Impudica  figlia. 
Ama  la  bella  Dea  nata  dell'  acque , 
Ella  solo  il  protegge,  ella  il  consiglia; 
E  sebben  or  se  n'  allontana  e  parte , 
Ama  pur  tanto  lui ,  che  n'  odia  Marte. 

Marte  di  sdegno  acceso,  e  di  furore 
Morte  già  gli  minaccia  acerba  e  rea; 
Onde  se  è  l'amor  tuo  sterile  amore , 
Infausto  anco  è  l' amor  di  Citerei. 
Volger  ricusa  alle  tue  fiamme  il  core. 
Perchè  fissa  vi  t&en  l'amata  Dea. 
Poi  cotai  gemma  lo  difende  e  guarda , 
Ch'esser  non  può,  clie  d'altro  foco  egli 
arda. 

E  poiché  tu  con  fiero  abuso  e  rio 
Dell'  arti  tue  mi  togli  ai  regni  bassi, 
E  per  un  curioso ,  e  van  desio 
Fai  che  Stige  di  novo  a  forza  io  pasri , 
Né  men  crudel,  che  all'  alma,  al  corpo  mio. 
Ucciso  ancor,  d' uccidermi  non  lassi , 
Ascolu  pur ,  eh'  io  voglio  ora  scoprirti 
Quel  che  non  intendea  prima  di  dlrtL 

Permette  il  giusto  elei  per  questo  sceiB- 
E  per  r  audacia  sol  del  tuo  peccato ,  [pio. 
Che  osò  con  strano  e  non  udito  esemplo 
Sforzar  Natura ,  e  violare  11  Fato , 
Che  non  s*  adempia  mai  del  tuo  cor  empie- 
11  malvagio  appetito  e  scellerato. 
Né  te  r  amato  bene  amerà  mal , 
Né  tu  del  bene  amato  unqua  godrai. 

Più  non  diss'  egli ,  e  ciò  la  maga  udito. 
Di  geloso  dispetto  ebbra  s'accese, 
E  il  busto  in  negra  pira  incenerito, 


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ADONE. 


7» 


AJio  più  di  Biorlr  non  gli  contese. 
Riteraò  par  quel  misero  ferito 
Poicbè  a  terra  ricadde,  e  si  distese. 
Mandando  F  ombra  alle  tartaree  porte, 
Dopo  dne  vite  aila  seconda  morte. 

Ma  già  ri  apre  ii  giardindelP  Orizionte, 
Già  Qori  fl  del  di  fresche  rose  infiora , 


Già  l' OrTente  n  piano  intomo,  e  il  monte 
D' ostro ,  e  di  luce  imporpora  ed  indora  ; 
E  già  con  l' Alba  a  pie ,  col  Giorno  in  fronte 
Sovra  un  nembo  di  folgori  1*  Aurora 
Per  l'aperte  del  eie!  fiorite  rie 
Fa  le  stelle  fuggir  dinanzi  al  die. 


CHIABRERA. 


DELLE  GUERRE  DE'  GOTL 


CANTO  VIL 


ARGOMENTO. 

Staso  è  Ridolfo  al  piano ,  a  FUtìs  ardita 
L'alma  dal  brando  di  Vitellio  è  sciolta  : 
Getalio  cerca  Idalia,  a  cui  la  vita 
Titellio  die,  ma  Uberute  ha  tolta  : 
Poi  da  an  latin  guerrìer,  che  sua  ferita 
Terge  nel  flnme,  ot*  è  sua  donna  ascolta. 
L'ano  all'altro  in  amor  snoi  casi  espone» 
Notte  a  VitflUio  vinótor  s'oppone. 


Qnal  n  mostro,  eh'  aver  mirò  Tessaglia 
L'umane  membra  aUe  ferine  inneste , 
Pria  cbe  dappresso  1*  inimico  assaglia ,     ' 
Fa  col  corso  tremar  monti ,  e  foreste; 
Cotal  a  rinfrescar  l'aspra  battaglia 
Venia  correndo  il  cavaller  celeste , 
E  volgendo  la  vUta  ai  fier  sembianti , 
StaTan  da  longe  i  l>arbari  tremanti. 

Ed  ei  doTunque  i  torbid*  occhi  gira. 
Vede  il  campo  d*  Italia  in  fuga ,  e  vinto, 
E  par  dappresso,  e  sotto  i  pie  si  mira , 
Del  sangue  amico  ogni  sentier  dipinto. 
AHor  s^affretU  dal  dolor,  dall*  ira , 
Alla  vendetta,  alla  vittoria  spinto. 
Né  prima  1  corso  agl'inimici  appressa, 
Che  la  primiera  gente  in  fuga  è  messa. 

Né  spinto  in  mezzo  poi  forze  nimiche 
Men  caduche  ritrova  a  suol  furori , 
Che  qua!  fendendo  le  campagne  apriche. 
Parte  l'aratro  languidetti  i  fiori; 
0  qual  troncar  le  biancheggianti  q>iche 
Suol  mietitor  sotto  gli  estivi  ardori , 
Egli  in  vendetta  degli  amici  offesi , 
Partia  l' mnane  membra,  e  i  duri  arnesi. 


n  duce  allor,  che  l'infinita  gente  « 
Imperioso  alla  battaglia  guida. 
Tutto  di  sdegno,  e  di  vergogna  ardente, 
Crolla  le  tempie ,  alza  le  mani ,  e  grida  : 
0  pur  or  vinci tor,  come  repente 
É  eh'  un  sol  vi  disperda?  nn  sol  v'  andda? 
Deh  qual  altra  vittoria  unqua  sperate, 
S' ai  colpi  d' una  destra  in  fuga  andate? 

Ciò  detto  il  tergo  segna  al  cavaliero. 
Per  averlo  al  ferir  fuor  di  sospetto  ; 
Ma  fatto  accorto  del  rillan  pensiero. 
Volge  Vitellio,  e  gli  appresenta  il  petto; 
E  '1  ferro  alzando  al  sommo  del  dmieroii 
Fende  il  capo,  e  la  gola  entro  l'elmetto; 
Che  con  l' intiere  tempie ,  e  con  le  gote 
Su  ciascun  fianco  gelido  percote. 

Or  come  al  gran  guerrier  l'alma  disciolta 
Vede  fredda  lasciar  l' arme ,  e  la  viu , 
Sua  salute  la  gente  In  fuga  volu 
Commette  al  corso 'pallida,  e  smarrita; 
Né  più  la  voce  delle  trombe  ascolu , 
Ch'  alto  sonando  alla  battaglia  invita; 
Né  v'  ha  chi  prenda  scorno,  o  si  disdegne, 
Senza  difese  rimirar  l'insegne. 


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80  POEMI 

Gli  elmi  indorati ,  e  gr  Indorati  scudi 
Temprati  gii  con  sommo  studio,  e  cura, 
Gettansi  a  piedi  »  e  se  ne  vanno  ignudi 
Da  viitade  sospinti ,  e  da  paura. 
Sol  tu  ritolU  a  feminlU  studj. 
Ed  usa  air  arte  di  milizia  dura, 
ProTasti,  Flavia,  In  guerreggiar  diletto, 
Vergine  orrenda,  e  rivolgesti  li  petto. 

Costei  là  fra  Sanniti  aspro  paese 
Nacque  del  Tronto  alla  gelata  riva , 
E  gli  anni  molli  in  rigide  opre  spese , 
D' agi  soavi ,  e  di  delizie  schiva  ; 
Spiegò  le  reti ,  e  1  lacci ,  e  V  arco  tese , 
Né  senza  gloria  cacciatrice  ardiva , 
Ch*  entro  le  selve  spaventosa  all'orso 
Lieve  cervetu  faticava  II  corso. 

Quivi  assetata ,  ed  arsa  al  fiume  bebbe , 
E  posò  stanca  in  su  la  dura  terra , 
E  r  alterezza  delle  spoglie  eli' ebbe 
Sol  dalle  fere,  che  tra  monti  atterra;  [be 
Ma  poi,  che  'I  mondo  odiò  la  pace,  e  creb- 
L'Ira,  ed  Italia  surse  armau  In  guerra. 
Volta  a  più  chiare  imprese  il  suo  pensiero. 
L'arme  vestì  contra  'I  romano  Impero. 

Né  fra  I  guerrier,  che  '1  barbaro  racco- 
Destra  più  certa,  e  più  crudel  feria,   [glie. 
Né  fra  cotante  sanguinose  voglie 
Ardeva  voglia  più  superba,  e  ria  ;    [glie. 
Ed  or  che  *n  fuga  il  piede  ogni  uom  disclo- 
EUa  non  gi4  l'alu  virtude  obblia, 
Ma  disdegnosa  11  cavalier  disfida, 
E  con  orrlbll  suon  contra  gli  grida  : 

A  che  vii  turba  alla  vii  fuga  avvezza 
Cacci,  che  vita,  e  non  la  gloria  brama? 
Dunque  nel  sangue  di  chi  l'odia,  e  sprezza. 
Speri  il  merto  trovar  d' Immortai  fama  1 
Se  cerchi  vero  onor  di  tua  fierezza, 
Rivolgi  l'armi  a  chi  t'attende,  e  chiama. 
Così  dicendo  al  fiero  assalto  mosse, 
E  con  alto  furor  l'elmo  percosse.       [te. 

Quel  come  ferro  entro  la  fiamma  arden- 
Mille  chiare  faville  al  cielo  ha  sparte. 
Ella  I  colpi  raddoppia,  e  fieramente 
Batte  l'aurato  scudo,  e  gllel  diparte, 
Ei ,  che  dianzi  le  voci ,  e  pur  or  sente 
L'opere  altiere  nel  mestier  di  Marte, 
Sdegnoso  che  sul  fine  altri  contende 
La  sua  vittoria,  di  furor  s'accende. 

E  là  've  cerchio  di  metallo  cigne 
La  gola,  e  preme  l'amorosa  neve, 
La  vincitrice  spada  Immerge ,  e  spigne , 
Cb'  entro  'I  bel  latte  II  purosangue  beve  ; 
L' alma  cui  dura  angoscia  assale,  e  strlgne, 


EROia. 
Vassene  al  quinto  del  rapida,  e  lieve; 
E  morte  rea  la  bella  guancia  oscura. 
Che  con  tant'arte  già  formò  natura. 

Presso  '1  cader  della  guerriera  forte 
Una  v'avea  delle  donzelle  armate. 
Che  seguita  d' Arpallce  la  sorte 
Spendeano  h)  arme  la  fiofita  etate. 
Costei  scorgendo  da  vicin  la  morte. 
Ebbe  degli  anni  suol  giusta  pietate, 
E  ratta  discendendo  dal  destriero. 
Umilmente  inchinossi  al  cavaliero. 

Vlncea  la  neve  il  leggladretto  volto, 
Vincea  la  rosa  di  gentil  colore, 
E  l'oro  della  chioma  Iva  dlsclolto, 
E  gli  occhi  fiammeggiavano  d' amore  : 
Mira  11  campo,  die'  ella,  in  fuga  volto, 
0  nobil  cavalier,  dal  tuo  valore; 
Omai  poco  di  gloria  agglugner  puoi 
Col  sangue  d' una  donna  agli  onor  tuoi. 

Per  la  tua  destra  gloriosa  ardila , 
Pel  tuo  valor,  per  la  tua  nobil  fede , 
Per  la  vittoria,  eh'  a  pugnar  t'invita. 
Comparti  ad  una  vergine  mercede; 
Sospendi  'i  braccio,  e  mia  giovenll  vlta- 
Riponl ,  o  cavalier,  fra  le  tue  prede, 
E  per  umil  tua  serva  mi  destina, 
0  chiedi  gran  tesor  da  mia  regina. 

Cosi  pregava,  e  i  begli  occhi  tremanti 
Volgea  pieni  d' affanno,  e  di  tormento. 
Sì  ch'ai  detti  soavi ,  ed  al  sembianti, 
Ch'a  lei  dettava  l' ultimo  spavento, 
•  L' ira  del  cavalier  non  corse  avanti , 
Benché  alle  piaghe,  ed  alle  morti  Intanto  ; 
Ma  sotto  nobil  guardia  eì  la  commise. 
Indi  spronò  sopra  le  schiere  ancise. 

Benché  di  tanti  popoli  confuso 
Fumasse  il  campo  d'ogni  orror  funesto. 
Il  caso  di  costei  non  però  chiuso 
Fu  colà ,  dove  esser  dovea  molesto  ; 
Che  pronto  Amor,  siccome  ei  tien  per  uso. 
Il  fece  ad  un  suo  servo  manifesto. 
Getulio,  che  da  lei  gli  occhi  non  torse , 
Tutto  rimira  di  sua  vita  in  forse. 

Ei  ben  lieto  riman  di  sua  salute. 
Ma  pur  si  duol ,  che  le  bellezze  amste 
A  suoi  martiri ,  a  suoi  dislr  dovute , 
Cieca  Fortuna  in  strana  forza  ha  date. 
Né  potendo  sperar  tanta  vlrtute, 
E  nell'uccislon  tanta  pietate; 
Sopra  r  altera  cortesia  pensoso, 
A  passo  a  passo  el  ne  divien  geloso. 

E  così  quel  mortifero  veleno 
Amaramente  gli  circonda  il  core. 


L 


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DELLE  GUERBE  DE*  GOTI.  81 

Gbe  in  profondo  pensiero  ei  venia  meno,  |  Dall*  empia ,  e  sempre  dura  lontananza. 


Vinto  d*  insopportabile  dolore. 
Pur  aifin  sprona,  ed  abbandona  il  freno, 
E  volge  in  quella  parte  il  corridore , 
Per  onde  ei  rimirò,  che  menata  era 
La  bella,  e  dislata  prigioniera. 

Ma  il  moto  di  quei  popoli  infinito. 
Che  discorreano  in  cosi  spessi  girl. 
Ed  or  un  feritore ,  ora  un  ferito. 
Diede  tanto  d*  indugio  a*  suoi  disiri , 
Ch*ei  nulla  scorge  dalla  pugna  uscito, 
G>niecbesi  rivolga,  e  che  si  miri, 
Sebben  loco  non  v*ha,  dov*ei  non  spii. 
Ove  no  n  guardo,  ove  non  rocchio  invii. 

Adunque  ove  dcstin  non  gli  consente , 
La  donna  ritrovar  del  suo  dolore , 
Più  non  gli  cai,  più  non  gli  torna  a  mente 
L'arme, la  guerra,  o'I  barbaro  signore. 
Solo  si  vuol ,  solo  disia  dolente 
Loco  segreto  a  disfogar  il  core. 
Cosi  sen  va  poco  da  lungc ,  dove 
Tra  r  ombre  il  fiume  a  lento  corso  move. 

Quivi  discende,  e  mentre  gira  il  piede 
A  cercar  solitario  ermo  ricetto. 
Tutto  pensoso,  e  disarmato  vede 
Giovine  d*  anni  un  cavalier  soletto. 
Egli  sull'erba  in  riva  al  fiume  siede 
Grave  d' una  percossa  a  mezzo  *1  petto, 
E  con  la  man  va  procurando  aita , 
E  con  r  onda  corrente  alla  ferita. 

0  cavalier,  che  sia  vaghezza ,  o  sìa 
Destin  qui,  dice,  a  guerreggiar  sei  giunto, 
E  eh*  or  s' io  guardo,  empia  Fortuna,  e  ria 
V  ave  pur  meco  nel  dolor  congiunto  ; 
Io ,  se  l'opera  mia  grave  non  fia , 
La  ti  prometto  infin  da  questo  punto; 
Ma  tu,  se  '1  favellar  non  t'è  tormento, 
Di  tua  condizion  fammi  contento. 

E  quei  le  luci  al  cavalier  converse 
Tmto  di  passion  ne'  suoi  sembianti  : 
Tenne  le  labbia ,  e  fin  che  non  l' aperse , 
Sparse  fuore  sospiri ,  e  sparse  pianti. 
Indi  rispose  :  Uom  di  fortune  avverse 
Fortuna  avversa  t'ha  condotto  avanti, 
E  mal  richiedi ,  se  piacer  non  hai , 
D'udir,  guerrier,  aspre  miserie,  e  guai. 

Ma  se  costume  naturai  ti  sprona , 
Per  diletto  a  spiar  dell'altrui  pene; 
Io  pur  dirò,  che  quanto  ne  ragiona. 
Tanto  ne  gode  il  cor,  che  le  sostiene. 
Cosi  l'alta  beiti ,  che  le  cagiona , 
Volgesse  qui  le  luci  alme  serene , 
E  mirasse  la  pena,  che  m'avanza. 


Là  dove  il  mar,  che  da*  Tirreni  prende 
n  nome,  Ilalia  in  sull'estremo  inonda; 
Sotto  l' altiero  monte ,  che  difende 
Il  freddo  Dorca  all'  arenosa  sponda  : 
Savona  all'acque  angusta  falda  stende, 
Savona  sempre  di  beltà  feconda  ; 
In  quelle  piaggie,  in  que'  bel  liti  adorni, 
Ebb'  io ,  signor,  nascendo  1  primi  giorni. 

Appena  nato,  a'  duri  miei  tormenti 
Sorte  volle  adoprar  di  sua  fierezza; 
Mi  negò  le  lusinghe  dei  parenti , 
Mi  pose  in  risse ,  m'involò  ricchezza. 
Amore  alfin  con  le  sue  fiamme  ardenti 
Servo  mi  fc'  d'una  crudel  bellezza. 
Per  modo  che  nò  forza ,  né  desio 
Ebbi  poscia  giammai  d'esser  più  mio. 

Cosi  dolente  mi  distrussi ,  ed  arsi 
Tutto  lo  spazio  della  verde  e  tate  : 
Gridi ,  sospiri  dal  profondo  sparsi , 
Ebbi  le  guancie  pallide,  e  bagnate; 
E  pur  quegli  occhi  avaramente  scarsi 
Mi  negarono  un  guardo  di  pletate. 
Nò  sulla  bella  fronte  altro  mal  lessi , 
Glie  duri  strazj ,  e  che  tormenti  espressi. 

Tanto  peso  di  affaimo,  e  di  martire. 
Tante  si  lunghe  feritadl  estreme. 
Non  ben  poteansi  con  ragion  soffrire. 
Senza  alcun  refrigerio,  e  senza  speme. 
Però  la  mia  miseria ,  e  '1  mio  disire 
Venne  palese,  e  la  caglon  insieme, 
E  tutto  '1  mondo  a  riguardar  si  diede 
La  sua  dura  alterezza ,  e  la  mia  fede. 

Ed  ella  vergognando  al  suo  bel  volto 
Farsi  palese  un  amator  sì  vile. 
Nel  domestico  albergo  ebbe  sepolto 
L' almo  splendor  della  beltà  gentile. 
Né  pel  tempo  avvenir  poco,  né  molto 
Si  fu  pentita  dell'  appreso  stile , 
Nò  giammai  poscia  io  rimirar  potei 
Pur  disdegnoso  il  sol  degli  occhi  miei. 

Allor  feci  pensier,  benché  dolente, 
D'abbandonar  quelle  dilette  arene , 
Pensando  sol ,  eh'  al  ritornar,  la  gente 
Gli  occhi  non  avrla  volti  alle  mie  pene. 
Così  mi  mossi  entro  la  fiamma  ardente, 
Traendo  dietro  pur  ceppi ,  e  catene  ; 
E  con  angoscia,  e  con  pensier  di  morte. 
In  Tracia  venni  alla  romana  corte. 

Quivi  é  soverchio  il  dir  del  mio  dolore. 
Se  per  prova  l' amor  conosciuto  hai. 
Ma  se  delle  sue  piaghe  hai  sano  '1  core , 
Che  giova  il  dir  ?  noi  crederai  gianmiaL 


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ss  POEMI 

L'estrema  passlon  d'un  che  si  more, 
One*  rei  sospir,  que*  rei  luartir,  que'  guai, 
£  quella  pena  tormentosa,  e  ria. 
M'erano  al  cor,  che  Tolenticr  sofTrìa. 
Marte  feroce  indi  discordia  accese 
Vago  dell'opre  sanguinose ,  e  crude. 
Ciascun  destossi  a  perigliose  imprese. 
Per  trame  gloria,  e  per  mostrar  virlude  : 

10  lieto  me  ne  corsi  al  bei  paese , 

Ot'  è  la  patria,  che  il  mio  ben  rinchiude. 
Sperandomi  da  lunge  al  suo  bel  ciglio 
Passar  men  grave  il  doloroso  esigilo. 
Ma  dura  sorte ,  che  di  trarre  è  vaga 
A  fin  acerbo  la  mia  vita  rea , 
Vuol ,  che  di  Marte  ancor  senta  la  plaga 

11  cor,  che  pur  quella  d' amor  piangea  ; 
Ma  se  ben  di  suo  cibo  or  non  l' appaga 
La  speme ,  che  dappresso  mi  pascea  : 
Non  però  nel  pensiero  altro  mai  viene , 
Fuor  che  Liguria ,  e  le  paterne  arene. 

Tal  mi  son  peregrìn ,  ed  al  ritomo 
Veggio,  che  morte  omal  la  via  mi  serra. 
Ma  tu  chi  se',  che  pur  con  l'armi  intorno 
Spendi  in  riposo  l'ore  della  guerra? 
Getulio  il  guardo  di  pietate  adorno 
Sospirando  piegò  verso  la  terra , 
E  poi  di  nuovo  nel  guerriero  il  fisse. 
Ed  a  lui  rispondendo  così  disse  : 

Perchè  tu  sappia ,  che  con  cor  pietoso 
Sono  stati  raccolti  i  dolor  tuoi , 
Saprai ,  eh*  io  son  nel  carcere  amoroso , 
E  provo  duri  i  reggimenti  suol. 
Ma  perchè  nel  mio  stato  aspro,  e  noioso 
Alquanto  di  quiete  arrecar  puoi , 
Prego,  eh' a  consolar  l'empia  mia  doglia 
Pietosamente  adoperarti  voglia. 

Dianzi  pugnando  aml>e  le  genti  armate 
Prigioniera  n'andò  la  donna  mia; 
Ned  ebbi  di  disciorla  potestate , 
Sì  trovai  nel  venir  chiusa  la  via. 
Or  s'io  posso  riporla  in  liberiate. 
Chi  più  felice,  e  fortunato  fiat 
Ma  porla  in  libertate  indarno  lo  spero. 
Se  conteixa  non  ho  del  cavaliero. 

El  con  moro  destriero  in  guerra  venne, 
Qie  sol  la  fronte  ha  colorita  in  bianco; 
Sopra  1  cimiero  ha  tre  purpuree  penne  ; 
E  d'ostro  fascia  l'uno,  e  l'altro  fianco. 
Di  cotanto  valor,  che  sol  sostenne 
Le  schiere  avverse  coraggioso,  e  franco; 
Né  d' alcun*  altra  destra  anco  vedute 
Sono  opre  in  arme  di  sì  gran  virtute. 

Tn,  chi  nel  campo  dei  Latin  fai  nido, 


EROICI. 
E  con  lor  passi  coli' esilio  gli  anni, 
E  saper  devi  i  cavaller  di  grido, 
E  'I  nome  loro  rinvenir  ai  panni  ; 
Deh  mi  noma  costui ,  che  s' io  *1  disfida 
Troverò  '1  fin  degli  amorosi  aOanni , 
Che  vincitor,  la  donna  mia  disciolta , 
Vinto,  mia  pena  col  morir  fia  tolta. 

E  quel  Latin ,  che  *1  cavalier  sovrano 
Avea  raccolto  a  manifesto  segno. 
Grida  :  Oh  che  forte,  oh  che  feroce  mano, 
T  invola,  amico,  il  caro  tuo  sostegno  :  [no 
Non  ha'l  campo  stranier,  non  ha*i  Roma- 
Di  lui  pugnando  cavalier  più  degno. 
Ed  esser  può,  che  l'armi,  e  la  battaglia 
Seco  vie  men ,  che  *1  ripregar  ti  vaglia. 

Pur  oggi  al  mondo  il  terzo  di  risplende, 
Ch'ei  n'apparse  solingo  In  sul  mattino; 
Chi  '1  mandasse  fra  noi  nulla  s' intende. 
Ma  dall'  Etrurìa  ei  mosse  peregrino. 
Solo  Narsete  del  suo  dir  contende , 
Ch'  a  noi  discenda  messaggier  divUio, 
E  quinci  a  lui  commesso  ha  finalmente 
Il  governo  dell'armi  e  della  gente. 

Egli  a  fermar  nostra  fortuna  a>Tersa 
Promette  alto  destin  di  sua  persona  « 
E  che  vostra  possanza  andrà  dispersa , 
Come  di  cosa  certa  altrui  ragiona. 
E  certo  se  destin  non  s'attraversa, 
11  bel  regno  d' Italia  or  v'abbandona , 
E  Roma  nostra,  in  che  fermaste  albergo» 
Vinti  vedrawi,  e  con  le  braccia  al  tergo. 

E  se  *1  mio  detto,  e  la  credenza  è  vera, 
Sian  testimonio  i  tuoi  medesmi  lumi. 
Veduto  hai  folgorar  la  destra  altiera , 
N'  hai  rimirati  i  sanguinosi  fiumi. 
Questi  si  tien  l'amaU  tua  guerriera. 
Amico,  per  cui  piagni ,  e  ti  consumi , 
E  porti  di  martir  sì  gravi  some  : 
Se  '1  nome  chiedi, ei  di  Vitellio  ha'l  nome» 

Ei  così  gli  rispose ,  e  tenne  alquanto 
Getulio  a  terra  nubiloso  il  ciglio. 
Indi  soggiunse  :  E  verità  sia  quanto 
Del  mio  ragioni ,  e  del  comun  periglio; 
Pensi  1  re  nostro  a  sue  fortune ,  intanto 
D'Amore  io  solo  prenderò  consiglio  ; 
Ma  la  preghiera  mia  non  ti  sia  greve 
Per  la  pieU ,  che  agli  amator  si  deve. 

Si  tosto,  come  se'  tornato  in  campo, 
Se  pace ,  se  conforto  Amor  ti  dia; 
Trova  la  donna ,  del  cui  viso  avvampo, 
Sebben  in  sorte  dispietata,  e  ria; 
E  dille  tu  per  me ,  come  al  suo  scampa 
La  fedel  opra  di  Getulio  fia. 


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DELLE  GUERRE  DE*  GOTI. 


83 


E  che  la  servitù  non  le  rincresca , 
Finché  col  noTo  di  l'alba  se  n'esca. 

Cosi  detto  riprende  il  suo  destriero 
Rtrolgendo  la  mente  alla  partita , 
E  ne  porge  la  briglia  al  caTaiiero, 
Cui  grato  esser  dovea  per  la  ferita  : 
E  dice  :  Ornai  vien  notte  all'emispero, 
E  n  sol  partito  a  dipartir  n'inriU; 
Monta  in  ardon ,  che  sì  piagato,  e  lasso, 
Difficilmente  moveresti  i  passo. 

Ed  egli  alfln  dopo,  eh'  invan  contese 
Con  bel  parlar  di  gentilezza  adomo. 
Pigliò  '1  destrier  del  caralier  cortese 
Ed  al  campo  d' Italia  fé'  ritorno. 
Getolio  poi ,  che  dalle  stelle  accese 
Mirò  dal  mondo  ornai  bandirsi  1  giorno , 
Nulla  col  ferro  ei  più  curò  provarsi 
A  prò  dei  Goti  fuggitivi ,  e  sparsi. 

Ma  non  ViteUio  il  gran  furore  affrena, 
Sebben  lo  stuol  avverso  in  fuga  è  volto  ; 
E  sebben  cieca  notte  in  giro  mena 
Ornai  SQO  carro,  e  'I  più  vedere  è  tolto. 
Già  di  gran  tronchi  la  foresu  è  piena, 
E  d'atro  sangue  è  tutto  '1  campo  involto. 
Ed  d  pur  su  gli  estinti ,  e  su  i  mal  vivi , 


Batte  con  l'arme  il  tergo  ai  fuggitivi. 

Qual  il  gran  fiume,  dove  ancor  sospira 
Febo  sul  caso  di  Fetonte  indegno. 
Se  per  nevi  disciolte  unqua  s'adira, 
E  '1  freno  usato  ha  delle  rive  a  sdegno; 
Ondeggia  altiero  in  gran  diluvio,  e  tira 
Seco  a  basso  ogni  sponda,  ogni  ritegno, 
E  selve,  e  paschi,  e  ciò,  che  trova  intomo 
Ne  porta  il  mar  sopra  l' orribil  corno  ; 

Tal  su  lo  stuol,  che  gli  fuggiva  innanti. 
Alto  fremendo  il  gran  guerrier  correa , 
E  calpestando  or  cavalieri ,  or  fanti 
Spegiiea  la  gente  scellerata ,  e  rea. 
Sotto  il  fier  ciglio,  e  sotto  1  fier  sembianti 
Il  fiero  sguardo  minaccioso  ardea, 
E  dal  gran  scudo,  e  dal  grand'  elmo  e  fuore 
Dal  grandi  usberghi  sfavillava  orrore. 

Per  entro  '1  sangue,  che  ne  giva  erran- 
Eransuoi  fregj  d' atre  macchie  offesi  ;  [do. 
Sangue  gli  spron,  sangue  vedeasi  il  bran- 
E  sangue  tutti  distillar  gli  amesi.  [do. 
Se  cieca  notte  dall' Ibero  alzando 
Non  ingombrava  allor  tutti  i  paesi , 
Franca  era  Italia  :  ma  pei  ciechi  orrori 
Interruppe  Yitellio  i  suoi  furorié 


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84 


POEMI  EROia. 


BRACCIOLINI- 


LA  CROCE  CONQUISTATA 


LIBRO  TERZO. 


ARGOMENTO. 

Segne  Tcodor  a  far  palesi ,  e  chiari 
De  greroi  piti  famosi  i  nomi,  e  Topre, 
E  d'Elisa,  e  d'Alcesie  i  casi  amari 
Con  dolci  note  al  saggio  Artemio  scopre; 
E  cosi  ne*  diletti  altrui  s)  cari 
Mostra,  quanti  travagli  il  mondo  copre, 
E  che  in  messo  del  riso  aspro  dolore 
Sempre  si  mesce  a  tormentare  il  core. 


Signor ,  que*  due  della  seconda  coppia 
(  Ricominciò  Teodor)  son  capitani 
Di  gente  greca ,  e  ben  l' un  1*  altro  accop- 
D*  animo  invitti ,  e  di  valor  sovrani ,    [pia 
Virtù ,  che  fuor  naturalmente  scoppia , 
Né  lascia  i  cor  gentil  parer  villani , 
Ben  mostra  in  lor  con  manifesta  luce 
La  nobiltà  dell* uno,  e  T altro  duce. 

Quel  da  man  destra ,  a  cui  sì  lunga ,  e 
bionda 
La  chioma  è  sparsa  in  sul  lucente  usbergo, 
E  quasi  un  fiume  d*or,  che  si  diffonda. 
Riga  armato  d*  acdar  V  omero,  e  *1  tergo , 
Cleanto  è  detto ,  e*  n  su  la  verde  sponda 
Dei  ludd'  Ebro  ha  'I  suo  nativo  albergo. 
Nacque  de  i  re  di  Tracia ,  ed  egli  i  segni 
Muove  di  tre  provincle,  anzi  tre  regni. 

Sono  i  primi,  e  ben  forti  i  propri  Traci, 
Per  sua  ferocità  squadra  temuta. 
1  Macedoni  poi,  di  pari  audaci. 
Ma  vie  più  lor  la  disciplina  aiuta. 
Tersi  i  Dardani  sono ,  e  i  feri  Dad. 
Che  nessun  per  onor  marte  rifiuta, 
E  quel  di  Ponto ,  e  di  Dalmazia  mesce 
Con  questi  insieme ,  e  la  falange  accresce. 

Sono  a  pie  diecimila ,  e  novecento 
Ne  conduce  a  cavallo,  e  di  lor  porta 
Famosa  insegna  un'  aquila  d' argento, 
Ch*  un  altr*  aquila  tien  nell' uDgbia  toru , 


Che  *1  sangue  ha  sparso ,  e  le  sue  piume  al 

vento 
Dall'artiglio  maggior  ferìU ,  e  mona. 
Per  dinotar,  che  rimarrà  dbperso 
Dall'  imperio  romano  il  regno  perso. 

Vedi  1*  altro  a  man  manca ,  e  più  raccolto 
Su  '1  tergo  ha  '1  collo ,  e  più  le  spalle  aper- 
Ed  ha  brune  le  chiome,  e  fosco  il  volto,  [te. 
Quegli  onor  della  guerra  è  Poliperte  ; 
Trae  d'Atene  il  natal ,  paese  incolto , 
Fatti  sono  i  giardin  piagge  diserte  « 
E  di  tanti  edifld  in  fra  l'arena 
Riman  dal  tempo  alcun  vestigio  a  pena. 

Ma  se  caggion  le  mura,  e  strazio  indegno 
Fa  d'  ogn'  opra  di  man  la  lunga  etade, 
A  mai  grado  suo  pur  prova  d' ingegno 
Fabbrica  di  scrittor  giammai  non  cade. 
Nelle  carte  fondau  ha  viu,  e  regno. 
Se  rovina  nel  suol  l'alta  clttade, 
E  mancar  si  vedranno  ai  sole  i  ni 
Pria,  che  manchi  d' Atene  il  grido  mai. 

E  non  sol  Poliperte  Atene  admu. 
Ma  l'Epiro,  e  l' Acaia.  All'Oriente 
Dell'incolte  Provincie  esposta  è  l' una. 
Guarda  l'altra  a  Corfù  verso  Ocddente. 
Non  può  nulla  temer  l'irsuu ,  e  bruna 
Per  li  monti  Cerauni  avvezza  gente; 
Che  le  fere  soiea  di  balza  in  balza 
Saettando  seguir  leggiera,  e  acalxa. 


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LA  CROCE  CONQUISTATA. 


85 


Tratti  poi  fuor  del  cm  u;»o ,  e  *nsieine  ac- 
DaUa tromba  medesima  conduce      [colti 
Quei  del  Pdoponnesm ,  e  seguon  molti 
L'ardito  suon  del  fortunato  duce« 
E  più  altri  di  lor  sparsi ,  e  disdolti 
Là  per  l'isole  Egee  chiama,  e  riduce 
Lhbo^  e  Creu  concorre,  e  Negroponte 
E  k  minute  Qdadi  :  ma  pronte. 

Quasi  a  pie  tutu  è  la  sua  gente  greca  9 
Ma  grave  d*  armi ,  e  d* animo  costante, 
Sì cb* a  danno  minor  morte  s'arreca. 
Che  torcer  mai  dal  suo  dover  le  piante. 
Porta  ei  per  segno  una  dentata  seca , 
Che  roder  tenu  un  lucido  diamante. 
Né  pur  vi  lascia  alcuna  nota  impressa, 
E  non  potendo  a  lui ,  noce  a  sé  stessa. 

Dodicimila  il  caplUn  condutti 
Tra  pedoni  e  cavalli  avea  da  prima, 
Ma  son  g{4  quasi  alla  metà  ridutti 
Tanto  il  ferro,  e  l'età  distrugge,  e  lima. 
Son  più  d'ogn' altro  a  franger  mura  in- 
Ne' duri  assalti,  e  salir  loro  in  cima,[8trutti 
Né  torre  è  mai ,  che  resistenza  faccia 
Lungamente  al  crollar  delle  lor  braccia. 
Pon  mente  ai  terzi ,  e  ciaschedun  lor  fre- 
Vedi  Italico  ornar  dell'  armi  il  pondo  ;  [gio 
Triface  è  1*  un  per  chiare  prove  egr^o 
Gentil  di  spirto,  e  di  parlar  facondo. 
SuU'  Amo  è  nato ,  o v*  ei  più  raro  ha  '1  pre- 
Delle  note  d' Etruria,  e  puro,e  mondo[gÌo, 
Corre  con  lento  pie,  che  lo  rattiene 
De'  cigni  il  canto  alle  famose  arene. 

Di  membra  è  snello,  e  sovra  i  pieveloce 
Nei  corso  a  pena  imprime  d'orme  11  lito; 
Fervido  di  voler,  di  cor  feroce. 
Ardito  si ,  ma  cautamente  ardito. 
Né  del  nettare  d' Ibla  ha  la  sua  voce 
Men  soave  concento,  e  men  gradito. 
Se  va,  se  sta,  s'egli  ragiona,  o  tace 
Hasempreunnon  so  che,  che  s'ama,  e  pia- 
Di  concorde  voler  da  lui  condutti  [ce. 
Van  gì*  lulici  seco ,  i  qua*  partirò 
Con  varie  insegne,  e  non  volean  ridutti 
Andar  sott'  una ,  e  'n  ritrosir  s*  udirò , 
Ma  proposto  Triface  ei  solo  a  tutti 
Per  duce  piacque,  ei  sotto  a  lui  s'unirò. 
Ed  ei  sì  dolce  or  gli  governa,  e  regge, 
Ch*  amore  é  '1  freno,  e  volontà  la  legge. 

Novemila  ne  regge ,  e  ne  raccoglie 
Di  quelli  anco  di  là  dal  varco  angusto , 
Ch*  é  fra  ScilU ,  e  Cariddi ,  onde  si  sclogUe 
Da  Leucote  Peloro ,  e  '1  monte  adusto, 
E  con  quei  eh'  abitar  le  bianche  spoglie 


Dell*  Apennin  di  lunga  neve  onuste. 
Tragge  insieme  Triface,  e  seco  mena 
Quei  dell'onda  adriatica,  e  tirrena. 

Un  leone  é  l' insegna ,  e  mentre  dorme 
Chetamente,  un  fanciullo  il  fren  li  mette  ; 
Mille  premono  il  suol  di  ferrat*  orme 
Sparse  le  lande  lor  d' archi ,  e  saette. 
Partenopee  son  le  guerriere  torme, 
E  fan  chiaro  veder  le  squadre  dette. 
Che  l'antica  virtù  che  già  fioriva 
Negl*  lulici  petti  ancora  é  viva. 

Vedi  l'altro  a  man  manca;  a  sue  gran 
Non  é  già  punto  inferlor  la  forza,  [membra 
D'esser  nato  mortai  non  si  rimembra , 
11  cuor  feroce  niun  periglio  ammorza  : 
Tra  gli  armenti  minor  tauro  rassembra , 
Rompe  r  armi ,  e  ie  schiere,  e  1*  aste  sforza, 
E  qual  leone  orribil  velli ,  e  folti 
Spargon  la  fronte  sua  capelli  incolti. 

Adamasto  é  costui ,  sol  ei  non  puote 
Emulo  di  Batran  soffrirne  II  grido. 
Per  sangue  é  chiaro,  e  d'Alboin  nepotc 
Nato  di  Lombardia  nel  fertil  nido. 
Dove  l' Adda ,  e  '1  Tesin  con  larghe  rote 
Traggon  l'umido  pie  spargendo  il  Udo, 
E  più  volte  fecondi  I  campi  fanno 
Pria  che  di  neve  incanutisca  l' anno. 

ISequani,  e  gli  Elvetl  egli  conduce, 
E  del  ferro,  e  dd  vUio  amica  gente, 
Che  sUnil  di  costume  al  fero  duce 
Non  alberga  timor,  piaga  non  sente. 
Un  Orlon ,  che  le  tempeste  Induce 
Morte ,  e  strage  crudel  delle  semente , 
È  la  sua  insegna ,  e  la  falange  piena  [pena. 
Da  prima  ei  mosse ,  or  n'  ha  due  quinti  a 

Vedi  il  quarto  a  man  manca;  é  quello  il 
figlio 
Dei  canuto  Silvan  eh'  ha  per  cimiero 
Grave  d' alu  pruina  un  bianco  giglio. 
Bello  é  d'aspetto,  e  d'animo  guerriero. 
Sventola  il  pennoncel  d' oro,  e  vermiglio. 
E  '1  generoso,  e  nobile  destriero, 
A  cui  r  omero  preme ,  e  stringe  il  morso , 
Sembra  neve  al  color ,  zefiro  al  corso. 

Tra  '1  fin  del  quarto,  e'I  comhidar  dd 
quinto 
Lustro  degli  anni  suol  lieta  stagione 
Corre  età  favorita  a  gloria  spUito 
Da  generoso,  e  volontario  sprone, 
E  ben  figliuolo  al  naturale  Istinto, 
Ed  al  nobile  fin ,  ch'ei  si  propone, 
Si  dhnostra  a  Silvan  per  via  d'onore, 
Emulando  a  gran  passi  il  genitore» 


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86  POEMI 

Venturiero  è  *1  garzon  leggiadro,  e  fran- 
Seco  è  *1  duce  Anfimea ,  carico  d*  oro ,  [co, 
A  cui  pende  ricurvo  al  iato  manco 
Gemmato  il  ferro  in  barbaro  lavoro. 
Sopra  li  nero  ha  *1  destrier  sottile  il  bianco 
Pur  com'  un  velo ,  e  i  piedi  e  *1  capo  è  moro, 
Non  preme  ei  no ,  ma  perchè  rada  il  suolo , 
L*  ali  al  corso  non  vedi ,  e  vedi  *I  volo. 

Condutti  a  noi  del  caspio  monte  ha  ftiore 
Gente ,  che  *n  sé  non  ha  legge, né  freno, 
Oh ,  se  pari  in  costor  fussi  '1  valore 
Al  numero,  all'ardir  ch'egli  hanno  in  seno  ! 
Ma  fidar  non  ne  può  Timperadore , 
E  nuoce,  ovunque  sia,  l'empio  veleno. 
Son  trenta  mila,  e  più  tutti  gazzarri 
Ingiuriosi ,  indomiti,  e  bizzarri. 

Dall' Ircania  costui  con  le  sue  genti, 
A  cui  serra  le  vie  l'orribìl  tosco 
Nemiche  a  Cosdra ,  e  di  disdegno  ardenti 
A  congiunger  si  venne  in  guerra  nosco. 
Quando  ai  giorni  maggior  gii  atri  serpenti 
Fan  vìva  siepe  al  duro  varco,  e  fosco 
E  pur  or,  quando  il  velenoso  calle 
Chinggon  le  serpi  alla  profonda  valle; 

Tacite  al  penetrar  del  cieco  sasso 
Movean  le  schiere ,  e  sospettose ,  e  preste , 
Perché  dal  suon  del  periglioso  passo 
Il  diluvio  degli  angui  non  si  deste. 
Ma  indamo  pur,  eh*  ad  assalirìe  al  basso 
Sibilando  strisciò  V  orrenda  peste , 
E  la  piaggia ,  e  la  valle ,  e  '1  piano ,  e  l' erta 
Di  serpi  è  tutta  a  danno  lor  coperta. 

Aran  con  larghe ,  e  velenose  rote 
Gli  adirati  colubri  il  gran  deserto, 
Rigan  lubrici  il  suolo,  e  'I  del  percote 
Di  lor  sibili  ardenti  un  suono  Incerto. 
Spaventosi  sembianti ,  e  forme  ignote 
Precipitose  in  giù  scendon  dall'erto. 
Rassembra  al  elei  s'oscuro  nembo  il  serra, 
Scminau  di  fulmini  la  terra. 

Suona  l' orrida  valle ,  ogn'  antro  geme. 
Spargon  le  biscìe  awelenau  spuma. 
Con  le  spade  i  guerrier  l'orrendo  seme 
Troncansl  intorno,  e'I  varco  ondeggia,  e 
Seguita  il  popol  fiero,  e  nulla  teme.  [fuma. 
E  col  ferro,  e  coi  pie  la  via  consuma, 
Tantoch*  escon  d*  impaccio ,  e  ne  conduce 
Liberi  i  suoi  guerrier  l'ardito  duce. 

La  loro  insegna  è  con  argenteo  corno 
Quel  pianeta,  che  in  del  già  mal  non  suole 
Tal  far  altrui ,  qual  si  partì  ritomo. 
Compartendo  alla  notte  i  ral  dei  sole;[no 
Con  quel  da  poi  che  non  l' estingue  11  gior- 


EROia. 
11  barbarico  stuol  mostrar  d  Tuole, 
Che  vai  per  buona,  e  più  per  reafortniia, 
Qual  notturna  assai  più  luce  la  luna. 

Vedi  gli  ultimi  due,  che  d'un  colore. 
Che  nel  bianco  in  vermiglia  lian  la  divisa , 
Rara  coppia  gentil  eh'  ha  giunto  Amore 
Di  legittimo  nodo,  Alceste,  e  Elisa. 
Vive  indistinto  infra  due  petti  un  core , 
E  in  due  corpi  è  tra  lor  l' alma  indivisa , 
Ella  per  lui,  mercè  d'Amore,  audace 
Combatte  in  guerra,  egli  amoreggia  In 
pace. 

Di  dolore,  e  d'amor  trafitta  e  punta 
La  giovane tta  assai  fu  presso  a  morte, 
E  soffrendo ,  ed  amando  a  tale  è  giunta , 
Ch'eli'  è  ben  tra  I  più  rari  esempio  forte. 
Che  disperata,  e  dal  suo  amor  disgiunta 
Ben  la  tenne  quattr* anni  acerba  sorte 
Sotto  ruvide  spoglie  Infra  le  piante 
D'antica  selva  sconosciuu  amante. 

Sola  è  donna  nel  campo,  e  la  permette 
L' imperador,  quantunque  pur  sia  tale. 
Però  che  doti  in  sé  raccoglie  elette. 
Ch'ai  virile  valor  la  fanno  eguale. 
Sicuramente  in  certo  segno  mette 
Dall^aurau  faretra  ogni  suo  strale. 
Rompe  'I  corso  alle  fere  in  mezzo  al  suolo, 
E  per  l'aria  agii  augei  la  vita,  e  'I  volo. 

E  dall'arco  promette,  e  se  ne  spera 
Della  man  feminil  prove  maggiori , 
E  r  istoria  direi  pietosa ,  e  vera 
Delle  lagrime  sue,  de*  suoi  dolori , 
Per  cui  divenne  In  mezzo  i  boschi  arderà, 
S' io  non  temessi  1  suol  dolenti  amori 
Portarvi  noia,  e  qui  si  ferma,  e  tace. 
Sovrastando  a  mirar,  quel  eh*  a  lui  piace. 

Ma  scorta  allor  nel  principe  Teodoro 
Dai  sacro  ambasciador  l'aperu  voglia. 
Di  contar  di  que'  due,  eh' un  tempo  foro 
Piangendo  amando  in  disperata  dogUa, 
Volgesi  ad  ascoltar  gli  affanni  loro , 
Benché  I  casi  d'amor  gradir  non  sogfia. 
Ma  in  lievi  cose  affabilmente  in  lui 
Vinto  il  proprio  voler,  cede  all'altrui. 

E  rispondendo  :  a  me  l' udir  fia  caro , 
Purch'avoi  forse  il  raccontar  non  grave. 
De'  legitthnl  amanti  il  caso  amaro 
Dopo  lunga  stagion  patto  soave,     [chiaro 
Qò  detto  d  tacque,  e  'n  suon  distinto,  e 
Ripigliando  Teodor  quel  eh* a  dir  ave. 
Con  lieta  fronte  al  sacro  messo,  e  pio 
Più  volgendosi  ancor,  cosi  seguio: 

Nd  laconico  mar  Citerà  siede , 


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boia,  cbe  più  bella,  e  più  feconda 
Sopra  '1  nostro  orUzonte  il  sol  non  Tede , 
Né  pài  beUa  a  veder  1*  acqua  circonda. 
QaiTi  nacqaer  gii  amanti,  e  'n  quella  sede 
Pargoletti  godean  vita  gioconda. 
Della  tenera  eti  nel  doke  loco. 
Partendo  il  riso,  e  r  allegrezza,  e  1  gioco. 

Quivi  un  amor,  che  non  sapea  d' amare, 
D'un  incognito  affetto  i  cori  univa, 
Sospiravan  talor  l'anime  care 
Né  sapean  quei  sospir  d*onde  ei  veniva  ; 
Che  temo*  non  avean  né  che  sperare, 
E  speranza,  e  timor  l'amor  nutriva. 
E  cosi  sempHeetti  un  tempo  avanti 
Che  'ttlendessero  amor,  vissero  amanti. 

L'età  crebbe ,  e  le  voglie ,  e  furon  poi 
Dalletto  marìul  spente,  e  raccese. 
Fin  cbe  Fortuna  con  gli  assenzi  suoi 
A  conturbar  tanU  dolcezza  intese. 
Cosdra  affronta  Cartagine ,  ed  a  noi 
Coovlcn  repente  apparecchiar  difese 
E  già  già  parte,  e  se  ne  va  per  l'onde 
La  nostra  armau  e  1  mar  tra  i  legni  ascon- 

Cosl  a  parUr  dalla  diletu  moglie   [de. 
Dura  necessità  lo  sposo  astringe. 
Da  lei  congedo  lagrimando  toglie 
E  di  mesto  paUor  tutto  si  tinge. 
Allin  si  parte ,  e  la  sua  vela  scioglie 
L'alDItto  amante,  e  l' Aquilon  la  spìnge; 
Vaaene  senza  cor,  che  lo  ritiene 
La  bella  sposa  alle  paterne  arene. 

Pten  di  lagrime  il  volto,  e  *1  sen  di  duolo 
Con  r  altre  vele  il  doloroso  amante 
Sospirando ,  varcò  1*  umido  suolo , 
Ma  fermò  tardi  in  sul  terren  le  piante. 
Cbé  r amica  città  l'avverso  stuolo 
Avea  disfatta  alcuni  giorni  avante. 
PIÙ  di  fennossi  a  racconciar  l'antenne. 
Per  tornar  quell' armau,  ond'ella  venne. 

Or  tra  queste  dimore  un  cavallero 
NoveBamente  In  Affrica  venuto. 
Per  portar  a  Cartago,  ove  mestiero 
Ne  fusse  a  lei ,  con  la  sua  destra  aiuto  ; 
Qmndo  alfln  della  cena  ogni  pensiero 
Geo  poca  guardia  é  più  dal  cor  tenuto, 
Veggendo  ei  pur  con  basse  ciglia,  e  meste 
Ddeote  star  l'innamorato  Alceste  : 

Dell,  signor.  Il  diss'ei,  sbandisci  omai 
Così  tristo  pensier,  che  t'ange  il  core. 
Che  nuli' altro  può  far,  come  ben  sai. 
Nostro  pensar,  che  raddoppiar  dolore. 
E  se  forse  é  cagion  di  darti  guai. 
Come  fk  spesso  in  età  fresca  amore. 


LA  CROCE  CONQUISTATA. 


87 


Sterpalo,  che  non  é  maggior  follia 
D'uom,  eh' a  femina  vii  soggetto  stia. 

Né  femina  esser  può,  che  non  sia  vile, 
Nuir  amor,  nulla  fede  ha  '1  sesso  avaro. 
Non  i)eltà,  senno,  non  \irtù  gentile. 
Ma  Toro  é  sol  eh' alle  lor  voglie  é  caro. 
Provato  ho  mille ,  e  mai  diverso  stile 
Non  vidi  in  una,  ond'a  fuggirie  imparo; 
E  di  molte  il  guerrier  narrando  disse 
Godute  a  prezzo,  e  l'ultima  descrisse. 

Sulla  sponda  a  Citerà,  ond'ella  vede 
D*  Asopo  il  dorso ,  é  gran  magione  eretu. 
Che  sporge  fuor  sopr*  uno  scoglio,  e  siede 
Quasi  a  specchio  del  mar,  che  l'ha  ristretta. 
Qui  una  donna  gentil,  ma  per  mercede. 
Pur  ebb'io ,  come  l' altre ,  Elisa  detu. 
E  se  mai  dal  sembiante  alcuna  onesta 
Comprender  puossi,   a  me  parca  ben 
questa. 

Che  'n  sé  raccolta,  e  nel  suo  bruno  man- 
Dei  crine  avara,  e  del  pudico  sguardo,  [to 
Neil*  andar  schiva,  e  vergognosa  alquanto 
Movea  guardingo  ogni  suo  gesto,  e  lardo. 
E  chinando  il  bel  viso  a  terra  intento 
Scoccava  a  pie  de*  suoi  begli  occhi  li  dardo 
Quasi  a  dir,  non  guard'  lo,  nessun  mi  miri, 
Ch'Io  non  porto  pietà  d' altrui  martiri. 

Ma  *1  tesoro  d'amor  chi  più  raccoglie 
Fa  più  caro  parerlo,  ond'ei  più  s'ama, 
E  così  avvien ,  che  dell*  ardenti  voglie 
Mantice,  é  '1  dinegar  quel  cbe  si  brama. 
Tal  io  d' Elisa  in  quelle  honeste  spoglie 
Vie  più  m'accesi ,  e  ne  sfogai  la  brama. 
Che  per  far  me  dell'amor  mio  felice. 
Chiuse  il  patto  tra  noi  la  sua  nutrice. 

Costei  dagli  anni  attenuata,  e  trista 
Mostra  ipocritamente  atto  devoto , 
Formar  preghiere  ad  or,  ad  or  la  vista 
Confondendo  i  blsbi^i  in  suono  Ignoto. 
Baciar  sovente  il  terren  sacro  é  vista. 
Battersi,  e  risonarne  11  petto  voto, 
D*  ogni  inganno  é  maestra ,  e  con  soari 
Detti  d'ogn*  altrui  cor  volge  le  chiari. 

Costei  di  notte  tacito,  e  soletto 
Mi  condusse  a  goder  l' idolo  mio. 
Passai  per  varco  Inu^tato,  e  stretto, 
Ch'ad  aprirmi  sul  mar  la  balla  usdo. 
La  sua  camera  a  lui  descrisse,  e  '1  letto, 
Tutte  sue  frodi  11  cavalier  gii  aprio. 
Loquacissimo  fatto  a  mensa  lieta. 
Dove  scioglie  la  lingua  il  vln  di  Creta. 

Quindi  accorto  il  marito,  e  certo  omii 
Dello  scorno  da  lui  centra  sé  fatto  : 


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M  POEMI 

Ahi,  mahragio,  gridò,  tu  dunque  andrai 
Superbo  ancor  di  cosi  reo  misfatto  ? 
Tu  di  mia  moglie,  e  r  onor  mio  tolt'  liai  t 
Per  pagarne  le  pene  il  del  t'ha  tratto 
Nelle  mie  mani  ;  e  '1  ferro  trae  dal  fianco , 
Sospingendosi  a  lui  feroce,  e  franco. 

Or  confuso  l'adultero,  e  sorpreso. 
Tratta  con  l'ebra  man  la  spada  a  pena; 
Mal  accorto  egualmente,  e  mal  difeso 
Trafitto  cade  a  insanguinar  l'arena. 
Dalla  mensa  alla  tomba  Inutil  peso. 
Passar  gli  è  forza  alla  dolente  cena* 
E  tra  i  rasi  ravvolto,  e  le  vivande, 
E  col  sangue,  e  col  vin  l'anima  spande. 

Non  bada  Alceste  ;  un  picdol  legno  sale. 
Lasciando  gli  altri ,  e  la  sua  vela  scioglie. 
Cui  l'Austro  gonfia,  e  per  l'ondoso  sale 
Portatrice  ne  va  d'amare  doglie. 
Tinto  è  nel  volto  di  pallor  mortale. 
Dolor  peggio,  che  morte  in  seno  accoglie. 
Tacito  è  sempre,  e  ne'  sospir  di  foco 
Talor  prorompe,  e  non  ha  posa,  o  loco. 

E  '1  quarto  dì,  che  'I  disperato  amante 
Dal  confine  affrican  partito  s' era. 
Di  lunghissimo  spazio  ancor  distante 
Per  lo  piano  del  mar  vide  Qtera. 
Ma  '1  sentier  torse  e  poi  fermò  le  piante 
Sul  terren  di  Mallea  giunto  la  sera, 
K  quindi  un  messo  alla  consorte  manda 
Nel  proprio  legno,  e  a  lui  così  comanda  : 

Vanne,  e  imbarca  mia  moglie,  e  come 
Tu  dall'  isola  sei  tanto  lonuno ,        [  poi 
Che  più  visto,  o  sentito  esser  non  puoi , 
Dalle  morte  crudel  di  propria  mano. 
0  se  '1  sangue  di  lei  sparger  non  vuoi. 
Gettala  immantinente  al  flutto  insano; 
Fa  ch'ella  muoia,  e  non  udir  da  lei 
Scusa,  0  pregar,  se  tu  fedel  mi  sei. 

Pronto  all'opra  crudel  vanne  colui; 
Giunge  a  Qtera,  e  l'innocente  Elisa 
(Chiama  per  parte  del  marito,  a  cui 
Menarla  intende ,  e  '1  suo  ritomo  avvisa. 
Ch'eL  giunto  è  14  con  altri  amici  suoi 
Sulla  riva  del  mar,  quinci  divisa. 
Dove  è  stretto  a  badar  per  alcun  giorno, 
Pria  che  far  possa  all'isola  ritomo. 

L'amorosa  consorte  al  noto  messo 
Volenterosa  immantinente  crede, 
E  tutta  lieu  alior,  allor  con  esso 
Mette  nel  legno  suo  l'Incauto  piede. 
Lascia  l'empio  la  riva,  ed  all'eccesso 
Come  il  luogo  opportuno,  e  'I  tempo  vede. 
Più  feroce  del  mar,  che  lo  sostiene 


EROia 

Contr'alla  donna  impstuoso  viene, 

E  nel  viso  gentil ,  ciie  forra  avrebbe 
Torlo  sdegno  alle  fere,  agli  angui  'I  tosco. 
E  di  pietade  intenerir  potrebtie 
Le  dure  querce  al  più  deserto  bosco; 
Poiché  fissato  orribilmente  egli  ebbe 
Spietatissimo  in  atto  II  guardo  fosco. 
Le  man  distende,  e  '1  biondo  crine  avvolto 
S*  ha  gl4  nell'  una,  e  l' altra  11  ferro  ha  tolto. 

E  con  aspra  favella ,  ed  interrotu 
Dall' orror  del  misfatto  :  Elisa,  dice. 
Su  disponti  a  morir,  che  giunta  è  l'otta 
Della  tua  fine ,  e  viver  più  non  lice. 
0  vuoi  ferro,  o  vuoi  mar  :  cosi  ridotta 
Al  partito  crudel  queir  infelice,  [smorte. 
Tremante ,  e  fredda ,  e  con  le  labbra 
Chiede  almen  la  cagion  della  sua  morte. 

La  cagione  è  '1  voler,  le  rìspond*egli. 
Del  tuo  marito,  ed  el  cosi  comanda  ; 
E  traendo  a  quel  dir  gl'aurei  capegU, 
Muove  il  ferro  ad  empir  l' opra  nefanda. 
Rasserena  allor  queta  i  dolci  spegli 
La  giovanetta,  e  fuor  le  voci  manda: 
Eccoti  il  petto,  il  tuo  signor,  e  mio. 
Se  così  vuole,  e  cosi  voglio  anch'io. 

Per  lui  sol  non  per  me  piacque  la  vita. 
Per  lui  mi  spiaccia  or  ch'ei  l'abborre,  e 

schiva. 
Nodo  etemo  d'amor  l'ha  seco  unita 
Da  lui  dipenda ,  e  per  lui  mora,  e  viva. 
E  se  forse  parer  morte  gradita 
Non  mi  potrà,  poi  che  di  lui  mi  priva. 
Di  contentarlo  II  mio  contento  fia , 
Tal  ch'addolcisca  ogh' amarezza  mia. 

Ben  mi  resta  un  sol  dubbio ,  e  t' addi- 
Per  l'estrema  mercè,  che  tu  ridica,  [mando 
Queste  parole  al  mio  signor  tornando. 
Ch'ella  del  petto  fuor  trasse  a  fatica  : 
Elisa  tua ,  che  fedelmente  amando 
Non  t'oflcse  già  mai ,  mori  pudica. 
E  qui  la  mente  a  Dio  converte ,  e  nodo 
Porge  altera  li  bel  fianco  al  ferro  crudo. 

Ma  quel  servo  crudel,  che  s' era  armato, 
Contra  i  preghi  d' asprezra,  e  contra  I  plan- 
Rendon  (eh'  il  crederia?)  preso,  e  legato  [ti. 
Del  magnanimo  cor  gli  atti  costanti. 
E  due,  e  tre  volte  il  fiero  braccio  alzato. 
Quasi  maga  pietà  l'arresti,  e  'ncand,  [sa. 
Non  può  muovere  il  colpo,  e  non  l'abbas- 
Anzi  '1  ferro  di  man  cader  si  lassa. 

Sì  eh'  ei  l' opra  abbandona,  e  volto  a  lei 
Cosi  spiegò  più  raddolcito  il  suono. 
Deh ,  che  morte  mai  dar  non  ti  potrei  « 


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Ma  non  è  in  poter  mio  darti  perdono. 
Che  qnal  tu  moglie  al  signor  nostro  sei, 
Dd  crudel  ciie  mi  manda ,  io  servo  sono  ; 
Ma  della  morte  etemo  esilio  in  vece 
Aver  da  me ,  se  pur  vorrai ,  ti  lece. 

Se  la  fede  per  pegno  a  me  tu  presti 
Di  partir  quinci,  e  non  mjd  più  tornare, 
TI  lascerò  su  quelle  spiagge  agresti , 
E  dirò  poi  che  t' ho  sommersa  in  mare. 
E  tu  di  là  te  ne  potrai  da  questi 
Nostri  oonfin  peregrinando  andare. 
Ma  giura  a  me  di  ricovrarti  dove 
Qui  non  s*  odan  mai  più  d'Elisa  nuove. 

Risponde:  amico,  uccidi  pur,  trapassa 
Pur  questo  petto,  e  che  vuoi  tu,  ch'io  viva. 
Da  quel  crudel,  che,  benché  tale,  ahi  lassa, 
£  pur  la  viu  mia,  lontana,  e  priva? 
Abbassa ,  olmo ,  la  mortai  mano  abbassa, 
Non  mi  lasciar  contr* a  sua  voglia  viva, 
Che  saria  troppo  a  me  tal  vita  amara, 
E  morte  a  piacer  suo  m*è  dolce,  e  cara. 

Cosi  pur  ella  il  mortai  colpo  chiede , 
Perch'  adempiasi  in  lei  l' empio  mandato, 
Ma  pietoso  il  morir  non  le  concede 
Chi  la  vita  negar  dovea  spietato. 
Or  die  lite  ammirabile  si  vede 
Nascer  tra  lor,  che  generoso  piato! 
Giovane  donna,  ed  innocente  prega 
Pur  la  sua  morte,  e  Tucdsor  la  nega. 

Ma  poi  eh'  un  tempo  inutilmente  Elisa 
All'omicida  suo  chiese  la  morte, 
E  dimostrò  con  disusata  guisa 
Ne'  magnanimi  preghi  animo  forte; 
La  speme  alfin,  se  non  rimane  uccisa. 
Dì  scoprirsi  innocente  a  miglior  sorte , 
Fa  che  cede  la  misera,  e  dolente 
All'odioso  suo  viver  consente. 

E  di  lagrime  sparse  ambe  le  gote. 
Qua!  rose  intatte  al  mattutino  giclo. 
Di  trar  l'esule  piò  tra  genti  ignote 
Promette  a  lui  sotto  diverso  cielo. 
Indi,  per  variar  più  ch'ella  puote 
Suo  sembiante  gentil,  depone  il  velo. 
Tronca  il  bel  crino,  e  la  purpurea  vesta 
Piangendo  spoglia,  e  'n  servii  manto  resta. 

Colui  gliel  presta,  e  sopr'  un'  erma 
spiaggia 
Ladepon  lagrtmosa,  e  se  n'  invola,  [saggia 
Pass*  dia  1  monti ,  e  fuor  che'l  pianto,  as- 
Poc' altro  dbo,  e  va  dolente,  e  sola. 
Parer  si  sforza,  e  ruvida,  e  selvaggia 
Nutrir  anch' essa  in  boscarecda  scola 
Tra  dora  gente  ov'ella  arriva,  o  parte, 


LA  CROCE  CONQUISTATA. 


89 


Ma  non  giunge  al  desio  lo  studio,  e  l'arte. 

Del  bel  viso  gentil  fa  prova  in  vano 
Nasconder  l'aria,  e'I  portamento,  e'I  moto. 
Non  può  l'atto  ci  vii  farsi  villano. 
Né  restar  di  sue  grazie  il  ciglio  voto. 
Troppo  candida  appar  la  bella  mano. 
Troppo  ad  ogn'opra  il  nobil  gesto  è  noto. 
Cosi  nuvola  il  sol  con  atri  veli 
Non  può  tanto  celar  che  'I  giorno  celi. 

Ma  poi  ch'eli'  ebbe  e  quattro  lune,  e  sd. 
Misera,  e  sconosduta  peregrina. 
Trascorso  errando,  e  con  gli  accesi  omd 
Fatt'ogni  selva  risonar  vicina; 
Tra  la  sua  famiglluola  a  raccor  lei 
Un  pietoso  paistor  pronto  s'inchina, 
E  da  quel  panni  un  garzoncel  creduta. 
Pasce  or  greggia  lanosa,  ed  or  cornuta. 

E  con  ruvida  verga ,  e  con  accenti 
Soavi  troppo  a  cosi  duri  uffici , 
Correggendo  conduce  1  bianchi  armenti 
A  pascer  l'odorifere  pendici. 
E  spesso  ai  suoi  dolcissimi  lamenti 
Fa  pietose  le  selve  ascoltalrici , 
E  compiangon  sovente  al  suo  dolore. 
Alternando  1  susurrì,  or  l' acque,  or  l' ore. 

Ed  ella  un  giorno  insidiando ,  aggiunto 
D'un  selvatico  capro  il  correr  lieve. 
Lui  feri  dall'agguato,  e  '1  fianco  punto 
Pasce  '1  ferro  la  vita ,  e  'I  sangue  beve. 
E  l'un  poi  delle  corna  all'altro  aggiunto 
Ne  compose  '1  grand' arco,  ond'dla  hi 
Divenne  arderà,  e  sagittaria  tale,  [breve 
Che  né  '1  Parto,  né  'I  Perso  ha  forse  eguale. 

Quindi  corre  la  selva,  e  poi  la  sera 
Ricca  di  preda  il  chiuso  albergo  rlede, 
E  '1  di  soletta,  ov'é  più  folu, e  nera 
L'ombra  d'antiche  piante  affrena  il  piede, 
Sfogando  allor  l'acerba  doglia,  e  fera. 
Che  l'usato  tributo  agli  occhi  chiede, 
E  riman  poi  delia  sua  pena  acerba 
Tiepida  al  sospir  l'aura,  al  piangeri' erba. 

Durò  lunga  stagion  l' amaro  stile 
Che  '1  suo  fior  di  bellezza  in  uggia  tenne, 
E  '1  suo  più  vago  addolorato  aprile. 
Per  lei  pur  sempre  oscurità  mantenne. 
Ferito  intanto  un  cavalier  gentile 
Nei  medesimo  albergo  a  morir  venne, 
Di  cui  la  donna  il  luminoso  arnese 
Da  lui  lasciato ,  e  '1  corridor  si  prese. 

E  con  queir  armi  ella  pensò  da  poi 
Fingersi  un  cavalier  cangiando  sorte , 
E  passar  con  più  laude  1  giorni  suol , 
0  i  suoi  lunghi  dolor  finir  con  morte, 


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90  POEMI 

E  i>en  che  grire  al  moHe  petto  annoi 
Tropp'  aspro  peso  il  doro  arnese,  e  forte, 
Yi  s'aTTezz'ella,  e  non  so  dir,  se  pare. 
S'intenerisca  '1  ferro,  o  1  sen  s' indare. 

Ma  tornato  il  famiglio,  a  cui  commise 
La  sua  morte  il  marito ,  e  inteso  come 
Egli  in  mar  la  sommerse ,  e  pria  1*  uccise 
Presala  di  sua  man  nell'auree  cliiome; 
Data  a  lui  la  mercè ,  qual  ei  promise  « 
Quindi  ii  fa  dipartir,  però  clie  1  nome 
Teme  dell'omicidio,  e  '1  fatto  abborre 
E  *1  ministro  si  vuoi  dagli  occhi  torre. 

Colui  si  parte ,  e  poi  nel  cor  martella 
Più  d' un  sospetto  al  credulo  marito. 
Dubbio  della  cagion  d'opra  si  fella 
L'immaturo  consiglio  li  fa  pentito. 
Toma  a  Citerà ,  e  la  nutrice  appella 
Ei  con  volto  feroce,  ella  smarrito, 
E  le  dimanda,  ravveduto  tardi ,        [di  : 
Col  ferro  insieme,  e  con  gli  ardenti  sguar- 

Di'  su,  malvagia,  lo  vo'  saperne  il  vero. 
Chi  fu  colui  eh*  a  violar  menasti 
L' impudica  mia  moglie  ali*  aer  nero. 
Tu  '1  sai,  tu  sei  che  l' onor  mio  macchiasti. 
La  mala  vecchia  a  minacciar  si  fero 
Tremante  cade,  e  non  ha  cuor  che  basti , 
Ma  gridando  mercè ,  mostra  in  che  guisa 
Sol  ella  ha  colpa  ;  ed  è  innocente  Elisa. 

Signor,  vinta  dall'oro,  orecchia  porsi 
Ad  un  vano  amator,  che  qui  venuto 
Con  desir  molto  e  poco  senno  io  scorsi 
A  dimandarmi  alle  sue  Oamme  aiuto. 
Ed  io  che  bene  ogni  tentar  m'accorsi 
La  casta  Elisa  tua ,  tempo  perduto , 
Mi  rivolsi  all'astuzie,  e  lui  contento 
Pei  d'amor  con  inganno,  e  me  d'argento. 

Persuasi  a  Terea  d' accoglier  essa 
D' Elisa  in  vece  il  folle  amante  in  seno , 
Che  d' un'ctade,  e  d'  una  forma  impressa 
Terea  somiglia  alla  tua  sposa  a  pieno. 
E  nella  mari  tal  camera  stessa 
Trassi  il  vano  amator  di  gaudio  pieno. 
Che  l'incauta  tua  moglie  indussi  ad  art(ì 
A  trar  la  notte  in  più  lontana  parto. 

Lascio  in  camera  il  vago,  e  poi  ch'al- 
quanto 
Sovrastette  in  desio  del  mio  ritorno. 
Con  l'ancella  simil  chiusa  nel  manto 
Della  mia  donna,  a  chi  m'aspetta  io  tomo, 
E  spento  a  un  tratto  un  picciol  lume  tanto. 
Che  mal  vincer  potea  l'ombra  d' intomo. 
Avidamente  nel  tuo  proprio  letto 
L*un  dell'altro  di  lor  preaer  diletto. 


EROia. 

Ed  io  prima  che  1*  alba  In  Oriente 
Biancheggiar  faccia  alcuna  parte  j 
Affretto  lui ,  che  tadto ,  e  repente 
Partir  sen  voglia,  e  prevenir  r aurora, 
Ed  egli  a  pieno  al  creder  suo  contente 
L'accese  brame ,  usci  dell'  asdo  foora; 
E  qni  tace  la  ^-ecchia ,  inunobil  cote 
Rimansi  Alceste,  e  poi  s' infiamma,  e  scote. 

Ed  alii ,  grida ,  malvagia ,  io  dwiqiie  i 
Per  te  la  donna ,  anzi  la  vita  mia,  [torto 
Fedele ,  e  casta ,  ed  innocente  ho  morta? 
Tanto  error  senza  pena  unqua  non  Ha. 
Vuol  trarre  il  colpo,  e  rinan  poi,  che 
Ha  *i  vile  oggetto,  In  cui  ferir  desia,  [scorto 
La  lascia,  e  corre  a  minacciar  Terea, 
Se  narratole  il  ver  la  balia  avea. 

E  cosi  '1  trova ,  ond'  ei  non  por  ferito, 
Ma  trapassato  il  cor  d'aspra  saetta. 
Per  soverchio  dolor  di  senno  uscito 
Di  sé  far  pensa  Incontr*  a  sé  vendetta. 
K  'I  suo  spirito  sciolto  avrìa  seguito 
Lei ,  che  nuda  si  crede  alma  diletta. 
Ma  v'  accorser  gli  amici ,  e  gliel  vietare 
E  del  morir  la  miglior  via  mostrare. 

Persuaso  da  lor,  che  'n  lui  non  deggla 
Morte  d' eterno  danno  esser  cagione , 
Passa  il  misero  in  Asia,  e  qui  goerregina; 
Disperato  ai  perìgli  il  petto  espone,  [già. 
Ma  quantunque  il  morir  pur  semprecbleg- 
Con  mill' opere  ardite,  ov'ei  si  pone, 
Hiserbandolo  a  meglio  amica  sorte 
Gì'  incontra  gloria ,  ov'  ei  ricerca  nuTte. 

E  già  quattr*  anni  11  lagrimoso  amante 
Avea  miseramente  ad  ora  ad  on 
Le  colpe  sue  rammemorate,  e  piante. 
Né  sentito  il  dolor  temprarsi  ancora  : 
Quando  un  guerriero  alle  trincee  d'avante 
Venne  a  chiamarlo  a  guerreggiar  di  fuora. 
Tace  il  suo  nome  II  cavallero,  e  '1  volto 
Tien  dentr*  ali' elmo  ascosamente  accolto. 

Del  guerricr  peregrin  più  d' un  a  voce 
La  disfida  ad  Alceste  in  fretta  porta. 
Subito  ei  s'arma,  e  sul  destrier  veloce 
Viensone  al  vallo,  e  s'apre  a  lui  la  porta. 
È  ben  del  petto  intrepido,  e  feroce 
L'alta  virtù  nel  fier  sembiante  è  scorta. 
La  lancia  stringe,  e  si  rassetta  in  sella. 
Ma  prìa,  che  muova,  al  cavalìer  favella: 

Queir  Alceste  son  io,  che  tu  richiedi 
Teco  a  pugnar,  né  la  cagion  dir  >'uoi , 
Ma  se  neghi  a  me  questo,  almen  concedi 
Prima  dirmi  11  tuo  nome ,  e  giostrar  poi. 
E  *1  peregrino  :  Un  cavalier  tu  ve<fi, 


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LA  CROCE  CONQUISTATA. 


91 


Hi  od  qoesto,  e  non  altro  intender  puoi  ; 
Ch'odio  non  ti  port*Ìo,  ma  tn  nemico 
Non  hai  maggiore,  e  nona  più  ti  dico. 

Equi  punti  i  destrier  coironsi  incontra  ; 
CSvier  la  lancia,  il  peregrìn  si  lassa, 
E  ben  Tedesi  a  studio,  Alceste  incontra 
Ahd  lo  scodo,  e  lo  divide,  e  passa. 
Ma  meglio  assai  che  non  Torrìa  gì'  incontra 
Perchè  spezzasi  l'asu,  e  si  fracassa 
DI  tal  ptè  molle,  e  più  pietosa,  e  solo 
Lo  scontrato  guerrìer  batte  nel  snolo. 

Diamonta  Alceste ,  e  corre  al  vinto  a 
piede, 
Per  torgH  I*  armi,  e  tratto  a  hii  1*  elmetto , 
Stupido ,  ed  adombrato  Elisa  vede , 
Riconosce  ben  ei  ramato  aspetto. 
La  sua  donna  gentil,  che  morta  crede, 
E  pur  Tira  mantiensi  in  mezzo  al  petto. 
Fermo  attonito  ei  resta,  e  in  tatto  immolo 
Koo  ha  voce ,  né  suon ,  senso ,  né  moto. 

E  ben  morto  sarìa ,  ch'erranti,  e  sparte 
Sue  virtù  dal  piacer  foggian  dal  core. 
Se  non  eh*  in  dentro  alla  più  nobil  parte 
Premeale  il  dnol  del  suo  commesso  errore  : 
Quindi  errando  la  vita,  or  toma,  or  parte 
Nd  reflusso  di  morte,  e  pur  non  muore; 
Potea  solo  il  dolor,  sola  la  gioia. 
Né  pon  fare  amendue ,  eh'  Alceste  muoia. 

L'amorosa  consorte  in  fronte  il  mira 
E  veggendo,  eh'  ei  resta ,  e  non  l'offende , 
Tadto  un  favellar  dagli  occhi  ^ira 
Qie  solo  chiama ,  e  nessun'  altro  intende. 
Cmdel ,  poi  dice ,  or  che  non  empi  l'ira , 
CU  mi  salva  da  te ,  chi  mi  difende? 


Nelle  tue  mani  è  pervenuta  EHsa , 
Sol  per  restar  dalle  tue  mani  uccisa. 

GU  so  ben  io  eh'  è  tuo  piacere,  Alceste, 
Non  ti  turbar,  non  ti  dirò  consorte. 
Che  né  moglie  né  viva  Elisa  reste. 
Né  vo'  che  '1  viver  mio  noia  t*  apporte. 
Morir  vogi'io,  ma  spargi  tu  di  queste 
Mie  vene  il  sangue ,  e  dammi  tu  la  i 
Fallo  ;  che  più  tardar?  saziati  omai, 
E  sappi  sol  ch'io  non  t' offesi  mal. 

E  se  già  per  pietade  or  é  '1  quart'  i 
Ch'ebbe  li  servo  di  me,  morta  non  fui. 
Non  ti  doler,  che ,  benché  viva ,  m*  hanno 
Poi  tenuta  sepolu  i  boschi  bui. 
E  vengo  a  te  per  rimorire  :  avranno 
Questo  nuovo  contento  i  desir  tui. 
Che  in  quanto  a  te  morrò  due  volte,  e  ffa 
Con  tuo  doppio  piacer  la  morte  mia. 

Pentito  Alceste  a  quel  parlar  tremendo, 
Qual  filo  d'aiga  in  sulla  riva  al  mare. 
La  rea  cagion  dell' error  suo. contando. 
Versa  per  gli  occhi  fuor  lagrhne  amare  ; 
E  d'amor  vinto,  e  di  dolor  parlando 
Spesso  ammutisce,  e  nel  silenzio  appare 
Quel  che  serra  la  lingua ,  e  più  rivda 
La  vista  in  lui ,  che  '1  suo  tacer  non  cela. 

Ma  poi  eh' a  pieno  il  fallir  proprio  aper- 
Le  preghiere  condi  col  pianto  amaro,  [to. 
Amaro  a  lui,  ma  '1  pentir  suo  scoperto 
D'ogni  nettare  d'Ibia  a  lei  più  caro. 
L'amorosa  obliando  ogni  demerto     [ro. 
Con  un  guardo  li  mirò  tranquillo,  e  chla- 
Che  dell'intimo  cor  nunzio  verace 
Perdon  li  porge ,  e  li  promette  pace. 


GRAZIANL 


IL  CONQUISTO  DI  GRANATA. 


Colombo  racconta  la  sua  prima  Davigmzione. 


Indi  sorge  n  Colombo ,  e  altrui  palesa 
li  suo  lungo  viaggio ,  e  l' alu  impresa  : 
Poiché  gli  ordini  appresi,  e  poiché  tolto 


Dai  cattolici  regi  ebbi  commiato , 
In  Palo  lo  mi  trattenni ,  ove  raccolto 
De  le  mie  navi  era  lo  stuolo  armato. 
Qui  pria  che  il  sole  11  luminoso  volto 


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92  POEMI 

Da  le  rive  del  Gange  avesse  alzato , 
Del  mio  partir  nel  destinato  giorno 
Mi  apparve  in  sogno  un  giovanetto  adorno. 

Di  raggi  adomo  e  di  purpurea  veste 
Scote  dorale  piume,  e  in  lieto  aspetto 
Cosi  parlando  11  giovane  celeste 
M'empie  d*alta  speranza  il  dubbio  petto  : 
Scaccia ,  amico ,  i  timori  e  le  tempeste 
Che  sinor  ti  agitar  con  vario  aflctto; 
Non  errò  tuo  pcnsier  quando  ha  creduto 
Di  trovar  nuovo  mondo ,  e  sconosciuto. 

Quel  corpo  che  universo  il  vulgo  chiama, 
E  che  r  acqua  e  la  terra  in  sé  comprende. 
Forma  una  sfera ,  a  cui  V  antica  fama 
Duo  poli  consegnò  con  cinque  bende. 
Finse  alcun  per  frenar  V  umana  brama 
Che  il  mondo  quindi  agghiaccia,  e  quinci 

incende; 
Onde  sotto  1  duo  poli ,  e  V  Equatore, 
0  non  vada ,  o  non  viva  abitatore. 

Ma  falsa  è  tal  sentenza,  e  falso  ò  il  grido 
De  la  gelida  zona  e  de  1*  ardente  : 
Vuol  la  somma  Bontà  che  in  ogni  lido 
Sia  fecondo  il  icrren ,  viva  la  f;ente. 
Circonda  da  1*  aurora  il  mare  infido 
n  globo  universale  a  T Occidente; 
K  nel  mondo  non  è  strana  contrada , 
Ove  r  uom  non  alberghi ,  ove  non  vada. 

Con  vario  corso  il  Lusitano  ardito 
Già  scoprì  r Oriente,  e  resta  solo 
Che  verso  1* Occidente  a  l'altro  lito 
Tu  spieghi  adesso  11  fortunato  volo. 
Cosi  il  globo  terren  sarà  compito, 
Cosi  fia  palesato  il  nuovo  polo  : 
Misura  1  gradi ,  e  le  distanze  osserva. 
Vedrai,  che  terre  immense  11  mar  riserva. 

De  r  atlantica  terra  ancor  si  ascolta 
Un  debll  suono  a  la  presente  etade , 
E  che  un  tremoto  avendo  T  acqua  sciolta. 
Fece  mar  divenir  quelle  contrade. 
Dal  cupo  oblio  fu  la  memoria  tolta 
Di  queir  estreme  e  procellose  strade , 
Che  possono  guidare  ad  altri  regni 
Sottoposti  a  r  Occaso  i  vostri  legni. 

Nel  trigono  de  T  acqua  è  già  congiunto 
Con  massima  union  Saturno  e  Giove , 
Ed  In  sito  partii  mostrano  il  punto , 
Che  mostra  usanze  ignote,  e  terre  nove. 
Porse  al  mondo  lunar  tanto  disgiunto 
Fia  che  1*  uomo  il  commercio  un  di  ritrove  : 
Vuol  Dio  eh*  ogni  secreto,  ogni  arte,  ogni 
In  secoli  diversi  a  1*  uom  si  scopra,   [opra 

Lo  spazio  che  finora  è  sconosciuto, 


EROIGL 
Fia  pari  di  grandezza  al  vostro  mondo  : 
Quivi  di  gemme  e  d*or  largo  tributo 
Porge  d'ampi  tesori  il  suol  fecondo. 
Vanne,  lo  son  1*  angel  tuo,  che  reco  aioto  ; 
Non  temer  l'empia  Dite,  e  *1  mar  profondo  ; 
Vanne,  soffri,  conAda;  a  la  tua  gloria 
Nuovo  mondo  rimbomba,  e  nuova  istoria. 

Qui  tacque,  e  sparve,  e  me  lasciò  ripieno 
Di  piacer,  di  speranza  e  di  stupore  : 
Sorgo ,  e  parlo  ai  compagni ,  e  sprono  il 
Con  stimoli  di  gloria  a  nuovo  onore,  [seno 
Spirano  aure  tranquille  in  del  sereno. 
Solcano  il  cupo  mar  V  ardite  prore  : 
Fugge  11  lito  di  Spagna ,  e  solo  appare 
Il  mar  del  cielo,  e  *1  ciel  confin  del  mare. 

Per  r  immenso  Ocean  drizzano  il  corso 
Le  navi  a  la  sinistra ,  e  si  perviene 
A  r  isole  Canarie ,  ove  soccorso     [vene. 
Di  fresche  acque  prendiam  da  fresche 
Quinci  veggiam  d' un  alto  scòglio  il  dorso. 
Che  versa  fiamme  in  su  le  trite  arene 
De  Tarsa  Tenarife,  onde  altri  crede 
Ch'indi  si  cali  a  la  tartarea  sede. 

De  la  vergine  Astrea  varcava  il  sole 
Con  l'alau  quadriga  i  primi  segni, 
Quand'io,  lasciale  le  Canarie  sole. 
Presi  il  viaggio  ai  desiati  regni. 
Di  quel  vasto  Ocean  per  l'ampia  mole 
A  l'acquisto  fatai  volano  i  legni; 
E  s'internano  ognor  le  vele  ardite 
Fra  l'Ignote  voragini  infinite. 

Nullo  aspetto  di  terra  a  noi  rimane. 
Occupa  r  orizzonte  o  11  cielo ,  o  il  mare  ; 
D' orrida  morte  Infra  quell'onde  insane 
Fiero  teatro  ai  naviganti  appare. 
Mirano  ad  or  ad  or  le  plaghe  Ispane 
Quanto  remote  più,  tanto  più  care. 
Gii  smarriti  compagni ,  e  loro  avanza 
Di  salute  e  d'onor  poca  speranza. 

Dei  gradi  de  la  Vergine  celeste 
Entrò  ne  la  Bilancia  il  sol  cadente , 
Né  terra  apparve,  onde  vie  più  moleste 
Cure  agiur  la  sbigottita  gente. 
Freme,  e  par  che  a  fatica  ella  si  arresie 
Di  sfogar  contro  me  l'impeto  ardente; 
E  già  mi  accusa  il  pubblico  dmore 
De  la  morte  comun  perfido  autore. 

Io  tento  di  frenar  l'Impeto  insano 
Con  sensi  vari ,  e  con  ragion  diverse 
E  di  ricco  tesor  con  larga  mano 
Prometto  1  premj  a  Unte  prove  avverse. 
Mentre  ognun  sospirava,  ecco  lontano 
Verde  prato  nel  mare  a  noi  si  offerse  : 


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IL  CONQUISTO 
Gode  ognuno  a  tal  visU,  e  spera  ognuno 
Di  fecondo  terren  lUo  opportuno. 

Ma  fatti  più  vicini  apparclie  l*erl)a 
Svelu  dal  lito  era  dal  mar  portata  ; 
Onde  fassì  maggior  la  pena  acerba 
Ne  la  timida  gente  addolorata. 
Quindi  freme,  minaccia,  e  disacerba 
Con  mordace  parlar  la  mente  irata  ; 
E  de  le  sue  querele  e  del  suo  sdegno 
DiYennto  son  io  ludibrio  e  segno. 

Va  gi4  r  inferno  a  danno  mio  prepara 
Novelle  insidie ,  e  congiurati  1  venti 
Da  le  tetre  caverne  escono  a  gara , 
E  gonfiano  del  mar  1*  onde  crescenti.    ^ 
Già  si  offusca  nel  9|el  l'aria  più  chiara, 
Se  non  quanto  rìsplende  ai  lampi  ardenti  ; 
Fulmina  e  piove  e  gi4  confonde  il  loco 
L'orrÌl>Ìle  procella  a  l'acqua  e  al  foco. 

Guerreggiando  col  mar  V  aria  imper- 
versa. 
Questa  con  un  diluvio,  e  quei  con  1*  onde  ; 
Turba  i  vari  pensier  cura  diversa , 
E  '1  periglio  comun  tutti  confonde. 
Stillato  in  ploggie  il  del  in  mar  si  versa , 
Il  mar  coi  flutti  urta  del  elei  le  sponde  ; 
Parve  allor,  che  dal  venti  In  aria  alzate 
Navigassero  in  elei  le  navi  alate. 

Fra  si  vari  |>erigli,  e  in  mezzo  a  quella 
Fiera  tempesta  alzo  la  mente  a  Dio , 
E  l'imploro  a  frenar  Talta  procella 
Con  umil  voce ,  e  cor  devoto  e  pio. 
Vidi  allor  fiammeggiar  lucida  stella , 
Che  r  onde  abbonacciò ,  l' aure  addolcio  ; 
E  quasi  in  pegno  di  futura  pace 
Dal  elei  cadde  nel  mare  un'aurea  face. 

Cedono  i  flutti  a  lo  splendor  celeste 
Cbe  ai  venti  procellosi  impone  il  freno , 
E  i  turirini  fuggendo,  e  le  tempeste, 
Lasciano  il  mar  tranquillo,  e  '1  elei  sereno. 
Ha  cbe?  se  foche  immense,  orche  funeste 
Sorgono  contra  noi  dal  cupo  seno? 
Balene  e  tiburoni,  e  ciò  che  serra 
Proteo  di  mostruoso,  a  noi  fa  guerra. 

Spezzano  i  remi,  assalgono  1  nocchieri 
Gli  orridi  mostri ,  e  rodono  le  navi , 
Ed  urtano  d'intorno  ingordi  e  fieri 
n  nodoso  timon ,  l'ancore  gravi. 
Panni  ancor  di  veder  Lurgo ,  e  Rinierl , 
Che  i  legni  risarcian  dai  colpi  gravi  ; 
Al  primo  un  Uburon  tronca  una  mano , 
L'altro  un'orca  inghiotti  ne  l'Oceano. 

A  sì  rigidi  assalti ,  a  si  diversa 
Forma  di  guerra  ognun  paventa  e  geme  ; 


DI  GRANATA.  93 

Ma  sol  lo  con  la  mente  a  Dio  conversa 
Ne  l'imagine  sua  fondo  mia  speme. 
Questa  di  sangue  in  dura  croce  aspersa. 
Questa,  che  adora  il  elei,  l' inferno  teme. 
Questa  alzata  da  me  sovra  quei  mostri 
Gli  rispinge  del  mar  nei  bassi  chiostri. 

Fuggon  le  belve,  e  prende  alcun  ristoro 
La  gente  afflitta ,  affaticata  e  stanca  ; 
Ma  breve  è  tal  conforto  appo  costoro  ; 
Tosto  scema  l' ardir  che  gli  rinfranca. 
Manca  il  vigor,  mancano  i  cibi  a  loro , 
Varia  la  calamita ,  e  se  non  manca 
Il  noto  polo ,  almeno  pigra  e  tarda 
Con  dubbiose  vicende  incerta  il  guarda. 

Allor  fu  che  occupò  l' animo  afflitto 
Del  popolo  confuso  alta  paura  : 
Già  slam  noi  senza  forze  e  senza  vitto , 
Già  ne  sembra  fuggir  la  Cinosura. 
Dispera  ognun;  sol  io  mi  serbo  invitto , 
Poiché  l'angel  di  Dio  mi  rassicura; 
Spero,  vinti  1  disagj  e  le  procelle. 
Vincere  1  mari ,  e  dominar  le  stelle. 

Ha  non  sperano  gli  altri  ;  anzi  ciascuno 
Contra  me  volge  l'Ire,  e  i  detti  arrota; 
Contra  me  fremon  tutti ,  e  vuole  ognuno 
Che  lo  sdegno  di  tutti  in  me  percola. 
11  timor  di  naufragio  e  di  digiuno. 
Di  mar  si  vasto  in  regione  ignota. 
Fa  che  a  mio  scherno  in  minacciosi  detti 
Sfoghi  il  vulgo  adirato  i  chiusi  afletti. 

Dunque,  dlcean,  per  saziar  d'uom  vano 
Il  mal  fondato  ambizioso  instinto 
Fra  gli  abissi  del  torbid*  Oceano 
Ha  da  restare  il  popol  nostro  estinto? 
Sotto  incognito  clima,  in  mar  lontano 
Il  nocchier  temerario  ecco  si  è  spinto  : 
Or  che  farà  famelico  e  confuso , 
Se  del  polo  e  del  mar  perduto  ha  l'uso? 

Questi  sono  gli  acquisti  e  le  venture 
Che  al  re  promise  ?  E  noi  seguirlo  ancora  ? 
E  noi  lasciam  che  nel  suo  imperio  ei  dure  ? 
Chi  si  perde  per  lui  dunque  l'onora? 
Deh  perisca  l'autor  di  tai  sciagure; 
Del  suo  popolo  invece  egli  sol  mora  ; 
Si  sommerga  nel  mar,  so  stesso  incoipe  ; 
Nacquer  dal  mar,  castighi  il  mar  sue  colpe. 

Direm  che  nel  mirar  le  stelle  e  1  segni , 
In  cui  si  aggira  il  portator  del  giorno. 
Incauto  sdrucciolò  nel  salsi  regni 
Pria  eh'  aita  recasse  alcun  d' Intorno. 
Quinci ,  salvi  noi  stessi ,  e  salvi  1  legni , 
A  le  rive  natie  farem  ritomo  : 
Altro  non  resu  in  così  estrema  sorte , 


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94  PORMI 

Cbe  comprar  mille  vite  in  um  morte. 

Con  tal  detti  accendean  gii  animi  audaci 
A  muover  contra  me  l'armi  rul)elle  : 

10  pien  d'alte  q>eranze,  e  di  vivaci 
Grazie  espongo  me  stesso  a  tal  procelle. 
Dell,  gridai,  qual  furore ,  o  miei  seguaci , 
La  prudenza  e  la  fé  dal  cor  vi  svelle? 
Qual  nube  di  follia  la  mente  oscura  ? 
Chi  vi  spinge,  infelid,  a  tal  congiurai 

Quella  fé,  che  a  gli  Ebrei  da  rozza  cote 
Acque  vitali  a  gli  arsi  labbri  aperse. 
Quella  fé,  che  del  Sol  fermò  le  rote, 
E  la  vittoria  a  Giosuè  scoperse; 
Quella  può  voi  condurre  a  terre  ignote 
Fra  l'onde  procellose  e  l'aure  avverse  : 
L'ancora  de  la  fede  immobil  reste, 
Né  si  temano  i  mostri  e  le  tempeste. 

Se  fusse  la  mia  vita  oggi  bastante 
A  comprar  tante  vite,  io  da  me  stesso 
Vorrei  precipitarmi  al  mar  sonante , 
E  farmi  autor  di  prospero  successo; 
Ma  chi  sarà  che  regga  voi  fra  tante 
Varie  procelle,  ovMo  rimanga  oppresso? 
Chi  dei  venti,  del  mar,  del  ciel  ignoto 
Conosce  T influenze,  i  siti  e  '1  moto? 

Ma  concedo  che  siano  amici  i  venti , 
Tranquillo  il  mare,  e  che  torniate  in  corte. 

11  re  non  crederà  gii  strani  eventi 
Che  fingeste  fra  voi  de  la  mia  morte. 
Vorrà  con  le  promesse ,  o  coi  tormenti 
11  vero  penetrar  de  la  mia  sorte; 

E  punirà  quel  barbaro  pensiero 
Che  a  me  la  vita,  a  lui  scemò  V  impero. 
Meglio  fia  dunque  avventurarsi  a  l' onde. 
Che  provar  del  re  nostro  11  certo  sdegno; 
Del  paese  fatai  le  care  sponde 

10  già  scorgo  vicine  a  più  d' un  segno. 
Mirate  quegli  augelli ,  e  quelle  fronde 
Colà  vaganti  entro  l'ondoso  regno  : 
Questo  è  certo  argomento,  e  mai  non  erra, 
Cbe  non  lungi  di  qua  sorge  la  terra. 

E  che  terra?  Ivi  l'ostro,  ivi  gl'lnoend, 
Ivi  nascon  gli  amomi,  ivi  gli  odori, 
E  difendono  wcA  quei  regni  Immensi 
Fochi ,  timidi  e  inermi  abitatori. 
Vedrete  come  largo  li  del  dispensi 
Al  felice  paese  «npi  tesori  : 

11  mar  di  perle,  i  rivi  e  le  maremme 
Risplendono  colà  d'oro  e  di  gemme. 

A  che  dunque  temer?  Duriamo,  amld; 
Me  stesso  a  tanti  rlschj  anch'io  confido; 
Ecco  tranquillo  il  mar,  l' aure  felid  ; 
Ecco  vidii  rarfentnroto  Udo. 


EROia 

Venti  contrari,  e  turbini  i 
Non  d  ponno  vietare  il  fatai  nido. 
Duriam  ;  non  ha  l' inferno,  o  la  f 
Su  la  nostra  virtù  possanza  alcuna. 

Così  tentai  con  provvidi  coniigM 
Del  lor  cieco  timor  fermare  il  oorM; 
Ma  la  ragion  confondono  i  perigU , 
E  ricusa  la  fame  ogni  discorso. 
Non  appare  argomento  onde  al  pIgH 
Speranza  di  salute  e  di  soccorso; 
E  d  stimola  ognor  senso  importuno 
DI  vigilia ,  di  sete  e  di  digiuno. 

Quando  tale  io  mi  vidi,  a  Dio  mi  i 
E  in  brevi  detti  i  miei  desirì  esposi  : 
Signor,  questi  a  la  papria  lo  primo  tolsi. 
Ed  immense  ricchezze  a  lor  propori. 
Io  spirato  da  te  primo  rivolsi 
Queste  lacere  vele  ai  regni  ascosi  : 
0  tu,  signor,  mi  scopri  il  nuovo  polo, 
0  salva  gli  altri ,  e  fa  che  mora  io  solo. 

Dissi  ;  e  quasi  che  siano  1  nostri  affetti 
Favoriti  nel  del  dal  re  sovrano. 
Tosto  volar  duo  candidi  augeUetti 
Su  la  mobile  antenna  a  destra  niana. 
Questi  sgorgando  armoniosi  detti     [do; 
Temprar  con  lieto  augurio  11  duolo  ìmat- 
E  predissero  altrui ,  eh'  Indi  non  losfe 
La  terra,  onde  volaro,  il  mar  disgiunge. 

Preso  da  tale  augurio  alcun  ristoro, 
Vediam  che  rosseggiava  il  di  cadente , 
E  che  d' altri  augeUetti  allegro  coro 
Cantando  raddolcla  l' afflitta  mente. 
Fermiamo  il  corso  infin  che  i  raggi  d'oro 
Spieghi  per  l' orizzonte  il  sol  nascerle; 
E  con  animo  vario  attende  ognuno 
Che  succeda  la  luce  a  i'aer  bruno. 

De  la  sonuna  Bilanda  il  Sol  correa 
Dd  temperato  segno  inverso  il  fine , 
E  dopo  otto  carriere  entrar  dovea 
Dd  luddo  Scorpione  entro  il  confine, 
Alior  che  di  Tfton  la  bella  Dea 
Le  bramate  scopri  terre  vidne  : 
Vaga  é  la  spiaggia,  e  1  riguardanti  1 
D'odoriferi  fior  l'erba  vestita. 

Di  tenerezza  e  di  piacer  discese 
A  ciascun  per  le  guande  un  lieto  | 
E  ciascun  con  le  palme  al  dd  distese 
Di  Galizia  adorò  i'apostoi  santo. 
Quind  rendono  a  me  de  l'alte  imprete 
Con  vario  applauso  U  fortunato  rmlù  : 
Tutti  accordano  1  detti  a  mio  favore. 
Tutti  accusano  umili  il  lor  timore. 

Da  varie  parti  In  su  r  aBMMi  riva 


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IL  CONQUISTO 
Goneone  intanto  il  popolo  straniero 
Per  osserfar  chi  sia  colai  che  arriva , 
E  qua!  sia  la  sua  patria  e  '1  suo  pensiero. 
Pende  al  color  de  la  matura  olirà 
De  10*  inculti  abitanti  il  volto  nero  : 
Sono  essi  ignudi ,  ed  agili  e  robusti 
Hanno  dai  caldi  raggi  i  corpi  adusti. 

Sovra  lievi  battelli  andiamo  al  lito, 
E  su  il  caro  lerren  giunti  in  breve  ora , 
LagrìDando  di  gioia  intenerito 
Ognun  b^dà^  la  riva,  e  '1  delo  adora. 
Con  Beta  pompa  e  con  solenne  rito 
n  possesso  real  prendesi  allora  ; 
E  *1  governo  de  1*  Indie  a  la  mia  cura 
Conferma  il  vulgo ,  e  fedeltà  mi  giura. 

Seguendo  gli  abitanti  il  chiaro  esempio, 
A  r  ispanico  re  giurano  omaggio  : 
lodopoalso  una  croce,  e  fondo  uu  tempio 
A  memoria  immortai  del  gran  pasf^aggio. 
Quivi  rendo  le  fiprazie ,  e  i  voti  adempio 
Del  nuovo  mondo ,  e  del  fatai  viaggio  : 
Concorron  gl'Indiani,  e  mansueti 
Osservano  di  Dio  gli  alti  secreti. 

Lungo  saria ,  s*  io  racconur  volessi 
Di  quei  regni  idolatri  ogni  costume  : 
Basta  saper,  che  in  breve  a  lor  porgessi 
De  la  fede  cristiana  il  vero  lume. 
£  sol  breve  dirò ,  eh*  ivi  scorgessi 
D*oro  folgoreggiar  gonfio  ogni  fiume; 
E  che  nei  monti ,  preziosi  e  fini 

I  diamanti  lampeggino  e  i  rubini. 

L*aria  è  salubre,  e  temperato  il  sole. 
Misto  al  florido  aprii  rìde  il  settembre , 
Onde  i  pomi  congiunti  a  le  viole 
Primavera  d'autunno  altrui  rassembre. 
Donne  sincere  in  sempiici  carole 
Mostrano  senza  colpa  ignude  membre  ; 

II  vizio  non  alberga  In  mente  pura, 
A  cui  norma  di  legge  è  la  natura. 

Prodooono  le  piante  amomi  e  incensi , 


IH  GRANATA.  96 

Nutre  porpore  e  perle  il  ricco  mare. 
Con  fortunata  messe  i  campi  immensi 
Danno  miniere  preziose  e  rare. 
Par  che  prodigo  quivi  il  ciel  dispensi 
Ciò  che  scarso  e  diviso  altrove  appare; 
Con  felice  stagion  la  terra  serba 
Vaghi  i  fior,  dolci  1  frutti ,  e  verde  1*  erba. 

Mentre  io  godea  di  quel  paese  ameno 
Le  delizie  e  i  tesori,  arriva  al  lito 
Gente  armata  di  freccie  e  di  veneno , 
Che  move  In  guerra  esercito  infinito. 
Senza  fé,  senza  legge  e  senza  freno 
Corre  a  libere  prede  il  vulgo  ardito  ; 
Sono  detti  Caribi ,  e  ai  loro  insulti 
Lasciano  gl'Indi  Imbelli  1  campi  inculti. 

Contra  costoro  a  sollevar  gli  oppressi 
Impugnai  l'armi  in  general  conflitto; 
Ruppi  l'orgoglio,  e  l'impeto  repressi, 
E  tolsi  al  giogo  indegno  il  vulgo  afllitto. 

10  primo  dei  Caribi  il  duce  oppressi 
Con  duo  ferite  in  mezzo  al  sen  trafitto  ; 
Mossa  la  gente  mia  da  tale  esempio 
Fé'  del  barbaro  stuolo  orrido  scempio. 

Vinti  appena  i  Caribi ,  accese  i  cori 
De  gl'Indiani  ai  nostri  danni  Alctto; 
Onde  per  rintuzzare  i  lor  furori 
Fui  di  pugnar,  d*  Uicriidelir  costretto. 
S'inchinarono  umili  1  perditori, 
E  per  legge  accetlaro  ogni  mio  detto  ; 
E  fu  mio  vanto  in  si  remota  sede 
Subilire  il  battesmo ,  alzar  la  fede. 

A  la  riva  del  mar  poco  lontana 
D'alta  rocca  fondai  poscia  le  mura, 
E  con  altri  lasciai  Diego  d' Arana, 
Che  del  loco  difeso  abbia  la  cura. 
Quinci  scorsa  la  terra,  a  cui  d'Ioana 

11  titolo  preposi  e  la  ventura, 

Io  risolvo  portar  del  memorando 
Successo  1  primi  avvisi  al  gran  Ferrando. 


CANTO  VIGESIMOQUINTO. 

Parlata  di  Fernando  agli  Spagnuoli  e  di  Alimoro  ai  Mori 


Già  di  belliche  trombe  il  suono  altiero 
Chiama  dal  mar  la  sonnacchiosa  Aurora, 
Che  presaga  del  di  sanguigno  e  fiero , 
D'un  torbido  vermiglio  11  ciel  colora. 
Sorge  nel  fedel  campo  il  re  primiero , 
E  lieto  in  volto  I  popoli  rincora  ; 
Indi  g^ì  schiera,  e  con  mirabile  arte 
Divide  i  siti  9  e  gli  ordini  comparte. 


Con  sembianza  di  luna  in  doppio  corno 
Il  saggio  re  1*  esercito  dispose  : 
Egli  il  mezzo  ritenne,  e  parte  intomo 
Col  duca  di  Sldonia  a  destra  pose. 
Stese  parte  a  sinistra  al  mezzogiorno, 
E  '1  duca  d*  Alva  a  cura  lor  prepose  : 
Stetter  distinti  in  debiti  intervalli 
A  difesa  comun  fanti  e  cavalli. 


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96  POEBfl 

Fremeano  i  Catalani,  e  quei  che  manda 
La  ferule  Sicilia  al  destro  lato. 
Quei  che  Maiorca  e  Andalusia  comanda, 
Quei  che  il  freddo  Aragone  avean  lasciato  ; 
Ma  si  vedca  ne  la  sinistra  banda 
Di  Cordova  e  Valenza  il  Tulgo  armato  : 
Quei  di  Leon,  d*  Asturia,  e  quei  che  a  prova 
Con  Murcia  alpestre  invia  Castiglìa  Nova. 

Nel  mezzo  intomo  al  re  viene  il  restante 
Del  campo  invitto,  ed  ei  medesmo  è  duce, 
E  con  angusto  intrepido  sembiante 
Sovra  un  baio  corsier  d'ostro  riluce. 
Fra  i  piùgrandilosiegueErnandoavante, 
Seco  al  pari  Darassa  il  re  conduce  ; 
Poi  dice  ad  Altabruno  :  ove  la  selva 
Copre  il  fianco  nemico ,  i  tuoi  rinselva. 

Quando  fia  poscia  il  gran  conflitto  acce- 
Tu  del  campo  africano  urta  le  spaile,  [so, 
Ond*egii  fia  con  maggior  danno  offeso, 
E  di  sangue  nemico  empi  la  valle. 
Te  di  tale  opra  esecutore  ho  preso. 
Che  puoi  della  vittoria  aprire  il  calle  : 
Cosa  nuova  da  te  non  si  richiede , 
Ma  l'usato  valor,  1* usata  fede. 

Andrò  nel  bosco,  il  cavalier  rispose. 
Per  insolite  vie  come  ti  aggrada , 
E  dove  più  saran  Tarmi  dannose, 
A  la  vittoria  io  ti  aprirò  la  strada. 
Ben  è  ragion  che  tu  1*  usate  cose 
TI  prometta,  o  signor,  da  la  mia  spada  : 
Mi  fia  legge  fatale  il  tuo  comando  : 
Vivrò  vincendo ,  o  morirò  pugnando. 

Tacque ,  e  di  sua  fortuna  1  duri  eventi 
Troppo  veri  augurò  con  questi  detti  : 
Indi  i  suoi  di  rapine  e  d*  ira  ardenti 
Entro  al  bosco  vicin  guida  ristretti. 
Trascorre  il  re  veloce,  e  a  l'altre  genti 
Propon  di  nuove  glorie  usati  efletti  ; 
E  magnanimo  parla  in  tal  maniera 
A  l'esercito  suo  di  schiera  in  schiera  : 

Se  non  fussero  a  me  per  tante  prove 
Note  l'opere  vostre,  o  miei  soldati, 
Forse  In  voi  tenterei  con  arti  nove 
Seminar  di  virtù  sensi  onorati. 
Direi  che  le  vittorie  e  l  premj  altrove 
Sospirati  da  voi  sono  adunati 
In  questo  giorno  appunto,  e  in  questo  loco. 
Dove  immenso  il  guadagno,  e  '1  rischio  è 
poco. 

Direi  che  in  quelle  schiere  ed  In  quel 
È  riposta  dei  Mori  ogni  speranza  ;   [duce 
Onde ,  se  il  valor  prisco  in  voi  riluce, 
Aìnti  costor,  non  altro  intoppo  avanza. 


EROia. 

Direi  che  quella  turba  In  guerra  adduce 
Priva  d'armi,  d'ardire  e  d'ordinanza. 
Non  rispetto  d'onor,  legge  di  fede. 
Ma  con  tema  servii  brama  di  prede. 

Direi  ch'audace  si,  ma  non  esperto 
D'arti  guerriere  il  capitan  garzone 
Forse  nel  boschi  d'orrido  deserto 
Con  le  belve  africane  ebbe  tenzone. 
Ma  l'onor  di  tal  opra  e  di  tal  merto 
Diasi  a  privato  avventurier  campione; 
D'altra  lode  si  vanta,  e  d'altra  legge 
Chi  gii  eserciti  aduna,  e  chi  gii  regge. 

Direi  più  chiaro,  e  vi  porrei  davinte 
De  la  perdita  11  danno,  e  più  lo  50onio« 
La  patria  lagrimosa  e  supplicante , 
L'afllitte  mogli,  e  1  mesti  figli  intorno, 
lo  vi  direi  che  tante  ingiurie  e  tante 
0  vendicar  dovete  in  questo  giorno , 
0  che  avete  a  patir  miseri  servi 
Del  Moro  vincltor  gli  odj  protervi,  [glìo 

Ma  ciò  tralascio ,  e  rammentar  non  vo- 
Quanto  acerbo  saria  mirar  da  gli  empj 
Con  grave  sì ,  ma  Inutile  cordoglio 
Violati  i  sepolcri ,  ed  arsi  1  tempj. 
Pensate  di  veder  barbaro  orgoglio 
Far  de  1  teneri  figli  orridi  scempj  ; 
Pensate  di  veder,  che  prigioniere 
Servono  a  sozzo  amor  le  donne  ibere. 

Tutto  lascio  da  parte ,  e  non  ritardo 
Con  le  parole  mie  le  vostre  prove , 
Né  propongo,  o  miei  fidi,  altro  riguardo 
A  la  virtù  già  conosciuta  altrove. 

50  che  voi  non  temete  il  suon  bugiardo 
Di  linguaggio  siranier,  di  genti  nove; 
Tirchi ,  Egizi ,  Etiopi  ed  Indiani 
Sono  vani  romori ,  e  nomi  vani. 

Quante  volte  da  noi  vinti  restaro 
In  varie  guerre  i  Saracini  e  i  Morì , 
Da  cui  per  vanto,  e  per  trofeo  più  chiaro 
Questa  gente  deriva  i  suol  maggiori? 
Contra  11  ferro  Cristian  debil  riparo 
Son  di  cuoio  e  di  lin  rozzi  lavori  : 
Durate  voi ,  che  in  una  breve  pugna 

51  vince  il  campo,  e  la  città  si  espugni. 
Cosi  poi  goderà  dopo  mille  anni 

Intiera  libertà  l'afllitto  regno, 
E  del  vostro  valor,  dei  vostri  affanni 
Nobil  frutto  sarà  fatto  sì  degno.  [ni 

Ma  che  più  ?  l'onor  vostro,  e  gli  altrui  dan- 
lo  preveggo  distinti  a  più  d' un  segno  : 
Son  vosco ,  ma  per  me  nulla  desio  ; 
Le  prede  a  voi ,  serbo  le  glorie  a  Dio. 
Disse,  e  tonò  da  la  sinistra  il  cielo. 


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IL  CONQUISTO 
Db  baleno  indorò  con  Faria  11  campo, 
E  dei  suoi  detti  accompagnando  il  zelo 
A  la  nuoTa  tattaglia  accese  il  campo. 
Chito  Micliel  di  luminoso  toIo 
Fa  r  autor  di  quel  tuono,  e  di  quel  lampo  : 
Dei  Cristiani  a  faTor  schierò  quel  segno 
(Cosi  crede  pietà)  l'empireo  regno. 

Da  l'altra  parte  il  giovine  Alimoro 
Con  forma  egual  l'esercito  dispose  : 
Per  sé  tenne  nel  mezzo  il  popol  moro. 
Gli  Egizi,  e  quei  di  Barca  a  destra  pose. 
Collocò  da  sinistra  incontro  a  loro 
I  Neri,  e  gii  Etiopi,  indi  prepose 
n  circasso  Orcomanne  ai  destro  lato; 
UtL  Termnte  il  sinistro  era  guidato. 

CUama  poscia  i  Numidi  e  i  Trogloditi, 
Esperti  sagìtUri,  e  loro  impone 
Che  precorrano  ognun  lievi  e  spediti , 
E  dian  principio  a  la  crudel  tenzone. 
Coo  presidio  opportun  lascia  muniti 
Gli  steccati ,  e  gl'infermi  ivi  ripone, 
E  gl'inutili  a  l'armi  :  in  cotal  guisa 
La  gente  saradna  era  divìsa. 

Sdiierato  il  campo,  il  giovine  africano 
Scorrendo  va  sopra  un  destrier  feroce 
Di  pel  morello,  e  di  tre  pie  balzano, 
E  col  guardo  favella,  e  con  la  voce  : 
Mon  varcaste  l'Atlante,  e  l' Oceano, 
E  de  l'erculeo  mar  l'orrida  foce. 
Guerrieri  miei,  perchè  arrivati  in  Spagna 
Yol  perdeste,  e  fuggiste  a  la  campagna. 

So  che  dal  patrio  lido  aura  d'onore 
Vi  9pÌDat  a  liberar  ^  oppressi  amici; 
E  so  che  voi  col  solito  valore 
N'andrete  a  soggiogar  gli  empj  nemid. 
Dooqoe  Inutil  sari  che  al  vostro  core 


DI  GRANATA.  97 

Io  procuri  accostar  caldi  artifici 

Per  infiammarvi  a  quella  pugna  Istessa 

Che  voi  tanto  bramaste,  e  che  si  appressa. 

Sol  dirò  che  in  breve  ora  èqui  ristretta 
Libertà,  servitù,  vergogna,  e  gloria, 
E  che  quinci  da  voi  l' Afric' aspetta 
0  di  biasmo,  o  di  lode  alta  memoria. 
Se  vincete,  io  vedrò  tosto  soggetta 
La  Spagna  riverir  la  mia  vittoria  ; 
Granata  goderà  gli  antichi  onori , 
E  saran  vostre  prede  ampi  tesori. 

Né  vi  rechi,  o  soldati,  alcun  spavento 
0  Ferrando ,  o  l' esercito  cristiano  ;    [to. 
Poiché  alfine  il  lor  grido  è  un  fumo,  un  ven- 
Che  sparisce  vicino,  e  appar  lontano. 
Quel  titolo  di  Grande  è  un  ornamento. 
Che  dona  un  re  sagace  a  un  popol  vano. 
Che  non  sa  de  la  guerra  i  duri  modi. 
Ma  fra  i  lussi  di  corte  usa  le  frodi. 

Vinse  talor,  noi  niego,  e  di  dò  fanno 
Questi  campi  distrutti  aperta  fede; 
Ma  fu  de  l'onor  suo,  del  nostro  danno 
La  discordia  dei  Mori  unica  sede. 
Or  non  vagliono  più  l'arte  e  l'inganno  : 
SoflìBrenza  e  valor  l' opra  richiede  : 
A  noi  dunque  farà  breve  contrasto 
Di  gente  ambiziosa  inutil  fasto. 

Su,  a  l'armi  su, voi  non  sperate  altron- 
Che  vincere,  0  morire  oggi  conviene  :  [de  ; 
Del  procelloso  mar  le  torbide  onde 
Tolgono  di  fuggir  l' ultima  spene. 
0  drizzate  i  trofei  su  queste  sponde, 
0  morite ,  o  vivete  a  le  catene. 
Ma  del  vostro  valor  perchè  diflido  t 
Noi  vincerem,  voi  seguiute,  io  guido. 


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POEMI  SACRI. 


TORQUATO  TASSa 


LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO. 


GIORNATA  PRIMA. 
Nella  quale  Dio  creò  il  Cielo,  U  Terra,  e  la  Luce,  e  la  distinae  dalle  tenebre. 


Padre  del  cielo,  e  tu  del  Padre  eterno 
Eterno  Figlio,  e  non  creata  prole. 
Dell' immutabll  mente  unico  parto; 
Divina  immago,  al  tuo  divino  esempio 
Egual  ;  e  lume  pur  dì  lume  ardente  : 
E  tu,  che  d*  ambo  spiri,  e  d' ambo  splendi, 
O  di  gemina  luce  acceso  Spirto, 
Che  se'  pur  sacro  lume,  e  sacra  fiamma, 
Quasi  lucido  rivo  In  chiaro  fonte , 
E  vera  Immago  ancor  di  vera  immago. 
In  cui  sé  stesso '1  primo  esemplo  agguaglia 
(Se  dir  conviensi),  e  triplicato  Sole,  [stri  : 
Che  Talme  accendi,  e  1  puri  ingegni  ìllu- 
Santo  don,  santo  messo,  e  santo  nodo, 
Che  tre  sante  persone  in  un  congiungi  : 
Dio  non  solingo,  in  cui  s'aduna  *1  tutto. 
Che  *n  varie  parti  poi  si  scema  e  sparge  : 
Termine  d'infinito,  alto  consiglio, 
E  dell'ordine  suo;  divino  Amore, 
Tu  dal  Padre,  e  dal  Figlio  in  me  discendi, 
E  nel  mio  core  alberga;  e  quinci  e  quindi 
Porta  le  grazie,  e  'nspira  1  sensi  e  i  carmi, 
Perch'io  canti  quel  primo  alto  lavoro, 
Ch'è  da  voi  fatto,  e  fuor  di  voi  risplendc 
Maraviglioso,  e  '1  magistero  adorno 
DI  questo  allor  da  voi  creato  mondo , 
In  sei  giorni  distinto.  0  tu  l' Insegni,     [so, 
Che'n  un  sol  punto  chiudi  1  spazj,  e  *l  cor- 
Che  per  oblique  vie  sempre  rotando 
Con  mille  girl  fa  veloce  il  tempo. 


Piacciati  ancor  che  del  tuo  foco  all'aura 
Canti  'l  settimo  dì,  soave  e  dolce 
Ripo^  eterno.  In  cui  prometti,  e  rendi 
Non  pur  sedi  lucenti,  e  gioia  e  fesu. 
Ma  di  breve,  terrena,  Inceru  guerra 
Alfin  certe  lassù  corone  e  palme, 
E  trionfo  celeste.  0  pure  intanto 
Questa  quiete,  in  cui  m'attempo,  e  piango 
(Se  quiete  è  quaggiù  fra  '1  pianto  e  l'Ira) 
Somigli  quella,  a  cui  n'invita  e  chiama 
D*  iiifallibil  promessa  alta  speranza , 
Ch'  al  suon  d' eterna  gloria  '1  cor  lusinga. 
Tu  le  cagioni  a  me  del  nuovo  mondo 
Rammenta  ornai ,  prima  cagione  etema 
Delle  cose  create  innanzi  al  giro 
De'  secoli  volubili  e  correnti. 
E  qual  pria  mosse  Te,  cui  nulla  move, 
Motor  superno,  alla  mirabll  opra, 
Già  novissima  esterna,  ornai  vetusta,  [bo  ; 
Che  tutto  aduna  e  tutto  accoglie  'n  grem- 
E  serba  ancor  le  prime  antiche  leggi. 
Mentre  risplende  pur  di  luce  e  d'oro 
E  di  vari  colori  e  varie  forme 
Mirabilmente  figurata  a'  sensi. 
Dimmi ,  qual  opra  allora ,  o  qual  riposo 
Fosse  nella  divina  e  sacra  mente 
In  quel  d'eternità  felice  stato. 
E  'n  qual  ignota  parte ,  e  ^n  quale  idea 
Era  l'esempio  tuo,  celeste  Fabbro, 
Quando  facesti  a  te  la  reggia  e  *1  tempio. 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Torcile  1  sii,  ta  1  rireU  :  e  chiare  econte, 
Sipior,  per  me  fa' l'opre,  i  modi  e  l'arti. 
SgDor,  ta  se*  la  mano,  io  son  la  cetra. 
La  qiial  moesa  da  te,  con  dolci  tempre 
IH  soave  annonla  risnona,  e  molce 
D'adamantino  smalto  i  duri  affetti. 
Signor,  In  se*  Io  spirto,  io  roca  tromba 
Son  perme  steasoalla  tua  gloria  ;  e  langue. 
Se  Boo  m'inspiri  tQ,  la  voce  e '1  snono. 
Tta  le  tne  mararigUe  in  me  rimbomba. 
Signore  :  e  ila  tua  grazia  '1  nnoTO  canto  : 
Percfaè  non  pur  s' ascolti  in  riva  al  Tebro, 
Al  bel  Sebeto,  all'Amo,  al  re  de'  fiumi , 
Al  Mlndo,  al  Brembo,  al  Ren  gelato,  all'  I- 
Ma  dovei  Nilo!  suo' Ticini  assorda,   [stro. 
Eque!  che  fa  più  sordi  errore  e  colpa , 
DÓu  per  tempo,  o  tardi  a'  sacri  accenti. 
Pria  cbe  facesse  Dio  la  terra  e  '1  cielo. 
Non  eran  molti  Dei ,  né  molti  regi 
Discordi  al  fabbricar  del  nuoTo  mondo. 
Né  solitario  in  un  silenzio  etemo 
In  tenebre  Tiveasi  '1  soauno  Padre; 
Ma  col  suo  Figlio  e  col  divino  Spirto 
In  sé  medesmo  avea  la  sede  e  '1  regno; 
De'  suo'  pensati  mondi  alto  Monarca. 
Perch'  opra  fu  1  pensler  divina ,  intema , 
Né  d' uopo  a  lui  facean  le  schiere  e  l' armi, 
Né  teatro  alla  gloria,  in  cui  risplende 
Solo  a  sé  stesso ,  e  parte  altrui  s' involve. 
Ma  narrar  non  si  può,  né  'n  spazio  angusto 
Cape  dell'intelletto  umano  e  tardo. 
Come  'n  sé  stesso,  e  di  sé  stesso  '1  Verbo 
Generasse  ab  etemo;  e  '1  sacro  modo 
Dì  sua  progenie;  e  l'Ineffabil  parto 
Dd  suo  Figlittol,  che  'n  maestà  sublime 
A  sé  medesmo  adegua  assiso  a  destra. 
Tacda  l'antica  omai  Grecia  bugiarda 
La  progenie  di  Gelo  e  di  Saturno, 
£  de'  cacciati  Del  le  tronche  parti; 
E  i  Giganti  e  i  Titani  al  fondo  avvinti 
BeUa  tartarea,  tenebrosa  notte; 
E  ^  usurpati  seggi ,  e  'I  figlio  ingiusto 
Contaminato  dal  paterno  oltraggio; 
E  quella,  cbe  dal  capo  ei  fuor  produsse , 
l>ea  favolosa,  e  collo  scudo  e  l'asta; 
E  con  Osiri  e  col  latrante  Anubi 
Tacda  i  suo'  mostri  il  tenebroso  Egitto, 
Cbe  d' antiche  menzogne  'I  vero  adombra. 
O  (se  n'é  degno)  li  chiaro  suono  ascolti 
Di  lei ,  eh'  usdo  dalla  divina  bocca 
Dell'altissimo  Padre  innanzi  al  tempo 
Delle  cose  create,  e  seco  alberga 
D'antica  etemlU  gli  eccelsi  monti. 


DEL  MONDO  CREATO.  9» 

Primogenita  sua  neiralta  hice, 
A  cui  la  mente  umana  aspira  indamo. 
Questa  nata  di  lui  figliuola  eterna 
Sempre  fu  seco,  e  '1  raggirar  de'  lustri 
Non  l'è  vicino,  o  '1  varfar  degli  anni. 
E  non  erano  ancor  gli  oscuri  abissi , 
Né  rotto  avean  la  terra  1  primi  fonti , 
Quando  fu  conceputa;  e  l'erto  giogo 
Non  alzavano  ancor  Pirene  ed  Alpe, 
Ossa,  Pelio  ed  Olimpo  e  '1  duro  Atlante 

0  gli  altri  monti  ;  e  dall'  aperto  fianco 
Non  correan  ondeggiando  al  mar  1  fiumi 
Dalle  quattro  dd  mondo  avverse  parti , 
Quando  lei  partoriva  '1  sommo  Padre, 
Seco  era  allor  eh' a'  dechl  abissi  intorno 
Egli  facea  l'oscuro  cerchio  e  '1  vallo; 
Seco  era  allor  che  'n  cid  le  stelle  aflisse, 
E  l'acque  sue  librando  appese  in  alto; 
Seco  era  allor  ch'ali'  Ocean  profondo 
Termine  pose ,  e  die  sue  leggi  all'  onde. 
E  quand'ei  collocò  dell'ampia  terra 

1  fondamenti ,  era  pur  seco  all'  opro. 
Seco  '1  tutto  foralo  di  giorno  in  giomo. 
Quasi  scherzando  ;  e  fu  l'oprar  diletto. 
Ma  questa  fatt'avea  l' aurato  albergo 

Di  chiaro  stelle  e  d' oro  adorno  e  sparso, 
Alla  croata  Sapienza ,  e  'n  parte 
Lei  deU'eteraitJi  felice  e  lieU. 
Ma  quell'albergo  in  disusate  tempre 
Per  sua  natura  si  trasmuta  e  cangia  ; 
E  nel  suo  variar  già  quasi  algente 
Pur  diverrebbe  ottenebrato  in  parte; 
E  qnal  caduca  e  rainosa  mole 
Vacillar  già  potria;  però  s'appressa, 
E  giunge  a  lui  che  gli  è  sostegno,  e  'I  folce, 
E  tutto  dd  su'  amor  r  illustra  e  'nfiamma. 
Talché  non  si  dissolve  e  non  paventa 
Morte ,  o  mina  mal ,  né  caso ,  o  crollo 
Per  yicenda  di  tempo ,  o  per  rivolta.:    . 
Benché  pur  d'Isslon  la  ruota ,  e. U  pondo 
Del  Mauritano  stanco  altri  raccontL  [na 
Ma  'n  lui  s' acqueta ,  e  'n  contemplar  s'eter- 
La  celeste  magion ,  che  'n  sé  n'accoglie. 
E  quella  da  principio ,  a  Dio  presente , 
Pria  ch'd  facesse  'I  suo  lavoro  adomo, 
Seco  era  nel  prindpio  allorch'  d  volle 
Formar  co*  detti  le  mirabll  opre. 
È  buono  Dio ,  tranquillo  e  chiaro  fonte. 
Anzi  mar  di  bontà  profondo  e  largo, 
Cbe  per  invidia  non  si  scema,  o  turba  t 
Ma  quel  cb'é  buono  e  'n  sé  perfetto  ap- 
pieno. 
La  sua  bonute  altrui  comparte ,  e  versa. 


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100  POEMI 

Dunque  el  di  sua  bonU  fecondo  e  colmo, 
La  sparge,  quasi  un  mar  che  1*  onde  spar- 
ge; 
La  spiegò  come  un  Sol  che  spiega  I  raggi  : 
E  volere  e  natura  in  un  congiunse. 
E  quinci  fur  quasi  germogli  o  parti , 
Le  cose  poi  creale ,  in  cui  si  scorge 
Più  e  men  chiaramente;  e  dall'eccelse 
Insin  air  ime  ancor  riluce  e  splende. 
E  *n  tutte  '1  Creatore  alto  vestigio 
Di  lei  c'impresse,  e  figurolle  a  dentro. 
Ma  della  sua  bontà  la  vera  immago 
In  altre  appare ,  e  con  sembianza  illustre 
Son  degne  d' innalzare  al  ciel  la  fronte , 
Di  sua  divinità  parte  mostrando. 
Anzi  non  è  si  vii  di  pregio ,  o  'n  \ista 
Cosa  fra  le  create ,  o  si  lontana 
IDalle  pure  del  ciel  lucenti  forme 
Per  faticosa  via  non  move ,  o  serpe  ; 
0  non  s*  appiglia  'n  terra,  o  *n  dura  pietra. 
Che  bagni  *1  mar,  non  si  rìlrova  afiissa  ; 
0  non  giace  in  palude ,  o  'n  ima  valle , 
In  cui  non  si  ritrovi ,  e  non  sì  mostri 
Mirabil  arte  del  suo  Mastro  etemo , 
Che  fé*  di  nulla  *1  magistero  e  V  opre. 
Questa  fu  V  una  del  creato  mondo 
Alta  cagion,  ch'i  vari  effetti  adempie 
Di  sé  medesma ,  ed  infinita  avanza. 
E  non  mai  de'  suo'  doni  avara  e  parca , 
Sua  largita  comparte.  A  questa  arroge 
La  gloria  sua ,  che  star  non  deve  occulta. 
Ma  come  in  ciel  fra  gli  stellanti  chiostri , 
In  quel  sacro  al  suo  nome,  etemo  tempio, 
É  chi  r  adori ,  e  con  perpetuo  suono 
D'alta  voce  immortale  il  lodi,  e  canti  : 
Sicché  degli  onor  suoi  lieto  rimbomba 
L*  Orto  e  l' Occaso,  l'Aquilone  e  l'Austro  ; 
E  dell'eternità  gli  antichi  monti 
Risuonan  tutti  all'armonia  superna; 
Cosi  deve  quaggiuso  aver  la  terra 
Adoratori ,  e  chi  'n  sonoro  carme 
Sacrificio  di  laude  a  Dio  consacri  : 
Perchè  quanto  adempiè  supema  ed  alta 
Bontà  divina,  ancor  sua  gloria  adempia, 
E  colmi  il  tutto ,  e  co'  suo'  raggi  illustri 
Per  le  parti  di  mezzo  e  per  l'estreme. 

Già  di  quel  eh*  ab  eterno  in  sé  prescrisse 
Dio,  eh' è  senza  principio  e  senza  fine, 
Era  giunto  '1  principio  e  giunto  '1  tempo 
Col  principio  del  tempo.  E  qual  di  gorgo, 
0  di  pelago  pur  tranquillo  ed  alto. 
Che  senza  '1  moto  e  1*  onde,  e  posi  e  stagni, 
Esce  ttdvolu  *1  rapido  torrente  : 


SAGRI. 
Tal  dall*  eternità ,  che  'n  sé  ncoolU 
Si  gira,  e  di  sé  stessa  è  sfera  e  centro. 
Ornai  prendeva  '1  tempo  '1  moto,  e  *\  cono. 
Quando  'I  suo  Creator  lo  spazio  al  passo, 
E  la  misura  die ,  lo  stato  etemo. 
GÌ'  invlslblU  oggetU  appena  intesi , 
(Se  lece  dir  avanti)  erano  avanti. 
E  l'orìgìn  degli  altri  esposU  a'  sensi. 
Già  cominciava  allor,  che  'I  sommo  Padre, 
Che  'I  suo  Figlio  e  '1  suo  Spirto  aU'opre 

esterne 
E  comuni  fra  lor,  non  lascia  addietro. 
Die  '1  pensato  principio  al  nuovo  mondo, 
Più  d'ogni  creatura  antico  e  prisco. 
Il  sommo  ciel  creando,  e  l'ima  terra. 
Ma  come  di  sublime  e  chiaro  albergo. 
Che  pareggi  le  cime  agli  erti  coill  ; 
E  gli  aurei  tetti  infra  le  nubi  asconda; 
Il  principio ,  che  'n  lui  si  loca  e  fonda. 
None  l'albergo  ancora  :  e  'n  calle  obliquo 
Non  è  *l  principio  suo  l' Istesso  calle  : 
Cosi  lo  stabii  punto ,  onde  si  volge    [pò, 
11  tempo  in  sé  non  è  '1  suo  spazio  o  '1  tem- 
Che  parte  dal  principio,  e  'n  lui  ritorna. 
Dio  fece  nel  principio  *1  cerchio  estremo, 
E  quella ,  eh'  a  noi  par  costante  e  salda 
Sede ,  pur  fece  in  mezzo  all'ampio  giro  ; 
Né  fu  del  suo  poter,  che  sia  disgiunto 
Dell' etemo  volere ,  ombrato  effetto , 
Come  talor  del  corpo  opaco,  e  denso  [gio  ; 
È 1*  ombra ,  e  del  lucente  'I  lume  e  *l  rag- 
E  'I  voler  fu  potere  ed  opra  eletta. 
Ma  siccome  di  creta  in  Lesbo,  o  'n  Samo 
Mille  vasi  compone ,  e  'n  mille  guise 
n  suo  buon  mastro  li  colora  e  plnge  ; 
Né  consuma  '1  poter  coli' arte  insieme. 
L'arte  infinita,  onde  pon  fine  all'opre  : 
Così  del  mondo  il  Fabbro  eguale  a  un 

mondo 
Non  ha  la  possa ,  che  soverchia  '1  tutto, 
E  mille  mondi  e  l'infinito  eccede. 
Quel  che  ne'  vari  e  smisurati  campi. 
In  cui  trovar  non  lece  il  sommo,  o  l'imo. 
Né  *i  manco  ivi  segnar,  né  '1  lato  destro  ; 
Dal  vago  incontro  di  minuti  corpi 
Commossi  a  caso,  e  'n  lungo  error  volanti, 
Simili  a  quel  ch'ove  risplende  'I  Sole, 
Talor  veggiamo  in  varia  turba  e  mteta. 
Fa  vari  mondi ,  e  li  riforma  e  guasta, 
E  di  sito  diversi  e  di  figura  : 
Mentr'egli  insieme  gli  congiunge,  o  parte. 
Tela  forma  d'Aracne,  e  fral  contesto. 
Che  leggermente  poi  disperde,  o  solve 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Mia  rortuna  errante  'I  soffio  e  l*aura , 
O  'I  dubbio  respirar  del  corso  incerto. 
Ma  queste  (se  dir  lece}  alte  colonne    [già. 
Forma  In  ben  salda  base,  e  'n  lor  s*appog- 
Comc  a  lui  piace,  la  profonda  terra; 
E  crollar  non  la  può  tempesta,  o  turbo, 
Ma  solo  il  suo  Toler  la  move  e  scuote. 
n  suo  voler,  clie  d' infiniti  abissi 
Ha  tenebrose,  oscure,  alte  latebre. 
In  cui  s'aperti  avesse  i  ciechi  lumi 
Quel ,  eh'  i  termini  tolse  al  vasto  mondo , 
Le  fiammeggianti  mura  a  terra  sparse , 
E  1  vano  immenso  col  pensier  trascorse, 
Non  avrla  dato  a  Dea  fallace  ed  orba 
Della  terra  e  del  eie!  lo  scettro  e  '1  regno. 
FoOe  !  che  non  conobbe  '1  modo  e  l'arte, 
Per  cui  creato  è  '1  mondo,  al  primo  esem- 
Che  1  divin  Architetto  in  sé  dipinse  [pio. 
Maggior  dell' opra  assai,  che  poscia  offerse 
Quasi  da  contemplare  oggetto  ai  sensi. 
Ma  qual  mastro  terren  scolpisce  e  forma 
DI  predosa  gemma  in  giro  angusto 
il  cielo  e  i  suo'  lucenti  e  vaghi  segni  ; 
Tal  U  Fabbro  immortale  in  queste  im- 
Sparse  di  varie  luci  erranti  sfere  [presse 
L*  Interna  idea ,  cui  non  è  pari  il  mondo  : 
E  da  lei  stanca  è  la  materia ,  e  perde, 
La  qual  creata  fu  dal  primo  Mastro , 
Che  fece  l'opra,  e  non  eletta  altronde, 
Ch'altra  orìgine  a  lei  si  cerca  indamo. 
Bla  al  suo  Creator  si  volge,  e  veste 
Vaga  di  sua  beltate  :  e  'n  rozzo  grembo 
MlUe  forme  colora  ;  e  in  mille  lumi 
Della  sua  luce  in  varie  guise  accende. 
Chi  ponei  due  prìncipj ,  e  '1  doppio  fonte  ; 
E  quinci  I  beni  sol  deriva,  quindi 
Origina  di  mali  ampi  torrenti  ; 
0  divide  l'imperio,  o  'n  due  l'adegua 
E  di  tenebre  un  Dio  si  finge ,  ed  orna , 
E  la  di  sua  malizia  a  lui  corona. 
E  se  ciò  fosse,  in  contrasUr  rubella 
La  materia  sarebbe ,  o  schiva ,  o  tarda 
SI  mostreria  sotto  'I  contrario  manto 
Aquelche  la'nvagfal  pur  dianzi  e  piacque. 
Ma  noi  vegglam  eh*  ella  bramosa  e  pronta 
L«  forme  accoglie ,  e  le  trasmuu  e  varia , 
Come  place  a  colui  che  si  r  adoma. 
Forse  nelle  più  beile  è  più  costante  ; 
Ed  in  guisa  di  lor  sue  brame  adempie. 
Che  spogliar  sen  ricusa,  anzi  che  '1  mondo 
Rnlnoso  vacilli  ;  e  'I  corso  obliquo 
Ce«i  del  Sole  e  deU' erranti  stelle. 
Ma  ila  por  questa  In  del  materia,  od  altra 


DEL  MONDO  CREATO.  foi 

D'altra  ragion  :  d'eterniti  superba 
La  materia  non  vada ,  e  non  s'agguagli 
Per  antica  vecchiezza  e  veneranda 
A  quel  degli  altri ,  e  suo  vetusto  Padre , 
E  vetusto  Signore  e  Dio  vetusto. 
Dunque  lo  Spirto  suo  non  poscia,  od  ante, 
Ma  colle  forme  la  creò  spirando, 
E  di  bellezza  e  di  bontà  divina 
Spirolle  al  seno  un  desiderio  interno. 
Un  vago  istinto,  anzi  un  leggiadro  amore, 
Gh'  alla  natia  dio  fine  orrida  guerra , 
Per  cui  ritrosa,  fella  e  ribellante 
Era  a  sé  stessa ,  in  suo  furor  discorde  ; 
Se  dir  si  può  che  mai  la  terra  al  foco 
Fosse  confusa  in  quella  orribil  mischia. 
Né  foco  era ,  né  terra,  e  l'aria  e  l'onde 
Si  distruggean  nelle  contrarie  tempre. 
E  ciascuna  di  lor  nel  dubbio  acquisto 
Se  medesma  perdeva ,  e  fiera  morte 
Era  la  sua  vittoria,  e  l'imo  al  sommo 
Male  adeguato ,  e  mal  confuso  appresso. 
Onde  quella  Incomposta  e  rozza  mole 
Né  tutto  era,  né  nulla,  e  nulla  parve 
Fu  questa  forse  immaginata  guerra , 
E  d'altra  guerra  pur  immago  ed  ombra, 
E  simulacro  di  tenzon  maligna , 
Che  fé'  natura  al  suo  Fattore  avversa. 
Ma  r  alto  Dio  creò  quasi  repente 
La  materia  e  le  forme.  E  qual  sia  prima 
0  questa,  o  quelle,  io  non  mi  glorio  e  vanto 
Già  di  provare  in  periglioso  arringo , 
Dall'accademia  uscito  e  dal  liceo. 
Ma  pur  l'arte  divina  é  prima ,  e  vince 
L'altre  per  dignitate ,  e  vince  '1  tempo. 
Ma  l'arte  umana  pargoleggia,  e  sembra 
Negli  scherzi  fanciulla  all'opre  intorno. 
Prima  vestia  le  mansuete  agnelle 
La  bianca  lana;  e  poi  la  tesse,  e  tinge 
11  buon  testore ,  e  'n  rugiadosa  conca 
Porpora  coglie  pur  Sidone  e  Tiro, 
Quasi  marini  fiori.  E  l'alto  pino 
Pria  con  acute  foglie  in  verdi  monti 
Frondeggia,  o  pur  l'abete,  o  l'orno,  o  '1 
Poscia  l'arte  ne  fa  le  navi  e  l'aste,   [cerro; 
Prima  nell'ampio  sen  la  terra  avara  [ma 
Nasconde  '1  ferro,  e  quinci  'I  tragge,  efor- 
L' industria  umana  o  spada,  o  lucid'  elmo, 
Od  innocente  a'  duri  campi  aratro. 
Ma  quella  Innanzi  al  tempo ,  e  Innanzi  al 
Arte  divina  fé'  la  terra  e  '1  cielo,    [mondo 
Ed  intiero  ciascun ,  né  parte  addietro 
Lasciò  ;  ma  riempi  gii  estremi  e  '1  mezzo. 
E  'n  lor  dispose  *1  foco  e  l' aria  e  l'onda , 


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102  POEMI 

Ch'alia  term,  graTOsa  e  rcrma  tede* 
Stese  le  braccia  monnorando  intorno. 
Vaga ,  instabil ,  ma  grave  ;  e  *n  giro  cinta 
Fu  dall'  aria  più  vaga  e  più  leggiera. 
E  levissimo  '1  foco  a  lei  corona 
Fece ,  e  vicino  al  ciel  suo  loco  scelse. 
Cosi  r  arte  divina  insieme  avvinse, 
Quasi  catena  inanellata  e  salda, 
Gli  elementi  fra  lor  vari  e  discordi, 
E  fra  gli  estremi  per  natura  avversi 
Pose  in  parte  contrari ,  in  parte  amici , 
In  due  di  mezzo  :  e  fé'  costante  e  fermo 
In  questa  guisa ,  e  'ndissolubil  nodo. 
Invisibile  ancor  la  nuda  terra 
Era  dianzi  creata,  e  non  adoma. 
Quasi  nuovo  teatro,  e  voto  i  seggi. 
In  cui  non  sia  chi  miri ,  o  pur  contenda  : 
Che  naU  ancora  i  miseri  mortali 
Non  erano  a  vederla,  e  vasu  ed  erma 
Solitudine inculta  i  campi,  e  i  monti 
Empiea  d'orrore,  e  ie  deserte  arene , 
Non  spiegavano  ancor  l' ombrose  chiome 
Gli  alberi  eccelsi  ;  e  di  lor  fronde  ed  ombra 
Non  facean  vaga  scena  a'  verdi  colli. 
Non  fiorivano  ancor  rose  e  ligustri  ; 
E  i  giacinti  e  1  narcisi  e  gli  altri  fiori 
Non  dipingeano  'i  seno  a  prati  erbosi , 
Né  fean  lieta  ghirlanda  a'  chiari  fonti. 
Era  quasi  coperta  ancor  dall'acque  ; 
Che  parea  tenebroso  e  fosco  '1  velo, 
Ond' ascosa  tenea  l' orrida  faccia 
E  le  squallide  membra  e  '1  rozzo  grembo, 
Quasi  attonita  ancor  l' antica  madre. 
E  '1  ciel  sublime  ancor  non  era  adomo  ; 
Né  '1  mirabil  lavoro  in  lui  disUnto 
Splendea  d'un  bel  sereno  e  d'aurei  freg], 
E  di  segni  lucenti.  E  '1  Sol  rotando 
Non  scuotea  ì'fanmortale  ardente  lampa. 
Né  la  candida  Luna  in  colmo  giro 
Gli  si  opponeTa,  o  con  argentee  coma 
Per  distorto  cammin  volgeva  '1  corso. 
Mancavan  le  carole  e  '1  suono  e  1  cori , 
E  delle  stelle  fisse  e  dell'erranti; 
Lui  non  clngeano  ancor  l' alte  corona; 
Né  creata  era  ancor  la  vaga  luce. 
Ma  sulla  faccia  degli  oscuri  abisal 
Eran  tenebre  oacure.  In  tale  aspetto 
Nascendo  ancor  non  si  vedeva  '1  mondo^ 
Ma  qua!  fur  (se  spiarlo  a  noi  conviene) 
Quelle  tenebre  antiche  e  quegli  abissi? 
Quando  non  anco  il  Soie  ad  altre  genti 
Portando  '1  giomo  :  a  noi  la  notte  e  l'ombra 
Alfeote,  uadi  dal  grembo  opaco  e  denso 


SAGRL 

Della  terra,  e  giungeva  insin  ai  cietot 
Né  gbk  molte  potenze  Incontra  opposi» 
Gli  abissi  fur,  com'akri  estima  a  torto: 
Né  le  tenebre  furo  al  bene  avrerie, 
E  di  gran  forza  potestà  maUgna. 
Perché  se  fosse  pari  al  bene  il  male 
Di  possa  e  di  valor,  perpetua  guerra 
Saria  fra  loro,  anzi  perpetua  morie. 
Morendo  'nsieme  i  vincitori  e  1  vinti* 
Ma  se  '1  ben  di  potere  avanza  e  vince. 
Perché  non  si  distragge  '1  male,  e  stcrpat 
Deh  !  sarà  mai  che  senza  mali  il  mondo 
Solo  di  beni  abbondi?  e  parte,  o  loco 
Più  non  si  lasci  all'importuna  Morte? 
Ma  trionfi  la  Vita,  e  Morte  ancida 
Nella  vittoria  ?  e  dell'antica  fraudo 
Non  rimanga  fra  noi  vestigio,  od  oratt 
Or  non  ardisca  Ingiuriosa  lingua. 
Che  si  rivolge  in  Dio ,  profana  e  lorda, 
E  le  bestemmie  in  lui  saetta  e  vibra. 
Non  ardisca  aflermar  die  '1  mal  derivi 
Generato  da  lui,  ch'é  largo  fonte 
Ond' ogni  bene  a  noi  si  sparge  e  spande. 
Perché  nlun  contrario  (omai  distingui 
Si  genera  dall'altro,  o  si  produce* 
Benché  se  cade  l' uno  in  terra  estinto. 
Pur  l'altro  dopo  lui  risorge  e  vive, 
E  dal  simile  anzi  é  prodotto,  e nasee 
Il  suo  simìl ,  come  dal  foco  il  foco. 
Ma  dalla  chiara  luce  indarno  uom  tenta 
Dar  principio  alle  tenebre  maligne; 
E  dalla  morte  originar  la  vita, 
0  pur  da'  morbi  la  salute  agli  egri 
E  miseri  mortali.  Or  non  c'inganni 
Falsa  di  verità  sembianza  e  larva. 
Non  é  natura  '1  mal,  non  vera  essenia: 
Né  di  lui  ricercar  lontane  parti  ; 
Né  pur  d' intorno  a  te  riguarda ,  o  fuori, 
Come  sia  cosa  in  sé  fondata ,  e  salda  ; 
Ma  'n  te  stesso  '1  ritrova,  e'n  mezzo  all'alma 
Rimira  lui ,  pur  quasi  macchia ,  od  ombra 
Di  volontaria  colpa ,  e  di  gradita. 
A  te  medesmo  sei  perpetuo  fabbro 
De'  propri  mali ,  e  li  colori  ed  orni  ; 
E  'nvaghito  di  lor,  con  vano  affetto. 
Pur  com'idoli  amati ,  in  te  gli  adori  ; 
Ma  la  vergogna  e  l' Unfelice  esUlo , 
E  l'odiosa  povertate ,  e  quella. 
Che  tanto  ne  spaventa ,  orrida  morte, 
Veri  mali  non  sono.  Or  oessl ,  o  lunge 
Vada  '1  Umor.  Ma  i  veri  beai  Indarno 
Ne'  contrari  quaggiù  ricerchi,  o  spati: 
Benchésia  nud,  quando  più  I  beni  a 


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LE  SETTE  GIORNATE 
L*  esser  prhro  itt  loro.  11  loco  adunque , 
Cke  priTato  è  del  bene,  il  male  adombra. 
E  le  tenebre  foro  (o  cb'io  Tanegglo) 
HeB* aria,  che  di  luce  è  prìTa,  e  cieca 
QaaliCate ,  od  affetto  antico ,  o  nuoto. 
Ma  se  più  antiche  for  del  nuoTO  parto 
5eir  oniTerso,  il  male  è  prisco  e  Teglio  : 
Ma  non  conrien  che  sia  più  vecchio  1  peg- 
gio. 
Dunque  era  luce  etema  innanzi  al  mondo, 
E  le  tenebre  esteme  ond*egII  è  cinto  : 
L«ce,  che  luce  alle  beate  menti, 
A'  «ensi  no,  ma  quel  ch'i  sensi  Illustra. 
E  questa  a*  sensi  esposta  adoma  mole , 
Tlslbil  lume ,  e  sol  di  luce  immago  : 
Iramago  che  s'adorna  al  primo  esempio  ; 
Esemplo  da  cui  lunge  11  Sole  è  raggio 
Qw  si  perturba  spesso  in  nube,  e 'n  ombra; 
Era  luce  increata  innanzi  al  mondo , 
Forse  e  creata  luce,  e  mille  e  mille 
Lustri  non  solo  e  secoli  volanti 
Erano  Innanzi  a  lui  rivolti  in  giro. 
Ma  quasi  eterniti  (se  dir  conviensi], 
Piecedevano  ancora  1  mondo,  e  *1  tempo 
Da  che  furo  creati  al  prhno  lume 
1  seooodi  splendori ,  Angeli  santi. 
Né  già  doveano  1  Principi  celesd , 
Le  DigniUti,  e  le  Virtù  sublimi, 
Taote  armate  lassù  d'oro  e  d'elettro 
GkMiose,  immortali,  elette  schiere. 
Tanti  eserciti  suoi  vita  sì  lunga 
In  tenebre  menare  oscura  e  fosca. 
S'eran  dunque  primler  create  menti, 
Era  creata  luce  ;  e  *n  festa  e  'n  canto 
Elle  già  si  vivean  lucida  viu, 
A  sembianza  di  lui  eh' è  vita  e  luce. 
Facendo  i  sacri  balli  e  liett  cori, 
E  I  sacrUId  di  sovrana  laude. 
Allo  splendor  della  sua  gloria  etema , 
In  quel  sereno  e  luminoso  impero. 
E  questa  luce  dagli  antichi  Padri 
Fu  già  promessa  a'  giusti,  e  i  giusti  avranno 
Sempre  luce  Immortal ,  sortiti  a  parte 
Della  luce  de'  Santi.  Avranno  incontra 
Pene  In  tenebre  eteme  Iniqui  spirti. 
Nelle  tenebre  allor  de'  ciechi  abissi 
Lo  Spirito  divino,  e  sovra  l'acque 
Era  portato ,  e  l' umida  natura 
Già  preparava.  Anch' ei  presente  all'opra 
Spirando  già  forza  e  virtude  all'onda, 
ìf  uccello  in  guisa ,  che  da  frale  scorza 
Gol  suo  caldo  vital  covata,  e  piena 
Trae  non  pennato  '1  figlio,  e  quasi  Informe. 


DEL  MONDO  CREATO.  103 

E  disse  :  FatU sia  la  luce;  ed  opra 
Fu  '1  deUo,  al  comandar  del  Padre  eterno. 
Ma  '1  suo  pariar  suon  di  snodata  lingua. 
Né  percossa  fu  già,  che  l'aria  hnprima 
Di  sé  medesma,  e  di  sua  voce  Informe; 
Ma  del  santo  voler,  eh' all' opre  inchina, 
Quell' inchinarsi  è  la  parola  intema. 

Cosi  la  prima  voce  e  '1  primo  impero 
Del  gran  Padre  del  del  creò  repente 
La  chiarissima ,  pura  e  bella  hice , 
Che  fu  prima  raccolta ,  e  poi  divisa, 
E  'n  più  lumi  distinta  'I  quarto  giomo. 
Sgombrò  l'orror,  le  tenebre  disperse  « 
Illustrò  da  più  lati  il  cieco  mondo  ; 
Manifestò  del  ciclo  11  dolce  aspetto; 
Rivelò  con  serena ,  alma  sembianza 
L'altre  forme  leggiadre;  e  d'ogni  parte 
Egli  indusse  la  cara  e  lieta  vista , 
Gioia  della  natura ,  ahno  diletto 
Della  terra  e  del  elei ,  piacere  e  gloria 
Della  mente  e  del  senso,  e  quasi  a  prova 
Delle  cose  mortali  e  dell'eterne. 
Ed  in  un  punto  l'Aquilone  e  T Austro, 
E  parimente  ancor  l'Occaso  e  l'Orto, 
Tutto  irrigato  fu  dall'aurea  luce. 
E  rapido  sembrò  mlrabil  carro , 
Vieppiù  del  tempo  e  del  pensier  veloce. 
Che  divina  rirtù  cosparga  e  porte. 
E  qual  carro  più  bello ,  o  più  veloce, 
0  bellissima  luce ,  o  luce  amica 
Della  natura  e  della  mente  umana. 
Della  divinità  serena  immago. 
Che  ne  consoli ,  e  ne  richiami  al  delo, 
Potea  'ntomo  portar  vlrtutl  e  doni 
Celesti  In  terra  a'  miseri  mortai 
Da  quei  tesori ,  e  da  quel  regni  eterni , 
Ch'  a  noi  dispensa  con  si  larga  mano 
De'  lumi  il  Padre,  e  '1  Donator  fecondo? 

Come  possente  re  di  Persi ,  o  d'Indi, 
Del  grembo  oscuro  dell'  avara  terra 
Preziosi  metalli  insieme  accoglie, 
E  dall'arene  pur  d'oro  cosparte 
E  dal  profondo  mar  le  perie  e  gli  ostri 
Aduna  ;  e  i  bei  rubini  a  questi  aggiunge, 
E I  bei  smeraldi  e  1  lucidi  giacinti, 
E  qual  pregiata  più  s'indura  e  'mpetra 
Nell'Oriente  luminosa  gemma  : 
Così  dell'universo  11  Re  superno 
Nel  cielo  empireo  ascoso  a'  vaghi  sensi, 
E  ignoto  al  contemplar  degli  alti  Ingegni, 
Che  misurar  degli  altri  I  giri  e  'I  corso. 
Ha  di  luce  divina  etera!  ed  ampi 
Tesori ,  e  quinci  poi  gli  parte,  o  sertMU 


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104  POEMI 

Anzi  ristesso  cielo  è  pura  luce. 
In  cui  nulla  giammai  si  turba,  o  mesce. 
Luce  '1  suo  tempio  adomo,  e  l'alta  reggia 
E  son  di  luce  le  corone  e  Tarmi, 
Onde  gli  eletti  suoi  circonda  e  veste. 

Ma  vedendo  quaggiù  creata  luce. 
Disse,  eh'  è  buona;  e  '1  testimonio  aggiunse 
Della  sua  voce,  anzi  *1  giudizio  espresso. 
E  perch'è  buona  e  bella,  e  non  si  vanti 
Per  bellezza  di  parti  aggiunte  insieme, 
E  con  giusta  misura  in  un  composte, 
La  natura  terrena ,  o  la  sublime  ; 
Né  ricerchi  in  frondosa  ed  ima  valle 
Di  mal  cauto  pastor  giudicio  errante, 
E  fallace  sentenza  :  Espero  in  cielo. 
Espero  miri  in  del  lascivo  sguardo. 
Che  Lucifero  è  poi  recando  '1  giorno, 
E  la  sua  desiata  e  chiara  luce  : 
E  di  sua  puritate  i  sensi  appaghi , 
Perch'ascenda  la  mente  a'  primi  oggetti. 
Però  Dio  separò  la  chiara  luce  : 
Dalle  tenebre  oscure; e  1  nomi  impose. 
Queste  notte  chiamando,  e  giorno  quella. 
E  fece  solo  un  dì  da  mane  a  sera , 
Fra'  tenebrosi  e  lucidi  confini 
Quinci  e  quindi  ristretto,  a  cui  rotando 
Il  Sol  non  stabilì  l'eccelsa  meta. 
Mentre  in  sé  stesso  pur  ri  toma  e  gira  i 
Ch'  ei  non  aveva  ancor  la  forma,  o  '1  corso. 
Ma  quel  che  fu  del  tempo  etemo  Fabbro, 
Gli  die  lo  spazio,  la  misura  e  1  segni  : 
E  col  quattro  e  col  tre  rivolse  in  giro 
Le  sue  misure,  e  riempiè  d'un  giorno, 
Che  sette  volte  in  sé  si  volge,  e  riede 
Ck»n  tal  numero  pur,  lo  spazio  intero. 
Quesu  figura  ha  in  sé  principio  e  fine  : 
Ed  ali'etemitA ,  non  solo  al  tempo , 
Conviensi  ;  and  del  tempo  è  quasi  un  capo; 
Però  di  esser  primiera  ancor  si  sdegna, 
Perchè  il  suo  Creator  scacciata ,  e  scevra  | 


SACRL 
La  scompagnò  dall'  altre,  e  quasi  Impresse 
Delia  sua  nota ,  onde  sen  va  solinga. 
Questa  è  dì  del  Signor,  da  lui  s'appella. 
Che  nomarsi  dal  Sole  a  sdegno  prende; 
E  da  sé  caccia  1  miseri  mortali 
Intenti  all'opre  faticose  e  'ndegne. 
Questa  è  dì  del  Signor  grande  ed  illustre  ; 
Alfin ,  quando  che  sia ,  sarà  disgiunta 
Dal  numero  de'  giorni,  anzi  degli  anni, 
£  de'  lustri  e  de'  secoli  correnti  ; 
Ned  altra  a  lui  sarà  seconda,  o  terza. 

Ma  voi,  che  del  Signor  cercate '1  giorno. 
Deh  non  seguite  1  sogni  antichi  e  l'ombre 
Di  questo  dì  nell'orrida  tenèbra: 
Seguite  omai,  eh' a  voi  riluce  e  splende 
La  chiara  dell'ottava  e  nuova  luce. 
La  qual  non  corre  faticosa  al  vespro  : 
Non  ha  sera,  oconfin  di  fosco,  o  d' ombra  ; 
Ned  altro  in  lei  succede  in  giro  alterno. 
Giorno  finito  da  nemica  notte; 
E  costante  sarà  felice  stato 
Alfine,  e  resterà  solinga  ed  una. 
Giorno,  o  secolo  sia,  che  pur  s' eterni, 
Questa  a  voi  dimostrò  ne'  primi  tempi 
Del  profetico  spirto  il  chiaro  suono. 
Questa  poi  dimostrò  quando  risorse. 
In  guisa  di  leone,  il  Re  celeste, 
E  trionfò  del  tenebroso  inferno* 
E  quella  che  per  lui  guerreggia  e  vince, 
Santa  Chiesa  di  Roma ,  a  voi  l'insegna, 
E  la  celebra  in  sacri  accenti,  ed  orna 
Di  ben  mille  sacrate  ed  auree  spoglie. 
E  d'altissimo  seggio,  in  cui  s'adora, 
Pur  anco  a  voi  la  benedice,  e  segna 
Quegli  al  cui  sacro  regno  in  cielo  e'n  terra 
Non  è  confine,  o  meta.  E  ben  conviensi 
Che  l'Ottavo  Clemente  '1  giorno  ottavo 
Della  divina  luce  1  cori  illustre, 
E  1  rozzi,  tenebrosi  e  tardi  Ingegni. 


GIORNATA  SECONDA. 

Nella  quale  Dio  creò  il  Firmamento,  con  le  Stelle,  e  divise  le  Acque  superiori 
dalle  inferiori. 


Anzi  le  porte  del  mirabil  tempio. 
Che  si  porUva  d' una  ad  altra  parte. 
In  lochi  aperti  e  neU' aperto  cielo. 
Cui  tetto  non  ricopre,  o  velo  adombra. 
Erano  esposti  alle  praine,  al  ghiaccio. 
Al  torbido  spirar  d' orridi  venti , 


E  del  fervido  Cane  a*  raggi  estivL 
E  'n  lor  già  s'accogliea  profana  turba, 
E  destinati  al  ferro  armenti,  o  gregge,   [do 
Tal  son  pur  quelli,  in  cui  n'  alberga  '1 1 
Nella  profonda  sua  parte  più  fosca. 
Di  lui  parlando,  e  di  terreni  obiettL 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Or  da  caUglnose  alte  tenèbre 
àà  trapassati  alla  serena  luce 
Siam,  dofe  in  sette  lumi  appar  distinto 
Il  candelabro ,  e  'nestinguibil  lampa , 
Lieta  e  sicura  dal  soffiar  dell'Austro, 
A  Dio  s*  accende  :  e  qui  d*  immondo  affetto, 
0  di  brutto  desio  le  parti  sacre 
Non  ha  contaminate  '1  puro  albergo. 
Limge ,  lunge ,  o  profani ,  ite  in  disparte. 
Or  chi  rimove  a  gran  misteri  il  velo, 
Sicché  n'appaia  fiammeggiando  in  ala 
L'alato  Cherobin,  qual  prima  apparse? 

Già  nel  suo  Figlio  avea  creato  il  Padre, 
Md  Figlio,  eh' è  principio,  il  primo  cielo, 
Cb'è  fuor  degli  stellanti  e  vaghi  giri. 
Già  si  godea  tranquilla  e  stabil  pace. 
Cui  non  perturba,  o  varia  '1  corso,  a  destra. 
Od  a  sinistra  pur  volgendo  intorno. 
Già  coir  empireo  ciel ,  di  pure  menti 
GII  angelici  splendori  insieme  accensi , 
Eran  del  sommo  Sol  diffusi  i  raggi  : 
£  s'altri  fur  creati  in  altre  parti , 
Far  di  grado  men  alto,  e  meno  eccelse 
Ebber  le  sedi ,  e  i  loro  ofiicj  e  l'opre. 
Già  rivolgeasi  da  mattino  a  vespro 
Lor  conoscenza  :  e  quasi  in  lucid'alba 
Ciascun  In  Dio  mirando  al  ver  s'illustra 
Ma  nelle  cose  quel  saper  s*  adombra , 
E  quasi  assera  :  e  già  la  grazia  e  '1  merto 
Gli  fa  beati,  e  gli  riempie ,  ed  orna; 
Quando  conllnuò  di  giorno  in  giorno 
Le  sante  maraviglie  il  Fabbro  eterno. 
Facciasi,  disse,  e  sia  cosunte  e  fermo 
In  mezzo  all'acque,  il  ciel  sparso  di  stelle, 
Lo  qual  divide  pur  l'acque  dall'acque. 
E  fece  un  chiaro  ciel  di  stelle  sparso , 
incontra  *1  tempo  di  robusta  forza, 
E  saldo  al  raggirar  d' un  lungo  corso; 
Perch'egli  al  variar  degli  altri  erranti 
Sia  quasi  certa  norma  e  certa  legge. 
E  col  denso  di  lui  l'acque  distinse 
Vaghe,  rare,  sottili,  preste  e  snelle, 
O  d'ondeggiante,  o  di  gelata  e  salda 
Matura  in  sé  raccolta  ;  e  dipartille , 
Altre  sotto  lasciando ,  altre  di  sopra. 

Così  Dio  fece  ;  e  '1  nome  imposto  al  cielo 
Da  sua  fermezza  il  firmamento  appella, 
Qnelche  l' uom  chiamò  poi  steilantesfera, 
O  pur  giri  stellanti  :  e  fatto  insieme 
Fu  da  mattino  a  sera  il  dì  secondo. 

Come  Dedalo  o  Scopa,  od  altro  antico 
D'artificio  gentil  famoso  mastro 
Prima  raccoglie  I  peregrini  marmi, 


DEL  MONDO  CREATO.  10& 

E  1  lucidi  metalli  e  i  cedri  eletti, 

I  qual  del  tempo  e  dell'età  vetusta 
L'invido  dente  non  consumi ,  o  roda  : 
Poi  forma  '1  tutto ,  e  la  superba  mole  [chi 
Comparte  e  compie ,  e  le  sue  volte  e  gli  ar- 
Fonda  sovra  marmoree  alte  colonne , 

0  pur  di  Caria  a'  simulacri  appoggia, 
E  fa  teatri  e  logge  entro  e  d'intorno 
Con  lavori  di  Ionia  e  di  Corinto  : 
Cosi  di  sua  materia  il  Fabbro  etemo 
Pria  r  universo  informa  e  poi  distingue 
Le  varie  parti ,  e  l'abbellisce  ed  orna. 
Né  vero  è  quel  che  si  descrive  e  mostra 
Da'  saggi ,  onde  la  Grecia  ancor  si  vanta, 
Che  tutta  la  materia  al  far  d'un  mondo 
Consumasse  ei  nell'  opra,  e  quinci  awegna 
Che  ne  facesse  un  sol ,  che  '1  tutto  cinge, 
E  tutto  accoglie  ancor  nel  vasto  grembo. 
Ned  infiniti  sono  i  mondi  e  i  cieli , 
Coui' altri  afferma,  che  d'opposta  parte 

II  furor  letterato  adduce  in  guerra. 
Ma  Dio,  Cile  generò  la  forma ,  e  'nsieme 
La  materia  del  mondo  alior  produsse , 
Molti  far  ne  potea,  di  bolle  in  guisa, 
Cile  di  spumoso  umor  riempie  'I  vento. 
Perchè  allato  al  poter  che  tutto  avanza , 
Son  quasi  gonfie  l>olle  1  mondi  e  1  cieli. 
Ma  pur  ne  fece  un  solo  il  Fabbro  etemo; 
Perch'uno  era  l'esempio,  ed  uno  il  ma- 
E  della  sua  virtù  formollo  impresso,  [stro  ; 
Uno  è  l'ordine  ancora,  e  'n  un  si  volge, 
Ma  'n  molte  sfere  si  comparte ,  e  gira 
La  somma  delle  sfere,  o  '1  sommo  cielo , 
Che  non  ha  moto,  onde  conosca  '1  senso 
Umano  e  'nfermo  le  sostanze  eterne. 
Corpo  ancora  non  è ,  ma  pura  forma. 
Che  di  serena  luce  arde  e  fiammeggia; 
E  questo,  empireo  del  fra  noi  s'appella. 
L'altro,  eh' è  pur  corporea  e  vagamele, 
E  conosciuto  ancor  da'  sensi  erranti, 

In  nove  giri  si  divide  e  voi  ve. 
E  della  sua  materia  è  lite  e  guerra. 
Per  cui  la  dialettica  faretra 
S'empie  d'acuti  sillogismi  a  prova 
E  n'armale  nemiche  avverse  parti. 
Altri  pur  di  mistura  informe  e  rozza, 
Ond'  uscir  gli  elementi ,  il  forma  e  finge 
Ruinoso  e  caduco ,  esposto  a  morte. 
Ma  colla  forma  sua,  che  tutto  adempie. 
Un  suo  desio  leggiadro  il  tiene  in  vita 
Etema  quasi  ;  ed  alle  cose  eterne 
Il  fa  sembiante  in  sì  mirabil  vista. 
Altri  degli  elementi  il  sommo  e  *1  puro. 


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fOe  POEMI 

Dall'  immoDdo  e  feccioso  aduna  e  sceglie, 
E  ne  figura  gli  stellanti  chiostri , 
C* hanno  dal  foco  la  serena  luce, 
E  dalla  terra  '1  suo  costante  e  saldo. 
Questi  libera  ancor  d* orrida  morie, 
Quasi  giudice  amico,  il  nato  mondo  : 
Non  per  natura ,  che  soggiace  a  fona 
DI  tenebrosa  morte  al  duro  fato; 
Ma  perchè  '1  suo  Fattore  *1  regge,  e  *1  folce, 
E  sol  per  suo  Tolere  eterno  il  serba. 
Altri  vieppiù  vicino  a'  primi  tempi , 
De'  suoi  quattro  principj  In  sé  diversi 
Alternando  le  volte,  il  face  e  guasta; 
Ma  come  vuol  Discordia,  o  vuole  Amore. 
E  se  Discordia  è  vincitrice  in  guerra , 
Ma  vinto  Amor,  nasce  il  sensibil  mondo. 
E  s'ali'  incontro  la  Discordia  è  vinta , 
Amor  vittorioso  '1  suo  riforma 
Agl'intelletti ,  e  'n  lui  trionfa  e  regna. 
Altri  un  vano  intelletto  affanna  e  stanca 
Nella  confuslon  torbida  e  miscliia 
Dell*  infinite  parti  :  e  quinci  indamo 
La  mente  folle  s'argomenta ,  e  'ngegna 
Di  separarle.  Altri  corporea  mole 
Genera  di  figura  in  vari  aspetti  : 
Di  piramide  acuta  il  sottìl  foco  ; 
Di  quadriforme  poi  la  stabil  terra  ; 
Di  venti  quasi  faccie  il  vago  e  leve 
Spirante  aer  sublime  egli  compone, 
E  d' otto  r  acqua  :  e  vuol  che  peso  e  corpo 
Vane  figure ,  e  senza  moto  e  pondo , 
Dieno  a'  quattro  elementi  in  varie  guise. 
Altri  una  quinta  essenza  al  cielo  assegna. 
Sciolta  da  tutte  qualitatl  umane  ; 
E  da  morte  'I  difende ,  e  d*ognÌ  oltraggio 
Mortale  '1  guarda,  e  nel  suo  corso  etema. 
Ch'egli  volge  e  rivolge  In  vari  giri 
Al  suo  Motor,  come  bramoso  amante. 
Ma  che?  nostra  ragion  ha  corti  i  vanni 
Dietro  11  senso  fallace ,  e  strada  incerta 
Il  vario  moto  ne  dimostra  e  segna. 
E  perchè  al  mezzo  pur  s'inchini  il  grave. 
Ed  inverso  l' estremo  1  leve  ascenda , 
E  *i  corpo  non  leggiero  e  non  gravoso, 
Dintorno  al  centro  si  raggiri  e  volga, 
E  quinci  e  quindi  a  non  veduti  oggetti 
Non  trova  ingegno  umano  aperto  '1  varco  : 
E  ne'  veduti  ancor  sovente  adombra  ; 
Negli  altri  al  troppo  lume  i  lumi  abbaglia. 
Di  qual  materia  sian  le  stelle  e  1  deh). 
Dicalo  quel  che  lui  spiegò  d' Intorno. 
Qual  picdol  velo,  o  quasi  leggter  fumo 
Formare  1  volle,  e  *1  fé'  costante  e  fermo, 


SACRI. 

Più  di  cristallo  assai  ch'ai  gel  s*  indori, 
E  lucido  divenga  in  aspro  monte  ; 
Più  di  metallo  che  s'impetri  e  stringa, 
E  renda,  come  specchio,  altrui  l' immago. 
Di  sembiante  materia  11  Padre  eterno 
Fece  ancor  di  cristallo  un  puro  cielo 
(  Se  le  coso  terrene  alle  celesti 
Tanto  pon  simigliare),  e  questo  ancora 
Girò  d'intorno  alle  stellanti  sfere; 
E  sopra  Tacque  vi  ripone  e  serba. 
Quali  acque,  o  Dio,  sovra  le  stelle  e  llome 
Del  Sol  ponesti  ?  ed  a  qual  uopo,  o  quando. 
Come  a  te  piace  le  riserbi  e  versi  ? 
Son  le  sostanze  spiritali  e  pronte. 
Onde  il  tuo  nome  glorioso ,  eterno , 
Di  chiarissime  laudi  Ivi  risuona? 
Ma  che?  ti  loda  la  tempesta  e  *1  foco? 
Son  l'acque  forse  la  materia  Informe? 
Ma  da  principio  tu  l'imprimi  e  fingi. 
Son  l'acque  gravi ,  ove  non  giunge  il  leve. 
Che  vola  press' al  del,  nò  passa  Innanzi? 
Dunque  a  natura  In  del  mutata  6  legge? 
Ma  del  turbato  del  l' orride  porte 
Tu  apristi  all'  acque,  e  le  spargesti  a  terra, 
Lei  ricoprendo ,  e  i  più  superbi  monti , 
Quando,  sommerso  in  gran  diluvio  '1  mon- 
Appena  rlcovrossi  a*  monti  armeni     [do. 
Il  seme  de'  mortali  In  fragll  legno. 
Sono  adunque  di  pena  e  di  spavento 
L'acque  lassù  nel  elei  ministre  eterne 
A'  miseri  mortali  ?  o  pur  son  anco 
Incontra  'l  foco  refrigerio  e  scampo, 
Ond' ha  sua  vita  '1  mondo  in  varie  tempre? 
S'è  necessario  'l  foco  all'uso,  all'arte 
Del  viver  nostro,  e  di  natura  amico; 
Necessarie  son  Tacque,  *n  varie  sedi 
L'uno  dalT altro  si  difende  e  guarda. 
E  'n  paragon  deli*  acque  ha  segi^lo  angusto 
La  terra  antica  madre ,  e  picciol  giro. 
Però  nel  grembo  degli  oscuri  abissi 
Già  nascosa  si  giacque  ;  appena  or  mostra 
Parte  delle  sue  membra ,  appena  Innalza 
Dalle  spumose  braccia  al  del  la  fronte. 
Ma  gran  parte  del  mare  anco  è  sommersa: 
Né  sole  accolte  in  un  oscuro  fondo 
Son  T  acque  ascose  entr'  a  perpetua  notte, 
0  fan  sotterra  un  tenebroso  corso  : 
Ma  sovra  '1  volto  suo  diffuse  e  sparte 
Quinci  vedi  stagnar  paludi  e  lagM , 
E  sorger  monnorando  I  chiarì  fonti , 
E  l'alte  rive  empir  torrenti  e  fiumi. 
Corron  dall'Oriente  Idaspe  ed  Indo, 
E  degli  altri  maggior  trascorre  1  Gange, 


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LE15ETTE  GIORNATE 
Ed  il  Caspie  e  TArasse,  e  Cirro  e  Battro. 
LaTam  ancor,  coi  V  onde  1  ghiaccio  strin- 
Nella  salsa  discende  alla  palude  ;       [gè , 
E  dal  Caucaso  1  Fasi  al  mare  Euslno , 
DalT recidente  ancor  Tarteso  ed  Istro: 
QaegH  oltra  le  Colonne  in  mar  si  sparge, 
Questi  nel  Ponto  ;  e  pria  divide  e  parte 
I  popoli  d*  Europa ,  1  campi  e  1  regni. 
Oh  quanti  ancor  dagl*  iperborei  monti 
Cerróii  veloci,  e  da  Pirene  e  d*Alpe, 
Distinguendo  Germani ,  e  Belgi  e  Celti  ! 
Dai  Mezzogiorno  1*  Etiopia  inonda 
D  NUo  ;  e  i  campi  impingua  al  verde  Egi  tto . 
E'lCremeteerEgon,e*lNi^oenNegro; 
Altri  nei  nostro  mar  si  spande  e  mesce  : 
Altri  si  vota  ali*  Oceano  in  grembo. 
E  r  ondoso  Ocean  superbo  'n  vista 
L*nmil  terra  percuote,  e  lei  circonda. 
E  fu  secreta  provvidenza  ed  alta, 
Che  di  tant* acque,  e  tanti  umori  occulti. 
Tanti  p^esi ,  assecurò  la  terra 
Dal  foco  viotento,  a  lei  nemico. 
Perch*  ei,  che  signoreggia,  e  *1  tutto  vince 
D'Impeto  e  d^ ira,  e  di  contraria  possa, 
floo  signoreggi  ancor,  quasi  tiranno. 
Usurpando  degff  altri  1  regni  e  i  seg^ , 
Sin  a  quei  paventoso  estremo  giorno. 
Da  giudido  divino  a  lui  prescritto. 
Tempo  certo  verrà ,  come  rimbomba 
Sacra  fama  in  più  lingue ,  e  già  vetusta, 
Che  '1  foco  Infiammerà  la  terra  e  V  onde , 
E  tutto  in  un  Incendio  accolto  1  mondo 
Caderà  sparso  in  cenere  e  'n  faville. 
Allor  tutti  fien  secchi  1  fiumi  e  1  fonti  ; 
Me  fien  sicuri  i  tenebrosi  abissi 
Dal  foco  vincitor.  N'affida  intanto 
Quel  che  dispose  In  più  soavi  tempre 
Le  cose  tutte  insin  dal  sommo  ali*  Imo , 
E  quell'acque  da  queste  allor  distinse. 

Acque  son  dunque  :  e  la  stellante  sfera. 
Che  sette  giri  In  sé  contiene,  e  copre. 
Soggiace  all'acque.  EI  suo  Maestro  etemo, 
Quando  gU  fece  cosi  adomi  in  vista, 
Quadrata  lor  gli  die  costante  e  salda 
Figura,  ovver  slmile  a  turbo  acuto; 
Né  piramide  volle,  o  pur  cilindro 
Assomigliar  nel  magistero  antico  : 
Ma  l'un  Dell'  altro  i^ro  Intorno  avvolse  ^ 
In  guisa  tal ,  che  I  più  sublimi  ed  ampi 
Qngon  gli  altri  raen ampi  e  men sublimi: 
E  coBM  quel ,  che  pria  disegna  e  fonda, 
E  nelle  parti  sue  dispone  '1  tutto, 
$  poi  l'adorna,  e  di  colori  e  d'aure 


DEL  MONDO  CREATO.  107 

I  Fa  vari  fregj  al  magistero  illustre; 
Ed  immagini  aggiunge ,  e  simolacri  : 
Così  tutte  ei  facea  del  mondo  intero 
Le  parti  omate  ;  e  la  sublime  sfera 
Ei  figurava  già  di  stelle  ardenti 
In  vari  modi  ;  e  le  sue  note  e  i  segni 
Imprimea  di  sua  mano  H  Mastro  eterno. 
Quel  di  ch'ei  fece  i  bel  stellanti  chiostri  : 
E  non  sol  fece  Arturo  ed  Orione; 
Ma  tutte  l'altre  onde  s'adorna  '1  delo^ 
Immagini  lucenti  a'  vaghi  sensi , 
A  cui  l'età  futura  i  nomi  impose. 
E  la  rota  al  girar  leggiera  e  pronta, 
So>Ta  due  punti  in  sé  contrari  affisse , 
E  i  duo  poli  nel  elei  costanti  e  fermi. 
L*  un  mai  sempre  si  mostra  ed  erge  in  alio, 
L'altro  s'inchina  alla  profonda  Stige« 
E  si  rimane  ognor  sotterra  ascoso. 
Questo  Dio  fece,  e  poi  fumana  gente. 
Nel  cielo  immaginando  1  vari  cerchi. 
Col  pensiero  '1  distinse ,  e  'n  cinque  zone 
Partillo  ;  e  'n  altre  e  tante  impari  fasce 
Sotto  'I  del  dipartì  l'opaca  terra. 
EI  maggior  cerchio,  che'n  due  parti  eguali 
Seca  per  mezzo  '1  cielo  ;  e  quinci  e  quindi 
Lascia  1  due  fissi  poli  incontra  opposti , 
Fu  nomato  Equator,  perch' egli  adegua, 
Allorchè'I  Sol  vi  giunge,  il  giorno  e  l'ombra 
L'altro  eh' obliquo  si  rivolge  intomo 
Sino  ai  due  punti ,  onde  ritorna  '1  Sole 
A  ritesser  di  nuovo  1  giro  istesso , 
Cerdiio  degli  animali,  o  della  vita, 
E  de'  segni  appellar  future  genti. 
E  i  due  minori  intorno  ai  punto  affissi , 
Onde  '1  torto  viaggio  *1  Sol  converte , 
Tropici  fur  chiamati ,  e  gli  altri  due 
Fatti  da  poli  ebber  di  Poli  il  nome. 
E  i  duo'  cerchi  Imperfetti  anco  nomaro 
Dalle  rivolte  del  pianeta  illustre. 
E  quel  che  terminò  1*  umana  vbta 
Ne'  tenebrosi  e  lucidi  confini , 
Orizzonte  fu  detto ,  e  dal  meriggio 
Quello,  acuì  giunge  a  mezzogiorno  11  Sole, 
Ch'a  vari  abltator  si  cangia  e  varia. 
Ma  queir  obliquo,  In  cui  distinto  caOe 
Fecer  poscia  girando  erranti  lumi , 
Seca  in  due  parti  eguali  il  largo  cinto , 
Che  parte  '1  mondo  ;  e  giomo  a  notte  ag- 
guaglia, 
Ed  a'  Tropici  aggiunto  e  quind  e  quindi  ; 
Talch'egU  solo  è  con  tre  cerchi  affisso; 
E  la  metà  di  sé  dimostra  ognora 
Con  «d  ^  steUe  adorni  ardenti  segni 


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108  POEMI 

Sopra  la  terra  ;  e  1*  altra  parte  ascosa 
Con  altri  e  tanti  pur  sotto  riniansi  : 
E  ciascun  spazio  eguale  in  cielo  ingombra  : 
Ma  con  tempo  ineguale  or  nasce,  or  cade, 
Veloce,  0  tardo;  e  sei  la  notte  oscura 
Si  fuggon  di  lassù  cadenti  segni , 
E  sei  riveggon  poi  tornando  '1  cielo 
Immagini  di  stelle  accese,  e  d*auro. 
Come  le  figurar  gì' ingegni  audaci, 
Che  già  produsse  'i  tenebroso  Egitto. 
E  la  Grecia  i  suo'  mostri  ancor  ci  finse; 
E ,  di  favole  vane  il  ciel  ripieno  ,* 
Più  adorno  '1  fece  di  menzogne  illustri. 

Primo  (come  si  scrive  e  si  figura) 
Sovra  l'aurate  spoglie  oscuro  lume 
Dimostra  '1  portatordi  Frisso  e  d'Elle, 
Che  dopo  '1  verno  primavera  adduce. 
Poi  col  ginocchio  ripiegalo  '1  Tauro 
Distende  '1  corpo;  e  dall'accese  coma 
Gravido  fa  di  sua  feconda  luce 
V  umor  terrestre  ;  e  i  due  Gemelli  aggiunti 
'Spargon  da  chiare  stelle  ardente  foco. 
E  l'infiammato  Cancro  al  Sole  indugio 
Par  che  sia  quasi ,  e  gli  ritardi  '1  corso. 
E  '1  superbo  Leon  con  torvo  aspetto  [eia. 
Fiammeggia,  e  'nsin  dal  ciel  ancor  minac- 
La  Vergine  vicina  a  lui  risplende 
Coir  aurea  spiga,  e  poi  la  luce ,  e  l'ombra 
L' alta  Libra  celeste  agguaglia  in  lance. 
Indi  lo  Scorplon  del  cielo  usurpa 
Più  del  suo  giusto  spazio  ;  e  par  eh'  ci  faccia 
Colle  branche  ad  Astrea  lucida  libra. 
Il  Sagiturio  ha  nelV  orribil  destra 
L'arco  piegato,  e  'i  Capricorno  '1  segue 
Con  fier  sembiante  :  e  del  gran  Sole  al  corso 
Par  eh'  egli  sia  lassù  di  nuovo  intoppo, 
E  ritenga  le  notti  algenti  e  pigre. 
Risplende  dopo  lui  con  lucid'  urna 
11  Fanciullo  troiano.  E  'n  una  stella 
Luminosa  catena ,  ed  aure<v  nodo 
Fan  di  squamosa  coda  umidi  Pesci. 
Così  nel  cerchio  obliquo  i  Segni  ardenti 
Poi  figurò  nel  cielo  il  sccol  prisco. 

Altre  Immagini  a  destra,  altre  a  sinistra 
Verso  il  fredd*  Aquilone,  e  '1  nubii  Austro 
Collocò  poscia,  e  1  chiari  nomi  impose. 
Vicina  al  Polo,  che  s'innalza,  e  scopre , 
Con  brevissbno  giro  intorno  ruota 
L'Orsa  minor,  che  già  fu  scorta  e  segno 
Della  Fenicia  a'  naviganti  audaci. 
Di  sette  stelle  poscia  adomo  '1  vello 
L'Orsa  maggior  fa  brevi  giri  e  lenti; 
L'Orsa,  ch'i*  Greci  in  tempestoso  mare 


SAGRL 
Fu  già  fidata  duce  e  segno  amico. 
Par  ch'ei  le  gridi  appresso  ad  alta  voce 
Il  suo  pigro  Boote.  E  '1  fiero  Drago 
Fra  l'Orsa  fiammeggiando  orrido  serpe. 
Cefeo  poser  non  lunge,  e  d'Arianna 
La  stellata  corona;  e  '1  grand' Alcide, 
E  la  Cetra  col  Qgno.  E  l'altro  figlio 
Del  favoloso  Giove  in  ciel  sublime. 
Cui  d'Aquilone  '1  fiato  aspira,  e  d'alto 
Il  fiede  :  a  Cassiopea  la  destra  ei  tende  ; 
E  i  piedi  alzati  vincitore  al  cielo 
Porta ,  quasi  di  terra  alzato  a  volo 
Polveroso ,  e  repente  ;  e  'ntorao  al  manco 
Ginocchio  con  tremante  e  debil  luce , 
Le  stelle  picdolette  anco  locaro. 
Che  Vergilie  chiamò  l'età  vetusta  : 
Segno  del  ciel  d'oscuro  e  picciol  lume. 
Ma  pur  di  nome  ancora  e  cliiaro  e  grande. 
Perchè  i  principi  della  State  illustra, 
E  gì' industri  mortali  all'opre  invita  : 
Perch'è  già  tempo  eh' all' antica  madre 
Gonfidi  'i  buon  cultore  il  seme  sparso. 
Qui  insieme  collocar  sublime  auriga , 
Clic  di  serpente  i  pie  nel  carro  ascose , 
E  d'Esculaplo  (o  cosi  parve)  all'angue 
Rafligurato.  E  la  Saetta  accesa 
Di  cinque  stelle,  e  l'Aquila  superba; 
E  '1  guizzante  Delfino, e  '1  gran  Pegaso, 
Che  già  portò  Belierofonte  a  volo. 
E  la  figlia  di  Cefeo,  e  '1  Delta  appresso; 
E  quella  immago  che  figura  e  segna 
L'Isola  che  tre  monti  innalza  in  mare; 
E  del  nudo  Munton  l' oscura  testa    [parte 
Del  suo  splendore  'nfiamma  ;  e  'n  quella 
Alle  vie  degli  erranti  è  più  vicina. 
Dall'altre  verso  '1  Polo  opposto  ali' Orse, 
Press' al  torto  viaggio  è  il  fiero  mostro, 
A  cui  fu  ignuda  esposta  in  riva  all'acque 
Andromeda  legata  al  duro  scoglio  : 
E  par  che  'n  cielo  ancor  di  lei  ricerchi 
Già  lontana,  e  sicura  in  parti  eccelse. 
Ricoverata  d'Aquilone  all'aura. 
Ed  Orlon  di  fiamme  armato  e  d'auro 
V'immaginar,  che  nella  notte  estrema. 
Allorché  nasce  Scorpio  egli  s'asconde  : 
E  l'immagin  del  Fiume  ivi  risplende 
D'eterno  foco.  E  timidetta  Lepre 
Fuggir  di  Can  veloci  i  fieri  morsi 
Vi  figurare,  e  '1  mhior  Cane  ardente 
Di  rabbia  '1  cielo  ancor  nascendo  attrista 
Coir  infelice  lume ,  e  i  campi  infiamma , 
E  dopo  l'altro  a  noi  sorgendo  appare. 
Ma  prima  i  quei,  eh'  oltra  l' obliquo  doto 


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LE  SETTE  GIORNATE 
AbiUtori  son  di  terra  adusta , 
Argo  conversa  in  del  si  Tolge  addietro 
Con  proda  oscura ,  e  fa  ritroso  corso  : 
Ma  r  altra  parte  ha  luminosa  e  illustre. 
Qui  ridrae*lYasoeMGonroe'i  gran  Cen- 
tauro; 
E  qui  risplende  *1  Lupo,  e  qui  l'Altare. 
Altra  corona  ancor  di  stelle  adorna 
Da  questo  lato  '1  cielo,  ed  altro  Pesce 
In  più  lontana  parte  in  lui  risplende  : 
11  Pesce ,  ch'adornò  ne'  propri  alberghi , 
Siccome  proprio  Dio,  l'antica  gente 
Di  Siria  abiutrice;  a  cui  non  basta 
Farlo  in  magion  terrene  e  vivo  e  nume , 
Ma  nel  ciclo  '1  figura  e  *n  cìel  l'adora , 
Fatto,  come  stimò,  nel  cielo  eterno. 
0  delle  pazze  genti  antico  errore , 
E  prisca  fraude,  e  mal  nodrito  inganno, 
Che  torse  'I  mondo  al  culto  iniquo  ed  eni- 
E  di  cerchi  e  di  stelle  in  un  congiunte  [pio  ; 
Vane  figure,  immaginate  indarno 
Contra  la  Provvidenza,  e  contra  '1  vero! 
0  vana  sapienza,  e  vano  ingegno 
Ddla  natura  umana  in  Dio  superba  I 
Van  pensier,  vano  ardire  e  vano  orgoglio, 
Che  'n  elei  presume  annoverar  le  stelle; 
E  quaggiù  le  minute  inculte  arene, 
E  misurar  gli  smisurati  campi 
Della  terra,  dei  mar,  del  elei  profondo; 
E  terminar  degl'infiniti  abissi 
L'altezza  e  '1  fondo  ;  e  por  costante  meta 
A  questo  spazio  delia  vita  incerto; 
E  prescriver  de'  fati  eterna  legge; 
Serva  facendo  la  natura  a  forza; 
E  '1  libero  voler,  libero  dono , 
Cui  non  vince,  né  forza,  stella,  od  astro. 
Egli  all'  incontro  signoreggia  e  vince  ; 
E  può  rapire  '1  gran  regno  celeste 
Con  violenza,  se  d' amor  s' infiamma; 
Ma  d' altro  amor  più  santo,  o  d' altre  fiam- 
Di  quelle,  onde  l'età  vetusta  e  folle  [me 
Coir  immagini  sue  mentite  e  false 
Tentò  di  far  quasi  profano,  immondo 
Del  cielo  '1  luminoso  e  puro  tempio. 
Poco  era  dunque  del  lascivo  Cigno 
Furto  amoroso,  o  d'Aquila  ministra, 
Non  di  folgori  più ,  né  d' ire  ardenti , 
Ma  di  pianeti,  la  rapina  ingiusta  « 
£  la  corona  d'Arianna ,  e  mille 
Favole  vaglie ,  e  favolosi  amori ,        [che 
Che  Grecia  aggiunse  alle  menzogne  and- 
Di  Babilonia  e  del  superbo  Egitto  ; 
Se  d'Alessandro  '1  successor  novello 


DEL  MONDO  CREATO.  109 

Non  aggiungeva  ancor  la  tronca  chioma 
DI  Berenice  all'altre  stelle  ardenti? 
Tanto  lece  a'  mortali  adunque  'n  terra, 
Ch'osan  di  far,  non  sol  di  rozza  pietra, 
0  di  ruvido  pur  selvaggio  tronco 
Dei  lor  terreni ,  ed  idoli  superbi  : 
Ma  fauno  oltraggio  alle  nature  eteme. 
Ed  alla  gloria  de'  celesti  giri  ? 
Che  delle  stelle  è  gloria  '1  chiaro  lume, 
Ond'  è  stella  da  stella  in  del  diversa. 
Ma  quei  già  non  dovean  si  pure  forme 
Farsi  cagion  di  si  dannoso  inganno; 
E  'n  tenebre  cader  da  pura  luce , 
Predpitando  negli  oscuri  abissi  : 
Anzi  salire  a  Dio  di  lume  in  lume, 
E  riconoscer  Lui  nell'  opre  eccelse , 
Che  son  del  suo  splendor  faville  e  raggi. 
Dio  solo  è  quel  che  numerare  appieno 
Nel  mar  puote  le  stille ,  e  'n  del  le  stelle. 
E  Dio  pose  a  ciascuna  '1  proprio  nome , 
Onde  chiamata  al  suo  Signor  risponde , 
Pronta  al  servizio  del  sublime  impero. 
E  quai  fidi  guerrier  locad  in  guardia. 
Nella  più  tenebrosa  oscura  notte 
Giran  le  mura  vigilando  attorno  ; 
Tal  drcondano  ancor  notturne  e  preste 
L' alte  parti  del  ciel  le  stelle  ardenti 
Come  lor  pria  dispose  '1  Re  superno. 
Lo  qua!  non  Orso,  non  Leone,  o  Drago, 
Non  Aquila  sublime  in  ciel  dipinse 
D'eterni  himi,  e  di  perpetue  fiamme  ; 
Non  altra  forma,  che  nel  mar  profondo, 
0  'n  fiume  si  rimiri,  o  'n  monte,  o  'n  bosco  : 
Ma  qudla  croce ,  ove  '1  suo  Figlio  estinto 
Trionfar  poi  dovea  de'  regni  sligi , 
In  cielo  impresse,  e  ne  formò  l' esempio 
Con  quattro  luminose  e  chiare  stelle; 
Le  quai  non  rimirò  l' etate  antica 
In  questo  Polo ,  in  cui  Boote  e  '1  Carro 
Immaginossi,  e  l'altre  forme  illustri  : 
Ma  la  nuova  le  scorge  in  del  sublime, 
E  1*  altro  Polo  a'  nostri  sensi  ascoso 
Ad  altri  abiutori  in  sé  l'esalU; 
E  di  certa  vittoria  é  segno  etemo 
Al  giusto  Re  nella  pietosa  guerra 
Quella,  che  fiammeggiando  in  aria  apparsa 
D' Elena  al  figlio  glorioso,  invitto. 
Che  '1  nuovo  Faraon  sommerso  in  Tebro 
Fece  cader  dal  ruinoso  ponte , 
E  Roma  liberò  dal  giogo  oppressa, 
E  gì'  idoli  superbi  a  terra  sparse  ; 
E  quella  poi  che  folgorando  in  alto 
Pur  dimostrossi  il  lucceasore  Indegno 


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fio  POEMI 

SI  dlssoWea ,  come  Tapori  accesi , 
In  quel  dell'aria  tempestosi  campi. 
Ma  questo  In  del  di  lumi  eterni  e  fissi 
E  trofeo  non  caduco,  e  stabll  segno 
(Se  sperar  lece)  di  costante  Impero  ; 
E  quasi  nota,  onde  sue  leggi  Inscrisse 
li  Re  superno  a*  Ttncìtorl,  a'  vinti  ; 
Che  gloria  agli  uni ,  e  dà  salute  agli  altri. 
Ben  se  n'avvide  ancor  T antico  Egitto 
Nelle  tenebre  sue  più  fosche  e  dense  ; 
Onde  tra  V  altre  sue  figure  e  note 
De*  suol  misteri ,  ancor  la  croce  Impresse. 
E  figurò  la  croce  II  Fabbro  eterno 
Nelle  quattro  del  mondo  avverse  parti , 
Talché  la  forma  sua  divide  e  segna 
L*  Orto ,  rOccaso ,  V  Aquilone  e  V  Austro. 
Son  dunque  segni  di  salute  I  segni , 
Ch'Impresse  Dio  nel  magistero  eterno. 
Né  cosa  feo  lassù  malvagia,  o  fella, 
0  di  morte  cagione ,  o  d*  altro  danno 
A'  miseri  mortali.  Ahi  !  cessi  or  1*  empio , 
Cessi  il  superbo,  che  saetta  e  vibra 
Incontr'al  elei  l'ingiuriosa  lingua. 
Non  son  maligne  le  serene  stelle , 
Né  pon  nuocer  altrui  con  fiero  aspetto , 
Né  per  elezion ,  nò  per  natufa. 
Non  per  elezion ,  che  senso  ed  alma 
Avrian  le  stelle  ;  e  d'animali  In  guisa. 
Perturbata  sarlan  da'  nostri  affetti. 
Non  per  natura  ancor,  se  Dio  creolie  ; 
Che  non  é  creator  di  mali  Iddio ,     [bro. 
Né  mal  d'opra  non  buona  é  mastro,  o  fab- 
Né  mal ,  per  variare  'I  loco  e  'I  sito , 
Potrlandl  buone  divenir  maligne, 
0  pur  buone  di  ree ,  chinando  '1  guardo, 
0  mutando  figura,  o  pur  sembiante, 
Come  si  dice  che  più  lieta  'n  vista 
Alcuna  si  rallegra ,  allorché  nasce, 
E  innanzi  al  suo  cader  si  duole  e  turba. 
Altra  all'Incontro  é  lieta  nell'Occaso, 
E  dogliosa  ncir  Orto.  Altra  si  sdegna , 
E  poi  si  placa  nel  cangiare  'I  grado. 
Che  se  ciò  fosse ,  la  natura  umana 
Sarìa  men  varfablie  e  'ncostante 
Della  celeste;  e  'n  quelle  eteme  leggi 
Certezza  non  saria ,  ma  vano  errore. 
Né  già  convien  che  'I  messaggier  di  Giove 
(Come  animai  da'  luoghi,  a  cui  s' appressa. 
In  mille  guise  si  colora  e  varia). 
Così  mille  colori  e  mille  forme 
Prenda  da'  suo'  vicini.  Adunque  In  ciclo 
Non  si  perde  bontà  per  grado,  o  scema, 
Che  1  cielo  é  tatto  buono  ;  e 'n  ogni  grado 


SACRI. 
La  divina  bontà  diletta  e  giova. 

Taccìansl  ancor  delle  sublimi  stelle 
GII  odj  celesti ,  e  1  lor  celesti  amori 
(Ma  non  degni  del  cielo),  e  I  vari  aspetti , 
Cli' altri  si  miri  da  contraria  parte. 
Altri  congiunto,  altri  girando  intomo 
Tre  segni,  o  quattro,  o  sei,  si  trovi  in  mezzo 
Mentre  riguarda  la  su*  amica  stella , 
0  la  nemica  ;  che  discordia  In  ciclo 
Esser  non  può ,  nò  Ingiurioso  sdegno , 
Ne'  cinque  aspetti  soli  ;  e  *n  altre  guise 
L' una  potria  ver  l'altra  esser  conversa 
Benigna  stella  in  placido  sembiante. 
E  se  dimostra  pur  dal  ciclo ,  e  segna 
Quanto  schivar,  quanto  seguir  conviensi 
In  questo  spazio  della  vita  Incerto, 
Non  ci  costringe  a  forza,  e  non  ci  offcnili'  ; 
Ma  giova scmprc,o'l  bene,  o'I  mal  predica. 
Giova  al  nocchiero  entr'  al  sicuro  porti» 
La  nave  ritener,  se  '1  vento,  e  l' onda 
Spaventosa  tempesta  a  lui  minaccia  ; 
Ed  armato  Orlon  guerra  gì'  indice. 
E  giova  al  percgrin  volgendo  '1  passo 
Fuggir  la  noia  d*  importuna  pioggia , 
E  ricovrarsi  in  solitario  albergo. 
E  giova  agli  egri  l'osservar  de'  giorni 
Giudici  delia  vita  e  della  morte.        [  $(a, 
E  'I  buon  cultor  de'  campi ,  o'I  seme  spar- 

0  pianti,  osserva  pur  nell'opre  usate 
li  nascer  e  'I  cader  di  stelle  amiche. 
Ed  opportuna  la  sUglone  e  '1  tempo. 
Ma  che?  l'alio  Signor  a  noi  predisse 
Ch'appariran  gii  spaventosi  segni 
Del  mondo ,  che  ruina  alfin  minaccia , 
Nel  Sole ,  nella  Luna  e  nelle  Stelle. 

Ci  negherà  la  Luna  11  lume  e  I  raggi , 
E  fia  converso  'I  Sol  turbato  In  sangue. 
E  questi  fian  della  mina  estrema 
Orridi  segni.  Or  chi  trapassa  'I  guado , 
Di  nostra  vita  le  regioni  assegna  : 
E  quasi  awhita  con  un  saldo  stame 
Al  fatai  fuso  di  severa  Parca, 
La  fa  soggetta  al  variar  de'  dell , 
E  loda  de'  Caldei  gl'Ingegni  e  l'arte. 
Ma  concedasi  pur  che  'n  del  descritti 

1  segni  sien ,  non  di  tempesta ,  o  nembo* 
0  dell' Incerto  variar  de'  tempi. 

Ma  della  vita ,  e  di  sue  varie  sorti  ; 
Che  ne  diran?  che  delle  stdle  erranti , 
E  dell'affisse  nell'obliquo  cinto 
Congiunte  insieme,  gl'implicati  nodi, 
E  le  varie  figure  e  1  vari  Incontri 
SlendlfeUce   atrenturosa  Ttta 


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LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO. 


AIU  cagione ,  a  chi  Io  del  sorUlIa , 
0  di  contralia  por  dogliosa  sorte  ? 

Ma  por  dirò  per  illustrare  '1  dubbio 
Quel  che  degli  altri  è  detto,  e'detti  in  prora 
Put  addurrò  contra  gli  stessi  in  lite. 
Grinrentorì  delParte  in  poco  spazio 
Vidernolte  figure,  e  'n  brere  tempo, 
Che  (fisparian  troppo  veloci  innanzi 
AgM  occhi  loro  ;  onde  raccolte  e  chiuse 
Fur  dagl'istesst  entr'a  misure  anguste, 
Qwil  in  un  solo  indi\isìbli  punto,  [parve, 
Che  «Il  un  sol  batter  d'occhio  altrui  dls- 
Qoind  di  quei  che  da'  materni  chiostri 
Nascer  dofeano  alla  serena  luce ,  [presso. 
Nel  prwo  puato ,  o 'n  quel  che  segue  ap- 
Molte  Tartetà  d'Ingegno  e  d'arte 
fiotuo^  e  di  possanza  e  di  fortuna  ; 
Gh'altrì  ci  nasce  por  Cambise,  o  Ciro, 
Od  Alessandro,  e  fortunato  Augusto, 
A  scettro,  a  regno,  a  glorioso  Impero, 
AH'onor  di  trionfi  e  di  vittorie  ; 
Aitr*  Iro  a  ricercar  di  porta  In  porta 
Qmì  che  sostegna  la  noiosa  vita 
In  vergognosa  povertate ,  e  grave. 
Però  in  dodid  parU  il  cerchio  obliquo 
Ulvtoer  prima ,  ed  ogni  parte  in  trenta  : 
Che  'n  tanH  giorni  un  segno  il  Sol  trascorre 
IH  que'  dodki  in  lui  segnati  e  'mpressi. 
E  poi  secar  le  trenta  ;  e  risecaro 
Le  sessanta  in  sessanta  ;  e  'n  si  minute 
Parti  distinte fer  gli  aspelli  e  Tore, 
Per  trovar  quella  di  chi  nasce  al  mondo. 
E  non  fur  certi  dell'  IsUbiI  punto  ; 
Perchè  sparire,  e  dileguar  repente 
In  delo  '1  vedi  col  volar  del  tempo. 

È  nato  appena  il  fanciuTlelto  ignudo, 
Qie  si  riguarda  'l  sesso ,  e  poi  s' aspetta 
n  pianto,  segno  dell'umana  vita 
Lagrìmoso  e  dolente ,  a  lei  conforme  : 
Predice  indi  1  Caldeo  le  varie  sorli. 
Quanti  punti  trascorsi  intanto  a  volo 
SoB  nell'  indugio?  e  chi  descrive  appunto 
La  figura  del  delo  7  e  quale  ascenda 
Sublime  stella ,  e  signoreggi  intanto , 
E  prescriva  al  fanciullo  'l  proprio  fato  ? 
Però  nelle  figure  e  varie  e  vaghe 
È  ceno  inganno ,  e  nel  volar  dell'ore. 

Nasce  costui  di  grazioso  aspetto, 
Pladdo  e  grave,  e  lento,  e  crespo  'I  crine  ; 
E  Torà  sua  deU'  anhnal  di  Frisso 
Aver  si  crede  ;  equesti  è  d'alto  core, 
E  magnanimo  ancor,  che  tal  si  mostra 
L'anfanai  che  degli  altri  è  quasi  duce. 


tu 


Ardito  al  cozro,  ed  al  ferir  di  corno, 
E  mansueto  poi  mentre  si  spoglia 
Senza  dolor  la  molle  e  bianca  lana, 
Di  cui  natura  poi  V  orna  e  riveste 
Agevolmente.  E  quel  eh'  l  lumi  aperse 
Mentr*  ha  nel  Tauro  *l  Sol  luddo  albergo, 
É  faticoso  e  tollerante  all'opre; 
Ed  in  atto  servii  sé  stesso  ei  doma , 
Perocch'  avvezz'  è  1  uuro  al  grave  giogo. 
Quegli,  a  cui  Scorpio  in  del  lucente  a- 
Allrol  percuote  disdegnoso  e  fere,[scende. 
Come  la  fera  che  le  piaghe  attosca. 
Ma  Libra ,  che  le  cose  agguaglia  in  lance. 
Giusto  fa  r  uomo  e  di  giustizia  amico. 

Or  Ueni  '1  riso?  Il  segno  in  via  distorta. 
Onde  prendi  alla  vita  alto  prindpio, 

0  sia  'I  Monton,  che  già  le  notti  adegua 
Co'  di  sereni,  o  pur  lucida  Libra, 
Poca  è  del  delo,  e  più  lontana  parte. 

E  dalle  fere  e  dalle  greggi  immonde 

1  costumi  dell' uom  figuri,  e  formi  ? 
E  ferina  per  te ,  non  pure  immonda , 
È  la  natura  umana?  Al  cielo  ancora 
La  feritale  assegni.  Il  del  dipende 
Dalle  contaminate  e  lorde  mandre  ? 
E  fai  soggette  le  celesti  sfere 

Alle  terrene  belve?  Oh  !  sciocca  e  stolU 
Sapienza  mondana,  ond'uom  si  gonfia 
Di  vano  fasto  e  di  superbo  orgoglio, 
Simile  a  tela  d' infelice  aragna , 
Che  nella  sua  testura  appena  'nvolve , 
E  'ntrica  l' ale  all'importuna  mosca  ; 
Ma  se  peso  più  grave  in  lei  s'incappa. 
Non  si  ritien ,  ma  la  dissolve  e  frange. 

Oh  !  piaccia  a  lui  che  ne  distringe  e  lega, 
Com'a  lui  piace,  e  talor  solve  e  suoda 

I  lacci  del  peccato ,  e  i  duri  nodi 
Onde  'I  fato  quaggiù  tien  l' alme  avvinte  : 
Oh  !  piaccia  (dico)  a  lui,  cui  tanto  aggrada 

II  libero  voler,  celeste  dono. 

Anzi  divino,  e  non  soggetto  al  cielo. 
Di  squarciar  de*  contesti  antichi  inganni 
La  fragii  tela  ;  e  peso  aggiunga  a  detto 
Liberator  degl'infelici  ingegni. 
Dunque  dirò  che  nel  continuo  corso 
De'  sette  erranti ,  altri  al  suo  centro  intoroo 
Fan  più  veloce  il  giro,  altri  più  tardo. 
Ed  in  un*  ora  altri  guardarsi  insieme 
Soglion,  altri  celarsi ,  e  mille  e  mille 
Fanno  di  sé  negli  stellanti  chiostri 
Varie  figure ,  e  da  minuto  inganno 
Nel  suo  principio ,  che  s' avanza  e  cresce, 
Un  Infinito  errore  alfln  deriva. 


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112  POEMI 

E  sMn  ogni  momento  '1  del  si  cangia, 
E  muta  in  un  sol  dì  mille  sembianze. 
Perchè  non  ogni  giorno  11  re  ci  nasce  ? 
0  perch'ai  padre  nel  paterno  regno 
Succede  *1  figlio  nato  in  vario  clima 
Sott'a  varia  del  ciel  figura,  od  astro  ? 
Perchè  non  tutti  i  regi,  e  ì  grandi  Augusti 
Regia  figura  in  ciel,  reale  aspetto , 
Attendono  de*  figli  al  nuovo  parto  ? 
£  qual  nel  generarli  almeno  elegge 
L*  ora  opportuna  ?  e  di  bramata  prole 
Chiede  consiglio  alle  fatali  stelle? 
Ebbe  forse  nei  ciel  reale  fanmago 
Di  fortunate  luci ,  allorché  nacque 
Gige ,  che  re  di  servo  alfin  divenne  ? 
0  Servio  che  di  Roma  al  regno  ascese  ? 
0  '1  Tartaro  che  TAsia  vinse  e  corse  ? 
Creso  all'incontra  con  serbile  aspetto 
Nacque  di  fiera  stella  e  di  maligna  ? 
E  Perseo  e  '1  fier  Glugurta  e  gli  altri  regi. 
Che  '1  trionfo  onorar  di  Roma  Invitu  ? 
E  come  gli  altri  1*  Infelice  Augusto. 
Preso  dal  re  de'  Persi,  e  l'altro  avvinto 
Dal  barbarico  orgoglio  ha  pari  scempio? 
Ma  nell'estremo,  quel  che  tutto  avanza, 
Ponga  omai  fine  alle  question  profonde  : 
Perchè  vane  sarlan  le  sacre  leggi , 
Vani  1  giudicj,  onde  virtù  s'onora 


SACRI. 

Col  guiderdone,  e 'Ivlzlobapenae  scorilo. 
Se  1  gran  princlpj  derivati  altronde 
Fosser  dell'opre  giuste  e  dell'inique, 
E  non  in  noi  medesml  :  e  ladro  il  ladro* 
Non  fora,  e  non  farla  col  furto  oltragglow 
Né  percuotendo  '1  micidiale  'ngiusto  ; 
Se  non  potesse  la  sua  errante  destra 
Quei  dall'oro  astener,  questi  dal  ferro  ; 
Sospinto  a  forza  dal  destino  avverso. 
Vani  sariano  1  magisteri  e  l'arti, 
E  le  fatiche  ancora,  e  i  campi  Indarno 
Segnerlacoir  aratro  '1  buon  cultore, 
0  domeria  col  rastro  e  col  bidente. 
Aguzzando  talor  l'adunca  falce  ; 
Se  dall'ira  del  Ciel  matura  messe 
Fosse  negata ,  o  dal  voler  del  Fato. 
E  'nvano  altri  solcando  '1  mare  Eussiiio, 
0  '1  Caspio,  o  l'Eritreo,  travaglia  e  merca  t 
Se  *1  Fato  le  ricchezze  accoglie  e  sparge. 
E  quella  de'  fedeli  antica  speme, 
Ch'  al  gran  regno  del  cielo  invitU  aspira , 
Perir  potrebbe,  ove '1  suo  premio  ai  giusto 
Non  si  conceda,  e  la  sua  pena  ali*  empio; 
Che  dove  '1  Fato  signoreggia  e  sforsi. 
La  dignltate  e  la  virtù  sublime 
Non  han  loco  fra  noi  conforme  al  merlo. 
Ma  temer  non  dobbiam  che  '1  Qel  non  aerU 
Alle  buon'opre  alfin  corona  e  palma. 


GIORNATA  TERZA. 

Nella  quale  per  comandameuto  di  Dio  si  congregarono  le  acque  in  un  luogo,  e  la  terra 
apparve,  e  produsse  le  erbe  e  le  piante  co'  frutti. 


Sono  città  del  suo  valor  superbe, 
E  di  bellezza  e  d'arti  varie  e  d'opre 
Meravigliose,  e  d'edifici  eccelsi, 
Od  onorate  pur  di  gloria  antica  ; 
Che  dal  nascer  del  giorno  al  Sol  cadente, 
E  talor  anco  insln  che  gira  Intorno 
La  fredda  notte  'I  suo  stellato  carro, 
Empion  di  turba  lleu  e  di  festante. 
Piazze,  campi,  teatri  adomi  e  logge. 
Ove  a'  dialetti  vari  intende  e  passa 
L'ore  del  di  fugaci ,  e  le  notturne 
Lunghe  ed  algenti,  e  nel  volar  del  tempo 
Pur  sé  medesma  volontaria  inganna. 

Altri  dall'apparente  e  vana  fraude 
D'arte  fallace,  ond'é  schernito  'I  senso, 
Deluso  pende,  e  ne'  prestigi  incerti 
Meravigliando  quasi  '1  falso  afferma. 

Ed  altri  all' armonia  di  vari  icceoU, 


0  pure  al  dolce  suon  di  cetra,  o  d'arpa. 
Che  r  alme  acqueta,  e  1  cor  lusinga  e  moloe, 
E  gli  tien  lieti ,  o  mesti  in  varie  tempre , 
Oblia  le  cure.  Altri  carole  e  balli 
Lieto  rimira;  e  d'impudica  donna. 
Che  'n  varie  guise ,  e  quasi  'n  varie  forme 
Le  pieghevoli  membra  e  muove  e  cangia. 
Mira  1  lascivi  salti  e  1  modi  e  l'arte. 
Lusinghieri  e  vezzosi  :  e  parte  agogna. 

0  dove  splende  pur  dipinta  scena 
Di  colorì  e  di  lampe ,  e  quinci  innalza 
Gli  archi  e  le  mete,  e  'ntomo  a'  sacri  tempj 
Con  marmorei  giganti  alte  colonne. 
Piange  I  casi  d'Edipo,  o  di  Tieste  ; 
E  'n  finto  cielo  li  finto  Sol  gli  appare 
Tornar  turbato  addietro  in  mezz'ai  cono: 
0  con  Davo,  o  con  Siro  allegro  rido 
Degli  scherniti  vecchi  I  falsi  ingaiuiL 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Altri  i  destrier  feroci  e  pronti  al  corso, 
A  destra  ed  a  sinistra  in  giro  Tolti 
Riguarda,  o  *n  chiuso  arringo,  o  'n  largo 
I  simulacri  pur  d' orrida  guerra,  [campo 
Al  chiaro  suon  della  canora  tromba , 
Contempla,  e  de*  guerrier  l'insegne  e 
E  lor  Tirtù  con  lieti  gridi  esalta.  [Vanne, 
Ma  noi,  che  '1  Re  del  del,  Fattore  e  Ma- 
D'Opre  meravigliose,  invita  e  chiama  [stro 
A  contemplare  '1  magistero  e  l' arte 
Divina ,  e  questo  sol  lavoro  adomo , 
Ch*  è  di  cose  celesti  e  di  terrene 
Con  si  diverse  tempre  in  un  conteste  ; 
Sarem  pigri  a  mirarlo  ?  o  pur  languenti 
Ascolterem ,  come  l' etemo  Fabbro 
Fé'  di  sua  man  le  meraviglie  eccelse  ? 
E  non  più  tosto,  rimirando  intorno 
Questa  si  varia  e  sì  mirabii  mole , 
Ciascun  per  sé  colla  sua  mente  indietro 
Ritornerà,  pensand' al  primo  tempo, 
Ch'  ebbe  principio  '1  tempo  e  '1  nuovo  mon- 
In  guisa  di  gran  volu  il  del  ricopre  [do  ? 
Le  somme  parti ,  e  gli  stellanti  chiostri  ; 
Onde  con  tante  faci  altrai  risplende 
Questo  sacrato  a  Dio  terreno  tempio. 
E  'n  sé  medesma  si  riposa,  e  fonda 
La  gravissima,  vasta  e  rozza  terra  : 
E  l'aer  vago  si  diffonde  Intomo 
Tenero  e  molle.  In  cui  non  trova  Intoppo 
Chi  si  muove  per  lui ,  si  pront'el  cede, 
E  ch'altr'il  fenda  di  leggler  consente. 
Senza  contesa  egli  si  sparge  a  tergo, 
Umido  nodrlmento  a  chi  respira 
Porgendo ,  o  dolce  refrigerio  intomo  : 
Tant'  è  r  aere  amico  al  vago  spirto,   [usi 
L'acqua  ancor  nutre  ;  ed  opportuna  agli 
Della  vita  mortai  del  mondo  immondo 
Ordinata  lor  fu  dal  Padre  eterno  ; 
Ma  non  contenta  già  d'Incerta  sede, 
Ebbe  termine  proprio ,  e  certo  loco 
Tra  suo*  certi  confini.  In  cui  s'accolse 
Ubbidiente ,  e  ragunossl  Insieme 
Al  comandar  della  divina  voce. 

Disse  '1  gran  Dio  :  L' acqua  di' è  sott'al 
In  una  ragunanza  omai  s'  accoglla ,  [delo 
Perchè  r  arida  fuore  indi  si  veggia  : 
E  cosi  fatto  fu.  L'acqua  repente, 
Ch'  è  sott'  i  giri  del  sereno  delo , 
Nelle  sue  ragunanze allor  s'accolse. 
Onde  veduta  fu  l'arida  parte; 
E  l'eterno  Fattor  per  proprio  nome 
L' arida  chiamò  Terra  ;  e  l'acque  ondose 
Mare  nomò  negli  ampj  spazj  accolto. 


DEL  MONDO  CREATO.  113 

E  come  suol  talor  ceraleo  velo , 
Che  gran  teatro  ricoprendo  adombri , 
Quind  e  quindi  ritratto  in  sé  raccorsi, 
E  discoprir  della  dipinta  mole 
Archi,  statue,  colonne,  altari  e  tempj  : 
Cosi  al  raccor  dell'  umida  natura 
Neil'  arida  apparirò  il  piano  e  1  colli  : 
E  gli  altissimi  monti  alzar  la  fronte 
(Dianzi  coperti)  imperiosi  in  vista. 
E  'I  mare  ondoso  mormorando  appena 
Lavava  1  piedi  al  maurilano  Atlante, 
E  del  gran  Tauro ,  e  di  Parnaso  e  d' Ato, 
Cli' allungar  può  la  breve  e  fragil  vita 
De'  mortali  egri  ;  e  d' Apennln  nevoso 
L'Ime  parli  bagnava,  e  quinci  e  quindi* 
E  correvano  al  chln  dal  seno  alpestre 
Degli  aspri  monti  i  rapidi  torrenti  : 
E  con  rimbombo  Impetuoso ,  al  corso 
Precipitando  gian  le  torbide  onde. 
Correano  a  basso  i  quieti  e  lenti  fiumi, 
E  'n  giù  correano  1  lucidi  mscelll. 
Perocché  Dio  colla  parola  eterna,  [pose. 
Che  scendesser  correndo  all'  acque  im* 
E  da  principio  l'affrettare  'I  passo 
Fu  comandato  all'umida  natura 
Dell'acque  vaghe,  e  lor  negò  quiete 
Della  divina  voce  II  santo  impero  : 
Perchè  nell'  ozio  l'acqua  è  pigra  e  torpe, 
E  là  dov'dla  s* Impaluda  e  stagna, 
Da  neghittoso  grembo  esala  intorno 
Vapor  grave  e  nocente  e  feri  spirti 
D'aure  maligne;  onde  perturba  *1  cido, 
E  quasi  Paria  infetta  :  e  parte  In  seno 
Mal  sano  nutrimento  accoglie  e  seri» 
Nel  suo  limo  tenace ,  onde  sovente 
Lo  sfortunato  abitatore  ammorba. 
Ma  l'acqua  die  veloce  In  giù  discende. 
Da  qual  parte  '1  suo  corso  ella  rivolga, 
Salubre  1  sani  in  suU'  erbose  rive 
Nutre  ;  e  i  tesori  suol  lieta  dispensa 
Poscia  con  auree  squame  e  molle  argento, 
0  liquidi  cristalli;  onde  s'estingua 
L' ardente  sete  a*  miseri  mortali. 
Ma  più  salubre  è,  se  tra  vive  pietre 
Rompendo  l'argentate  e  fredde  coma, 
Incontra  '1  nuovo  Sol,  che  '1  puro  argento 
Co'  raggi  Indora,  e  1  passi  In  breve  avanza. 
Quasi  rimembri,  ubbidiente  ancella, 
Ddl'alta  voce  ancora  '1  suon  celeste. 
Che  pria  la  mosse,  e  la  fé*  pronta  al  corso. 
Ma  s*  è  natura  pur,  eh'  è  propria  all'  ac- 
que, 
L*  andare  a  basso,  e '1  non  fermarsi  Inalto, 


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114  POEMI 

Ricercando  quiete  in  umii  parte, 
A  die  fu  d' uopo  la  diTina  voce  7 
Bastar  potea  la  sua  natura  al  corso; 
E  fu  soverchio  *1  comandar  severo , 
Che  le  tolse  '1  riposo,  e  'n  moto  etemo 
La  feMnquIeta,  istabile  e  vagante. 
E  pur  fu  necessario  '1  santo  impero: 
Perocché '1  suon  della  parola  eterna 
Se  creò  Tacque,  creatore  insieme 
Fu  della  mobii  lor  natura  errante , 
Che  la  conserva  ;  e  nel  suo  moto  etema 
Quasi  la  rende,  e  rassomiglia  al  cielo  ; 
Onde  la  sua  natura  è  certa  legge 
DellMmmutabil  verbo;  e  cerU  sede 
Dopo  *ì  suo  lungo  corso  a  lei  prescrive  : 
Ma  quivi  ancor  dalie  superne  rote 
Agitata  si  muove,  e  torna  indietro. 
Cedendo  intanto  all'  arenosa  terra 
Gli  usurpati  confini.  E  'n  questa  guisa 
Segue  del  Sole  e  delle  stelle  erranti. 
Ma  più  delia  vicina  e  bianca  luce , 
Il  certissimo  errore  e  *1  vago  giro  ; 
E  da  sei  ore  in  sei  s*  avanza ,  o  scema. 
Perocché  quando  air  orizzonte  ascende 
La  vaga  Luna,  in  riva  al  mar  sonante 
Cresce  '1  canuto  flutto,  e  i  lidi  inonda 
Vittorioso ,  e  parte ,  o  copre ,  o  sparge 
D'arida  terra,  iiisin  eh* al  sommo  cielo 
Aggiunga  della  Luna  il  freddo  carro. 
Quinci ,  mentr'  ella  all'orizzonte  estremo 
Declina  in  ver  l'Occaso,  il  mar  decresce, 
E'n  sé  medesmo  si  raccoglie;  e  scopre 
Di  bianchissima  spuma  1  lidi  aspersi. 
Ma  ferve  '1  mar  di  nuovo ,  e  'n  fera  vista 
Gonfia  1*  onde  spumanti ,  e  spazio  ingom- 
Neir  occupata  terra,  allorché  torna    [bra 
Ella  a  quel  punto  dell'  opposta  parte  ; 
E  nell'altro  emispero  ad  altre  genti 
Altissima  rìsplende  in  mezz'ai  cielo. 
Di  nuovo  cala  '1  mare,  e'n  umil  faccia, 
E  par  che  fugga  ed  abbandoni  '1  lito  ; 
L'onde,  fer\ide  dianzi,  appiana  e  queta. 
Quando  la  Luna  fa  ritorno  in  alto 
Nel  suo  Oriente,  ond*  ella  a  noi  si  mostra. 
.  Ma  non  serba  ogni  marl'istessa  legge 
Quand'  egli  cresce  o  scema  :  e  varia  'n  parte 
L'ordine  e'I  moto,  e  'n  al  tri  modi  ondeggia. 
Pressoi  Tauromitani  assai  più  spesso, 
E  Dell'  Eubea  (rome  si  legge)  il  mare 
Ben  sette  volte '1  dì  s'avanza,  e  scema; 
Gran  maraviglia  !  onde  sublime  ingegno 
Affaticato  e  vinto ,  a  morte  giunse , 
Mentr'ei  cercando  la  cagione  occulta. 


SACRI. 

Si  dolse  che  natura  a  no!  T  asconda 
Nel  suo  profondo  e  tenebroso  f^rembo. 
Ma  tra  fiate  '1  giorno  assorbe  e  mesce 
L*  onde  la  tempestosa  empia  Cariditt , 
Da  cui  latra  non  lunge  orrida  Scilla. 
Altri  mari  vi  son  (come  s'afferma) 
Che  nello  spazio  pur  d' un  mese  Integro 
Soglion  due  volte  alzar  l'onde  spumose  , 
E  due  volte  chinarìe  in  sé  rìprease. 
Anzi  nel  mar  degli  Etiopi  adusti 
Non  v'ha  flusso  e  riflusso.  E  più  lontano 
Solt'  un  altro  emispero ,  e  un  altro  polo. 
In  cui  non  splende '1  pigro  Arturo  e  r  Orsa, 
Solca  un  gran  mar  d' una  perpetua  pace 
L' ardito  navigante.  E  quel  eh*  Intorno 
La  terra  mormorando  ognor  circonda. 
Indomito  Ocean  respinge,  e  caccia 
Lunge  nel  crescer  suo  torrenti  e  fiumi , 
Talché  paion  fuggendo  1  porti  e  '1  lido 
Lasciar  per  tema ,  e  le  deserte  arene , 
E  tomarsen'  indietro  a*  propri  fonti  : 
Tant'é'l  poter,  che  gli  reprime  e  sforza. 
Dell'  Ocean  che  mugge  alto  e  superbo  ! 
Ma  '1  ligustico  seno ,  e  qnel  de*  Toschi , 
Ch'ondeggia  presso  alla  novella  Pisa, 
Cli'a'  più  onorati  studj;  i  premj  serba, 
E  le  corone  alle  più  dotte  fronti , 
Non  ha  quasi  dell*  onde  '1  moto  alterno. 

Ma  se  da  prima  l' acque  al  chiaro  suono 
Fur  mosse  già  della  dirina  voce , 
Perchè  cercare  in  terra,  o  'n  mezzo  ali*  on- 
Allracagion  del  lor  perpetuo  moto?  [de 
0  pur  lassù  tra  gli  stellanti  chiostri  T 
Come  fer  molli ,  il  cui  pensiero  ondeggia 
Pur  quasi  d' acqua  11  tremolante  lume. 

Altri  al  moto  divino ,  onde  si  gira 
La  sfera  più  sublime,  assegna  e  rende 
L'alta  cagione  :  altri  alle  stelle  erranti, 
A  quelle  più  della  più  bassa  luce ,  [fona 
Ch'é  più  vicina,  e  quinci  ha  maggior 
Nelle  cose  mortali  a  lei  soggette. 
E  dì  questi,  altri  vuol  eh' obliquo,  o  dritto 
Il  bianco  raggio  innalzi  l*  onde,  o  spiani  : 
Altri ,  che  della  Luna  il  pieno  aspetto 
Riempia  '1  mar  di  tempestoso  flotto; 
E  scemando  lo  scemi  ;  ed  altri  afferma 
Che  per  consentimento  di  natura 
Tacilo  imiti  il  mar  del  cielo  il  corso  : 
Ma  sono  questi  in  ciò  quasi  concordi. 

Altri  de' venti  al  respirare  obHquo 
E  'n  sé  stesso  ritorto ,  Il  corso  all'onde 
Ritorce,elecommoveor  quinci,  or  quindi. 
Altri  fu,  che,  seguendo  antica  fama. 


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LE  SETTE.  GIORNATE 
OlHt  chel  nar,  qnasl  spirante  e  tìto 
Grand'anima] ,  che  del  gran  mondo  è  i>arte, 
Maoéa  fuori,  e  raccogiie  '1  corso,  e  l' onde , 
Spirando ,  e  respirando  in  vari  modi. 
Altri  Beli*  Inegual  suo  Tetto  angusto 
Nm  fuol  che  troTi*l  mar  riposo,  o  pace: 
E  quiod  sempre  egli  si  muoTa,  e  lagni 
Con  reco  pianto ,  e  V  inquieto  regno 
GH  sia  di  guerra  pur  turbato  campo  ; 
Ma  più  si  muova  nelle  parti  eccelse. 
Che  aoo  quelle  rivolte  al  freddo  Carro, 
Là  doTe  sempre  di  gelato  umore 
Gravidi  e  pieni  son  gli  orridi  monti , 
Lo  qual  compresso  In  mar  si  stilla  eversa. 
E  perchè  la  gelata  alta  palude» 
Che  r  Aquilon  superbo  astringe,  e  *ndura, 
È  più  sublime  assai  :  però  discende 
Neirinospite  Eussino  :  e  quel  trascorre 
Kel  Biare  Egeo  col  suo  veloce  flutto  : 
Ma  poi  respinto  d'arenosa  piaggia 
Ka  l'Egeo  ndl'Eussin  ritorno,  e  riede 
L'Eussin  nella  meotlca  palude  : 
Qiiiid  hanno  i  mari  ognor  flusso  e  reflusso. 

Alcun  vi  fu  di  più  sublime  ingegno 
Ch*a  non  giuste  bilance  '1  mar  somiglia; 
Ed  una  parte  sua  solleva  in  alto. 
L'altra  deprime  all'arenoso  fondo: 
Ma  da  quel  favoloso  antico  varco , 
Ove  Alcide  innalzò  le  mete  e  I  segni 
(Cone  si  disse),  e  dall'ondose  porte 
(Se  pur  sue  porte  ha  l'Ocean  profondo) 
In  guisa  di  torrente  '1  mar  si  sgombra 
Di  seno  in  seno,  e  con  diversi  aspetti 
Egli  8è  stesso  pur  figura ,  e  stringe 
Tra  i  curvi  lidi  e  l' arenose  sponde. 
Anzi  fu  l'alta  man  del  Mastro  eterno. 
Che  'd  tante  forme  figuroUo ,  e  finge , 
Or  facendo  *1  mar  lungo,  or  tondo,  orqua* 
K'b  guisa  di  piramide  e  di  croce    [dro  ; 
Anco  forraolio,  e  di  mirabil  vaso  ; 
Siccome  là,  dove'l  Tirreno  inonda 
Di  Partenope  bella i  lidie  i  coUl, 
Gran  lana  colma  di  spumoso  umore. 

Ma  qual  si  sia  del  mar  la  forma  e  '1  moto, 
Posa  diurna  mai ,  posa  notturna 
Non  trova ,  né  silenzio  in  chiaro  tempo , 
Od  In  turbato ,  ed  in  orror  profondo , 
Benché  I  silenzi  neU' amica  notte 
AbMa  la  Luna.  Io  la  cagion  primiera 
Non  reco  al  Sole ,  od  alle  st«Ue  erranti , 
Non  a'  raggi  di  Luna  obliqui,  o  dritti, 
Non  al  ritorto  respirar  la  rendo 
DegI'  inquieti  venti ,  al  vario  fondo. 


DEL  MONDO  CREATO.  115 

In  cui  s'appende  1  mar  sospeso  In  lance  : 
Che  la  prima  cagion  fu  l'alta  voce. 
Movendo  *1  cielo  in  giro ,  e  1  mari  insieme. 
De'  quai  (com'  altri  disse)  In  giro  parte 
L' onda,  ed  al  suo  principio  in  giro  toma. 
Deh  !  se  giammai  sovra  una  viva  fonte. 
Che  d'acqua  Intorno  larga  copia  spande. 
Sedesti  lasso;  e  nel  pensicr  t'occorse, 
Chi  é  colui  che  fuor  del  seno  algente 
Della  profonda  e  tenebrosa  terra 
Manda  fuori'  acqua  ?  echi  la  spinge  avanti, 
Perch'ella  mai  non  cessi  e  non  s*  arresti 'r 
Quai  sono  1  vasi  eie  spelonche  inteme. 
Da  cui  deriva  ?  ed  a  qual  loco  affretta 
Mai  sempre  '1  corso  ?  ed  onde  avviene  e 
come ,  [s'empia  7 

Che  questa  mai  non  manchi  e  quel  non 
Questi  effetti  si  ascosi  al  nostro  senso 
Pendon  da  quella  prima  e  chiara  voce  [so. 
Ch*airacque  indulse,  e  le  fé'  pronte  al  cor- 

Tu  che  volgesti  pur  le  antiche  carte , 
E  spesso  volgi  le  moderne  illustri , 
Ricorda  pur  fra  te ,  come  rimbombi 
Di  quella  prima  voce  11  chiaro  suono  : 
e  Si  ragunino  l'acque;  >  e  quinci  innalza 
Il  tuo  pensiero  alle  cagioni  eteme. 

Il  correr  pria  fu  necessario  all'acque 
Per  occupar  la  certa  ed  ampia  sede. 
Giunte  nei  proprio  loco  a  lor  convenne 
In  sé  stesse  fermarsi ,  ed  oltra  '1  corso 
Non  affrettar  con  un  perpetuo  errore. 
E  quinci  certo  avvicn  ch'alfin  si  scorga 
Ogni  torrente  in  m  are,e'i  mar  non  s'empie: 
Perchè  fu  dato  in  sorte  all'acque  II  corso, 
E  circoscritto  entr'a'  confini  11  mare, 
Com'  impose  *1  buon  Re  che  fece  'i  mondo. 
E  quel  suo  comandar  fu  prima  legge , 
Legge  eterna  e  comune ,  a  cui  rubella 
Non  è  natura,  e  tra  gli  spazj  angusti 
Queta  '1  mar  violento  il  fero  orgoglio. 
Se  ciò  non  fosse ,  ei  già  diffuso  e  sparso 
Coperto  avria  con  un  diluvio  eterno 
La  bassa  terra  eh*  ei  circonda  e  parte. 
Né  quel  di  lei,  che  fuor  dell' acque  appare. 
Picciolo  spazio  ei  lascerebbe  intero 
A*  faticosi  e  miseri  mortali. 

Quando  agitato  è  più  fra'  tuoni  e  lampi 
Dal  gran  furor  de*  procellosi  spirti , 
E  volge  al  lido ,  e  sino  al  cielo  innalza 
Gran  monti  d'onde  rapidi  e  spumanti  ; 
Appena  tocca  l'arenose  rive, 
Che  'I  suo  furor  si  frange,  e 'n  lieve  spuma 
L' impeto  si  dissolve,  e  rotti  e  sparsi  * 


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no  POEMI 

CaggioDo  i  monti,  ond'el  ri  torna  iDdietro. 
Qual  dell'arena  più  minuta  e  vile 
£  debil  cosa  più  trovar  potresti? 

0  qual  più  violenta  e  più  superba 
Dell'orgoglioso  mare? e  pure  a  freno 
L' arena  tien del  mar  l'orgoglio  e  l'ira. 

E  non  temcrem  noi  quei  Re  superno , 
Che  pose  al  mar  con  sì  mirabil  arte 
Per  termine  l'arena?  è  pereti' uom  pensi 
Al  magistero,  egli  medesmoil  dice,  [vieto, 

Qua!  potrebbe  altro  in  toppo,  e  qual  di- 
Qual  podestà  terrena,  o  legge ,  o  forza, 
Tener  il  Rosso  mar  sublime ,  o  gonfio , 
Ch'air  Egitto,  di  lui  più  cavo  e  basso, 
Fatt'avria  prima  impetuoso  assalto, 
E  lui  sommerso  entr'  a'  suo*  vasti  abissi  ? 
Già  coli' indico  mar  si  fora  aggiunto 
Senza  fatica,  e  senza  ingegno,  od  opra 
Degl*  industri  mortali ,  e  senza  '1  vanto 
De'  superbi  tiranni.  11  gran  Sesostre, 
Ch'i  regi  catenati  al  duro  giogo, 
Quasi  cavalli  o  buoi ,  soggetti  a  forza 
Tenne ,  e  traggcr  li  fece  il  proprio  carro 
Per  le  già  dome  e  soggiogate  genti  : 
Quel  Sesostre ,  dlch'  lo,  terrore  e  scempio 
De'  regni  d'Aquilone ,  ov'egll  in  alto 
Pose  la  sede  (e  ben  di  dò  si  vanta 
Con  fama  antica  '1  favoloso  Egitto  ), 
Queir istesso  Sesostre  '1  mar  degl'Indi, 
E  l'Eritreo  tentò  d'unire  insieme 
Con  quel  d' Egitto  :  e  la  mirabil  opra 
Il  re  possente  abbandonò ,  temendo 
Che  sommersa  dal  mar  la  verde  terra 
Non  rimanesse,  e  queir istessa  tema 
Poscia  ritenne  *1  successor  di  Ciro. 

Eran,  quando  fu  dato  '1  corso  all'  acque. 
Pieni  di  cavernosi  e  curvi  monti 
Gli  antri,  e  le  tenebrose  atre  spelunche, 
E  le  valli  palustri  in  varie  forme 
Pendenti,  ed  ime  infra  montagne  e  colli  : 
E  quali  eguali  ai  mare  I  larghi  campi 
Eran  già  cohni  d'argentato  umore  : 
E  tutti  insieme  si  voltar  repente 
Al  comandar  della  divina  voce, 
Dacui  l'acque  fur  mosse,  e  'ngiù  sospinte 
Dalle  quattro  del  mondo  avverse  parti , 
E  *n  una  ragunanza  Insieme  accolte. 
Anzi  nel  tempo  istesso  allor  costrutti 
Per  opra  fur  della  divina  destra 

1  larghissimi  vasi,  1  fonti  e  l'urne, 

E 01  altri  lochi,  in  cui  s'accoglie,  o  versa. 
Non  era  ancor  di  là  dal  varco  angusto , 
Che  divide  coU'onde  AbiU  e  Calpe. 


SACRI. 

Anzi  Libia  ed  Europa,  il  mar  d' Atlanle, 
Né  quel  si  paventoso  a'  naviganti 
Tempestoso  Ocean ,  che  'ntomo  inonda 
Di  Gerlone  i  fortunati  regni , 
E  r  Inghilterra,  e  la  vicina  Irianda  : 
Ma  fur  di  quella  voce  al  gran  rÌml>oml>o 
Fabbricate  le  rive,  e  '1  vasto  letto. 
In  cui  si  ragunar  l' acque  correnti. 

Né  'neon tra  '1  vero  insuperbire  ardisca 
L'esperienza  de'  mortali  erranti. 
Fallace  e  vana ,  a  cui  di  pochi  lustri 
li  brevissimo  spazio  orgoglio  accresce. 
Perché,  dich'io,  se  l>en  riguardi  e  pensi 
li  numero  de'  secoli  volanti , 
A  lui  non  giunge  esperienza  umana. 
E  non  adduca  incontra  noi  l'esperto. 
Che  del  mondo  cercò  le  parti  estreme. 
Fosse ,  stagni  fangosi ,  imi  e  palustri 
Laghi,  in  cui  si  raccoglie  U  pigro  umore. 
Che  Dio  stimò  di  si  gran  nome  IndegnL 
E  mari  egli  chiamò  sol  l'ampie  e  grandi 
Ragunanze  dell'acqua,  anzi  queli'una 
Grandissima,  e  perfetta,  in  cui  s'accoglie. 
Come  'n  suo  loco ,  '1  liquido  elemento. 

E  come  '1  foco ,  che  diviso  e  scevro 
In  parti  minutissime,  risplende 
Qui  per  nostr'  uso  in  verde  legno,  o  'n  esca 
Arida,  in  forma  di  carbone  acceso, 
0  di  lucida  fiamma,  o  di  fumante. 
Per  cui  si  sparge  'n  cenere  e  'n  faville: 
Ma  sotto  *1  cid,  ch'é  men  sublime  ed  ampio« 
Nei  cavo  spazio  si  raccoglie  insieme  : 
0  come  l'aria  che  si  spande,  e  spira 
Per  varie  parti,  e  nell'occulto  grembo 
Passa  dell'  onda,  onde  germoglia  e  spuma  ; 
E  fra  spelonche  e  cavernosi  monti 
Penetra  ancora,  e  nell'Interne  vene 
Della  profonda  e  tenebrosa  terra. 
Ma  pure  insieme '1  proprio  loco  ingombra: 
Così  l'acqua  non  men  s'aduna,  e  sparge 
In  vario  letto,  e  tra  confini  angusti; 
Ma  poi  raccolto  in  voto  spazio ,  e  vasto. 
Empie  '1  salso  elemento  il  proprio  sitow 
L' altr'  acque  in  varie  parti  insieme  accolto 
A  questa  somiglianza  anco  sortirò 
Di  mari  '1  nome  si  famoso  e  illustre  : 
Siccome  là ,  dove  Aquilone  algente 
Versa  mai  sempre  le  pruine  e  '1  gelo,  [da, 
E  i  larghi  campi  e  gli  aspri  monti  aggliìao- 
Che  son  canuti  di  perpetua  neve. 
Ivi  (come  la  fama  a  noi  divolga) 
Sono  ampissimi  stagni ,  e  nel  profondo 
Leuo,  e  fra  le  superile  orride  rive. 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Quasi  emolc  del  mare ,  alte  paludi , 
E  in  gel  converse,  anzi  Indurate  e  strette, 
Quasi  in  lucente  adamantino  smalto. 
Delle  veloci  rote  il  corso  e  *1  pondo 
Sostengon  del  gravoso  ed  ampio  carro, 
Che  gli  animali  ignoti  a*  nostri  sensi 
Soglion  tirar,  la  fronte  alU  e  superba. 
Di  più  ramose  armati  e  lunghe  coma. 
Facendo  lunga  strada  al  grave  plaustro. 
Li  *ve  dìanxi  correa  spalmaU  nave. 
Ma  di  tutti  maggior  candido  lago 
L*  sotto  a*  sette  gelidi  Trioni  [no. 

Biancheggia,  e  quasi  eguale  al  mare  Irca- 
Molte  ha  dintorno  alle  sue  ignote  sponde 
Gttì,  Provincie,  regni,  ignote  genU, 
Popoli  barbareschi  ;  e  quesU  a  caccia 
Van  per  le  rive  degli  augei  volanti; 
0  sa  per  r  onde ,  e  dentr*  ali*  onde  Istcsse 
Cercan  Tumida  preda,  e  M  cibo  usato 
Degli  animai  squammosi,  e  degli  alati. 
Botmia,  Botmla  piscosa,  assai  vicina 
Ai  più  lontani  ed  ultimi  Biarmi , 
Intra  quc*  suo'  gelali  orridi  monti 
Ha  molU  quasi  mari ,  e  nutre  e  pasce 
Pur  di  quell*  esca  le  propinque  genU , 
E  potria  mezzo  nutricarne  '1  mondo. 
Ha  di  Venere  'l  lago  in  altra  parte. 
Che  sotto  air  Orse  si  dilaU  e  spande; 
E  nel  suo  spazioso  e  largo  seno 
Per  ventìquattro  porte  i  fiumi  accoglie , 
Ch'  entrano  in  lui  :  ma  solo  aperto  un  varco 
Lasda  al  precipitoso  uscir  dell*  acque , 
Che  per  sassoso  calle  al  mar  sonante 
Corrono  :  e  *1  suono  i  suo'  vicini  assorda. 
Ei  molte  accoglie  nell*  ondoso  grembo 
Isole  e  tempi  sacri  al  Re  celeste , 
In  cui  s*  adora  con  pietoso  culto. 
Quivi  il  lago  di  Mclce  anco  ristagna 
Fra  li  regno  di  Suezla  e  quel  de*  Goti. 
Quel  di  Vetere  appresso  ivi  mareggia; 
E  di  fulmine  '1  tuono,  o  di  metallo 
ImiUtor  del  fulmine  rassembra ,    [corso 
Con  quel  dell* acque,  allorché  d'alto  il 
Muove  precipitando;  onde  sovente 
Tuonar  diresti,  e  fulminare  il  ferro, 
Che  l'alte  mura  impetuoso  atterra. 
E  l'uno  e  l'altro  di  meulli  abbonda; 
Si  ricche  son  l'avventurose  rive 
DI  gran  vene  d'argento,  e  di  ferrigne. 

Hai  regno  di  Norvegia  'l  proprio  lago  : 
Che  'n  vece  di  prodigio  in  scn  si  nutre 
Orrido  spaventoso  empio  serpente,  [egro 
L*  baquel  d' Ibemia,  ov'  uom  languente  ed 


DEL  MONDO  CREATO.  IH 

Non  può  «Unco  spirar  lo  H>irto  e  l'alma. 
Se  quinci  ei  non  è  tratto.  E  fra'  Britanni 
Si  vede  un  lago,  che  pur  scema  e  cresce 
Con  ordine  contrario  al  mar  sonoro , 
In  cui,  quand'egU  cala.  Il  lago  inonda; 
Ma  r  onde  a  sé  raccoglie ,  e  toma'ndletro, 
Quando  più  ferve  l'Ocean  superbo. 
Ha  Scozia  '1  Lazio  di  famoso  grido, 
E  la  meravigliosa  alU  palude , 
Che  quand'  è  più  sereno  e  puro  *1  cielo, 
Né  si  muovon  per  l'aria  o  venti  od  aure. 
Si  gonfia  non  so  come  e  l'onde  accresce. 
Molti  Germania  e  Francia,  e  quel  famoso. 
Da  cui  ilRodan  si  partee'nmar  trascorre. 
Alla  palude  Lagia,  onde  si  vanU 
La  nobil  Gamia,  lunga  eU  vetusU 
Non  ha  scemato  ancor  l*  onore  e  '1  grido  : 
Quivi  si  pesca  prima,  e  poich'è  fatu 
Secca  ed  asciutta,  in  lei  si  sparge '1  seme, 
E  si  raccogHe;  e  tra  le  verdi  piante 
Prende  l'abiutor  gl'incauti  augelli. 
E  'n  tal  guisa  addivien  che  'n  vari  tempi 
L'istessa  sia  palude,  e  campo  e  selva. 
E  di  Tracia  e  d' Arcadia  ancor  son  conte 
Le  meraviglie.  E  nell'avversa  parte 
Del  mondo ,  dove  '1  Sole  asciuga  ed  arde 
U  terra ,  sono  ancor  nel  suolo  adusto 
DI  mirabil  virtù  paludi  e  sugni, 
A  cui  di  mar  non  fu  negato  'l  nome. 

In  Giudea  per  miracolo  s*  addlU 
Quello,  cui  piovve  già  dal  cielo  ardente 
U  giusu  fiamma;  e  I* altro  a  lui  vicino. 
Onde  prima  'i  Glordan  si  muove  e  scende. 
Fra  PaiesUna  giace,  e  '1  verde  Egitto 
Ne'  deserti  d'Arabia  un  ampio  lago 
Detto  di  Simoite.  Or  perchè  narro 

0  d'Arabi,  odi  Siri  acque  sUgnanU? 
S» ancor  la  terra  d'Etiopi  e  d'Indi, 
Vieppiù  soggetta  al  Sol ,  s' irriga  e  bagna 
De'  suo'  laghi  famosi;  e  si  racconto 
Che  d' alcuni  bevendo  uom,  foUe  e  stolto 
Tosto  diviene,  o  pur  dal  sonno  oppresso 
Si  giace ,  e  da  morUfero  leUrgo. 
Oltra  le  Mete  ancor  d'Alcide,  e  i  segni, 
Fra  'l  Tropico  del  Cancro  e  l' ampio  cinto 
Che  la  sfera  maggior  divide  e  f»»^*  » 
Ne'  regni  dianzi  ignoU  un  lago  ondeggia. 
Lo  qual  non  d' ora  Inora  oscema  ©cresce. 
Né  d'un  m  altro  giorno,  e  non  s  avanza 
Di  stagione  in  »t»8Ìone,od'  anno  In  anno 
Ma'nguisad'uomlerTen;chetardlglunga 

Al  suo  perfetto  stato;  e  tardi  ancora 

1  .^    ..„.j^   ^1  «A  minor  divenga; 


I  DccUnando ,  di  sé  minor  divenga; 


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na  POEMI 

Per  cinqnant*  aniil  e^  s' accresce  e  colma. 
Ed  altrettanti  poi  si  scema  e  Tota. 
Ma  dove,  Italia  bella,  omal  tralascio 

I  laghi  tuoi  descritti  in  mille  carte, 

E  ciiiarissimi  ancor  di  fama  e  d'onde? 
Chi  tace  '1  Trasimeno  7  o  quel  eh*  accoglie 
Nei  dolce  seno  la  città  di  Manto, 
0  *1  grandissimo  Lario,  o  'I  gran  Benaco, 
Ch'  assomiglia  del  mar  V  orgoglio  e  l'onde  7 
0  tant* altri,  onde  lieta  ancor  ti  nomi? 
Perchè  tace' io  le  maraviglie  antiche 
De'  stagni  di  Rieti ,  in  cui  vedeansl 
L' isolette  ondeggianti  ir  quasi  a  noto? 
0  nel  lago  Tarquinio  i  boschi  ombrosi 
Ir  su  per  l'onde,  e  variar  sovente 
Forma  e  sembianza ,  or  con  ri  tondo  giro. 
Or  con  tre  lati,  e  fare  'i  terzo  acuto? 

Ma  dall'opre  di  Dio  chi  mi  trasporta 
A  narrar  di  natura  1  vari  effetti 
Antichi,  e  nuovi?  e  riempir  le  carte. 
Sacre  alla  maestà  del  Re  superno, 
D'altr'  onor,  d' altr'  istoria  e  d' altro  nome, 
0  d'altre  rare  meraviglie  eccelse. 
Che  delle  sue  medesme?  o  pur  son  anco 
L'opere  di  natura  opre  divine? 
E  '1  magistero  di  natura  è  l'arte 
Del  Fattor  primo,  ond'è  fattura  e  figlia 
La  gran  madre  Natura;  e  'n  lei  s'onora, 
E  'n  lei  si  riconosce,  e  si  contempla 

II  saper  e  'i  poter  che  tutto  avanza. 
Dell'alto  Re,  ch'è  suo  fattore  e  padre? 
Lo  quai  de'  mari  die  l' iramago  e  'I  nome, 
E  l'ondeggiar  con  tempestoso  flutto 
All'  acque  insieme  accolte  :  e  pur  di  tante 
Fece  un  sol  mar  con  magistero  illustre , 
Ma  pur  in  parte  occulto  a'  sensi  erranti , 
Ed  uno  sol  dell'  acqua  ampio  elemento  ; 
A  cui  fra  la  gravosa  e  stabil  terra, 

E  l'aer  leve  e  vago ,  egli  prescrisse 
La  sede  e  '1  proprio  loco  ;  e  quinci  e  quindi 
Pose  1  fermi  confini ,  o  quasi  eterni. 

Un  solo  adunque  è  '1  mare  insieme  ag- 
D'acque  infinite  ed' infiniti  abissi,  [giunto 
Come  affermar  quei  che  di  Sole  in  guisa 
Lustrar  la  terra  e  circondarla  intorno, 
Peregrinando  dall'Occaso  all'Orto, 
0  da'  regni  di  Borea  a'  regni  d'Austro. 
Bench'  alcun  sia ,  che  stUni  il  mare  Ircano 
Da  ciascun  altro  mar  scevro  e  disgiunto. 
Perchè  tutto  è  di  rive  intomo  cinto  : 
Né  dimostra  aitmmente  '1  vago  senso. 
Come  ben  dimostrò  l'antico  errore 
Di  chi  pensò,  che  nella  stessa  guisa 


SAGRL 

Separato  ancor  fosse  '1  mar  Vermiglio, 
E  quel  degl'Indi.  Ma  non  senso,  o  certa 
Esperienza  di  mortali  industri 
Può  dimostrar  ch*  agli  altri  mari  ontte 
Sien  r  onde  caspie,  che  divise,  e  'ntorno 
Son  circondate  da  si  lunga  terra  : 
Ma  solo  1  pellegrino  ed  alto  ingegno, 
Ch'  ascende  al  cielo,  e  gli  stellanti  chiostri 
Di  sfera  In  sfera  alfin  trapassa,  e  varct 

I  confini  dei  mondo ,  e  I  spazj  angusti 
Esposti  a'  sensi ,  e  con  etema  pace 

Si  congiunge  alle  pure  eterne  mentL 

II  medesimo  ingegno  1  letti  e  '1  fondo 
Cerca  de*  mari  ondosi ,  e  va  sotterra 
Spiando  le  più  occulte  inteme  parti , 
Che  ne*  segreti  suoi  Natura  asconde. 
Questo  osò  d*  affermar  del  Caspio  nnre, 
Ch'  ei  sotterra  con  gli  altri  ancor  s*  agglia- 
Come  del  greco  Alfeo,  come  del  Tigre,  [fa; 
Come  degli  altri  fiumi  ancor  si  legge. 
Perocché  Iddio,  qual  fondatore  antle» 
D'alu  citude,  od  architetto  Illustre, 
Che  per  uso  di  lei  profonde  e  lungÌM 
Strade  faccia  sotterra  al  corso  occulto 
Dell'acque  vaghe ,  e  le  conduca  altronde, 

0  da  fonte,  o  da  fiume,  o  da  palnde  : 
Tal  de'  mari  forò  le  vie  nascose 
Dentro  la  tenebrosa  e  fredda  terra; 

E  dal  suo  fonte  le  rivolse  in  giro 
il  Dedalo  dlvin  (se  dir  conviensi). 
Sicché  non  sol  congiunto  al  mar  di  Gade 
i-j  V  Affrìcano  insieme ,  e  quel  de*  Sanfi, 
K  '1  Ligustico  appresso,  e  1  mar  Tirreno, 
L' Adriano ,  l' Ionio ,  o  pulr  1*  Egeo 
Otn  tant' Isole  sue,  con  tanti  porti; 
E  '1  Mirteo  suo  vicino,  e  seco  '1  Ponto, 
Coir  Ellesponto,  e  la  palude  amara: 
Ma  d'Arabi  e  di  Persi  e  d' Indi  adusti 

1  larghi  seni  all'  Ocean  profondo 

Son  pur  congiunti ,  e  *n  più  mirabii  modo 
il  Caspio  mar,  che  si  rinchiude,  o  copre 
Per  tanto  spazio,  e  poi  dagli  altri  appara 
Diviso;  e  quasi  peregrìn  soUngo, 
L' alta  unione  e  *1  gran  principio  asconde. 
Non  disse  allora  Iddio  :  La  terra  appaia: 
Ma  l'arida  si  veggia.  Arida  volle 
Chiamar  la  terra,  e  dimostrar  col  nome 
Ch'arida  fu  la  terra  avanti  '1  Sole. 
Avanti  che  nascendo  '1  Sole  in  cielo 
Le  seccasse  co'  ral  le  membra  asciutte , 
L'antichissima  madre  «rida  appanre. 
Perocch'  al  suon  della  divina  voce 
Corsero  tutte  l'acque  In  giù  repente; 


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LE  SETTE  GIORNATE 
OiMfeil»  m&  icbCò  fangosa,  e  misCa 
D*  acque  stagMim  in  anrie  adorno  aspetto. 
Mafv  s«a  prtea  quallfi  letosta 
L'eaer  arida  e  secca ,  e  nota  andca , 
Om  la  ilatgiM,  e  sua  sostanza  adempie. 

GoBi'èproprlodeiracqoa  1  fìreddo,  e  *1 
M  foco,  e  Farla  è  d*  oniida  natura  ;  [caldo 
Gasi  alla  tara  Tarido  conrtensl. 
E  liDconw  atf  nragfire  è  noto  1  tauro , 
Siferleoae  al  suo  ruggir  superiM), 
El  amilo  al  nitrir:  cosi  la  terra 
Per  l'aiMo  s'informa  e  si  dis^ngne. 

Ma  de^  priori  eleaMnl!  ancora  immlsti 
Dio  solo  intender  pud  l'accorta  mente, 
CoMenpIatrice  d^  oggetti  etemi. 
Ma  perciiè  a*  nostri  sensi  ornai  soggetti 
Son  delle  cose  instatrili  e  cadnclie 
I  gran  principi  «  onde  perpetua  guerra 
È  sott*  al  giro  dell'algènte  Luna; 
In  lor  nulla  di  puro,  o  di  sincero, 
OdisenpIiceTedlfOdlsolingo;       [pia 
Ma  son  mischiati  insieme,  e  'n  lor  s' accop- 
V  una  eoli'  altra  qualità  primiera. 
Onde  la  terra  Insieme  è  secca  e  fredda  : 
Fredda  ed  umida  l'acqua  :  umida  e  calda 
L'aria  :  ma  sovra  lei  ricino  al  delo 
È  cahlo  e  secco  per  natura  1  foco. 
Cosi  le  qnalitati  a  eoppia  a  coppia 
Ne'  primi  corpi  son  congiunte  insieme, 
Per  col  1*  uno  coU'  adiro  in  un  si  mesce 
In  brere  pace.  E  come  avviene  in  danza, 
Ch'alcuno  in  aMszo  è  con  due  mani  aT- 


E  con  due  mani  avrinee  ;  e  quinci  equindf 
L' intrecciata  carola  in  lungo  giro , 
MeBtr'ella  si  rivolge,  in  sé  ritoma. 
Cosi  degli  elementi  il  coro  e  1  baHo 
Si  gira  'n  oercbio,  ed  in  sé  slesso  ei  riede. 
Perocché  l'acqua  col  suo  freddo  unita, 
Quasi  con  una  mano,  al  suolo  algente 
È  della  fredda  terra  :  e  d'altra  parte 
Con  altra,  quasi  mano,  umida  tocca 
L*  aria ,  che  posa  pur  fra  r  acqua  e '1  foco. 
Sé  per  l'umido  suo  coli' aequa  implica, 
£  col  suo  caldo  s'accompagna  al  foco; 
E  delle  due  nature  In  sé  discordi 
E  guerreggianti ,  la  contesa  e  l' ira 
Divide  e  parte,  e  lor  conglunge  e  lega. 

Oh  !  mirabil  del  mondo  In  un  congiunta 
Con  nrie  tempre  e  con  tenad  nodl^ 
Catena  indSasotabik,  e  più  salda 
Che  duro  ferro,  o  lucido  adamante ^ 
Per  maglsitro  del  superno  Fahbro! 


DEL  MONDO  CREATO.  Ut 

Ohf  defle  cose  Instabili  e  caduche 
Ordin  fermo  e  costante  e  quasi  eterno! 
Che  nei  tuo  varTar  perpetuo  ósserri 
Leggi  incorrotte,  universali,  antique, 
Che  note  sono  alf  Etiope  adusto , 
Ed  b1  gelido  Scita  ;  e  parte  assembri 
Nelle  \icende,  e  nel  tuo  moto  incerto 
Le  certe  leggi ,  e  sovra  'I  cid  dirine. 

Ma  poiclié  fur  nel  suo  profondo  sito 
Deli'  acque  scorse  i  gran  (filuvj  accolf! , 
Vide  Dio  ch'era  bello  '1  novo  Mare, 
Con  gli  occhi  no,  ma  colla  mente  eterna, 
Onde  '1  fatto  da  lui  nobH  lavoro, 
E  r  opre  sue  medesme  egli  contempla. 

Lieta  vista  e  gioconda  e  vago  aspetto 
Quello  é  del  Mar  quando  tranquillo  e  plano 
Biancheggia  mormorando  appresso  '1  Ilio. 
É  bella  vista  ancor,  se  '1  dorso  inaspra 
Lieta  e  piacevol  aura,  e  l'onda increspc« 
Quand'  ei  ceruleo,  ower  purpureo  appare 
A'  riguardanti ,  e  non  percuote  irata 
Con  violenza  la  vicina  terra  ; 
Ma  dolcemente  le  distende  Intono 
L' amiche  braccia;  e  la  si  accoglie  In  seM>. 
Ma  non  in  quesU  guisa  o beilo,  o  caro 
Fu  '1  sembiante  del  mare  al  Re  celeste: 
Né  qui  deUa  beltà  giudice  é  il  senso , 
Ma  la  ragion  della  mirabil  opra 
Nel  giudicio  divino  é  beUa,  e  piace. 

In  prìma'lMare  all'ampia  terra  intoiBO 
É  d'ogni  umor  di  lei  perpetuo  fonte; 
E  per  oscure  e  tenebrose  strade 
Sotto  la  cavernosa  e  rara  terra 
S«  medesmo  egli  pur  divide  e  parte, 
Quasi  per  mine  occulte  assai  profonde. 
E  poiché  da  sé  stesso  in  lor  s'è  chiuso. 
Con  gli  obliqui  suo'  corsi  ascende  in  alto. 
Dallo  spirto,  che  'I  move,  alto  sospinto. 
Rotto  dell'  aspra  terra  'Iduro  grembo. 
Fuori  se  n'  esce  :  e  de'  purgali  umori 
Il  terrestre  amaror  cangiai'  ha  'n  dolce. 
E  trapassando  da'  meUlli  ei  prende 
QualiU  vieppiù  calda,  onde  sovente 
Con  fervìd' acque  eg^  s' accende ,  e  bolle 
Nell'isole ,  che  '1  mv  circonda  e  bagna, 
E  ne'  lochi  ricini  al  salso  Udo , 
TalvolU  in  quei,  che  son  fra  terra,  elunge. 

Beno  il  Mar  dunque  é  nel  giudizio  eter- 
no. 
Perché  sotterra  ha  '1  suo  profondo  corso. 
Bello,  perché  nel  salso  ed  ampio  grembo 
Tutti  raccoglie  d'ogni  parte  i  fiumi ^ 
E  ne'  termini  suol  aé  stesso  alrena. 


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120  POEm 

BeUo,  perchè  1  priacipio  e  quasi  U  fonte 
É  delle  pioggie  e  d'ogni  umor  che  versi 
L' aria  ristretta  in  brina,  in  neve  o  'n  gelo  ; 
E  riscaldato  dagli  ardenti  raggi , 
Le  sue  parti  più  lievi  esala  in  alto. 
Le  quali  arrivan  poi  nel  loco  algente. 
Ore  di  raggi  ripiegati  e  torti 
Non  giunge  'i  caldo.  Ivi  ristrette  insieme 
Sono  dal  freddo ,  che  circonda  intomo , 
E  caggiono  in  gravoso  e  denso  umore , 
Talché  l'arido  seno  indi  s'impingua 
Della  terra,  che  poi  concepe,  e  flglia 
Tante,  sì  varie  e  si  leggiadre  forme 
Di  piante,  d'animai,  di  fiori  e  d'erbe. 

E  chi  negar,  può  fede  ai  ver  eh'  io  parto, 
Veggendo  come  ferve  al  foco  ardente 
E  fuma  '1  vaso ,  che  d' umore  è  colmo  ; 
Sicché  ie  parti  sue  sottili  e  levi 
Spirando  in  aria,  egli  si  vota  e  scema  ? 
Ma  dell'  btesso  mar  l'onda  sovente 
Nelle  spugne  raccolta,  e  cotta  al  foco , 
Degli  assetati  naviganti  e  lassi 
Ferve  al  bisogno,  e  gli  consola  in  parte. 

Ma  bellissimo  é  11  Mare  innanzi  agli  occhi 
Della  divina  ed  immutabil  mente , 
Perché  colle  spumose  e  torte  braccia 
Tante  isole  nel  sen  raccoglie  e  stringe  : 
E  perchè  le  remote  e  varie  parti 
Della  terra  ei  congiunge ,  e  i  lidi  opposti 
Dalla  natura  :  e  largo  e  piano  '1  varco 
Porge  al  nocchier  che  lui  trapassa,  e  corre. 
Care  portando  e  preziose  merci 
E  quinci  e  quindi  ;  onde  '1  difetto  adempie 
Dell*  una  gente  e  l' altra,  e  *1  peso  alleggia. 
Scemando  quel  che  di  soverchio  abbonda, 
E  porta  insieme  ancor  di  cose  occulte, 
Anzi  d'ignote  meraviglie  e  strane. 
Moderna  istoria  e  peregrina  fama,    [glio, 

Ma  da  qual  alto,  e  'n  Mar  pendente  sco- 
Eda  qual  più  sublime  eccelsa  rupe  ; 
Da  qual  sommo  di  monti  alpestre  giogo, 
Che  signoreggi  d'ambe  parti  il  mare, 
Vedrò  la  sua  beltA  sì  chiaro,  e  tanto, 
Quant'  ella  innanzi  al  suo  Fattor  s' offerse  7 

Ma  se  pure  è  sì  bello,  e  si  lodato 
Anzi  1  divin  cospetto,  il  Mar  ondoso. 
Più  bella  assai ,  festante  e  foiu  turba 
É  de'  fedeli  suoi  raccolta  e  mista ,   [già, 
Ch'  anzi  le  porte,  e  dentr'  al  tempio  ondeg- 
Ed  oifre  1  voti;  e  le  preghiere  al  Cielo 
Devota  porge,  onde  s'ascolta  un  suono, 
Pur  come  d'onda,  che  si  rompe  al  llto. 

Cosi  quel  suo  pietoso  e  lieto  aspetto 


SACRI. 

Nelle  maravigliose  e  sacre  pompt, 
E  la  serena  sua  tranquilla  pace 
Conservi'l  gran  Gemente  e'I  cultoa 
Nelle  quattro  del  mondo  avverse  parti, 
Mentr'  apre  '1  Cielo,  e  i  suo'  tesori  eterni, 
E  le  sue  grazie  altrui  comparte  e  dona  ; 
Né  faccia  me  di  rimlrario  indegno. 

Poi  disse  Dio  :  La  Terra  ancor  germogli 
L' erba  sua  verde,  e  'i  suo  fecondo  legno. 
Che  produca  i  suo'  frutti  ;  e  questo,  e  quella 
Conforme  al  seme  che  nel  seno  asconde. 
Cosi  diss'egli.  E  la  gran  Madre  antica. 
Che  scosso  avea  dell'acque  il  grave  peso. 
Già  respirava,  ed  alleggiata  in  parte 
Parea,  quando  fuor  diede  i  nuovi  parti. 
Perchè  la  voce  del  sovrano  impero 
Costante,  certa  ed  immutabil  legge 
Fu  quasi  di  natura  ;  e  'n  parte  alcuna 
Ella  non  varia  al  variar  de*  lustri. 
Ma  si  conserva  ancor  di  tempo  in  tempo. 
Però  dell)  pregnante  e  grave  Terra 
Quasi  la  prima  prole  è  il  verde  germe; 
E  poiché  dal  suo  freddo  umido  seno 
Egli  s'innalza  alquanto,  erba  diviene. 
E  vigore  e  fermezza  alfine  acquista, 
Talché  fien  si  dimostra,  o  'n  altra  forma 
Perfetta  appare ,  e  'n  sua  cresciuta  etadc 
Ha  ciascuna  di  lor  l'erboso  e  '1  verde. 
Per  cui  quasi  sorelle,  e  nate  insieme. 
Non  ci  paion  ristesse,  e  non  diverse 
Molto,  ma  l'una  assai  simiglia  l'altra  : 
E  senz'aiuto  altrui  la  vecchia  Madre 
Queste  produsse,  e  non  fu  d' uopo  altronde 
Strana  virtute,  oltra  '1  divino  impero. 

Fu  chi  pensò  ch'alta  cagione  li  Sole 
Fosse  di  ciò  che  'n  lei  s' appiglia,  o  nasce. 
Lo  qual  la  scalda  con  gli  ardenti  raggi, 
E  '1  suo  natio  vigor  dal  suo  profondo 
Con  quel  vital  calor  attragge  in  alto  ; 
Ma  dietro  sua  ragion  s'inganna  e  falle. 
Perchè  la  Madre  Terra  è  più  vetusU, 
E  nata  pria  che  'n  del  nascesse  '1  Sole. 
Non  gli  perturbi  dunque  un  vano  errore; 
E  lascin  d'adorar  dei  Sole  il  lume , 
Come  di  vita  sia  cagione  etema. 
Cessin  le  merarigUe  antiche  e  nuove; 
Cessino  i  preghi,  i  sacrificj  e  1  voti; 
Cessin  non  pur  marmorei  alti  colossi , 
Ma  con  gli  altari  i  sìmolacri  e  i  tempj  : 
E  cessi  ogni  fallace  ed  empio  culto« 
Ond' ancor  quella  sciocca  e  ro«a  gente, 
Ch' oltra  le  Mete,  e  le  Colonne  alberga 
Sotto  l'ignoto  del  la  terra  ignou, 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Cbe  rOcean  da  noi  scompagna  e  parte , 
Adora  '1  Sole  ;  e,  come  a  Dio  supremo, 
gì* idoli  suoi  bugiardi  a  lui  consacra. 
E  sappia ,  scorta  omai  da  santa  voce , 
Per  cui  del  nato  mondo  in  lei  rimbombi 
LamaraTiglia,  e  del  celeste  Fabbro 
L*opra  e  1  lavoro  e  *1  magistero  adomo  ; 
Sappia  ella,  dico,  omai  (s*  inganno,  o  dub- 
bi que*  semplici  petti  ancor  rimane  )  [bio 
Sappia  cbe  quel  lucente  ardente  Sole, 
Cbe  tutto  del  suo  lume  *1  mondo  illustra, 
E  tutto  *1  corre  e  lui  circonda  intomo  ; 
Quell'aureo  fonte  di  serena  luce,     [dre 
Quel  grand*  ocdiio del  del,  quell*  alto  pa- 
Della  Tita  mortai,  quel  duce  eccelso. 
Lo  qual  co*  raggi  suoi  ne  guida  e  scorge. 
Nuovo  e  giovane  più  di  fieno  e  d'erba, 
Lor  cede  di  vecchiezza  *1  primo  onore  : 
Ib  cbe  fu  prima  alle  lanute  gregge , 
Ed  a'  cornuti  armenti  il  verde  pasto 
Preparato  dell'  erbe;  e  *1  cibo  umano 
Fu  d'ogni  provvidenza  allora  indegno. 
E  quel  Signor,  eh' a*  tardi  e  pigri  buoi 
Ed  a'  cavalli  rapidi  e  correnti, 
n  facii  nutrimento  anco  dispose; 
Dolci  apparecchia  a  te  care  vivande. 
Onde  tu  goda,  e  ricca  mensa  ingombri. 
Quel ,  che  le  mandre  tue  ti  nutre  e  pasce, 
Opur  le  torme  in  prato  erboso  impingua  ; 
In  gran  vasi  d'argento,  odi  fin  oro 
Condisce  il  cibo,  e  ti  nutrisce  e  giova, 
1&  co'  sapori  ti  lusinga  '1  gusto. 
Ma  '1  germogliare  ancor  di  seme  sparso 
Altro  non  è  eh' un  prepararti  avante 
Quel  che  la  vita  ti  mantenga  e  servi 
E  r  erbe  ancor  son  nutrimenti  umani  ; 
E  l'altre  che  produce  '1  suol  fecondo. 
Quasi  fra  l'erbe  e  le  frondose  piante 
In  mtEEO  poste,  e  di  natura  incerta. 
Benché  non  tutti  dell'erbosa  terra 
Nascanda  semi  sparsi  1  germi  e  1  parti  ; 
Né  la  gramigna,  onde  corona  illustre 
Ebbe  ne'  tempi  antichi  il  buon  Romano, 
Me  la  canna  che  tempra  in  dolce  suono 
Spesso  al  pigro  pastore  i  rozzi  amori  ; 
I^  la  menta,  né  '1  croco,  e  mille  e  mille 
Senz'altro  seme  ancor  produce  e  cria 
La  Terra,  umida  '1  volto  e  pingue  1  seno. 
I^rchè  nella  radice ,  o  pur  nel  fondo 
Qoasl  è  virtù  di  seme  :  e'n  questa  guisa 
La  Tota  canna,  poich'un  anno  intero 
Cresi»  vestita  di  sue  verdi  spoglie , 
Da  sua  i%d|ce  manda,  e  sparge  hi  fuori 


DEL  MONDO  CREATO.  12f 

Un  non  so  che ,  lo  qual  di  seme  ha  forza 
0  pur  ragione ,  e  l' è  di  seme  in  vece. 
Né  della  canna  già  l' oliva é  nata. 
Ma  dalla  canna  pur  nasce  la  canna. 
L'oliva  dall'  oliva  ;  onde  s'adempie 
Quel  che  da  prima  Dio  di  lor  dispose. 
E  quel  che  fu  nel  primo  antico  parto 
Generato  di  terra,  e  fuor  prodotto 
Dalle  tenebre  oscure  in  chiara  luce. 
Di  stagion  in  stagion,  di  tempo  in  tempo, 
Nel  simil  suo  rinasce  e  si  rinnova, 
E  nella  sua  progenie  é  quasi  eterno. 

Deh  !  pensa  come  al  suon  di  pochi  detti, 
E  di  comandar  breve,  allor  repente 
La  raffreddata  e  secca  e  steril  Terra 
Senti  del  partorir  la  pena  e  '1  duolo. 
E  i  cari  frutti  a  generar  commossa. 
Apri  del  chiuso  ventre  1  verdi  chiostri. 
Come  donna  pur  dianzi  egra  e  dolente , 
Deposto  '1  negro  manto  e  '1  vel  lugubre. 
Veste  di  ricche  spoglie  e  d' aurei  f  regj , 
Con  arte  vaga ,  oltra  l' usato  adorna  ; 
Cosi  la  Terra,  che'n  dogliosa  vista 
Mesta  appariva  e'n  squallido  sembiante. 
D'erbe  e  di  fiori  e  di  frondose  e  liete 
Piante  novelle  all'  abbellite  membra 
Fece  la  verdeggiante  e  ricca  veste. 
Tessendo  al  lungo  crin  varie  ghirlande. 

Deh  !  pensa  teco  ancor  di  parte  in  parte 
Quante  fé'  meraviglie  Iddio,  creando  ; 
E  perché  resti  al  cor  profondo  affisso 
L'alto  miracol  suo,  dovunque  giri 
Gli  occhi  e  '1  pensier  nell'opere  create. 
Ti  sovvenga  di  lui  che  fece  '1  tutto. 
Perché  non  é  si  vile  e  rozza  pianta, 
0  si  minuta  in  terra  erba  negletta , 
Che  rinnovar  non  possa  al  cor  l' immago, 
E  la  memoria  del  Fattore  eterno , 
E  richiamarne  1  miseri  mortali. 

Prima  del  fien  veggendo  i  fiori  e  l' erba. 
Pensa  fra  te  che  pur  di  fieno  in  guisa 
L' umana  carne  si  disfiora ,  e  perde 
Il  suo  natio  colore  :  arida  in  vista 
È  la  gloria  mortai  ;  troncata  in  erba. 
Cade  repente.  Oggi  leggiadro  amante, 
È  nel  più  verde  e  più  sereno  aprile 
Della  felice  sua  gioiosa  vita  ; 
Nodrito  di  pensier  dolci  e  soavi , 
E  di  speranze  giovanili  altero , 
E  di  purpurei  adorno  e  d'aurei  freg]. 
Sparso  d' arabo  odor  la  chioma  e  '1  volto, 
Robusto  per  l'età,  raggira  intorno 
Un  gran  destriero  e  lo  sospinge  al  corsoi 


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ìVt 


POfEM  8ACBL 


0  con  fstranM  pooipa  in  fimo  aipeUo     ! 
Appare  altrui  aoU*a  meatite  larve. 
Gravi  lance  ranqtendo  in  cbiuso  arringo; 
Domani  è  tinto  di  pallor  di  morte. 
Con  occhi  nella  Croole  oscuri  e  cavi  : 
0  colle  membra  debiU  e  tremanti 
Preme  odiose  piume;  e  ferve  e  laague 
Con  inteh^tte  voci  appena  intese. 

QuegU  di  sue  Ticcbezieanticbe,onov«, 
Da  sé  raccolte,  o  pnr  da^i  avi  illustri. 
Della  sua  (ama,  e  del  su'onor  superbo, 
E  da  folu  seguito  ed  amil  turba , 
Anzi  da  numerosa  e  lunga  greggia 
Di  propri  servi,  e  di  ministri  eletti, 
0  pur  di  lusinghieri  e  finti  amici; 
Esce  dell'alto  suo  dorato  albergo, 
E  toma  poi  con  orgoglioso  Tasto. 
Ed  uscendo  e  tornando ,  invidia  e  sdegno 
Move  nel  primo  e  nell*  estremo  occorso. 
E  d*ogn*  intomo  vede  all'alte  porte 
Accorrer  gente ,  eh*  ivi  adduce  e  tragge 
Grazia,  prezzo,  Cavor,  mercede  e  cibo. 
Alle  ricchezze  alta  possanza  arroge 
Di  libera  città  governo ,  impero 
D'armate  squadre,  e  dagl'imitU  regi 
Onor  concesso  e  potestà  suliiime, 
E  peregrina  guardia,  in  lucid*arme 
Temuta  e  fiera,  e  *u  disusau  foggia  : 
Quinci  '1  timore ,  o  di  gravoso  esilio  ; 
0  della  povertà  spogliata  e  nuda , 
0  di  teneture  oscure  in  career  tetro. 
Di  gravi  ceppi,  opur  d*  orrida  morte. 
La  plebe  e  i  cavatter  perturba  ed  ange. 
Ma  che  ?  lo  spazio  di  una  breve  notte , 
Fianchi,  stomaco,  lebbre  ardente  e  grave 
L'assale  e  doau,  e  da  si  lieto  state. 
Da  ti  sublime  altezza,  anzi  dal  mondo 
L'Infelice  signor  rapisce  a  forza; 
Dispogliando  repente  a  lai  dintorno 
Di  questa  vita  la  dipinta  scena  : 
E  tanta  maestà  sparir  confnsa 
Ratto  si  vede,  e  quasi  In  sogno,  o  'noadira. 
Così  rasiembra  nn  fior  languente  e  vile 
La  gloria  de'  mortali ,  alta  e  superba  [no 
Pu^dianzl:  ordì  Fortuna  è  gloeo  e  scher- 
Ma  colle  cose,  onde  la  vita  e'I  pasto. 
Aver  poscia  dovean  ^  egri  mortali , 
Prodotto  fn  micldlide  U  toseo. 
Nacque  col  grano  la  denta  instone; 
Con  gli  altri  dbi  imnumtinenie  a^panre 
L'eBeboro,  e'I  color  f«  bianco  e  negrow 
Apparve  nolo  atta  matrigna  ingiusta 
Poe  l'iconllt  :  e  non  rimase  occulta 


La  mandragora  In  terra  :  e  non  s'asooM 

U  psqnver,  che  sparge  1  grave  snooo. 
Dobbiam  donque  accusar  la  mano  eterna. 
Che  fece  1  mondo ,  e  vi  produsse  hi  terra 
Qnd  che  la  vita  poi  guasti  e  corrompa  ? 
Ma  pensar  non  dobbiam  ch'ai  ventre  in- 
gordo 
Tutto  debba  servire ,  empiendo  T  sacco, 
0  lusingar  con  soa  dolcezza  il  gusto. 
Perdi' ogni  dbo  preparato,  od  esca 
Nota  s'offerse,  ed  opportuna  e  pronta  : 
Ed  ha  ciascuna  «  la  ragione  e  '1  modo, 
Ond*ella  giovi.  E  se  del  tauro  fl  sangne 
Fu  già  Tcleno  a  te ,  famoso  duce , 
Che  pria  vinto  fuffa«rti  1  re  de'  Persi , 
Poi  te  merlcsmo  al  suo  poter  soggetto 
Far  non  sdegnasti,  eia  tua  patria  anfica; 
Dovea  però  quell'  anhnal  robusto , 
Che  si  destina  al  giogo  ed dT aratro, 
E 'n  molti  usi  ci  giova  e'n motti  mo<E , 
Non  esser  nato?  od  esser  nato  esangue? 
Non  bai  ragione,  onde  tu  schivi,  o  fugga 
Quel  clic  ti  nuoce,  e  *1  tuo  miglioredegga? 
Le  mansuete  e  semplicette  agneHe , 
0  pur  le  capre ,  abiutrid  alpestri 
Degli  alti  monti  e  dell'  incotte  rapi. 
Sanno  sdtivar  quel  che  le  affligge  e  nuoce 
Disoemcndo  col  senso.  A  te  s' aggiunge 
Col  senso  la  ragion,  celeste  dono  : 
K  lunga  insieme  esperienza  ed  arte. 
Ma  da  quel  che  d  nuoce ,  anco  so^^enle 
Util  si  tragge  ;  e  'n  prò  si  volge  '1  danne  i 
E  giovevole  altrui  sovente  appare  [guise 
Quel  eh' è  dannoso  agli  altri.  E'n  questi 
Il  mal  col  bene  si  contempra  e  mesce; 
Talché  nulla  è  da  Dio  creato  indamo. 
La  cicuta  agii  stomi  è  caro  cibo; 
Né  (benché  freddo)  noce  al  caldo  corpo 
Del  picdolo  animaL  Ricerca  ancora 
La  pernice  '1  veratro ,  indi  si  pasce  : 
Tal  son  le  tempre,  onde  si  schiva  *1  dannn. 
La  mandragora  e  l' oppio  il  sonno  allice. 
Ma  giova  ancora  alla  virtÀ  languente 
Delle  famose  donne  e  degli  eroi 
VinU  dal  mal,  bencbè  dall'enne  In^ttf. 
Dd  buon  veratro  U  buon  rimedfteanClon 
È  nelU  filosoAca  famiglia 
In  pregio  anoor;perch' egli  punge  edflstn 
L' ingegno  usato  alle  quistion  profonde  ; 
Come  di  Proto  già  sepper  le  figlie, 
E  '1  forsemiato  Aklde,  e  quel  famose, 
Ch' al  buon  Pericle  fu  maestre  e  duce» 
E  li  denta  ancor  rabbiosa  fame 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Rintuzzando  reprìme.  Or  Toigi  adunque 
L'accuse  in  grazie  :  e  Dio  ringrazia  e  loda. 
Che  derìda  dal  mal  fa  pronto  1  bene , 
E  dalla  morte  ancor  la  Tita  ei  trasse. 
E  non  pensar  ch^oltra  air  impero  e  *I  suono 
lydla  sua  Toce ,  generare  ardisca 
Disdegnosa  la  Terra  audace  parto  ; 
Denchè  la  foUe  antichità  la  finga 
ìladre  dì  fieri  mostri  e  di  giganti. 
Ma  r  Infelice  e  srenturata  felce , 
€be  non  produce  mai  frutto,  né  fiore , 
E  r  infecondo  logtio  uscir  prodotte 
Dal  suo  proprio  principio  ;  e  non  altronde 
Corrotti ,  e  trasmutati  in  altra  forma  : 
E  di  coloro  ebber  sembiante  immago. 
Di  cui  dovean  poi  le  partile  e  i  sensi 
Germogliar  nelle  sacre  antiche  Carte 
Inutilmente,  e  mescolati  al  vero 
Fario  men  puro,  e  men  sincero  In  parte  : 
Siccome  ayrien ,  quando  a  progenie  Ulu* 
L'Illegittima  prole  insieme  è  mista,  [stre 
Anzi  '1  Signore  (stesso  i  suoi  perfetti , 
Ch'ebbero  in  lui  costante  e  salda  fede. 
Poi  rassomiglia  a  quel  cresciuto  seme. 
Ch'abbia  prodotto  alfin  maturo  il  frutto. 

E  gii  per  adempir  1*  etema  legge 
Della  sua  Toce ,  e  1  suo  sovrano  impero , 
In  un  momento  avea  la  Madre  antica 
Maturati  nel  grembo  i  cari  germL 
Eran  fecondi  già  gli  erbosi  prati 
E  'n  guisa  ornai  di  tempestoso  mare 
Ondeggiavan  di  splche  1  verdi  campi. 
Ogni  erba,  ogni  virgulto,  ogni  arboscello. 
Ogni  omU  pianta ,  e  colle  foglie  eccelse 
Ogni  al  ber  più  frondoso  e  più  sublime , 
E  ciò  che  per  nodrìme ,  o  per  altr'uso 
Della  vita  mortai  germoglia  e  cresce , 
Era  già  sorto  ;  e  verdeggiando  in  alto 
Con  larga  copia  empieva  '1  fertil  grembo 
Deli'  ampia  Terra  ;  e  d' importuna  pioggia 
Non  si  temea,  né  d'impro%Tiso  turbo, 
O  di  sonora  e  torbida  tempesta  : 
Che  non  potea  dell*  inesperto  e  pigro 
Neghittoso  cultor  l' indugio  e  l' ozio , 
O  la  sua  tracotanza ,  od  aria  impura 
E  stemperata,  o  fulmine,  o procella. 
Od  altro  sdegno  pur  del  cielo  irato , 
Nuocer  al  già  maturo  e  dolce  frutto , 
O  danno  fare  all'  ondeggianti  splche. 
Né  dell'aspra  sentenza  fl  gran  divieto 
Della  terra  impedia  la  copia  ancora  : 
Q>*  erano  allor  più  antichi  1  vari  frutti 
Del  peccar  nostro,  e  di  vetusta* colpa, 


DEL  VONDO  CREATO.  ISB 

Ond'a  d  duro  e  faticoso  colto 
Siam  condeniiafi,edar)tnrnio1dbo 
Collo  sparso  ndor  del  proprio  ^oho. 
E  tutti  ancora  al  soon  deU'alta  Toce 
I  boschi  Terdeggiar  con  denso  orrore 
Di  folte  piarne  e  d'intricati  rami  : 
E  quelli ,  che  drizzar  le  ter  A  cime 
Sogliono  ad  del  con  plft  sublime  altezza. 
Cedri  odorati ,  id>etì ,  pini  e  palme. 
Premio  de'  vincitori  ;  o  pur  cipressi 
Imitatori  deU*  antiche  mete. 
Gli  umili  ancor,  come  1  ginepri  e  i  sald 
Dispiegavano  omai  la  rerde  chioma. 
E  quelle  piante  ancor,  di  cai  s'orba 
Nobil  corona  all'  onorate  fronti , 
Dico  le  rese  e  i  sacri  allori  e  1  mM , 
Sorgendo  insieme  frondeggiar  repente, 
Con  sue  proprie  virtù  disfate  e  scevre , 
Quari  (fi  varie  note  In  Tari  mo<fi 
Da  mano  etema  a  lor  notizia  iscritte. 
Ma  solamente  allor  ne*  primi  tempi 
Senza  que'  suo'  pungenti ,  ispi^  dumi 
Spiegò  le  foglie  la  pinpvrea  rosa. 
Alla  bellezza  poi  dd  vago  fiore 
Aggiunta  fu  la  dura  acuta  spina; 
Perch'  al  nostro  piacer  sia  presso  1  dodo, 
E  d  rammenti  1  peccar  nostro  antico. 
Per  cui  fu  condennata  (e  ben  convenne) 
A  partorir  la  Terra  ortiche  e  spme. 
Ma  come  avvien  eh'  a  quel  divino  Impero 
Molte ,  quasi  ritrose  e  ribellanti , 
Neghino  ubbidienza  hi  fare  '1  frutto? 
E  non  sien  nate  ancor  del  proprio  semet 
L' arbore,  onde  già  dose  1  crine  incolto 
(Siccom'è  vecchia  fama)  il  forte  Aldde, 
Or  biancheggiarsi  vede,  or  negra  appare  : 
Ma  pur  frutti  non  fanno  o  queste,  o  quelle. 
Sono  infecondi  ancora  il  salce  e  l' olmo  ; 
Ma  dascuna  ha  di  lor  suo  proprio  seme. 
Come  vedrai ,  se  ben  riguardi  e  pensi , 
Che  soggetto  alle  foglie  è  un  picdol  grano, 
Misco  nomato  già  dal  Greco  industre, 
Che  pose  molto  studio  e  molta  cura 
In  fare  1  nomi ,  e  fabbriconi  e  finse. 
E  questa  ha  forza  pur  di  seme  occulto. 
Come  hanno  r  altre  ancor,  che  da  raffice 
Sogfìono  germogliar;  ma  legge  impose 
L'eterna  voce  alle  più  degne  e  conte, 
Di  cui  far  volle  Iddio  memoria  Illustre! 
Come  la  vite  e  la  tranqulfla  oliva , 
Di  cui  runa  produce  1  dolce  vino, 
E  r  altra  l' olio  :  e  1  vin  conforto  e  gMa 
È  de'  più  dolorosi  afifitti  cori  : 


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124  POEMI 

L'olio  d  la  Intente  e  lieto  'i  volto. 

Ma  dii  potrebbe  annoTerar,  parlando, 
Tante  e  si  raiie  di  Tìrtù  segreU, 
E  di  sembianza,  e  da  si  varie  parti 
Traslate  piante ,  e  peregrine  illustri , 
0  nostre  pare ,  e  sott*  al  nostro  cielo 
Cresciute ,  od  in  selvaggia  orrida  parte , 
0  tra  le  mura  pur  del  proprio  aU>crgo , 
Che  fanno  istoria  si  ramosa  e  lunga? 
Basu  la  vite  sol ,  che  'n  aito  stende 
Le  torte  braccia,  e  con  frondosi  giri 
All'olmo  amica  si  marita  e  lega  ; 
Basta  la  vite  solo  a  farci  accorti 
Di  nostra  vita  ;  e  di  natura  esempio 
A  noi  si  mostra,  anzi  è  più  degna  immago 
D'immagin  naturale,  o  di  celeste. 
E  rassomiglia  umilemente  altera 
Della  Madre  Natura  il  Padre  etemo. 
Padre  dei  cielo,  o  pur  l'eterno  Figlio  « 
Ch'a  sé  stesso  di  vite  '1  nome  impose  ; 
E  coltor  nominò ,  parlando ,  il  Padre  : 
E  noi ,  per  fede  nella  Chiesa  inserti , 
Di  chiamar  si  degnò  sarmenti  e  tralci  ; 
Perocch'  a  noi ,  com'  alla  fertil  vite , 
Conviensl,  o  come  alla  feconda  oliva, 
Producer  largamente  i  dolci  frutti , 
Senza  spogliar  giammai  per  tempo,  o  caso, 
Della  speranza  non  terrena  *1  verde  ; 
Ma  con  sempre  fiorito  e  lieto  aspetto 
Rassomigliarla ,  e  verdeggiar  neir  opre  ; 
Ed  offerirne  a  Dio  la  gloria  e  'I  merto, 
Ch' è  divino  cultor  di  pura  mente. 

Ma  sono  in  dignità  vicine  a  queste 
Quelle  felici  piante  avventurose , 
Che  della  madre  sua  son  quasi  immago  ; 
La  qual  è  nel  cipresso  e  nella  palma 
Rassomigliata  :  e  d'odorato  cedro, 
E  di  platano  ancor  non  prende  a  sdegno, 
0  pur  di  mirra  la  sembianza  e  '1  nome. 
Ma  pur  queste  medesnie  ed  altre  ancora 
Utili  sono  a'  magisteri,  aH'arte 
Di  nostra  vita  e  quasi  a  ciò  prodotte 
Dalla  natura,  anzi  dal  Fabbro  etemo 
Colla  natura  insieme  alior  create. 
Altra  par  nata  agli  edifici  eccelsi  : 
Altra  a  tesser  di  sé  le  navi  e  1  carri  : 
Altra  a  far  lance ,  o  pur  saette  ed  archi , 
Armi  temute  nell'orribil  guerra  : 
Altra  ci  nacque  destinata  al  foco  : 
Altra  a  far  ombra  a'  peregrini  erranti 
Nel  mezzogiorno,  od  a  coprir  d' intorno 
Colle  ramose  braccia  i  dolci  fonti , 
0  pur  le  mense  fortunate  appieno  : 


SACRL 

Ma  che  sia  proprio  di  dasoma ,  o  come 
L'una  dall'altra  si  distingua  e  parU; 

0  quai  dentr*  alla  rozza  orrida  scorza 
Sieno  amori  secreti  ed  odj  occulti  ; 

È  studio  forse  d'ozioso  ingegno, 
E  '1  ricercar  qual  nd  profondo  grembo 
Dell'  ampia  terra  le  radici  estenda  : 
Qual  nel  sommo  di  lei  s' appigli  appieno: 
Qual  dritta  nasca  e  sovra  un  saldo  tronco 
Lieta  s'avanzi ,  e  s'avvicini  al  cielo  : 
E  qual  cresca ,  le  bracda  e  i  pie  distorta, 
E  'n  molti  rami  si  divida  e  parta  : 
E  qual  umil  serpendo,  a  terra  inchine 
Le  verdi  fronde ,  o  non  ardisca  alzarsi 
Senza  '1  fido  sostegno,  a  cui  s' apprenda , 
Cura  oziosa  è  pur  di  vana  mente. 
Ma  quelle  che  diverse  e  quasi  sparse 
Per  l'aria  son  con  molti  rami  intorno. 
Sogliono  aver  ancor  profonde  a  dentro 
Le  sue  radici  assai  distese  in  giro  : 
Perchè  Natura  stabilisce  e  fonda 
Delie  superne  parti  il  grave  peso 
Incontra  '1  mormorar  di  Borea  e  d'Austro. 
Nella  nativa  ancora  incolta  scorza 
È  gran  divario.  Altra  l' ha  rozza  ed  aspra  : 
Altra  men  dura  :  altra  più  molle  e  liscia  ; 
Altra  d'una  corteccia  appar  contenta  : 
Altra  di  molte  si  ricopre  e  veste. 
Ma  quel  che  meraviglia  In  vero  apporta , 
È  che  ritrovi  in  lor  (se  ben  riguardi  ) 

1  diversi  accidenti  e  i  vari  esempi 

Di  gioventute  e  di  vecchiezza  umana. 
Perchè  le  piante ,  ancor  novelle  e  verdi , 
Han  polita  la  scorza  e  quasi  estesa. 
Ma  s' addivien  che  per  molt'  anni  invecchi, 
S' empie  di  rughe,  ed  increspau  inaspra. 
Ed  altre  germogliar  recise  e  tronche 
Sogliono  :  ed  altra ,  nel  troncare ,  il  ferro 
Apporta  quasi  inevitabil  morte. 
Altra  fu  già ,  eh'  impetuoso  turbo 
Dalle  radici  sue  divelse ,  e  poscia 
Ella  risorse ,  e  s' appigliò  di  nuovo 
Nel  duro  grembo  dell'antica  Madre; 
Siccome  ben  due  volte  almeno  avvenne 
Ne'  campi  di  Farsaglia,  e  'n  altra  parte. 
Altra  non  pur,  come  si  scrive  e  conta. 
Nella  medesma  terra  anco  s'apprese: 
Ma  fu  talvolta  che  reciso  ed  arso. 
Il  pino  trapassò  di  selva  in  sdva  : 
E  verdeggiò  tra  le  robuste  querce  : 
Miracool  raro  di  Natura  e  grande, 
Se  meraviglie  fa  1'  alma  Natura. 
Ma  chi  riguarda,  come  'I  buon  cultore 


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LE  SETTE  GIORNATE 

I  Tiii  curi  dell'  inferme  piante , 

E  dell'egri  Natura  in  lor  corregga 
Vari  difetti,  e  gli  trasmuti  in  meglio; 
Di  curar  sé  medesmo  apprenda  '1  modo. 

II  bel  pomo  affrican ,  che  'n  molle  scorza 
ìlIUe  quasi  purpuree  e  bianclie  gemme 
Asconde  e  copre ,  e  poi  le  sparge  aperte. 
Onde  l'arida  sete  estingua  in  parte; 
L'addo  suo  sapore  in  dolce  succo 
Cangia  sovente.  E 1  mandorlo  d*  amaro 
Dolce  diviene,  e  l'amaror  maligno 
Allatto  lascia,  se  forato  è  il  tronco 

Alle  radici,  e  dentro  '1  foro  infitto 
Di  pece  un  cuneo  ei  ricevendo  accoglie 
Nella  pingue  midolla.  E  1*  orzo  ancora 
fi  medicina  alle  frondose  piante, 
E  le  fa  belle  oltra  misura,  e  liete  : 
Tanto  può  l'arte  del  cultore  industre! 
Ma  s'egli  è  neghittoso  e  pigro  all'  opre , 
Per  negligenza  di  coltura  e  d'arte. 
Gli  alberi  vanno  ognor  di  male  in  peggio. 

Altri  mutano  ancor  colore  e  forma 
Senza  1*  aiuto  di  cultore  amico. 
E  la  candida  pioppa  in  negro  tinge 
Le  bianche  foglie;  e  si  trasmuta  in  loglio 
Sovente  '1  lino  :  ed  II  slsimbro  in  menta 
Per  soverchia  coltura  ancor  si  volge. 
Cosi  r  animo  ancor,  se  studio ,  o  cura 
Delle  sue  macchie  noi  polisce  e  terge, 
Perde  1  natio  candore,  e  tutto  annera, 
Ower  di  grande  egli  diviene  angusto, 
E  d'alto,  basso,  e  sé  medesmo  inchina  : 
yu  per  culto  s'innalza ,  e  lieto  aspira 
Già  quasi  al  cielo,  e  sé  medesmo  avanza. 
Dunque  di  coltivar  l'umana  mente 
Apprendano  i  mortali ,  e  i  vari  morbi 
Sanar  dell'alma  in  sé  languente  ed  egra. 

Or  chi  potrebbe  annoverar  parlando 
I  vari  frutti ,  o  dimostrar  distinU 
I  colori ,  i  sapori ,  i  propri  efletti , 
E  la  propria  virtù  mal  nota  al  gusto? 
Non  sol  mlDe  maniere  e  mille  forme 
D' arbori  fanno  1  frutti  in  mille  guise  ; 
Ma  in  mia  sorte  istessa ,  e  'n  una  parte 
Molta  varleti  s'osserva  e  mira 
Di  color,  di  figura,  o  pur  di  sesso. 
Siccome  nella  palma  altri  ritrova 
Dalla  fenmilna  sua  distinto  '1  maschio  ; 
Perchè  com'dia  sia  commossa,  e  spinta 
D'interno  amor,  quasi  le  braccia  stende , 
E  brama  al  suo  marito  esser  congiunta. 
Ed  11  medesmo  awien  tra  fico  e  fico  :  [nasce 
Perdiè  'i  selvaggio  a  quel  ch'alberga  e 


DEL  MONDO  CREATO.  125 

Fra  le  rinchiuse  e  ben  guardate  mura. 
Si  pianU  appresso  ;  o  pur  si  lega  e  stringe 
L' uno  coir  altro  frutto  ;  e  *n  questa  guisa 
L'infermità  si  cura;  e  si  ritiene 
Ch'egli  non  cangia  alfin  disperso  e  guasto. 
Qual  di  Natura  è  questo  oscuro  enigma? 
Forse  'n  tal  modo  ella  c'insegna,  e  mostra 
Che  dagli  strani,  ancora  a  noi  congiunti. 
Virtù  s'acquista  alle  buon'opre,  e  ferma 
Costanza.  Adunque  Italia  omal  rimiri, 
Italia  ancor  languente,  ancora  inferma. 
Vieppiù  che  'n  guerra,  in  neghittosa  pace. 
Che  r  interno  suo  mai  non  vede ,  o  sente  ; 
Miri  gli  orridi  monti ,  e  'n  loco  alpestro 
Cerchi  la  gente  orribile  e  selvaggia  : 
Quinci  '1  tenero  suo,  chelangue  e  cade, 
Anzi  '1  morbido  suo  confermi ,  e  'nduri 
Per  unione ,  o  per  esempio  almeno. 

Ma  in  nlun  peggior  modo  e  più  splacente 
Traligna,  e  perde  la  robusta  pianta 
Il  suo  vigore  e  la  sua  prima  forza. 
S'egli  addivien  (come  sovente  Incontra] 
Che  'n  femmina  di  maschio  egli  si  cangi. 
E  quinci  l' uomo  ancor  si  guardi  e  schivi 
D'ammollir,  quasi  donna,  il  cor  robusto. 
Che  Natura  gli  die ,  tra  i  vezzi  e  gli  agi, 
Per  ozio,  per  diletto,  o  per  lusinga. 

Ma  fra  le  piante  ancor  distinte  e  scevre, 
Natura  amica  amor  vi  pose,  e  pace  : 
Pose  fra  l'altro  inimicizia  ed  ira. 
Il  bel  pomo  gemmato  e  'l  verde  mirto, 
0  pur  il  mirto  e  la  feconda  oliva, 
Son  per  natura  amici ,  e  'n  breve  spazio 
Piantali  appresso  senza  oltraggio  e  danno  : 
Ma  pur  la  dolce  vite  e  '1  dolce  fico 
Avversi  sono  oltra  misura ,  e  'nfestl. 
Chi  '1  crederebbe?  e  tu ,  Natura ,  insegni 
Che  tra'  buoni  talvolta  è  sdegno  e  guerra. 
Ma  si  mariu  ancor  la  vite  e  '1  fico. 
Come  addivien,  quando  fra  regno  e  regno 
Quetan  le  nozze  l'odiosa  guerra. 
E  chi  '1  marito  allor  disturba  e  svelle, 
Langue  la  sua  consorte  In  breve,  e  muore. 
Nobile  esempio  dell'amore  umano, 
E  di  fé  maritai  costante  e  salda. 
Ma  '1  caolo  s'alia  vite  s'avvicina. 
Tempra  quel  generoso  e  grande  spirto. 
Onde  poscia  'l  suo  vino  avvampa  e  ferve, 
E  giova  agli  ebbri:  in  cotal  guisa  ammorza 
L' intema  fiamma  fervida  e  fumante. 
Ma  d' innocenza  han  sovra  gli  altri  il  vanto 
Il  bei  pomo  granato  e  '1  dolce  melo. 
Né  fanno  ad  altra  pianta  oltraggio,  od  onte. 


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ne  POMI 

Ed  innocente  Ipinolonalzae  spande  [bra 
Lachioma  al  cielo,  ed  ampio  q>axioadom- 
dm  larghi  crini  e  colie  bracda  estese  : 
Picdoi  loco  sotterra  ingombra  e  prende 
Colle  radid,  e  sotf^all' ombra  amica 
Verdeggiano  sicuri  ii  mirto  e  1  lanro. 
Sotf  all'ombra  cosi  di  re  possente. 
Che  di  tesoro  ingordo,  o  di  terreno 
Non  si  dimostra,  e  non  s' usurpa  a  forza 
De'  suo'  vicini  P occupata  parte, 
Q^scon  molti  sovente  in  lieta  pace  t 
E  liorìsconvi  ancor  gii  studj  e  r  arti 
DelT eloquenza,  e  i  meritati  onori. 
Ti  sono  piante  di  natura  incerta, 
E  di  gemina  vita  in  acqua  e  'n  terra. 
La  mirica  è  fra  queste ,  e  spesso  abbonda 
Ne'  solitari  luoghi  e  ne'  deserti; 
Ne'  laghi  e  negli  stagni  ancor  ci  nasce , 
Sembiante  a  quei  che  variar  sovente 
Soglion  le  parti,  e  d'un  in  altro  campo 
Seguir  fortuna,  e  d'un  signore  alT altro 
Per  natura  maligni ,  e  per  costume. 
Ma  delle  piante  ancor  chi  tace  1  pianto? 
Chi  può  tacer  le  lagrime  stillanti 
Dalle  ruvide  scorze?  e  i  vivi  umori 
Lucidi,  trasparenti,  insieme  accolti T 
Sparge  dal  legno  suo  tenace  e  lento 
Sue  lagrime  1  lentisco  ;  e  '1  dolce  succo 
Fuor  versa  ancor  di  lagrime  odorate 
U  balsamo  ;  arbosoel  pregiato  e  caro 
Nel  regno  degU  Ebrei.  Ha  1  verde  Egitto, 
E l' Affrica  arenosa  ancora  '1  pianto 
Della  ferula  vide.  Il  chiaro  elettro 
È  lagrimoso  umor,  che  sparso  cade 
D'arbor  famoso,  eh'  un  bel  pianto  impetra. 
Ma  pur  troppo  1  parlar  s'avanza  e 
E  negli  allerti  t  smisurati  campi  [cresce, 


SÀCBL 

Della  terra  e  del  mar  confine,  o  freno 
Non  trova  al  corso,  ond'  ei  dbpersoeciaiÉe 
Per  le  cose  minute  andria  vagando  ; 
In  cui  si  grande  appare,  e  si  possente 
Dio  Creator,  che  fece  ancor  l'eccelse. 
Dunque  fla  d' uopo  di  fermarlo,  awislo 
Dalla  necessità ,  eh' è  dura  e  salda» 
Prima  ch'alia  fatica  ii  breve  giorno 
Manchi  di  questa  mia  vita  caduca. 
Voi ,  che  mirate  le  diverse  piante 
Negli  orti  e  nelle  selve,  o  pur  ne'  monti^ 
Nelle  paludi  ancora,  e  negli  stagni, 
0  pur  deir Eritreo  nel  rosso  grembo; 
E  vagheggiate  i  verdi  tronchi  e  i  rami, 
E  le  fiorite  lor  frondose  chiome  ; 
Nel  poco  omai  riconoscete  'I  mollo  : 
E  col  pensiero  a  brevi  e  scarsi  detti 
Gran  meraviglie  ancor  giunger  potreste , 
Pensando  a  quel  Signor  che  fece  1  mondo 
Meraviglioso  di  lavoro  e  d*  arte. 
Lo  qual  disse  :  Germogli  ancor  fa  terra 
n  legno ,  che  produca  1  dolce  frutto 
Sovra  la  terra.  Allor  all'alta  voce. 
Come  paleo,  che  nel  suo  ferro  affisso. 
Alle  prime  percosse  ei  va  rotando , 
E  con  molte  sue  rote  in  se  ritoma; 
Cosi  la  Terra  va  girando  a  cerchio 
Le  sue  sugioni  ;  onde  si  spoglia  e  veste 
E  i  cari  frutti  suol  produce  e  serba. 
Che  pur  la  sferza  con  divina  voce 
Quel  che  comanda  alla  Natura,  al  Qelo  : 
Perch'  dia  d*  anno  in  anno  i  certi  giri  [pia, 
Tolga  sembianti  al  primo.  Alfin  gli  adeoH 
Quand'avrà  flne'l  tempo, e  fine  1  mondo. 
Ned  efia  sola  avrà  quiete  e  pace  : 
Ma  l  Cieli  avranno  ancor  riposo  etemo. 


GIOBNÀTA  QUARTA 

te  cai  tmm  crati  fi  Sole,  laLau  •  le  Stella. 


Qoel  che  rimira  le  contese  e  I  pregi 
Del  lottatori ,  o  d!  chi  leve  al  corso 
Le  membra  ignnde  Ui  di  solenne  affretti  ; 
Odignerrieripurrimpreseernme,  [gè. 
Diverse  In  largo  campo,  o  'n  chhiso  arrìo- 
E I  dori  Incontri  In  toraeamento,  e 'n  gio- 
stra; 
Sette  te  s»  ste—  «  sw  »ìbmIì lutai  no, 
Omfè 


Con  q«elebefan  tralordoèUeceatruto: 
E  col  suo  proprio  affette  IncUna  e  pende 
Più  sempre  ad  una  parte  ;  ebraroa  espera 
La  vittoria  dai  quella  :  e  spesso  inaaiza. 
Per  rincorar  l  siK»i,  la  vece  ei  grido. 
Cert  chi  m  eelesU  obbietti  derni, 
B  érite  cose  saisvais  e  grandi, 
Mra  It  «enrvlglle;  o  para  ascolti 
Qoel  eh*  ogni  stilla,  ogni  ghMldoaraB» 


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LE  SETTE  GIORNATE 
vn»  incfraMI  siplcim  6(1  àitc\ 
Cooflen  eheseco,  ami  fn  sé  stesso  appord 
Gr ìmpeti  interni  e1  iho  ardore  el  zelo 
FerrM»,  a  conteapiar  rivofto  e  Ìso 
Tai  CMe  e  tante,  in  pochi  giorni  ad  suono 
Fatte  deBbi  dhrina  eterna  Toce. 
E  dee  con  afni  forza  insieme  accolta , 
Come  compagno  e  eonw  ftdo  amico. 
Trovarsi  nel  contrasto,  e  dar  alta, 
f^ercbè  non  si  nasconda  e  non  s'adombri 
La  ferita  :  on  senza  Inganni ,  o  falK 
Risplcada,  e  «  sua  Ince  i  cori  Slostrf. 
Ma  dM  dko!  ed  a  cki  ragiono  e  parlo? 
Ifeafene  In  si  faticosa  e  giasta  Impresa 
Quasi  ardisco  di  porre  i  dell  in  iance, 
E  posar  l'unircrso  appeso  in  Iftra, 
Le  prime  opre  narrando,  e  i  primi  giorni, 
£inatallddmondo:elprM,egtlalU 
Principi  suoi  non  ricercando  a  caso 
Fra  le  menzogne  della  Grecia  antica; 
Dove  per  soo  voler  s'acdeca,  e  perde 
Altri,  fUoMfando,  B  dritto  lume  : 
0  por  nell'Accademia,  e  nel  Liceo  : 

0  aeir  error  del  tenebroso  Egitto; 

Ma  da  caini ,  che  fuor  ne  trasse ,  e  scorse 

1  fidi  suoi  per  nozo*!  mar  sonante; 
Egli  mi  tragga  ancor  sicnro  a  riva 
Da  qoesto  ti  turbato  e  sV  profondo 
Mar  d'Ignoranza  e  di  soperUa  umana. 
Anzi pnr  tu,  che  lai  rassemtari,  o  Padb« 
Sommo,  e  rinnovi  *1  primo  e  santo  escm- 
Ttt,  che soaiigtihil,semlgft  ancora  [pio; 
D  Re  del  cielo,  ond'ei  fu  quasi  immago. 
Ma  pur  nascosa  fra  gH  orrori  e  Fombra 
Ddsecol  prisco;  e  tu  se' l' altra  or  vera 
Spirante  immago,  e simolacro iffnstre 
Ddraha  gloria  sua  che  nnlla  adombra, 
Onde  co'  raggi  suoi  rBud  e  splendi. 
Piacciaci  tanto  al  mio  turbato  Ingegno 
Compartir  di  ^oei  santo  e  poro  lume, 
Cile  traslnso  da  te,  condnca  e  scorga 
L'alme  gentili,  e  1  pellegrìni  spirtf. 

I  m  glmmni  gUocdd  levaro  in  alto 
In  bd  sereno  hiddo,  notturno 
Airknwrtal  betti  dell'auree  steSe, 
Penando  all'opre  del  Fattore  elenHr; 
Chi  è  colai  che  fece  'I  cielo  adomo , 
EtMlol  vati»,  quasi  dipinto 
Con  A  diversi  Sor  ^  luce  e  d*  auro  7 
E  come  nefle  cose  esposto  a'  sensi 
Hecessith  ttato  '1  piacere  eccede  r 
E  ae'tt  tal  gnisa  for  mirando  appresa 
Del  sonano  Di»  Is  neravigfie  eccdio: 


DEL  MONDO  CREATO.  «T 

E  da  quel  che  si  vede ,  e  scopre  a^  occhi 
Fot  note  poi  Y  altre  invlslbn  forme; 
Pùssott  ben  questi  empier  le  sedi  intomo 
Df  questo  sacro  a  Dio  teatro,  e  I  gradi , 
Ove  b  gloria  sua  si  narra  e  canta. 
Oh  !  possa  lo  pur,  siccome  guida  e  scorta. 
Ch'ignoto  peregrin  conduce  intomo  « 
E  gli  ediid ,  e  fe  mirabili  opre 
DI  famosa  dttà  gli  addita  e  mostra , 
Gò^  condor  le  peregrine  menti 
De'  mortali  quaggiù,  mai  sempre  erranti. 
Alle  subUml  meravIgHe  occulte 
DI  quest*  ampia  dttà  r  di  questa,  lo  dico, 
GHtà  celeste,  ov'è  la  patria  antica 
Di  noi  figli  d'Adamo ,  e  Talta  reggia^ 
In  cui  gli  eterni  premj  il  Re  comparte. 
Ma  poi  scacciati  hi  doloroso  esilio 
Fummo  dal  mlcldial  demon  superilo , 
Che  pria  dolce  n'adesca,  e  poi  n'andde 
D'eterna  morte,  e'n  servitù  n'adduce 
A'  dori  lacd  del  peccato  avvinti 
Con  nodi  di  fortissimo  adamante. 
E  qui  potran  veder  sicuri  e  certi, 
Della  nostra  immortale  e  BobH  alma 
L'alto  principio  e  la  edeste  ovlgo, 
E  quella,  che  repente  indi  tfamtèae^ 
OrHéai  spaventosa  e  fera  Morte, 
Che  del  Peccato  è  dolorosa  figlia  : 
Del  Peccato,  cb^è  prole  e  prlaso  partk) 
Dd  superbo  Demonio,  a  Dio  ribeBo, 
Prtndpe  di  maliaia,  e  quasi  lènto, 
Ondf  ogid  and  lira  noi  si  versa  a  spande« 
Qui  conoscer  poiran  sé  stesd  ancora. 
Che  per  natura  soa  terrea!  e  fraH; 
Bla  par  della  divina  e  saata  destra 
DeVctomo  Signor  fottura  ed  opra  : 
E  conoscendo  le  raedesase ,  akarse 
A  conoscer  Iddio,  che  fece'i  tuttoy 
Ed  adorare 'I  Creator  del  mondo, 
E  servire  al  Signor,  dta^  gloria  al  Padre: 
Amar  qnel  che  d  naire  e  d  conserva, 
Lodv  quel  din  suoi  beni  a  noi  coa^MVte, 
Principe  a  noi  ddf  una  e  ralna  Vito 
Caduca,  ed  hnamstak  in  torva  e'ncMo, 
Apprenétr  qui  potranno.  B  sai)  e  stonchi 
Noa  saran  mal  dlcckbraiioaprova  ;  [stra, 
Perch'  d  co' doni  ;  onde  arriccMsenollii- 
B  to  MS  qnagglè  gif  cgd  iMftatt  , 
Cuniiiawi  ancor  to  a 
De' toMd  edesti,  odcUTi 
Regno  divino,  ove  ne  ciiausa  a  pwtai 
E  r  umana  spovann  lanaisa  e  1 
Cha  ■Bmfwe  per  sé  1 


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128  POEMI 

Ma  se  le  cose ,  al  variar  de*  tempi 
Quaggiù  soggette ,  son  pur  tali  e  tante , 
Quali  e  quante  fien  poi  1*  eterne  in  cielo  ? 
E  se  quel  che  si  vede,  agli  occhi  nostri 
Piace  cotanto ,  or  quai  saranno  alfine 
Gl'invisibili  oggetti  all*alu  mente? 
Se  del  del  la  grandezza  in  guisa  avanza 
Ogni  misura  deir  umano  ingegno , 
Chi  la  Natura  senza  fine  eterna 
Fla  che  comprenda  ?  E  scegli  è  pur  si  belio, 
0  pur  si  grande  e  si  veloce '1  Sole , 
E  si  ordinato  ne*  suo*  obliqui  giri , 
Si  moderato  al  mondo,  e  si  lucente, 
In  guisa  d'occhio ,  che  l*adorni  e  illustri  ; 
Se  mai  della  serena  e  chiara  vista 
Non  ci  lascia,  partendo,  appien  contenti  ; 
Bench'egii  pur  soggiaccia  a  tarda  morte. 
Quando  che  sia  :  deh  !  qual  bellezza  etema 
Nel  gran  Sol  di  giustizia  altri  contempla? 
Se  sol  non  veder  questo  al  cieco  è  pena, 
Qual  sarà  pena  al  peccatore  ingrato 
L'esser  privo  d'eterna  e  vera  luce? 

Era  già  fatto  innanzi']  primo  Gelo, 
E  la  terra  e  la  luce  ancor  creata; 
E  già  distinta  era  la  notte  el  giorno  : 
Ed  era  fatto  ancor  quel  Cielo  appresso. 
Che  dalla  sua  fermezza '1  nome  prende. 
Gonfine  estremo  dei  sensibil  mondo  : 
E  r  arida  pur  dianzi  occulta  e  immersa 
Tutta  neir  acqua,  era  scoperta  in  parte 
Dall'ondeggiante  umore  :  e'nsieme  accolte 
Eran  già  l' acque  nel  lor  proprio  loco. 
Pieno  la  terra  omai  de'  propri  parti 
Aveva  'I  grembo,  e  di  fecondi  germi. 
Tutto  d' erbe  e  di  fior  dipinto  e  sparso  : 
E  frondeggiava  dell'ombrose  piante 
La  verde  chioma  ;  e  pur  ancor  non  era 
Il  Sole,  over  la  Luna  :  e  quel  nomato 
Non  era  della  luce  etemo  padre, 
E  padre  delle  cose,  e  quasi  fabbro; 
Di  quelle,  dico,  che  produce  e  nutre 
La  madre  terra  :  e  'i  vano  e  falso  errore 
De' mortali,  che'l  senso  inganna,  e  guida. 
Quasi  fallace  e  lusinghiera  scorta. 
Non  l'avea  fatto  Dio.  Ma  l' opre  Ulustrì 
Avea  fornito  Dio  del  terzo  giorno; 
E  dava  omai  lieto  principio  al  quarto. 
E,  sien  fotti  (diss'e^)  i  duo  gran  lumi 
Del  fermo  delo  :  e  questo  e  quel  risplenda 
Sopra  la  terra  :  e  ila  diviso  e  scevro 
In  disparte  del  giorno,  ed  in  disparte 
La  metà  delia  fredda  oscura  notte. 
.  GoildÌis*egU;  e  fece  I  duo  gran  lumL 


SACRL 

Ma  chi  disse?  e  chi  fece?  Or  non  intendi 
Della  doppia  persona  il  grande,  occulto, 
Ineffabil  mistero,  e'nfusa  e  sparsa 
La  sacra  istoria  di  saper  profondo 
Rivelato  per  grazia  a'  vecchi  Padri, 
Che  nell'antiche  carte  ancor  s'adombra. 
Quasi  per  nube,  e  ne  si  vela  in  parte? 
E  non  conosci  ancor  dell'aita  voce 
Quanto  giovi  a'  morUli  il  santo  Impero? 
Risplendan ,  disse  Iddio ,  sovra  la  terra , 
Per  illustrarla,  e  l'agghiacciate  membra 
Riscaldar  col  vitai  temprato  foco. 
Cosi  diss'egli;  ed  ab  eterno  impose 
Che  '1  Sole  1  raggi  suol  spargesse  al  giusto^ 
Ed  all'ingiusto;  eh' all' ingiusto  ancora 
Voile  giovar,  chi  di  giovar  e'  insegna  : 
E  negi'  iniqui  ancora  ei  sparge  e  versa  * 

I  suo'  beni  e  le  grazie  in  elei  cosparte^ 
E  trasfuse  dal  Sole  e  dalle  Stelle. 

Né  fu  nelle  parole,  o  pur  nell'  opre 
Discorde  a  sé  medesmo  'i  Padre  etemo, 
Perch'  ei  primier  creò  la  bella  luce, 
E  poscia '1  Sol.  Fu  senza  '1  Sole  adunque 
La  chiara  luce?  e  senza  Sole,  o  Stelle? 
Fu  certo  prima.  E  come'l  corpo  all'alma 
E  come  serve  'i  carro  al  proprio  auriga  ; 
Cosi  alla  prima  luce  I  duo  gran  lumi 
Fur  dati,  ond'ella  ri^lendendo  apparse, 
Perch'  ella  da  sé  stessa  agli  altri  Ingegni 
Prima  risplende,  ed  alle  pure  menti, 
Intelliglbil  parto,  e  quasi  eterno; 
Poi  sovra 'I  doppio  carro  a'  vaghi  send 
Nel  di  riluce  e  nell'  ombrosa  notte. 
Né  mai  di  carreggiare  é  stanca,  o  tarda 
Per  le  strade  lassuso  oblique  e  torte. 
Fu  dunque  pura  luce  innanzi  al  giorno. 
Che  poi  di  raggi  adorno  II  Sol  distinse  \ 
Anzi  Dio  stesso  separar  la  luce 
Dalle  tenebre  volle,  e  dipartilla  : 
Ma  comandò  che  separasse  il  Sole 

II  chiaro  giorno  dalla  notte  oscura; 
Perch'alia  nobil  mente  egli  distingue 
I  puri  oggetti ,  e  poscia  al  Sol  comanda 
Che  gli  mostri  divisi  a'  sensi  erranti  ; 
Ed  alia  bianca  Luna  ancor  ministra     [la 
Del  suo  splendore,  e  vuol  che  questo  e  quel- 
li tempo  e  l'ore  in  spazio  egual  comparta. 
Osiamo  adunque  senza  inganno  e  tema, 
Almen  coli' animoso  alto  penalem 

A  separar  dalia  sua  luce  il  Sole, 
Come  nel  foco  si  divide  e  parte      [atra. 
Quel  di  lui  che  n'infiamma,  e  quel  ch'IUu- 
E  già'i  divise  con  mirabii  visu 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Iddio,  quand'egli  al  rubo  il  foco  impose , 
Lucido  assai ,  dal  suo  splendor  disgiunta 
L'altra  propria  virtù,  quella  eli*  incende, 
Qie  rimase  oziosa ,  allora  occulta  : 
Tanto  è  *1  poter  della  divina  voce 
Ctie  può  del  foco  risecar  la  fiamma! 
Anzi  quando  avverrà ch*i  prcmj  etemi, 
E  le  pene  comparta  ;  allor  del  foco 
Fia  la  natura  alfin  divisa  e  scevra, 
E  fia  la  luce  destinata  al  giusto , 
Perch*  ei  ne  goda  ;  e  1*  altra  ardente  forza 
A  punir  r  empio  giù  nel  cieco  inferno. 
E  '1  variar  dell*  incostante  Luna 
li  medesimo  ancora  insegna  e  mostra 
Colle  cangiate  sue  diverse  forme. 
Perchè  mentr'ella  scema,  c*l  lume  perde, 
Tatto  già  non  consuma  *1  bianco  volto  ; 
Ma  de*  suo*  rai  la  candida  corona 
Con  varia  immago  ora  ripiglia,  or  lascia  : 
Onde  conoscer  puoi  ch'assai  diverso 
il  suo  corpo  è  da  quello,  ond'  ei  s*  illustra. 
11  somigliante  ancor  nel  Sole  avviene  ; 
Ma*l  Sole  il  lume  suo,  ch*è  preso  altronde, 
Poìcb*una  volta  ei  se  n'adorna  e  veste, 
Mal  non  depone  ;  ella  del  lume  altrui 
S*ammanta  spesso,  e  spesso  anco  si  spoglia 
Con  umil  visU,  e  la  sua  vece  alterna. 
In  questa  guisa  a  duo*  gran  lumi  impose 
Che  da  lor  fosse  dipartito  *1  mezzo 
Del  chiaro  giorno ,  e  della  notte '1  mezzo 
Perchè  'nsieme  non  sian  confusi  e  misti, 
Né  compagnia ,  ned  amicizia  al  mondo 
Fra  la  luce  e  le  tenebre  rimanga. 
Ma  qual  nel  giorno  luminoso  è  l'ombra. 
Tal  nello  spazio  dell*  oscura  notte 
La  tenebrosa  ed  orrida  natura 
L*  ombra  de*  corpi  cede ,  opachi  e  densi , 
Allo  splendor  de*  più  lucenti  opposti. 
E  *o  sul  mattino  all'Occidente  è  stesa, 
E  verso  1*  Oriente  a  sera  inchina  : 
E  '1  Mezzogiorno  si  raccorcia  e  stringe , 
E  centra  ]*Orse  si  dispiega  appena. 
La  Notte,  volta  dal  contrario  lato. 
Cede  a'  lucidi  raggi ,  e  'n  sua  natura 
Altro  non  è  che  l'ombra  oscura ,  algente 
Ch*  esce  dal  grembo  della  terra  opaca  : 
E  sempre  avanti  allo  splendor  diurno 
Fugge  alla  parte  opposta ,  e  si  dilegua. 
In  questa  guisa  impose'!  Padre  eterno 
Le  misure  del  giorno  al  chiaro  Sole  : 
E  fé*  la  bianca  Luna ,  allorché  tutto  [pie, 
D*  argento  'I  cerchio ,  e  di  splendor  riem- 
Principe  della  fredda  oscura  notte. 


DEL  MONDO  CREATO.  159 

Eran  quasi  per  dritto  allor  conversi 
L»  un  contra  l' altro  i  duo*  be*  lumi  In  cielo  : 
Perchè,  nascendo'!  Sole,  imbrunae  perde 
Dell'  alma  Luna  la  rotonda  immago. 
E  se  precipitando  il  Sol  tramonta. 
Ella  all'  incontra  in  Oriente  appare 
Sorgendo,  e  fuor  dimostra  ornato  '1  viso  : 
Ma  in  altre  sue  figure ,  In  altre  forme , 
Colla  notte  spirar  non  suole  insieme  ; 
Benché  nel  suo  perfetto  Intero  stato. 
Quand'ha  colmo  di  luce'l  vago  giro, 
Incoronata  de*  suo*  bianchi  raggi , 
Regina  è  della  notte ,  e  tutte  avanza 
Di  luce  e  di  bellk  l'aurate  stelle. 
Ed  in  vece  del  Sol  la  terra  illustra. 
Ma  '1  Sole  è  re  del  luminoso  giorno, 
E  come  sposo ,  dal  celeste  albergo 
Esce  tutto  di  raggi  e  d' oro  adorno , 
Di  più  lucente  e  di  maggior  corona 
Circondata  la  chiara  accesa  fronte. 
E  'n  guisa  di  gigante  alto  e  superlx) 
Trascorre 'l  ciclo,  e '1  signoreggia  Intorno: 
Tant*  egli  è  grande ,  e  di  tal  luce  ardente  ! 
È  grande  ancor  la  vie  men  calda  Luna  : 
Ma  come  è  grande?  o  per  rispetto  altrui 
(Se  pur  riguardi  alle  minori  Stelle), 
Od  in  sé  stessa  pur  descritu  e  chiusa 
Dalle  sue  linee  entro  '1  suo  puro  cerchio? 
Siccom*  è  grande  *1  Mare  e  grande  *l  Cielo  ; 
0  perchè  l>asti  *I  suo  splendor  sereno 
Ad  illustrar  gli  smisurati  campi 
Della  Terra,  del  Mar,  del  Clel  profondo? 
Però  d*  ogni  sua  parte  egual  si  mostra , 
Qnand*è  ritonda,  agH  Etiopi,  agi* Indi, 
A'  freddi  SciU,  agl'Iperborei  ignoti, 
0  sia  'n  oscuro  Occaso ,  o  'n  lucido  Orto , 
0  del  ciel  tenga  più  sublime  parte. 
Né  giunge,  o  toglie  alla  grandezza  alquanto 
Dell*  ampia  terra  il  largo  seno ,  o  *1  dorso , 
Onde  minor  per  lontananza  appaia , 
Maggior  perchè  s*  appresse ,  o  s*  avvicini , 
Come  dell' altre  cose  In  terra  Incontra. 
Né  giammai  dal  gran  Sole  è  più  remoto. 
Né  più  vicino  alcun  ;  ma  In  spazio  eguale 
Son  gli  abitanU  In  ogni  clima  estremo. 
Pensa  fra  te  se  mai  da  eccelso  giogo 
D'orrido  monte  rimirando  a  basso, 
Umil  campo  vedesti ,  od  Ima  valle , 
Quanto  I  gioghi  de'  buoi  sembrano  in  visU , 
0  quanto  grandi  gli  aratori  istessi  : 
DI  minute  formiche  ebber  sembianza 
Senz' alcun  dubbio,  cnlr*  a  misura  angusta 
Cosi  accorciarsi,  e  rannicchiar  le  me'nbra: 


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UO  POEMI 

Cotanto  si  consona  e  si  disperde 
Della  f  ista  mortale  U  senso  incerto 
In  mexzo  a  cosà  grande  e  lun^o  spazio, 
Ch*  appena  giunge  a*  qoe'  remoti  oggetti  ; 
Ma  se  da  Tetta,  oda  sublime  scoglio  [tenti. 
Volgesti  1  guardo  al  Mar  con  gli  occhi  in- 
Quanto  l'Isole  in  lui  diffuse  e  sparse 
Ti  si  mostrano  in  lista;  o  negranafe 
Di  care  merci  e  prexiose  onusta , 
Spiegando  in  allo  le  minute  velo 
In  guisa  d'ale,  dalla  salda  antenna 
SoTra  'i  ceruleo  suo  spumante  dorso; 
Certo  minor  di  candida  colomba 
S' offerse  agli  occhi  la  minuta  Immago  : 
Tanto  nel  vano,  e  negli  qMu^  immensi 
L'umana  vista  indebolisce,  e  perde  ! 
Già  gli  alti  mona  alle  profonde  vaUi 
Credesti  eguali,  edi  rotonda  forma,  [ca. 
Che  non  apparve  *n  meszo  antro ,  o  spelon- 
Nedaltra  sua  inegual  scoscesa  parte  ; 
Ma  tutto  si  nasconde  '1  cavo  e  '1  voto 
Per  lontananza,  e  con  aperto  inganno 
Ogni  disuguaglianza  in  lei  s'adegua. 
E  rotonde  le  torri  ancor  diresti , 
Bench*  abbian  quattro  Iati  e  quattro  facce , 
E  sien  rivolte  all'Aquilone  e  all'Austro, 
Ed  all'altre  del  mondo  avverse  pard. 
Però  senz'  alcun  dubbio  esperto  credi 
Che  'n  lungo  spazio  ogni  lontana  immago 
Si  confonde  :  e  s' inganna  '1  senso  errante 
In  molte  guise.  Adunque  è  grande  il  Sole, 
Ma  quel  dì  sua  grandezza  è  certo  segno. 
Che  perchè  sieii  Stelle  ioiinUe  in  cielo, 
Da  ciascuna  di  loro  il  lume  sparso, 
E  *n  un  raccolto ,  a  discacciar  non  basta 
La  mestizia  e  l'orror  di  oscura  notte  ; 
Ma  solo  il  Sol  eh'  all'  orizzonte  ascende. 
Anzi  menlr*  ei  s*  aspetta,  e  pria  eh'  ei  sorga 
Sopra  la  terra ,  e  sparga  1  primi  raggi , 
Le  tenebre  dissolve ,  e  l'auree  Stelle 
Supera  di  splendore  :  e  l'aria  densa, 
E  dal  freddo  notturno  in  gei  risiretu  , 
Diffonde  e  sparge ,  e  1  liquido  sereno 
Con  vieppliii  dold  tempre  illustra  e  scalda; 
Onde  r  aure  odorate  innanzi  al  giorno 
Spirano  mormorando  :  e  piove  intanto 
II  rugiadoso  e  erlitaiiino  umore. 
E  quinci  apprendi  del  Blaestro  etemo 
L*arte  divina,  che  lontano  '1  Sole 
Dispose,  e'n  guisa  moderò  l'ardore, 
Clie  per  soverchio  non  infiamma  '1  suolo , 
Me  per  difetto  aneor  l' agghiaccia ,  o  lascia 
Languido  e  mesto ,  ed  infecondo  al  parto. 


SACRL 

E  della  bianca  Luna  Intendi,  o  i 
Cose  conformi ,  o  somiglianti  a  queste. 
Perchè  (siccooM  dissi  )  il  corpo  è  grande, 
E  (se  ne  traggi  il  Sol)  lucente  e  bello. 
Vieppiù  d*  ogn'  altro  che  nel  del  rìsplenda: 
Ma  non  sempre  si  vede ,  e  non  riluce 
In  ogni  tempo  eoo  egual  sembJania  , 
Ma  rioBpie  talora  *1  voto  cerchio; 
Talvolta  scema  si  dimostra  In  parte. 
Anzi  mentr'ella  cresce,  oscura  e  fosca 
Divien  da  un  lato  :  e  nel  calare  Imbruna 
Dall'  altro  :  e  dell'  etemo  e  saggio  Fabbro 
Dir  non  possiamo  '1  magistero  e  l' wte  ; 
Perchè  dar  volle  in  cielo  un  chiaro  eseni- 
Col  variar  dell'Incostante  Luna,     [pio, 
AH*  incostanza  umana ,  al  modo  Incerto 
Di  nostra  vita  Instabile  e  vagante, 
Ch'  un  istesso  tener  giammai  non  serba , 
Né  'n  fermo  stato  si  mantiene  e  dura. 
Ma  cresce  prima,  e  sé  medesma  avanza. 
Sinché  di  sua  grandezza  aggiunga  11  som* 
Dechina  poscia,  e  si  consuma  e  cade,  [mo: 
Sin  ch*  aUln  pur  s' estingue  e  toma  in  nulla. 
Dunque  né  di  sua  gloria  In  visu  altero 
Alcun  sen  vada ,  o  mostri  orgoglio  e  fasto 
Per  gran  tesoro  accolto,  o  *n  sua  possanza 
Troppo  confidi ,  oltra  ragion  superbo: 
Né  per  corona  antica  ed  aureo  scettro 
Altrui  rassembri  imperioso  e  grave  : 
Ma  di  sé  la  caduca  e  fragii  parte 
Disprezzi,  e  solo  estimi  I  beni  interni, 
E l' anima  inmiortal ,  cui  nulla  estingue. 
E  delle  cose  umane  I  giri  incerti 
Pensi  e  ripensi ,  e  *1  suo  pensiero  affisso 
Tenga  all'eterne  pur,  come  a  suo  centro. 
E  se  la  Luna  impallidita  e  scema 
Col  perturbato  aspetto  unqua  l'attrista  ( 
Più  dell'anima  sua  si  dolga  e  gema, 
Ch'acqubta  la  virtù,  tesoro  e  dono 
Prezioso  del  Ciclo,  onde  s*  avanza; 
Epoi  la  perde:  e 'I  primo  onore  antico, 
E  la  sua  dignitate  in  sé  non  serba. 
E  veramente  a'  vaghi  e  lunghi  errori 
Dell'  instabil  pianeta  uom  folle  e  stolto 
Vaneggiando  somiglia,  e  'n  vari  modi , 
Come  la  Luna ,  si  trasmuta  e  cangia. 

Alcun  vi  fu  che  della  mente  umana  [me,  * 
Ch'ha  due  potenze  o  pur  due  parti  Inaie- 
E  r  una  a  far ,  l'altra  a  patire  acconcia  ; 
Quella  ch'illustra,  rassomiglia  al  Sole, 
Quella  ch'illuminata  Indi  rischiara 
11  tenebroso  e  fosco,  ei  la  sembiante 
Alla  Luna,  ch'altronde  '1  lume  prende. 


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LE  SETTE  GIORNATE 
E  dell' altrni  ipleodor  lucente  appare. 
Perchè  la  parte  in  noi  soletta  a  morte 
(  Se  r  Intelletto  ha  parte  a  morte  espoata) 
Pur  col  lume  dell'  altra  alluma  ed  orna 
In  sé  mille  leggiadre  e  chiare  fanne. 
Ma  quella  eh*  1  suo'  raggi  altra!  comparte, 
Temer  non  può  di  morte  *1  duro  fato; 
Talché  Dio  la  eradea  nel  aecol  prisco 
FiloaoCmdo  l'ingegnosa  turba. 

AKrl  Dio  no,  ma  creatura  e  parto 
Da  Dio  prodotto ,  a  cui  di  Sole  11  nome 
Per  r  alta  Iure  sua  concede  e  dona. 
Ma  'n  disparte  si  stia  d*  acuto  ingegno 
L' animosa  ragione,  e  ceda  intanto 
A  quei  che  più  conferma  antica  fede, 
Ed  aniraoAa  pur  ;  che  meglio  'i  vero 
D*  ogni  primo  Intelletto,  in  Dio  conosce. 

Or  dimottriam ,  come  1*  errante  Luna 
GloTl  col  varcare,  e  parte  accresca 
Le  cose  che  la  terra  in  sen  produce, 
0  nutre  'ì  mar  nel  salso  umido  grembo 
Perocché  '1  crescer  suo  riempie  e  eolma 
D*  umore  I  corpi,  e  *1  suo  scemar  gli  scema, 
E  quasi  vota  ;  in  sì  soavi  tempre 
L*  umido  e  'i  caldo  ella  cotigiunge  e  mesce. 
Perchè  fredda  non  è  la  bianca  Luna, 
Com'  altri  estima  :  e  solo  algente  appare 
A  paragon  del  Sole ,  onde  si  scakla. 
Però ,  quand'  ella  col  suo  cerchio  incero 
Mostra  dall'alto  cielo  il  pieno  aspetto, 
Emula  vaga  del  fratello  ardente , 
E  (se dir  lece)  quasi  un  Sol  noUumo; 
Allor  le  notti  tepide  e  serene 
Son  più  dell'  altre,  in  cui  d' adunca  falce 
Mostra  T  immago,  o  con  argentee  cerna 
S*  incurva  avanti  al  Sole ,  o  pur  da  tergo. 
Allor  vieppiù  germoglia  1  verde  tronco 
Con  nuove  frondl  e  rami,  e  più  s' impingua 
L*  umida  sua  midolla  entro  la  scorza  : 
E  più  ripiena  è  In  mar  la  dura  conca 
Di  preiloso  dbo  ;  e  pure  avviene 
Ch'altri  dormendo  sotto  '1  cielo  aperto, 
La  testa  grave  del  suo  umor  riempie. 
Lascio  or  da  parte ,  come  I*  aria  e  1  venti 
Ella  commova ,  o  '1  mar  perturbi  e  qiKtl. 
E  tanto  basti  aver  narrato  ornai 
DI  sua  gran^eaza  e  de'  suo'  vari  effetti , 
Ond'ella  giova.  E  non  dee  senso  umano 
Esser  giammai  di  misurarla  ardito; 
Che  quivi 'I  suo  giudlaio  è  'neerto  e  (alao. 
Cotanto  ègrande,  e  'n  cotal  guisa  Illustra 
Oli  abiutort  e  le  città  disgiunte 
Dal  vastissimo  mar,  dall'  ampia  terra  : 


DEL  MONDO  CREATO.  131 

0  slan  in  parte  ove  dechina  1  Soie, 
0  pnr  ne'  regni  della  bcAa  Aarora  : 
0  sotto  r  Orse,  e  nella  2ona  algente  : 
O  pur  nella  fervente  arida  fascia , 
Che  per  mezzo  1  terren  divide  e  dngt; 
d'illustra,  dico,  e  quasi  al  modo  istesso. 
Noi,  altri  con  obliqui  e  torti  raggi. 
Altri  con  dritti ,  e  queste  è  vera  prova 
Ch'  ella  sia  grande,  e  'nvan  ripugna  '1  senso 
0  la  falsa  ragion ,  che  '1  falso  affsrma  : 
E  non  v'  ha  loco  ingegno  di  sofista. 
Ma  quel  che  fece  a  noi  ^  caro  doso 
Della  mente  immorUl,  e' Uisegna  ancora 
A  conoscere  'I  vero.  E  quella  etema 
Sua  sapienza,  ond'  egli  fece  '1  mondio. 
Grande  in  picdole  cose  aneor  dimostra  : 
Maggior  nelle  maggiori  a  noi  la  scopre, 
Siccom'  é  '1  Sole  e  la  ritonda  Luna,    [gli. 
Benché  (se  quello,  o  queste  in  parteaggua- 

0  paragoni  al  suo  Fattor  sovrano) 
Verso  di  lui  ch'ogni  grandezza  accoglie 
In  sé  medesmo,  e  come  cosa  anguste 

L' universo  nel  pugno  astringe  e  serra; 
E  quello  e  queste  avran  sembianza  e  forma 
D'avido  pnlce,  o  di  formica  faidustre. 

Fece  nel  tempo  istesso  aneor  le  Stcdlè, 
Quei  che  prima  avea  latto  1  fermo  Cielo 
Nel  di  secondo,  e  non  appieno  adorno; 
fiench*  altri  Stelle  di  nomar  presunu 

1  sublimi  non  pur  celesti  lumi , 

E  quasi  etemi,  e  nel  suo  giro  afissi  ; 
Ma  le  Comete  e  ie  figure  ardenti , 
Che  'n  varie  forme  flaromegglar  nell'  alte 
Aria  vegglamo ,  o  nel  sublime  foco 
Che  sotto  '1  giro  della  Luna  accolto 
Con  lei  s'aggira  di  perpetoo  moto. 
Ma  queste  colassù  mai  certo  loco 
Aver  nonponno ,  e  pur  grandezza  e  formi. 
Od  ordine  costente  :  e  'n  breve  tempo 
Sparir  dagli  occhi,  e  dileguarsi  In  tetto 
Soglion  per  l' aria  dissipate  e  ^arse; 
Siccome  quelle  che  dal  sen  fumante 
Han  della  terra  '1  nutrimento  e  l'è 
E  se  la  madre  lor  dinega  '1  dbo 
Arido,  che  diviene  in  breve  adusto , 
Viver  non  possa ,  onde  tra  spazj  ; 
La  vite  loro  è  terminate  e  chiusa. 
Talor  nonponno  un  giorno,  anco  tal  volte 
Nel  punto  che  s' infiamma  ella  s' estingui. 
Onde  quell' animai  che  'n  riva  nasce 
Dell* Ipani  sonante,  e  vede  appena 
Un  solo  e  breve  Sol  nato  coli'  iVlba , 
Giungendo  Innanzi  sera  al  fato  estremo 


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132  POEMI 

Quell'animi],  dlchMo,  ch'avara  e  scarsa 
Ebbe  più  d'altro  la  Natura  e'I  Qelo, 
Coo  sorte  sua  migliore  in  terra  nasce , 
Ctie  nel  ciel  queste  varie  accese  forme. 
£  Stelle  pure  altri  le  appella  e  noma  : 
Altri  Stelle  cadenti  ;  onde  sì  spesso 
Agogna  rimirando  il  volgo  errante , 
Se  morir  ponno ,  o  se  cader  le  Stelle, 
Ch'esser  dovrian  per  dignitate  eterne , 
0  quasi  eteme ,  e  trapassar  vivendo 
Be' secoli  volanti  '1  lungo  corso. 
Ma  così  parla,  chi  ragiona  a'  sensi 
Del  volgo  infermo,  e  '1  suo  parlar  gli  adatta. 
Ma  tra  queste  figure  in  cielo  accese , 
E  quasi  impresse ,  e  di  sua  nota  aduste , 
Han  loco  alcune  si  costante  e  certo , 
E  cosi  lunga  e  cosi  stabil  vita, 
Ch'altri  le  stima  del  sublime  cielo 
Parte  non  pur,  ma  beila  e  cara  parte. 
Siccom'  è  quella  via  lucente  e  bianca , 
Che  del  latte  al  candore  i  lumi  aggiunge 
DI  tante  fisse  Stelle  ivi  cosparse  ; 
La  qual  è  via  eh'  adduce  ali'  alta  reggia 
De'  favolosi  Divi  :  e  strada  ancora , 
Ond' all' animo  umano  è  aperto  '1  varco , 
Per  cui  discenda  nel  corporeo  albergo, 
£  poi  ritorni  rivolando  in  alto 
Alla  sua  pura  e  sua  fatale  Stella  : 
Così  credcano  ;  e  questa  è  fama  antica. 
Ma  la  Cometa  di  possente  aspetto , 
Ch'  i  purpurei  tiranni  e  i  regi  invitti 
Andde  fiammeggiando  e  muta  i  regni , 
Dreve  spazio  ha  di  vita  a  tanta  possa , 
E  di  due  anni  '1  corso  appena  adempie. 
Cosi  nel  tempo  dell'  infanzia  umana 
Invecchia  e  muore  la  terribil  luce. 
Che  dà  spavento  a' miseri  mortali,  [ero 
Questa  giammai  tra'!  Capricorno  e'ICan- 
Apparir  non  ci  suol ,  o  pur  di  rado 
Ivi  si  può  mostrare  :  e  pria  eh'  avvampi , 
Con  sua  gran  forza  la  dissolve  '1  Sole. 
Ma  oltra  queir  obliqua  e  torta  strada , 
Per  cui  fanno  1  pianeti  eterno  giro,  [l' Orse  ; 
S'Infiamma  e  splende  tra  quel  cerchio  e 
Indi ,  spiegando  la  sua  ardente  chioma , 
0  pur  la  barba  ;  di  sanguigna  fiamma 
Accesa  e  sparsa ,  e  paventosa  in  vista. 
Con  annunzio  di  morte  altrui  minaccia. 
E  questa  ancor,  benché  dannosa  e  fera , 
Soni  di  Stella  '1  glorioso  nome , 
Che  non  conviene  a  sì  maligno  aspetto  :  j 
Né  d'innocente  luce  unqua  si  vanta; 
Bench*  altri  dica  eh' a  Nerone  Augusto      | 


SACRI. 
Innocente  apparisse;  e  *n  dò  lusinga , 
Perch'  ella  nacque,  col  lasdarlo  in  viu , 
Al  mondo  tutto  :  e  fu  nocente  ed  empia 
Più  nel  salvar  sì  dlspietato  mostro , 
Che  in  ucdder  altrui  sembrasse  unquanco* 

Ma  se  di  queste  fu  la  pura  e  bella 
E  sanu  luce ,  fida  e  cara  scorta 
De'  peregrini  regi  d' Oriente  ; 
Sallo  colui  che  di  sua  mano  etema 
Formolla  In  prima  e  le  die  luce  e  moto, 
Che  parer  volontario  alior  potea , 
Come  s'ella  intelletto  avesse  ed  alma; 
Ma  questa  fu  della  divina  destra 
Opra  novella  e  fatta  a  sì  grand*  uopo. 

L*  altre  create  già  nel  quarto  giorno 
Furon,  come  si  stima,  e  mente  e  vita 
Ebbero  dai  celeste  eterno  Fabbro. 
Vita  non  già,  che  si  nutrisca  e  prenda 
Forza  dal  cibo ,  e  per  digìun  languisca  « 
Cercando  col  suo  corso  '1  vitto  e  l' esca 
Dalla  terra  e  dal  mar,  che  sempre  esala, 
Come  alcuni  affermar  del  secol  prisco , 
Ch'  ebber  di  sapienza  ingiusta  fama  ; 
Ma  lieta  e  gloriosa  e  pura  vita , 
Che'n  Dio  sempre  mirando.  In  lui  s'eterna, 
E  di  sapere  e  del  suo  amor  si  pasce. 

Queste  divine  e  gloriose  menti 
Furon  da  Dio  create  il  di  primiero 
Innanzi  al  Sole,  e  i  bei  stellanti  giri  : 
E  poi  da  lui  divise  il  giorno  quarto 
Ne'  propri  luoghi  ;  come  accorto  duce 
I  suo'  fidi  guerrier  distingua  e  squadra  ; 
E  *n  guardia  lor  dispone,  e  Ìor  confida 
Città  forte  ed  alpestra  e  torre  eccelsa. 
Parte  fu  mossa  a  raggirar  nel  corso. 
Non  faticoso  e  non  costretto  a  forza. 
Quelle  sublimi  sue  lucenti  rote: 
E  parte  ancor,  fin  dal  prindpio  eterno  « 
Alla  difesa  delle  genti  umane 
Fur  destinate  da  quel  Re  supremo. 
E  poi  dovean ,  quai  messaggier  volanti. 
Far  manifesto  il  suo  voler  in  terra,  [kIiì  : 
Portando  e  riportando,  or  grazie,  or  pre- 
Grazie  divine ,  ognor  veloci  e  pronte , 
E  preghi  umani ,  spesso,  e  lenti  e  tardi. 
Altre,  mal  sempre  al  suo  servizio  intente. 
Stanno  fide  ministre  appresso  e  'ntorno, 
E  sembran  quasi  innumerabil  prole. 
Né  da  quel  dì  che  prima  gli  occhi  aperse 
U  padre  Adamo  alla  serena  luce , 
Tanti  del  suo  corrotto  e  'mpuro  seme 
De'  faticosi  e  miseri  mortali 
Fur  già  prodotti  a  travagliar  nel  mondo 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Quanti  di  quel  difilli  alati  spirti 
Far  destinati  a  quell'eterna  pace, 
A  quel  piacer  die  non  lia  fine ,  o  tempo, 
Che  gli  fa  sempre  neghittosi  e  lieti 
D'un  ozio  etemo,  e  senza  officio  ed  opre, 
E  senza  cura  di  terreni  affanni, 
E  che  gli  astringe  a  quei  gravoso  impaccio, 
Di  girar  senza  posa  i  cieli  a  forza , 
Quasi  animali  alla  marmorea  rota 
Legati,  in  guisa  d'isslon  penoso. 
Ch'avvinto  giace,  e  sempre  è  mosso  in  giro. 
Erra  egualmente,  e'n  sua  menzogna  adom- 
bra. 
E1  gran  maestro  di  color  che  sanno:  [do, 
Quel  che  'n  tante  sue  scuole  insegna  *1  mon- 
Seguendo  '1  moto  e  '1  senso,  infide  scorte. 
Errò  egli  ancor.  Ma  con  men  grave  errore , 
Quand'  ei  quelle  divine  eterne  menti , 
Filosofando  annoverar  presume , 
E  'n  numero  sì  breve  accoglie  e  stringe 
1  cittadini  del  celeste  regno  ; 
Perocché  quanti  sono  1  vari  moti , 
Onde  con  vari  modi  è  mosso  '1  cielo , 
Tanti  motori  ali*  alte  spere  assegna. 
Ed  oltra  questi  non  adora ,  e  placa , 
O  non  conosce  nel  divino  impero 
Altri  offici,  altri  Numi  ed  altri  Dei  : 
E  senza  proprio  ministero  ed  opra 
Non  estimò  che  'n  oziosa  vita 
Vivesscr  pigre  e  neghittose  indamo. 
Dunque  sol  tante ,  al  suo  gludiclo  errante, 
Esser  potean ,  quante  a*  celesti  giri 
Potesser  poi  basUr;  gli  altri  soverchi 
Tutti  estimava,  ed  adorati  invano. 
Finti  di  Grecia  Numi ,  o  pur  d' Egitto. 
E  non  s'avvide  '1  pellegrino  ingegno 
Che  nella  gloriosa  eterna  reggia 
Altri  esser  denno  ancor  gli  offici  e  V  opre. 
Che  quella  sol  di  raggirare  attomo 
L*  eterne  spere  nel  contrarlo  moto. 
E  conoscer  non  volle ,  o  pur  s' infinse , 
Che  più  alto  e  più  degno  e  nobil  fine 
Si  conveniva  agi'  intelletti  eterni, 
DI  quello,  senza  cui  soverchie  estima 
Le  nature  divine,  e  quasi  invano. 
Cbè  '1  muover  sempre  le  stellanti  rote , 
£  fia  corporeo,  e  quasi  a*  corpi  affisso, 
E  ne'  corpi  occupato,  e  basso  officio. 
Verso  di  quel  de'  più  sublimi  spirti. 
Che  stanno  appresso  e  'ntomo  al  Re  super- 
Altro  fin  dunque  più  sublime  ed  alto,  [no. 
Altro  più  degno  ed  onorato  oggetto. 
Altro  più  santo  ministero,  e  sacro. 


DEL  MONDO  CREATO.  ISI 

Numero  via  maggior  ricerca  e  vuole 
Delie  menti  immortali,  e  già  non  debbe 
li  Signor  de'  signori ,  e  '1  Re  de'  regi 
In  solitaria  reggia  e  'n  voto  regno 
Regnar  quasi  solingo ,  e  '1  basso  mondo 
Empier  d'abitatori,  onde  s'accresca 
Dell'imperio  terreo  l'orgoglio  e  '1  fasto. 
Né  dovea  dare  a*  gloriosi  Augusti , 
Ed  agli  altri  quaggiù  corona  e  scettro. 
Tante  genti,  tant'  arme  e  tante  squadre. 
Ed  eserciti  tanti ,  e  'n  tante  guise 
Della  terra  e  del  mar  raccolti  e  sparsi  : 
Né  rlserbar  per  sé  schiera ,  o  falange , 
Bench'egli  basti  solo.  Ah  !  troppoindegno 
Era  della  sua  gloria ,  e  troppo  anguste 
Son  le  misure,  alla  materia  affisse: 
Troppo  i  numeri  scarsi ,  onde  si  conta 
Tutto  ciò  che  la  terra  e  '1  mar  profondo 
Nel  grembo  accoglie,  o  '1  cielo ,  esposto 

a*  sensi. 
Altro  numero  é  ancor,  che  non  s'accresce 
Per  secare  '1  continuo,  e  tutti  avanza 
I  numeri  quaggiuso.  Or  chi  presume 
D' annoverar  le  pure  eterne  menti  7 
Deh  !  non  vedete  or  quanti  raggi  intorno 
Sparga  questo  corporeo  instabll  Sole , 
Lo  quai  dei  sommo  Sole  é  quasi  un  raggio  7 
Or  quanti  sparger  dee  raggi  lucenti , 
Quante  fiamme  iassuso,  e  quanti  ardori 
Quel  primo  della  luce  eterno  fonte? 
Ma  noi  cape '1  pensier,  né  lingua  esprime, 
E  quel  che  sovra  '1  ciel  si  conta  e  segna, 
Innumerabil  sembra  a'  sensi  umani. 
E  certo  alta  ragion,  giudizio  eterno 
Mosse!  sommo  Signor,  che  fece '1  mondo, 
A  far  più  numerosi  1  più  perfetti , 
Perché  negi'  imperfetti  ei  non  abbonda. 
Quinci  addivien  che  le  feroci  belve 
Son  poche  e  rare  In  solitaria  selva ,    [te 

0  'n  monte  ermo  e  selvaggio  :  e  d'altra  par- 
Pascono  1  campi  i  numerosi  armenti, 

E  copiose  ancor  le  gregge  umili 
Seguono  del  pastor  la  fida  scorta. 
Ma  de'  figli  d' Adamo  il  seme  sparso 
Riempie  Europa,  e  l'altre  parti  ingombra 
Della  terra ,  eh'  é  stretta  e  bassa  mole 
S'al  Ciel  la  paragoni,  ampio  e  sublime: 
E  '1  Ciel  de'  propri  abiutori  illustra , 
Più  che  di  Stelle  assai ,  le  parti  eccelse. 
E  non  contento  de*  suo'  primi  antichi , 
E  quasi  etemi  ablutor  celesti , 

1  peregrini  ancora  in  sé  raccoglie , 
E  nati  In  terra  di  terrestre  limo. 


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134  POBU 

E  r  altt  sedi  alU  stranien  torba 
Lieto  prepara;  e  l' accanpagna  e  ginace 
AU'  angelidiescpiadrc^equafii  aggaacUa; 
Bendiè  d'Adamo  i  mal  concetti  igU 
NoB  liaiio  aAtto  ali*  ampio  Cielo  caterni. 
Perckè  celeste  è  l'alu  e  bdla  origo 
]>ell'  alma  amane»  e  HeU  al  Uel  ritorna, 
Siccome  a  vera  patria,  e  patria  antica, 
Da  quesU  della  terra  ombrosa  chiostra, 
Ot*  eUa  vìsse  peregrina  errante. 
E  se  r  uom,  cinto  di  corporee  membra 
Nacque  d*  Adam ,  che  di  fangosa  Urrà 
Fa  generato,  ei  pur  di  Dio  rinacqae 
Eigenerato  poi  d'acqua  e  di  spirto  ; 
E«  come  erede  de*  paterni  regni  « 
Aspira  alle  celesti  alte  corone. 

ila  doiie  mi  trasporta  innanzi  al  tonpo 
L'amano  amor,  che  'n  noi  si  dolce  innesta 
Nosua  natura?  Ora  'i  mirabii  corso 
Seguiam  del  Cielo  e  delle  Stelle  erranti , 
A  cui ,  quasi  motrici,  il  Padre  eterno 
Assegnò  quelle  eccelse  e  pure  menti: 
Non  quasi  torme,  io  sua  materia  iauaense. 
Ma  quasi  auriga  al  suo  veloce  carro. 
E  quinci  incominciar  del  Cielo  1  moti, 
L'un  dalla  destra  alla  sinistra  parte, 
L*  altro  dalla  sinistra  in  ver  la  destra. 
E  chiamo  destra  '1  lucido  OrìenU^ 
Onde  si  muove  'l  primo  Gel  rouado , 
Che  tutu  gli  altri  seco  affretu  e  tragge; 
E  dal  proprio  camndn  quasi  distoma. 
Sinistra  parte  V  Occidente  appello. 
Onde  si  muovon  gli  altri,  e  '1  Sole  istesso. 
Che  por  dall*  Oriente  a  noi  si  mostra 
Coli*  altrui  moto,  e  nello  spazio  integro 
D*un  giorno  è  ricondotto^  ond*  ei  si  parte. 
Perchè  'n  un  di,  che  *n  sé  la  luce  e  l'<Hnbra 
Contenga,  compie  *1  suo  perfetto  giro 
La  prima  spera  :  e  1*  altre  in  vario  tempo 
Col  proprio  moto  faa  contrario  corso  ; 
Qual  minuta  formica,  o  picciol  verme ^ 
Che  da  rota  corrente  è  tratto  intorno  ; 
Ed  egli  intanto  alla  contraria  parte 
Da  sé  medcsmo  muove,  assai  più  lento» 

In  treni'  anni  sea  va  correndo  acerchio 
Quel  che  rassembra  a  noi  pigro  Saturno, 
Più  veloce  degli  altri  e  più  corrente  : 
Ed  in  due  volte  sei  placido  Giove; 
Ed  in  due  anni  appresso  il  iero  Marie, 
Che  *n  questa  guisa  ei  si  conosce  e  noma 
Dal  volgo  in  tetra  1  e 'aun  sol  anno 'l  Sole  : 
E  'n  poco  mcn  la  graziosa  Stella, 
La  qual  lieU  si  leva  innanzi  ali*  alba. 


SACBL 

E  Lucifero  ha  aane;  e  poi  a'jyy^ 
Espera  detta^aHorckèl  Sol  tiMo«Ca* 
E  'a  quasi  pari  spaalo  la  sé  rUiCBa 
QuelgiAarcéBtemiiinglii  iPiiaate. 
la  venti  gftomi  poscia,  e  *B  setta  appvesao 
Fa  '1  suo  viaggio  U  piA  tolda  fjna. 
Che  più  veloce  sembra;  a  foeil»  a  wfeae 
Perchè  'n  giro  minor  si  vejge,  e  ricde 
Colà  più  tosto,  oade  si  mosse  ìm  prima. 
E  questa  fa  quasi  amestra  antica 
Di  partir  r  anno  f  cbc 'a  tei  BMsi  e  ti  sei 
Divise  a'  soo'  Roanni  il  vecchio  Naam; 
Perocché  tante  volte  '1  Sol  raggiunge , 
Tornando  a  quel  principio  onde  partissi  : 
Ma  priiaa  in  quesU  guisa  1  Greci  anceva 
L'avean  partito^  e  i  più  vetusti  EbrcL 
Romolo  poi  meno  al  celeste  corso 
Ch'ai  guerreggiare  intento,  e  quasi  ra8n> 
Delle  cose  divine ,  in  dicd  parU 
L'avea  diviso  :  e  qaeftt'  errar  corresse 
li  saggio  re  sabin,  canuto  '1  menta. 
In  questo  modo  i  dne  pianeti  ttlostri. 
Da  chi  gli  scorge  ad  perpetuo  cara». 
Furo  ordtaati  col  lor  giro  ali*  anno. 
Anno  è  A  ritomo  del  corrente  Sole, 
Dal  segno  istesso  nel  medesaw  segno 
Onde  si  parte;  anzi  nel  punto,'  afissa 
Nel  segno, quasi  a  termbie  costanta; 
Perchè  tornando  alla  meéesnsa  stcUa 
Onde  partissi,  dilungaU  adqmoto 
La  troverebbe ,  e  trasportaU  a  cerchio 
Dal  primo  ciel  col  soo  veloce  catto: 
Ma  chi  lo  scorge  a  far  la  suie  e  '1  verna. 
Questi  r  Italia  e  tutta  Europa  appella 
Col  nome  degli  Dei  bugiardi  e  Calsi. 
I^la  pur  Angeli  sono,  e  pare  menti. 
Dell*  alta  Provvidenza  in  del  ministre; 
La  qual  dispose  per  cammina  obliquo 
1  sette  erranti,  e 'naKzz*  agii  altri '1  Soli; 
Perch*  ei  d  vari  le  stagioni  e  I  tempi  r 
E  'n  cpiesta  guisa  sia  cagione  ai  mondo 
Ch'altri  nasca,  altri  muoia,  e  viu  In  marte 
Trasmuti,  e  morte  in  vita,ln  giro  alterna. 
Perehè  mentre  lontaao  II  Sol  dimora 
In  quel  lato ,  onde  spira  1  anbil  Austro, 
DI  lunghissime  notti  il  aostro  adombra  r 
E  l'aria  si  raffredda  e  si  perturba 
D' ogn.*  intorooalta  terra,  e*n  folta  pioggia 
Condensati  vapori,  e  *n  larghe  falda 
Caggioa  di  neve,cbs  poi  stretta  te  gelo 
Bicopre'l  dorso  étgll  alpcatrl  manti  : 
Effenaado  a' gran  flnml 'l  ratto  cono  , 
,  Tardigli  rende,  a  qualbLaaida  vetro 


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LE  SETTE  GIOWATE 
CooTerle  I»  ptMI  e  I  pigri  slafni. 
Ma  qinii#  ei  U  Meriggio  »  Bok  liuna. 
In  meBmqamààti  f  imÌh  lotonda^ 
ParUkftBOltecl  giocD*  ìb  spui*  cgoie, 
E  rarftiteaMi  cmì  9Miì  tfpnu 
Alar  Zcir»  ipira  r  allM^  KB  rieée 
La  PriHHivtra  ^crdcggiaMe  e  lieta, 
GriTerke  e  i  iOTi,  Mn  doka 
K  graricb  la  terra 'i  MB  fecaiido , 
Che  par  «ani  cMMka  la  Rete  e'I  gMac^ 
Apre  mail  iati  a*  aM>Ti  parti,    [do, 
GeraMgtiai  le  icrite  onWott  piasie  ; 
Maacana  gii  aatoaM  la  terra  e '•  acqaa  : 
KM  CMaenra  la  pcrpetaa  prole, 
Inatochel^ìrlpyiiiipièpaò^irapprem 
A' freddi  rcgaf  #lqailoa  nevasa. 
Dot*  d  mi  Casaro  si  ritiene,  e  fmna 
Qaaailtaacatsa^efapiàlnBgol  giarao: 
E  con  pie  tanU  pavi  ooni  per  dritto 
Sol  capa  aaairo  faaai  egli  si  spaila , 
E  Ilaria d'oga'lBlorao  a  noi  riMsMa  : 
Arida  fa  la  lerra,  e  i  seail  sparsi , 
E  degi  alberi  I  ftnttti  ancor  antnra. 
la  gfta  Bwae  è  i^naatgRljnH  T  Sole 
Oltta  BilaBra,  e  bcb  obfeqoi  raggi 
Spiega  pHb  d'alto  ad  ilostrar  la  terra. 
Soa  laDgMMlBi  asera  i  giorni  esiivi, 
E  bmiailBH  FonWe;  ed  aU'incoaiio 
He^  Wc^BSiaii  giarai  il  corpo  opaco 
LoagldalBM  fi  r  oaiWe  oppoeieal  Sole. 
Eqoest'  arriene  a  noi,  ch*abbÌaaioalbergo 
faìraqaelcefdiio,  oade  ricoraa  Apollo, 
E  r^cro  dM  dar  Orsel  BOOM  prcade , 
Patte  BOB  laage  ar  gelidi  Trioni. 
E  Boi  BMi  scanpro  solo  al  destro  lato 
L' fbiij  BiMiiMiaia  tairerao  Borea  e  il 

Carro: 
Ed  altri  sono  la  pie  fervente  dima, 
1  qual  édraano  aaoe  due  giorni  Interi 
Onera  non  fanno,  tMor^bé  gira  1  Sole 
Nel  cerchio  del  Meriggio,  e  d'aKa  parte 
Con  dritti  raggi  gli  risdriara  e  scalda. 
Ed  allora  addiriene  'n  quelle  parti 
Glie  per  angusta  bocca  i  cari  posai 
lUominati  aleno  Inslno  al  fondo  ; 
CflBie  ^a  Sieae,  e  'a  Berenice  ancora, 
E  piA  lontan,  ndT onorata  reggia, 
Ch' ha doe raasi  nel  Mio,  e  qnind  eqnittdi, 
E  dalla  suora  d  Cunbise  estinta 
Ebbe  gii  1  nome,  e  la  faimosa  tomba. 
Ed  oltra  r  odorata  aprica  terra 
Des^  Arabi  felid,  ha  strana  gente. 
Che  soarge  l'ombra  'e  ne  sortisce  1  nome) 


MONDO  CREATO.  US 

H'entnadii  i  lati,  iBcaidia*!  Beftaal'Aa- 
Eques4'afri«B«aMntrafidBa*iSak  [sira 
A'  freddi  regai  d'AqailoB  iiapaaaa, 
E  già  lieta  a' accoglie 'i  BBOvo  AatBBBO , 
Ricco  de'  pomi  e  del  sao  vin  spomaate. 
Con  verde  ancora  e  pamplnoaa  spogUat 
Aliara  tempra  i  rat  dea  Soie  eslifo , 
Scema  gli  ardori,  e  Toaibraamisa  accra- 
ElenotticD*giamiÌBlibraaggBagiia;  [sca; 
Ed  iBBacenèe  ne  coadnce  al  Verno  : 
In  cui  diaaavoMSoldaBQisIparte, 
E  s*avTkiaa  agli  Arabi  ed  agi^ladi. 
QocsU  soBo  del  Sole  il  bmIo  e'I  cnrao. 
Queste  dd  tea^io  le  riceade  e  i  giri. 
Per  cai  qai  si  goiwna  omana  vita. 

Ma  degaa  ancor  di  BierarigHa  è  l'arte 
lid  Fabbro  eterno  ,  e  la  sttbifaBe  ed  aita 
Sua  provvideBsa,  ck'alle  strade  obliqoe 
De*  sette  erranti  il  termine  prescrisse, 
E  vieppiù  angnsU  via  listrinae  al  Sole 
Perocché  sott  H  Sol  giammai  non  varia 
La  torta  linea,  che  divide  e  fende 
11  eerchiodeila  viu  in  parti  egaali. 
GKaltri  eMoa  faor,  o  linM,  o  l'ai  tra  parte, 
Qaal  pie,  qaal  BBCBO  :  e  la  feconda  Lana 
Vagar  per  tatto '1  cerchio  ardiu  snoie. 
Esce  Veaere  foar  del  eercbio  istesso, 
PIÙ  della  L^BM  aodace  e  plàfecoada. 
E  qaiBd  avvlea  che  ae*  deserti  tacalti 
Sia  r  Africa  arenosa  e  l'India  adasta, 
DI  si  vari  aniaKi!  aodrice  e  ma<tare. 
Né  qui  biasaur  la  Provvidenza  etema , 
Ch'air  ordine  del  bmmmIo,  al  sommo,  al  col- 
Di  tutte  l'altre  cose  in  lui  prodotte,  [nw 
Giungon  le  dispietate  e  strane  belve 
Meraviglia  e  decoro,  e  i  fieri  mostri. 
Or  BMntre  1  Sol,  per  l'aluria  rotando, 
Giassani  bob  esce  dal  camndn  prescritto. 
Mostra  con  qnestochlaro,  lliostre esemplo 
Al  Maaaita  del  moado  'I  calle  angusto. 
Da  viriate  e  da  legge  a  lui  preismk 
E  sTegff  ha 'ncotttra  dall' oppimla  parte 
La  tonda  Laaa,  ch'ai  saperbo  Drago 
Preme  la  tesu,  aporia  coda  lagond^. 
Le  nega  i  dolci  raggi  e  1  cWaro  Imae, 
B  *a  BKsao  si  fkappon  Parlda  terra? 
Perché  la  Laaa  impaUdtta  adoaAnk 
E  se  la  vaga  Luna  a  hd  s'aggKnge 
(11  che  due  volle  ne'  GemdN  avviene) 
11  Soie  in  parte  a  noi  s'oacata  e  vela. 
E  qafnd  avvisa ,  che  se  imbrm»  e  perda 
Per  difetto  lasse  celeste  luce; 
Non  è  luce  mortai  nd  I 


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136  POEMI 

Non  splendor  di  fortuna,  onde  t' abbagli 
L'inferma  tìsU  dell'errante  Tolgo, 
La  qual  talvolta  non  si  turbi  e  manchi. 
£  solleva  '1  pensiero  all'  alla  e  prima 
Santa  luce  divina ,  e  luce  etema , 
Che  lassù  non  conosce  Occaso ,  od  Orto , 
Né  difetto  giammai ,  né  scema,  o  langue  : 
Ma  già  di  nostra  umanità  vesti  u 
Fece  seco  ecdissar  turbato  '1  Soie, 
Oltra  suo  stil  :  con  meraviglia  e  scorno 
Della  natura  lagrimosa  e  mesta  : 
Né  la  cagion  conobbe  umano  ingegno. 

Ma  come  appressi  e  s' allontani  '1  Sole , 
Perchè  da  sera  l' Incostante  Luna     [  da  : 
Nasca  sempre,  e  *n  sull*  alba  ella  s' ascon- 
Perchè  Saturno,  Giove  e  '1  Aero  Marte 
Serbin  ordin  contrario ,  Innanzi  al  giorno 
Tutti  nascendo,  e  poi  caggendo  a  sera  : 
Ed  altri  affetti  si  diversi  e  tanti, 
Ch'  appaion  colassù  di  spera  in  spera  ; 
Varie  fur  le  cagioni  addotte  in  prova 
Da  varie  sette,  in  contemplar  discordi. 
Altri,  osservando  i  duo'  contrari  moti 
Ne'  cieli ,  e  dal  primier  conversi  e  ratti 
1  men  sublimi  incontra '1  proprio  corso , 
Disscr  che  d'ogni  cielo  il  proprio  centro 
Centro  è  del  mondo,  e  'ntomo  a  lui  si  volge 
Pieno  e  perfetto  '1  lor  ritondo  giro. 
Né  questi  sovra  agli  stellanti  chiostri 
Ilan  locato  altro  corpo  ed  altro  delo: 
Ma  poser  sott'a  lor  que'  sette  erranti, 
Che  fan  si  varia  l'armonia  superna, 
E  l'ammirabil  sua  celeste  lira. 
Molte  dando  a  ciascun  rotanti  spere  ; 
Come  rote  diverse,  o  molti  carri 
Si  danno  ad  un  signor  per  vari  effetti , 
De*  quali  il  porta  alcuno,  altri  11  riporta 
Per  contrario  sentiero ,  onde  partissi  ; 
E  di  globi  volgenti  e  rivolgenti,      [da. 
Qual  più  qual  meno,  il  lor  giudizio  abbon- 
ila tre  delle  portanti  e  vaghe  spere 
Concede  prima  al  Sole  il  vecchio  Eudosso  : 
Tre  slmilmente  all'Incostante  Luna  : 
Quattro  agli  altri  pianeti.  E  di  que'  giri. 
Che  riportano  indietro ,  un  meno  assegna 
Fuorché  alla  Luna ,  a  cui  nel  loco  estremo 
Uopo  non  è  chi  la  riporti ,  o  torni. 
Ma  due  poscia  Calippo  al  Sol  ne  aggiunse 
Delle  portanti  :  e  due  portanti  ancora 
Giunse  al  servigio  del  notturno  lume  ; 
Sicché 'n  tutto  cinquanta ,  oltra  le  cinque , 
Fur  numerate  dagli  antichi  ingegni. 
Tanti  carri  di  stelle,  e  d' or  cosparsi , 


SACai. 

Tante  fervide  rote  e  tanti  ordigni, 
Tanti  e  si  vari  moti,  e  tanti  giri 
Servono  alla  suprema  etema  mole, 
Che'n  sé  medesma  si  raggira  e  volge. 
E'I gran  maestro  di  color  che  sanno. 
Quel  che'n  mille  sue  scole  insegna  li 
Segui  costoro,  allorché 'n  alto  intese,  [do. 
Forse  con  doppio  error,  che  i  corpi  accreb- 
Molto  e  molto  scemò  le  pure  menti,  [be 
Ma  la  novella  età  vieppiù  conturba 
L' ordine  antico,  e  spere  aggiunge  a  spere, 
E  moti  a  moti  ;  anzii  tremante  Cielo 
Primo  d  finge,  e  quasi  infermo  e  stanco 
Mentre  eh'  egli  s'appressa ,  o  fa  lontano. 
E  'n  questa  guisa  baldanzosa  ardisce 
Vincer  d' arte  e  d' ingegno  1  secol  prisco , 
Volgendo  pure ,  e  rivolgendo  intomo 
Ai  proprio  centro,  che  del  mondo  é  centro, 
1  vari  Cidi,  a  lor  giudldo etemi. 
Altri  per  altra  via  seguirò  Ipparco, 
E  Tolomeo,  ch'alle  stdlanti  spere 
Fa  quasi  oltraggio ,  e  'n  lor  divisa ,  o  finge 

I  moti  e  i  cerchi  assai  distorti  e  strani  ; 
Mlrabll  mostro!  e  mentre  al  Sol  concede 
Tre  spere  erranti,  senza  dubbio  afferma 
Che  quella ,  che  fra  l' altre  in  mezzo  gira , 
Non  fa  centro  dd  mondo  '1  proprio  centro: 
L' ultima  m  parte  ancor  distorte  e  piega. 
Afferma  ancor  che ,  mentro  'I  Sol  roundo 
Va  in  questa  guisa,  or  più  s'appressa  al 

centro 
Dell'  universo,  or  sen  fa  più  lontano,  [chio 
Nel  maggior  cerchio  ancora  un  picdoi  cer- 
Va  immaginando ,  il  qual  si  muova  intomo 
Sovra  1  poli  suo'  propri ,  e  lasci  '1  centro 
Del  mondo  fuor  del  mezzo  :  e 'n  lui  ripone 

II  Sole,  ora'n  sublime  ed  altro  sito. 
Ora  'n  più  basso  :  ora  appressar  la  terra , 
Or  dilungarsi  :  or  con  distorto  corso 
Contra  gii  ordin  de*  Segni  andar  errando 
Ora  seguirlo.  E  nell'istesso  modo 

Fa  ritrosa  la  Luna,  e'I  suo  bel  cerchio 
Finge  ineguale,  e  non  ritondo  appieno, 
E  la  figura  le  distorce,  e'I  corso. 
Cosi  di  queste  due  discordi  sette, 
L' una  ben  non  dimostra,  e  non  ci  appaga  : 
L'altra,  mostrando,  é  ingiuriosa  ed  empia 
Contra  I  celesti  giri,  a  cui  la  forma, 
E  ritonda  e  perfetta  Invidia  e  toglie. 
E'I  lor  semplice  moto,  onde  Natura 
Disdegnosa  sen  duole  e  sen  richiama. 
E  la  filosofia  seco  ripugna 
All'apparenza,  e  eoo  ragioni  invitte 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Le  ribellanti  scuole  in  terra  sparge. 
Ma  '1  senso  ancora  alla  ragione  amico 
Mostrarsi  può,  s*  altri  in  lontane  parti 
Peregrinando  agli  Etiopi  adusti , 
Giungerà  mai  nella  fervente  zona, 
Dov*  è  *1  cinto  maggior  che  fascia  '1  mondo. 
Itì,  se'l Sole  in  questo  picciol  cerchio 
Incgual  si  movesse,  egual  non  fora 
11  di  più  lungo  alla  più  lunga  notte. 
E  se  la  Luna  pur  nel  cerchio  Impari 
E  non  ritondo ,  si  girasse  attorno  ; 
Uopo  saria  mutar  talvolta  '1  sito       [so. 
A  quella  macchia  ond"  è  *1  suo  volto  asper- 
Dunquepiù  non  presuma  ardito  ingegno, 
Incontrai  vero,  incontrai  ciel  superbo. 
Finger  nuove  lassù  figure  e  mostri. 

Ma  che  ?  ci  aflerma  ancori*  età  vetusta 
Le  non  credute  meraviglie  antiche. 
E  de'suo*mÌIie  e  mille  e  mille  lustri, 
E  mille  e  mille  il  favoloso  Egitto 
Par  che  si  vanti  :  e  *n  più  moderne  carte 
Delle  menzogne  sue  famose  e  conte 
La  già  vecchia  memoria  ancor  non  langue. 
E  si  ragiona  ancora ,  ancor  si  scrive 
Che,  nel  girar  de' secoli  volanti, 
La  prima  sfera  si  rivolge  intomo, 
Non  dall'Orto  lucente  al  nero  Occaso , 
Ma  dal  Settentrione  al  Mezzogiorno; 
E  quinci  dimostrar  (s' io  dritto  estimo] 
Come*!  veloce  Sol  più  e  più  s' affretti , 
Mentr'  ei  declina  pur  dal  cercliio  obliquo , 
E  gi'istessi  affermar  (  crescendo  ardire  ) 
Che  1  Sol  due  volle  dal  lucente  Occaso 
Nacque  :  e  due  volle  ancor  mori  ncir  Orto, 
Portando  a  noi  dall' Occidente '1  giorno , 
E  lui  chiudendo  nell'avversa  parte, 
E  '1  mutar  di  quel  punto ,  in  cui  fermarsi 
CI  sembra  '1  Sole ,  e  far  più  lungo  'i  corso  ; 
Che  Solstizio  chiamò  l'antica  Roma, 
Di  tanto  variar  cagione  esterna 
Forse  credeano  ;  e  fu  dagli  altri  ascritto 
All'alto  ingegno  degli  Egizi  industri, 
E  mutato  II  Solstizio  ancor  si  narra, 
Percb'ei  fu  già  ne'  lucidi  Gemelli, 
Or  è  nel  Cancro.  É  dunque  Instabii  punto 
Quel  che  sembra  lassù  sì  forte  affisso. 
Né  costante  è  del  ciel  l'ordine  e  l'arte. 
Né  costanza  è  ne*  corpi ,  o  sien  d*  immonda 
Rozza  materia,  o  di  più  scelta  e  pura. 
E  se  pur  questo  è  vero,  è  vero  ancora 
Che  del  Settentrion  l'eccelsa  parte 
Fla  od  Meriggio  alfin  cangiau,  e  volta , 
£  quella  hi  questa:  e '1  Sol,  che  gira  errando 


DEL  MONDO  CREATO.  137 

Per  le  distorte  vie  d'obliquo  cerchio, 
Allor  farà  più  dritto  alto  viaggio 
Per  quella  fascia,  ond'  è  partitoli  mondo. 
Tante  varietati ,  e  sì  discordi 
Vedrà ,  quando  che  sia,  l'età  futura 
Negli  ordini  supremi  ;  e  pur  son  queste 
Del  Qel  le  veci  ;  ov'  è  chi  '1  crede,  e  '1  pensa? 
E  di  ciò  la  cagion  s'adorna  e  finge, 
Mutando  regni,  an^i  pur  regi  al  Cielo, 
Da  cui  r  un  fu  scacciato ,  e  l' alto  impero 
Già  prese  delle  Stelle  alto  monarca. 
E  regnando  '1  prìmier ,  che  fu  Saturno , 
Dalla  parte,  or  sinistra,  il  Ciel  si  mosse  ; 
Poscia  usurpando  Giove  alto  governo , 
Repente *1  volse  dal  contrario  Iato, 
E  mutando  del  Cielo  il  moto  e'I  giro. 
Tutte  Insieme  cangiò  le  cose  a  forza , 
Quaggiù  soggette  al  variar  de'  Cicli. 
Allor,  come  si  finge,  uom  curvo  e  bianco , 
E  neir  ultima  età  vicino  a  morte. 
Rivolse  'ndietro  agli  anni  li  proprio  corso , 
E  ritornò  verso  1*  età  matura 
E  già  perfetto  :  e  quinci  passo  passo 
Vago  giovin  divenne ,  e  poi  fanciullo, 
E  con  tenere  membra  alfine  infante  : 
E  dall'infanzia  giunse  al  fine  estremo 
Di  questa  vita,  e  si  nascose  In  grembo , 
Pargoleggiando,  dell'antica  madre. 
Oh!  di  favole  antiche  ombroso  velo, 
Per  cui  traluce  l'Incostanza  incerta 
De*  corpi  tutti ,  e  de'  supremi  ancora  ! 
A'  quali  ha  dato  Dio  perpetua  legge , 
E  lunghissima  ancor ,  ma  non  eterna. 
Però ,  quando  che  sia ,  riposo  avranno , 
Cessando '1  lor  continuo -e  certo  corso. 
E  ben  di  ciò  vedransl  In  Cielo  i  segni 
Anzi  'I  gran  di  dell'ultimo  spavento, 
In  cui  deve  cadere  accesa ,  od  arsa 
Questa  del  mondo  ruinosa  mole. 
Allor  vedrassi'l  Sol  converso  in  sangue  : 
Ed  altri  segni  spaventosi  e  fieri 
Nel  volto  mostrerà  l'orrida  Luna. 
Però  disse ,  creando ,  '1  Fabbro  etemo  : 
Sian  I  segni  ne*  tempi ,  e  sian  ne'  giorni , 
E  sian  negli  anni  I  segni.  E  1  segni  or  sono 
Pur  quasi  note  nella  Luna  impresse , 
E  'n  fronte  al  Sol  medesmo ,  ond*  el  ci  mo* 
Ciò  che  fa  d' uopo  alla  terrena  vita    [  stra 
De'  faticosi  e  miseri  mortali. 
Spesso *n  turbata  vista  annunziai  cielo 
Venti  e  procelle  e  tempestosa  pioggia. 
E  l'arida stagion  conosce  ancora 
L' uom  già  canuto,  e  per  Inng'  uso  esperto. 


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138  PCEBO 

Ed  una  pur  di  tante  cose  insegna 
Quel  eh* è  yero  Signore  e  vero  Mastro, 
Quand*  egli  disse  :  Rosseggiando,  il  Cielo 
Già  si  contrista,  onde  sarà  tempesta. 
E  questo  av vien ,  quando  si  muove  '1  Sole 
Pei^  entro  a  fosca  e  tenebrosa  nube 
Dell*  aer  denso  e  'impuro ,  onde  traluce 
Quasi  per  colorato  e  grosso  vetro  ; 
Però  sanguigno,  e  quasi  involto  ei  sembra: 

0  quand*  intorno  al  Sol  si  gira  e  volge , 
Gemino  Sole,  o  pur  tre  Soli  insieme 
Fan  di  sé  spaventosa  e  fiera  mostra  : 
Siccome  vide  già  Tantica  Roma , 

Ed  ora  a*  nostri  tempi  awien  sovente 
Là  sotto  i  sette  gelidi  Trioni. 
Talor  veggìamo  entro  1*  oscure  nubi , 
Distese  in  lungo  variar  le  verghe , 

1  colori  dell*  Iri  ;  e  fiero  turbo  [bo , 
Quinci  ancor  si  dimostra,  pioggia,  o  nem- 
Almen  d'aria  mutata  indido  aperto. 
L'istabil  Luna  ancor  a  noi  predice 

Col  vario  aspetto 'I  variar  de'  tempi. 
Perchè  sottile  e  pura  '1  terzo  giorno 
Stabil  serenità  promette,  e  segna; 
Ma  s' ella  'ngrossa  mai  l' un  corno  e  l' altro, 


SACRL 

Quasi  vermiglia;  allor  altrui  minaccia 
Gran  pioggia,  e  folta;  o  pur  di  torbid*  Au- 
II  violento  impetuoso  assalto*  [stro 

Ma  i  vari  segni  in  Ciel  vieppiù  distingue 
Ne'  regni  d*  Aquilon ,  canuto  e  scaltro 
Per  lunga  esperienza  1  buon  nocchiero. 
E  se  giammai  quella  che  1  Sol  circonda, 
Nubilosa  corona,  o  l'auree  Stelle, 
In  sé  medesma  si  dilegua  e  cade; 
Quasi  egualmente  al  suo  sparir  s*  attende 
Un  placido  sereno ,  e  '1  mar  tranquillo  : 
Ma  quando  ad  una  parte  ella  si  frange. 
Da  quella ,  onde  si  rompe  1  bel  contesto 
Dell'  aerea  corona,  attende!  vento. 
Se  da  più  parti  ella  si  squarcia  e  solve. 
Nascono  da  più  parti  i  ferì  ^irti 
Quasi  repente,  e  fan  contesa  e  guerra 
In  Cielo  e  'n  Mar,  eh'  é  tempestoso  campo 
Delle  sonore  e  torbide  procelle. 
Ma  questi  segni  fa  costanti  e  vari 
L'alto  voler  di  Lui  che  muove  1  tutto. 
Cosi  gli  piaccia  a  noi  pace  tranquilla 
Mostrar  dall'  alto  :  e  disgombrar  d*  intomo 
Quel  che  sovrasta  minaccioso  e  grave 
A  questa  vita  procellosa  e  'ncerta. 


GIORNATA  QUINTA. 

nella  quale  fhrono  da  Dio  creati  i  Pesci  e  gli  Augelli. 


L'antico abitator  d'estranea  parte. 
Che  tornar  pensa  alla  sua  patria  illustre. 
Dopo  vane  fortune ,  e  grave  esilio , 
E  molti  in  faticosa,  e  dura  vita 
Trascorsi  lustri ,  al  suo  fedele  albergo, 
Ed  al  cortese  albergator  si  mostra 
Grato ,  ed  amico  anzi'l  partir  estremo. 
Cosi  noi, che  bramiam  di  far  ritorno  [pò. 
Al  Ciel,  quando  che  sia,  tardi,  o  per  tem- 
Da  questa  raen  sublime  opaca  chiostra 
Della  terra,  e  del  mar,  che  *ntomo  inonda, 
Da  cui  moU*  aani'l  nutrimento  e  '1  cibo 
Sì  caro  avemmo ,  e  si  gradito  ostello  ; 
Dobbiam  gli  uUind  offici  e  1  detti  e  i  doni 
Di  pietate  e  d' amor  ;  dobbiamo  i  pegni 
Di  Bom  Mcura  e  non  mortai  memoria 
JL  cpiesta  nostra  si  pietosa  e  cara 
Nudrice  antica  V  che  (anduUi  in  grembo 
N*  aecoise,  e  vecchi  ne  sostiene  e  fqlcc  : 
Aqaasto  nar  che  ne  trasporta  e  pasce; 
A  questo  «  onda  spiriamo  aer  sereno. 

I  narriani»  come  U  santa  destri , 


Poiché  in  tal  guisa  ebbe  ciascuno  adorno, 
Di  vari  abitator  frequenti  e  lieti 
Facesse  tutti  alfin  nel  giorno  quinto; 
Sicché  non  vi  lasdò  spazio,  né  cGma 
Di  vasta  solitudine,  e  dolente , 
Né  di  perpetuo  orrore  incolto  ed  enno. 
Avea  la  dotta  man  del  Mastro  eterno 
Di  bei  fiori  di  stelle  *1  ciel  dipinto, 
E  pur,  com' occhi  suol  lucenti  e  vaghi. 
Già  colla  Luna  in  lui  creato  'ISole  ; 
Quand'  egli  disse  :  L' acqua  omai  produci^ 
E  seco  r  aria  partorisca  insieme 
Ogni  vivo  animai  che  vola  e  repe. 
E  nel  suo  comandar  tutti  repente 
1  fiumi  diventar  fecondi,  e  i  laghi  : 
E  i  vaghi  armenti  e  le  squammose  tott 
De'  propri  notatori'I  Mar  produsse  : 
E  quanto  ancor  d' immondo  e  di  palustre 
Limo  é  ripieno,  e  senza  corsoio  moto 
Ristagna,edimpaliidainpigroletto,  [re. 
Sor  U'I  proprio  ornamento  e*!  proprio  e 
E  non  rimase  neghittoso* o  voto» 


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LE  SETTE  GIOBNITE 
AUordiè  Dio  creò  di  miov»  U  mondo  ^ 
Ch'iBmaotiaeiitft  gracidar  BMCcodo 
Nello  sUgnaou  unor  raoe  palustrL 
E  si  fatti  aniiBai  nasccano  insienc  ; 
In  guisa,  ad  eseguire '1  somino  impero. 
Si  mostrar  1*  aeque  frettolose  e  pronte. 
E  tutti  quei ,  di  cui  potriansi  appena 
Le  ?arie  sorti  annoverar,  parlando , 
Subito  nati,  in  operosa  vita, 
E  tè  movente,  disegnato  a  prova 
Di  qnei  che  gU  cred  1*  aUa  possaoaa, 
Qie  BMTar  non  si  può  con  lingua  umana. 
Ed  aUor  prima  fu  creato,  e  nacque 
Dotato  r  animai  d' alma  e  di  sesso. 
Perdiè  le  piante  e  le  frondose  sterpi 
Degli  arbori ,  eh'  al  Ciel  spiegar  le  chiome, 
Deneh*  abbian  vita,  onde  si  nutre,  e  cresce 
DÌdi'  umide  radici  '1  verde  tronco, 
A'4**?'*  non  soa,  né  'n  cara  dote 
Ebbcr  dal  Padre  etemo  *1  senso  e  V  alma. 
Onde  testiamo ,  si  diversi  obbietU  : 
Beadiè  vi  sia  chi  non  dineghi,  e  toglia 
Alle  icone  selvagge,  ai  roui  tronchi 
Un  ìachiaacsi,  un  ripiegar  sé  stesso, 
Ha  distender  1  rami  in  cara  parte , 
Gh'è  qaaai  un  moto  di  frondose  braccia 
Per  secret  desio  d*  amore  occulto. 
Eadie  piante  ancor  stupido  senso 
Conobbe  alena  antico,  o  die  gli  parve. 
Ma  resti  pur  questa  sentenza  errante 
lo  quel  siteaiio,  alor  cotanto  amico. 
CooMr  si  sia,  creati  il  quinto  giorno 
Fur  gli  animanti,  a  cui  non  lega,  e  'ndura 
Bono  e  tardo  stupore  i  pigri  sensi. 
E  qualunque  animale,  orepe,  o  guizza 
0  nel  somaso  delVacque,  o  pur  nel  fonde, 
Piodatloitt  per  nUiidire  ^  suono 
Della  divtea  ed  imaMtabil  voce. 
Né  (ia pochi  e  brevi  delti)aknn  rimase 
Escluso  dai  sovraao  etera»  impero. 
Noa  qaei,  che  r  aaimal,  figttanéo  ìa  parto, 
SogMoa  vivo  produr,delioi  e  foche  : 
Né  mcaolpicdoi  pesce,  oade  sovente 
La  maa  dd  pescatore  a  fune  avvolta. 
Per  scerba  virtà  stupisce  e  torpe  : 
Noa  chi  Tova  produce,  o  chi  si  copre 
Di  moUe  squaamu ,  o  di  più  dora  scorza  : 
Noa  quei  eh'  haanole  peaae,  o  pur  non 
MatattifuraelieparoleaccoltS,  [rhanno. 
Eqaasi  iacfahml  sotto  cerU  legge* 
Dei  Ufio  i  laghi  aUtator  gaiaaanti. 
E  qaak  chanci  profondo '1  BMrt  alberga  : 
rqaiiihridhiiilian^'  dudscogU  t 


XL  MONDO  CREATO.  tas 

E  quei  che  vaaaoinsiemeh&ampiagreggìa: 
E  quelli  ancor  eh*  erran  dispera  a  aaoto  : 
E  le  i»alene  smisurate  e  1'  oecIm, 
Co*  pesci  picdolissimi  e  minuti; 
E  se  fra  questi  ha  pur  chi'l  molle  peso 
Del  corpo  sovra  i  pie  sostiene  e  porta, 
Son  di  natura  ambigua  e  quasi  incerta  : 
E  *1  gemino  lor  vitto  in  terra  e  'a  onda 
Van  ricercando,  non  contenti  appieno 
Di  semplie*  esca,  o  d' un  sol  cibo  al  pa^to. 
E  son  fra  questi  le  stridenti  rane  ,     [gè 
E  i  granchi  di  più  branche  ;acoi  staggimi- 
Il  cocodrillo,  e  '1  nolator  cavalio. 
Che  del  Mio  trascorre  i  larghi  campi 
Ed  ondeggianti  per  l'asciutte  rive» 
Pcrch'  i  piccioli,  i  grandi,  1  dubbj  e  i  certi. 
Sotto  '1  decreto  d' un  eguale  impero 
Esser  vario  sortirò ,  e  varia  vita. 
Allorché  disse  Dio  :  Producan  1*  acque. 
E  dimostrò  colla  mirabil  voce  ' 
Quanto  la  vaga  ed  umida  natura 
Dell' iastabil  umor  convenga  a*  pescL 
Perocché  quel  é  l' aria  a'  levi  augelli, 
0  pure  ad  animai  che  spiri  in  terra. 
Cotale  ò  r  acqua  al  notator  marino  , 
Ed  a  qualunque  guizzi  in  fiume  e  'n  lagOb 
E  la  ragione  é  manifesu  a'  sensi; 
Perchè  '1  polmon  nella  sinistra  parte 
Fra  le  viscere  nostre  ha'l  proprio  sito 
Spongioso  e  raro  e  trasparente ,  in  guisa 
Di  specchio,  o  d*  altro  che  riceve  immago 
E  la  ritoma  :  e  si  ristrìnge  ed  apre. 
Quasi  mantice,  0  folle;  e  *1  rezzo  e  l'aura 
Spirando  e  respirando,  accoglie  e  rende  ; 
E  ventilando,  è  refrigerio  al  core. 
Che  di  purpureo  sangue  è  caldo  fonte. 
E  coU*  istesso  spirto ,  onde  rinfresca 
L' intema  arsura,  anco  si  forma  e  finge 
In  vari  detti  la  sonora  voce. 
Ma  die  Natura  alle  guiazanti  torme 
la  vece  di  pobaon  le  curve  branche  : 
E  mentre  le  distende  e  le  raccoglie. 
Dentro  l'acqua  riceve,  o  por  la  sparge; 
E  cosi  'a  loro  '1  proprio  oilcio  adunpie, 
Cb'é  quasi  uà  respirar  d'umore  e  d'oad^ 
Ma  pur  voce  non  manda '1  muto  pesce  i 
Né  domestico  mai,  né  mansueto 
DivenU  :  né  sostiene!  taUo  e  i  vezzi. 
Onde  palpa  e  lusinga  umana  destra; 
Benché  d' alcuni  pur  si  nani  e  scriva, 
Ch'hao  per  propria  naturaepropriasorte. 
Olirai'  uso  coraun,  sonoro  spirto  : 
AUzi  suono  noa  pur,  ma  voce  ancora  t 


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140  POEMI 

Altri  quasi  parole ,  In  col  disUogue 
Non  ben  loquace  lingua  \  propri  affetti. 
Percliè  non  basta  al  suon  Io  spirto  i  ntemo, 
Ond*  ei  si  forma ,  e  1  suo  spongioso  e  raro 
Polmone,  e  la  sua  Tota  umida  canna. 
Fistola  detta;  ma  la  Toce  appresso 
Sol  nella  gola  si  figura  e  finge. 
Alle  parole  ancor  la  Hngua  e  i  denti 
Son  d'uopo;  onde  non  paria,  e  non  informa 
Gli  accenti  suoi  quei  che  di  lingua  è  privo. 
M a*l  suon  neli'  altre  parti  ancor  si  frange  ; 
Come  nel  cinto  che  traversa  e  fascia 
Le  vcspi  e  I*  api ,  si  percuote  e  rompe 
L*  interno  spirto  ;  e  quinci  s*ode  un  roco 
Mormorar,  che  per  Tarla  *ntorno  aggira. 
Altri  rompendo  neir  istessa  fascia , 
Che  cinge  '1  corpo  suo,  Io  spirto  Interno, 
Canta  battendo  l' ale  :  e  1  verdi  boschi 
Suonano  'ntorno  a  quei  sonori  accenti 
Della  cica'ia  a'  lunghi  estivi  giorni. 
Ma  fra*  pesci  nel  mare,  o*n  fiume,  o*nlago 
Alcun  non  manda  fuori  o  voce  o  suono , 
Che  sia  molle ,  o  di  crosta  almen  coperto. 
Altri  con  vario  suon  garrisce  e  stride, 
Talché  del  suo  strìdor  risuona  intomo 
L'onda  sovente,  e  dal  concento  li  nome 
Prese  quei  pesce  in  mar,  che  detto  è  lira. 
Stride '1  pettine  ancora,  e  stride  a  prova 
La  rondine  marina  :  e  questo  e  quella 
Stridendo  vola,  e  si  solleva  in  alto  [tocca. 
Con  lunghe  e  larghe  penne,  e'I  mar  non 
Ma  nel  fiume  Acheloo  non  solo  stride. 
Ma  voce '1  suo  cinghiale  aversi  crede. 
E  '1  cucco  nolatore  ha  voce  anch'  egli , 
Onde  al  cucco  volante  è  quasi  eguale  ; 
Ma  non  è  vera  voce,  e  voce  assembra 
L' intemo  spirto ,  che  si  frega  e  frange 
In  quell'orride  branche,  ond*  ei  risuona. 

Ma  sue  parole  quasi ,  e  sua  favella 
Tra  l'acqua  e  '1  limo  ha  la  loquace  rana , 
Delle  paludi  abiutriee  immonda,   [gua, 
E  quest'  awien ,  perchè  ha  polmone  e  lin- 
Di  cui  compiuu  è  l'una  e  l'altra  parte  : 
La  prima  al  modo  pur  degli  altri  pesci  : 
E  l'altra  ancor,  che  manda 'I  roco  suono, 
AI  gorgozzuol  s'attacca  e  si  congiunge. 
Ed  ulular  le  rane,  e  gli  altri  ancora 
Sotto  l'acque  s'udir  pesci  lascivi. 
E  l'ululare  è  un  amoroso  invito, 
Ondc'l  cupido  maschio  alletta,  o  chiama 
La  femmina  consorte  a  dolci  noaze. 
Ma  '1  veloce  delfino  ha  voce  e  suono , 
Perch'ei  non  è  senza  polmone  e  sangue  ; 


SACRL 

Ma  non  ha  lingua,  ond'ei  formi  e  distingua 
Quel  suon  che  s'ode  mormorar  sull'acque. 
Ma  ronfar  già  dormendo  ancora  uditi , 
E  dormir  son  veduti  umidi  pesci  : 
E  quei  che  dura  crosta  in  voi  ve  e  copre 
Hcnchè  non  abbian  Tumide  palpebre, 
I.c  quai,  chinate  nel  soave  sonno, 
Ilicopron  gli  occhi  a*  notatori  stanchi. 
Ma  dal  placido  lor  queto  riposo , 
In  cui  sol  mossa  è  la  guizzante  coda. 
L'accorto  pescator  conoKe  '1  sonno. 
Né  gli  trafigge  sol  col  suo  tridente 
Ma  colla  cauta  man  gli  palpa  e  prende. 
K  spesso  preda  fa  di  quei  eh'  aflìssi 
Sono  agli  scogli,  o  nelT arene  avvolti, 
0  sotto  un  sasso ,  o  sotto  '1  curvo  lido 
Dormono  ascosamente ,  o  'n  imo  gorgo. 
In  questa  guisa  è  col  pungente  ferro 
Presa  T  orata  :  e  '1  lupo  ancor  percosso 
Si  desta  appena,  in  così  fisso  ed  alto 
Sopore  è  immerso  :  e  '1  fin  del  suo  riposo 
È  col  principio  di  sua  morte  aggiunto: 
Anzi  dal  breve  nel  perpetuo  sonno 
Desto  ei  trapassa ,  e  se  n'  avvede  appena. 
Ma  '1  veloce  delfin ,  la  grande  e  vasta 
Balena,  mentre  dorme  in  mezzo  alTonde. 
Fuor  dal  sommo  dell'acque  innalza  e  spar^ 
La  sua  fistola  cava ,  ond'  ella  spira  :   [  gè 
E  leggiermente  le  sue  penne  intanto 
Agita  e  move.  E  nell'ombrosa  notte,  [sci 
Vieppiù  che 'n  altro  tempo,  U  sonno  a 'pe- 
S*  irriga  ;  e  pure  in  sul  meriggio  estivo , 
Allorché  pasce  i  favolosi  armenti 
Proteo  nelle  marine  ampie  spelonche. 
Come  creduto  fu ,  le  pistri  e  T  orche , 
A  cui  fa  l'alga  immonda  un  pigro  letto , 
Dormono  i  lunghi  giorni  :  e  dorme  appres- 
L' indovino  pastor,  tre  volte  e  quattro  [  so 
Già  numerate  le  squammose  gregge. 
Ma  le  favole  antiche  In  altra  parte    [que 
Han  più  opportuno  loco.  Io  taccio  adun- 
Di  Proteo  e  d'Arion ,  che  tratto  a  riva 
Dal  veloce  delfin,  campò  da  morte  : 
E  taccio  ancora  1  mal  creduti  amori 
Del  pio  delfino,  e  del  fanciullo  estinto , 
Per  cui  si  dolse  '1  suo  marino  amante  : 
E  vinto  alfin  dal  suo  dolore  insano 
Mori  gemendo  'n  suU'  asciutta  arena. 
Ma  se  di  ciò  si  nega  a  prisca  fama 
Credenza  alcuna,  almen  di  fede  indegna 
Non  sia  l'antica  istoria,  in  cui  si  legge 
Che  la  natura  ancor  pietate  insegna. 
Quasi  maestra  a'  pesci,  e  quasi  madre. 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Quinci  al  cniro  delftn  le  gonfie  mamme 
Diede,  perch*ei  nudrisca  i  cari  figli; 
Ami  ei  di  noofo  ancor  nel  curvo  ventre 
Racco^ie  i  pargoletti,  e  si  rientra 
Ond'usd  prima  il  non  cresciuto  parto, 
Quand'  è  più  tempestoso  il  mar  sonante. 
Cresciuto  poi  fra  le  procelle ,  e  i  nembi , 
Sicuro  apprende  *I  gir  per  Tonde  a  nuoto, 
Senza  temer  flutto  spumoso,  o  turbo  : 
Arte  paterna  :  e  pur  col  padre  appare 
Quat  fida  aita  a'  naviganti  audaci  ; 
Ood*  antivede  '1  buon  nocchiere  accorto 
L*  orrida  guerra  de*  contrari  venti 
E  drizza  ai  porto  l*agiUU  prora. 
Ma  qual  canuto  pescatore,  e  lasso. 
Chiappo  le  rive  del  Tirreno  invecciii, 
0  del  mar  d'Adria,  o  dell'  Egeo  sonoro , 
0  lungo  'I  Caspio,  o  lungo'l  ponto  Eussino, 
0  *n  su*  lidi  vermigli,  o  dove  inonda 
Il  gran  padre  Ocean  Germani  e  Franclii, 
ScoU  e  Britanni,  od  Etiopi  ed  Indi  : 
Qual,  dico,  abbia  ivi  Tetà  sua  fornita 
Neil*  infeconde  e  solitarie  arene , 
E  *ntomo  a*  cavernosi  e  duri  scogli , 
Or  r  amo  ed  or  le  reti  in  mar  gettando , 
Narrar  potria  degli  umidi  notanti 
Le  tante  sorti ,  in  cui  distinta  e  scevra 
È  lor  natura  e  la  progenie  antica , 
E  ben  mille  maniere  e  mille  modi 
IH  varia  vita ,  e  di  costumi  e  d*  opre 
Pur  variate ,  e  lor  diverse  parti  ? 
Perch'aitri  ne  conosce  *1  mar  d* Egitto, 
E  r Eritreo,  clie  fa  Tonde  sanguigne: 
Altri  rircano,  e  quel  d'Assiri  e  Persi  : 
Altri  quello  in  cui  lava  1  piedi  Atlante  : 
E  quello  In  cui  biancheggia  Indo  ed  Idaspe, 
Che  sono  al  nostro  mare  in  tutto  estrani , 
Od  in  gran  parte  peregrini  ignoti  : 
Quanti  ancor  ne  produce  in  grembo  e^>asce 
L' Ocean  sotto  l*Orse,  e  sotto  *1  cielo. 
In  cui  più  non  appare  *1  Carro  e  l'Orsa , 
Che  qui  saria  quasi  mirabil  mostro  7 
Ma  pur  da  prima  gli  produsse  in  vita 
Tutti  egualmente  la  divina  voce  : 
E  'n  si  varie  maniere  anco  distìnse. 
E  quinci  awien  ch'altri  nel  primo  parto 
Manda  fuor  1*  ovo  :  e  noi  riscalda ,  e  cova. 
D'augello  in  guisa;  e  non  si  forma  *1  nido, 
Né  con  molu  fatica  i  figli  ei  nutre; 
Ma  l'acqua  *1  peso  in  sé  caduto  accoglie , 
EI  fa  vivo  animai,  che  guizza  e  nuoU. 
Altri  produce  l'animai  da  prima. 
Me  come  'n  terra'l  mulo,  o  pur  neli*  aria 


DEL  MONDO  CREATO.  141 

Soglion  molti  mescblar  l'incerta  prole 
Lascivi  augelli  ;  ma  progenie  immista 
Si  perpetua  fra  lor  sempre  feconda 
Con  legittime  nozze  ;  che  natura 
Ha  certe  leggi ,  ond'  i  consorti  accoppia. 
E  se  pur  mesce  la  murena  al  fiero 
Maschio  serpente,  l'un  depone  *I  tosco, 
L' altra  noi  fugge ,  o  *1  suo  marito  abborre. 
Nulla  sorte  di  pesci  ha  d' una  parte 
La  bocca  armata  degli  acuti  denti , 
Dall'  altra  affatto  inerme ,  e  quasi  Ignuda , 
Come  ha  fra  noi  la  pecorella  e  '1  bue , 
E  nlun  pesce  ancor ,  come  si  narra , 
Suol  ruminare  omai  sazio  del  pasto. 
Se  lo  scaro  ne  traggi  :  e  tutti  a  prova 
Hanno  in  guisa  di  sega  i  bianchi  denti 
In  due  fila  ristretti  :  e  quinci  e  quindi 
Vario  e  distinto  è  il  cibo.  Altri  di  fango 
Si  pasce  e  nutre  :  altri  di  funghi  e  d' alga  : 
Altri  d* erbe  marine,  ower  palustri , 
0  di  quelle  ond*  i  fiumi  han  verde  '1  fondo  : 
Ed  altri  corre  frettoloso  all'esca. 
Che  suol  gettar  nelT  acque  umana  destra , 
E  pur  di  cibo  uman  vago  si  mostra  : 
Altri  '1  pesce  minor  nelT  amo  ingoia. 
La  maggior  parte  pur  de*  pesci  ingordi 
Scambievolmente  si  divora  e  strugge , 
E  del  maggior  sempre  *1  minore  è  pasto. 
E  spesso  ay  vien  che  nell*  istesso  modo 
Quel  che  pur  dianzi  del  minor  satolla 
Fece  r  avida  fame ,  or  fugga  Invano 
Il  suo  maggior ,  che  lo  persegue  e  caccia  : 
E  dal  gran  predator  sia  preso  alfine , 
Ed  empia  l' uno  e  l' altro  '1  ventre  istesso. 
E  questo  ancor  fra  noi  più  spesso  incon- 
tra: 
Perchè '1  possente  a  cui  fu  dato  in  sorte 
Sovra  umll  plebe '1  grave  imperio  e'ngiu- 
Pasce  de'  più  minuti  avido  '1  sangue ,  [sto, 
E  di  qualunque  gli  è  soggetto  e  servo. 
E  'n  che  diverso  è  un  fiero  ingordo  petto , 
Ch'avara  fame  di  ricchezze  e  d'oro 
Stimola  sempre ,  e 'nsazlabil  rende , 
Dal  gran  mostro  del  mar,  che  mille  e  mille 
Via  men  forti  di  lui  persegue ,  ed  empie 
Di  lor  la  sua  profonda  alu  vorago? 
Già  colui ,  fatto  ingiurioso  ed  empio , 
Delpoverel  vicino  i  beni  ingombra; 
E  tu  di  lui ,  rapito  e  preso  a  forza , 
Godi  le  prede  e  le  rapine  antiche 
Con  tirannico  dente ,  e  rodi  e  struggi 
E  quasi  parto  a  tue  ricchezze  aggiungi 
Quel,  che  'n  molt'  anni  egli  usurpò  rapace  ; 


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142  MEB 

E*n  guisa  tal  più  delTafwo  vrmo^ 
E  deUMngiasto  più  n'apparì  Ingiasto. 
Guarda  che  non  t* attenda'!  fine  Istesso, 
Nel  quale  incappa,  esèmedesmoarrolge, 
Mentre  ^1  altri  persegue,  il  pesce  incauto  ; 
Io  dico  amo  pungente ,  o  nasda ,  o  rete. 
Non  fuggirai ,  non  fuggirai ,  superbo. 
Dopo  tanti ,  altrui  fatti,  iniqui  oltraggi , 
L'ultima  pena,  die  sovrasta,  e  tarda, 
E  qual  sasso  pendente  alfin  minaccia. 

Or  d'un  minuto  animaletto  e  vile 
Riconosci  fhnidie ,  e  i  falsi  inganirf , 
E  fuggi  omai  di  frodi  indegno  esempio, 
n  granchio  la  soave  e  dolce  carne 
Brama  della  marina  e  nobil  conca  : 
Diffidi  preda,  e  preilosa  e  cara  ; 
Perch'a  tenero  dbo  un  duro  vallo 
Fece  natura,  e  drcondoUo  intomo. 
E  perchè  *n  guisa  si  congiunge  e  serra 
L' una  coir  altra  forte  e  salda  tesu , 
Che  non  vi  ponno  entrar  r  orride  branche 
Che  fa  dunqu'egli  ?  quando  In  mar  tran- 
Sotto  1  sereno  delo  al  chiaro  giomo[quiao 
De*  dold  raggi ,  e  del  soave  aspetto 
Gode  la  conca,  e  si  dispiega  e  spande  ; 
Allor,  quail  di  furto  ègHì  nascoso. 
Un  picdol  sasso  entro  vi  getta  :  e  vieta 
Ch'ella  più  si  ricopra  e  si  rinchiuda  : 
E'n  quesu  guisa  della  debH  fona 
Può  adempire  i  difetti  astuto  ingegno. 
Oh  di  malizia ,  e  d' uomo  iniquo  e  scaltro , 
Ma  pur  di  rozza  e  d'inieconda  Ungua 
Maligno  magistero,  e  muta  fraude! 
Tu,  se  brami  imitar  l'industria  e  Parte, 
Ncir  acquistar ,  de' tuoi  vidni  'I  danno 
Schiva,  e  non  fare  a' tuoi  fratelli  oltraggio, 
Fuggi  de*  condennati'l  vile  esemplo: 
E  di  povero  aver  contento  e  Deto, 
La  povertà ,  eh'  a  sé  medesma  basti , 
A'  diletti  molesti ,  a'  servi  onori 
Umil  preponi  alT  alterezza ,  al  fasto  : 
E  di  te  stesso  in  te  trionfa  e  regna; 
Che  non  han  regno  eguale  o  Sdtì ,  od  ln<fi. 
Né  del  polipo  Indietro  i  furti  io  lasdo , 
E  1  falsi  inganni  ;  che  se  mai  Rappiglia 
A  qualunque  s)  sia  marina  pietra. 
Egli  repente  si  dipinge  e  veste 
De'  colori  di  quella,  e  lei  rassembra. 
Però  sci  pesce ,  che  trascorre  a  nuoto , 
Da* sembianti  ingannato  in  lui  s'avviene. 
Pur  duro  sasso*!  crede  in  mare  occulto  ; 
E  di  leggiero  è  sua  rapina  e  dbo. 
DI  tal  costumi!  lusinghieri  «ctorfi 


8ACB1 

Son  ne*  p«b|i  de*  poMeotl  Anpati, 
0  de'  regi  sublimi  :  e  '■  questa  guisa 
SincUnan  proitti  ad  onorar  l'aiiezia 
Della  fortuna  ;  e  trasmutartè  steari 
Sogliono  in  color  mille ,  e'n  raUe  forme 
Siccome  1*  uso ,  o  *1  tempo ,  ocome  cbiMk, 
La  voglia  del  signore  ,  o '1  suo  diletto , 
Variando  tenor ,  sembianU  e  vesti. 
Parole  e  modi  :  e  co*  modesti  inaiene 
Sono  modesti  :  e  sospirosi  In  atto 
Co' più  dolenti;  econ  gli  allegri,  allegri: 
Protervi  co'  proterri  :  e  legge  e  i 
Si  fanno  d' altrui  senno ,  e  d' dtrui  { 
Talché  agevol  non  sembra,  o  leve  cari 
Schivar  l' insidioso  e  duro  incontro 
Di  questi  in  guisa ,  che  si  cessi  1  danno. 
Che  r  empietà  sotto  *1  contrario  aspetto 
Della  pietà  suole  apportar  sovente. 
Di  tal  costumi  ancor  rapad  hipl 
Sogllon  vestir  di  maosnelo  agndk> 
Candido  manto ,  e  semplicetti  in  rista 
Altrui  mostrarsL  Fuggi,  abl  fuggi,  amico, 
n  costume  ^  doppio  e  si  perverso. 
Segui  la  verità.  Gradlsd ,  ed  ama 
Il  sincero  candor  d'alma  innocente, 
E  la  non  violata  e  pura  fede,    [aweone 
Vario  è'I  serpente  e  l'angue,  e  quind 
Che  'I  condannò  sentenza  antica  e  giusta 
A  trar  per  terra  steso  '1  proprio  corpo. 
Sincero  é  il  giusto,  e  nulla  mente,  o  finge , 
Come  Giaoob,  perù  l'accoglie  e  loca 
L'alto  Signore 'n  sua  magione  eterna. 
Ma  questo  cosi  vario  e 'ncerto  albergo, 
Ov'abitlam ,  vivendo,  è  l' ampio  mare , 
Egrande  e  vasto,incuiserpendedragfai, 
S'aggiran  senza  fine,  e  fieri  mostri  : 
E'n  lui  co'  grandi  son  confusi  e  misti 
I  piccioli  animali  :  e  tutti  insieoM 
Saggio  governo  e  giusta  legge  affrena 
I  popoli  natanti.  Ed  hai  ben  onde 
Seguir  d'alcun  tu  possa  *1  raro  esemplo; 
Non  accusarlo  sol,  se  vizio,  o  colpa 
Di  natura  imperfetta  in  lor  oonoscL 
E  prima,  tu  non  pensi ,  e  non  rimiri 
Come  sian  compartiti  a'  vaglii  pesd 
I  propri  luoghi ,  e  quasi  1  propri  alberghi, 
I  propri  regni,  onde  da  qtiello  a  <pMito 
Non  soglìon  trapassar,  se  non  di  rado. 
Gli  altnri  campi  usurpaado,  e  *1  letioe'l  d- 
Ma  tra'  confini  suoi  quasi  ristretto    [boT 
Ciascun  si  qiazia  entro  *1  sonilo  regno. 
Né  geometra  i  lunghi  apai^  ed  mnfk 
Dirise  lor  :  aè  d' alte  aian  luomo 


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LE  SETTE  GIORNATE 
QrcoodòknagkMii  iioùdc,  algemi. 
Né  termine  tì  pose  :  e  d*  ogni  parte 
Quel  che  lor  giova,  è  largamente  aperto , 
E  quasi  destinato  In  profiria  sorte  : 
Questo  sen  questi  pcsd  accoglie  e  nutre  : 
L' altro pasce<]uegli  altri:  e  colle,  o  monte» 
Coir  aspre  rupi  e  con  distesi  gioghi , 
Non  gli  disparte ,  e  nonrecide  M  passo. 
Ma  ceru  legge  di  natura  a  tutti 
Divide  con  misura  eguale  e  giusta 
(Comeèpro di  ciascun)  Talbergoelloco; 
Ove  con  gli  altri  sa  raduni  e  pasca, 
E  qmi ,  che  basii  In  un  sol  giorno  al  vitto. 
€ià  taU  non  slam  noi,  del  padre  Adamo 
rrnifMiinHi  prole,  e  'n  Dio  superba  ; 
PBKsbè  noi  trasportlam  de'  padri  antichi 

I  lermiMi  9i4  affissi ,  ed  ampio  acqolsto 
Facciam  pur  sempre  d'oooupaU  terra , 
Casa  acasa  aggrangendo .  e  camfpo  a  caro- 
CUtispcssoacltt»te,eregnoaregno,  [pò, 
Ch*a*vldni  si  scema,  e  toglie  a  forza. 
Conobbe  prima  le  balene  e  Forche 

II  loco  che  natura  a  lor  prescrisse , 

E 1  preparate  pasto,  e'i  mar  profondo 
D*  isole  desolate  oltra  I  paesi 
Abitati  occupar ,  dove  non  resta 
D'akama  parte  più  la  stabil  terra  : 
Dove  più  non  appare  o  lido ,  o  monte  : 
Dov'arar  non  si  ponno  I  vasti  campi 
D*  iMiavigabil  mare  ;  ove  non  giunse , 
Spiando  nnove  genti  e  numi  regni , 
E  noora  gloria ,  il  navigante  audace  : 
Ove  non  prisca  istoria,  o  Tcccliia  fama, 
Non  ardir,  non  pensiero  umano  ed  alto 
Del  folle  immaginar,  la  nave  approda. 
Ma  qvel  medesmo.  Ignoto  immenso  mare 
Ingombrar  le  balene,  eguali  a' monti, 
Come  si  narra  da  nocchieri  esperti  t 
Né  d'isola,  o  cittate  oltraggio,  o  danno 
Da  lor  riceve ,  o  la  nemica  forza 
Provano  unqnanco  ingiuriosa  e'nfesta. 
Ma  qualunque  di  lor  maniera  e  sorte , 
Quasi  in  città ,  quasi  In  contrada  amica , 
Anzi  patema ,  con  antiche  leggi 
Nelle  partì  del  mare ,  ove  sortilla 
Voler  divino  e  sua  natura ,  accampa. 

^leragrinando  ancor  sen  vanno  l  pesci: 
E  della  patria  in  volontario  esilio 
Son  rilegati  In  parte  ignota  e  strana. 
E  si  partono  interne  accolti  a  stuolo , 
E*n  guisa  di gnerrier,  ch'ai  dato  segno 
L«cian  le  proprie  tende  «1  propriocam- 
Seguendo^siMiB  della  canora  trombt;[pn, 


143 


DEL  MONDO  CREATO. 
Allorché '1  tempo  destina     ^^-^. 
Desti  daHa  posseole  antica  legge 
Della  natura,  e  frettolosi  e  pram 
Verso '1  SeUentrione  lian  vdtol^^ 
E  gli  vedresti  di  tnrr«nti  In  guisa 
Correr  dalla  Fropotttide  cenginnll 
Nel  mar  Bussino.  Or  chi  li  anove  ereg^  t 
Qua!  imperio  di  rege?  o  qod  d'araldn 
Al  suon  di  trombe  pubblicato  e^to 
Il  già  prefìsso  tempo  a  lor  iteMwtra? 
Chi  guida  i  peregrini  ?  Or  non  conosd 
L' ordine  eterno  che  penetra  e  passa 
Per  le  minute  parti,  e  tutto  adempie? 

Non  fa  contesa  alla  divina  legge 
Ubbidiente  1  pesce;  e  a  kì  centrala 
L'uomo,  indarno  ritroso  e  ribeManfte. 
Perchè  ila  muto^  non  avere  a  scherno 
Il  privo  di  ragion  ;  che  vieppiù  féUe 
Se'  tu ,  mentre  ripugni  all'  alto  impero 
Del  fie  celeste.  Odi  la  voce,  ascolta 
Del  muto  pesce  le  parole  e  I  detti  ; 
Perchè  ci  parla  quasi  '1  moto  e  f  opre. 
Onde  a  peregrinar  t' invita  e  desta , 
Ed  a  lasciar  torbido  flutto  amaro. 
Cercando  in  altra  parte  acque  più  dolci 
Ne'  regni  d'Aquilone,  ove  riscalda 
Men  co'  suo'  raggi  '1  Sole,  e  meno  attragge 
Delle  sue  parti  più  leggiere  in  alto. 
Né  l'avaro  desio  di  merci,  o  d'anno, 
Lor  muove  a  trapassare  l  mari ,  e  i  fiuni , 
Come  gli  Bomml  snoi,  ma  sol  d' immiste 
E  legittima  prole  amore  e  zelo. 

Ma  rioerchiam  perch'i  giganti  alteri 
Più  la  natura  non  produce,  e^tia 
La  terra  pregna  deU'orribil  parlo  : 
Ma  di  elefanti  ancora^  e  di  balene 
Non  si  ripente.  E  se  fatture  ed  opre, 
Son  pur  della  divina  etema  destra , 
Son  buone ,  e  buone  fur  da  lei  prodotte , 
Che  le  predasse  grandi,  a' monti  alpestri. 
Ed  air  Isole  eguali  :  e'I  nostro  orgoglio 
Voile  abbassare,  e  dame  sdto  spavento 
Con  quel  sì  mostruoso  e  fiero  aspetto, 
E  colla  smisurala  orribll  mole. 
Perocché  Dio,  quando  creò  primiem 
Tanti  anlmafì ,  e  si  distìnti  e  vari 
E  d' opere  e  di  moto  e  di  semMante-; 
Altri  a  senime  gfi  produsse  In  terra 
Per  uso  vmano ,  ubbidienti  al  nosim 
Placido  Impero ,  e  talor  grave  «d  aspro. 
Per  snrgrandezza ,  «per  sua  gknfa  ancora 
Alcuirt  altri  produsse^  e\i  lor4Hmoatra 
Quella ,  che  fa  gran  cose ,  arte^hioi , 


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144  POEMI 

E  divina  Tirtù,  che  presso  e  lunge. 
Più,  e  men  dilaramente  altrui  risplende. 
Ma  degl*  industri  Greci  il  folle  ingegno 
Le  meraviglie  del  Signore  etemo 
Rivolse 'n  giuoco,  ed  adombrarle  in  parte 
Volle  con  varie  sue  menzogne  adorne; 
Mentre  descrisse  oltra  le  mete  e  i  segni 
D'Alcide  invitto i  favolosi  regni 
Di  que*  felici ,  e  ie  già  illustri  e  conte 
Isole  fortunate ,  e  *1  lungo  corso 
Di  temeraria  nave  :  e  ci  dipinse 
Lo  smisurato  pesce ,  e  '1  vasto  grembo  y 
Che  popoli  diversi  in  sé  rinchiude; 
Talché  *1  profondo  e  tenebroso  ventre 
Alle  genti  nemiche,  all'arme  infeste 
È  di  battaglia  un  periglioso  campo. 
Ma  le  navi  da*  pesci  in  mar  sommerse , 
Ami  da  un  pesce  solo  il  fero  assalto 
Fatto  a  mille  superbe  armate  navi , 
Favola  non  fu  già ,  né  scherzo  o  giuoco. 
Né  favola  è  quel  Giona  in  mar  sommerso , 
Ed  inghiottito  dal  vorace  mostro. 
Ma  dell'alto  Signor  l'aita  possanza 
Nelle  picciole  cose  altrui  si  scopre , 
Non  sol  nelle  più  grandi.  Ecco  trascorre 
A  vele  piene  e  sparse  il  mar  sonante 
Con  destro  vento  corredata  nave  : 
E  pesce  minutissimo  repente 
Tarda  e  ritiene '1  suo  veloce  corso, 
Come  s*  ella  radici  in  mar  profondo 
Avesse  fatte  :  e  quinci  al  pesce  il  nome 
Dal  ritardar  fu  dato.  E  gran  temenza 
Non  solo  danno  altrui  balene  ed  orche, 
0  la  seca  marina ,  acuta  i  denti , 
0  'i  cane,  o  quella  pur,  che  spada  assembra; 
Ma  tal  pesce  é  nel  mar,  ch'ai  fine  estinto 
È  paventoso  ancora ,  e'n  guisa  punge, 
Che  presto  apporta  inevitabil  morte. 
E  la  piccioia  ancor  marina  lepre 
Repente  ancide:  e  pur  se  agguagli 'I  danno 
In  paragon  col  prò,  l'utile  avanza: 
E  ci  giova  de'  pesci  ancor  l'esempio. 
Ma  se  te  stesso  ben  misuri  e  stimi , 
Uom,  tu  sei  pesce ,  e  questa  vita  éil  mare  : 
Ed  alla  rete,  che  si  lancia  in  alto , 
E  tanti  vari  pesci  in  sé  raccoglie, 
È  somigliante  *1  gran  regno  del  Qelo, 
Che  ne'  suo*  lacci  ne  raguna  e  stringe, 
E  poi  gli  eletti  ne'  suo'  vasi  accoglie , 
Gli  altri  fuor  getta ,  e  li  distingue  e  parte. 
Così  avverrà  nel  consumar  del  mondo, 
Che  gli  Angeli  usdran ,  santi  ministri 
Del  Giudido  divino:  e  flao  divisi 


SACRI. 
1  rei  da' giusti,  e  quei  dannati  al  foco , 
Questi  aila  gloria  destinati  in  Qelo. 
Vi  son  dunque  de'  pesci  e  buoni  e  rei  : 
E'i buon  la  rete  non  Involve  e  lega. 
Ma '1  leva  in  alto,  e  l'amo  noni' ancide; 
Ma  d*  innocente '1  bagna  e  puro  sangot 
Di  piaga  preziosa.  Uom ,  tu  se*  pesce: 
Tu  se'  quel  pesce,  a  cui  l'aperta  bocca 
Dimostrò  la  staterà  entro  nascosa. 
E  '1  libero  voler  che  'n  te  riserbi , 
Son  le  bilance  tue  distorte,  o  pari. 
Uom,  tu  se'  pesce  ;  e  '1  pescatore  é  Pietro, 
0  chi  di  Pietro  ha  qui  sembianza  e  vece. 
Questo  mare  é  il  Vangelo,  in  cui  si  fondi 
La  Chiesa,  eh'  é  di  Dio  sacrato  albergo. 
Non  temer,  o  buon  pesce,  o  rete,  od  amo. 
Che  non  ancide  altrui ,  ma  sol  consacra. 
Se  pesce  sei ,  fuor  delie  torbid'  onde 
Sorgi  sublime,  e  '1  tempestoso  flutto 
Non  ti  sommerga  :  e  s' é  tempesta  in  alto. 
Nuota  sicuro,  e  ti  ricovra  al  fondo  : 
Es' è  tranquillo'!  mar,  fra  l'onde  scherza: 
E  s'è  procella  pur  sonora,  e  turbo. 
Guarda  che  '1  nembo  impetuoso  e  denso 
Non  ti  percuota  fra  gli  scogli  al  lito. 

Ma  sorgi,  omai  sorgi  dal  mar  profondo, 
E  '1  nostro  ragionar  dall'onde  emerga. 
Miriamo  in  allo,  alziamo  al  Cielo  i  lumi  : 
Vcggiam  mirabilmente  '1  llto  adorno  : 
Il  sai  tratto  dall'  onde  in  bianco  marmo 
Quasi  indurarsi  :  e  qual  purpurea  pietra 
Rosseggiar  sotto  '1  cielo  il  bel  corallo. 
Che  dentr'al  mar  fu  molle  e  tener' erba  : 
E  tra  le  conche  biancheggiar  lucente 
La  dura  perla ,  e  tra  l'incolte  arene 
Fiammeggiar  l' oro  :  e  quasi  care  gemme 
Di  più  colori  le  dipinte  pietre. 
Nutrito  ancor  nell'  acque  é  l'aureo  vello: 
Ed  ha  l'onda  1  suo'  fior  che  sparge  e  porta 
Sovra  le  sponde  :  e  quindi '1  lucid' ostro' 
Anco  risplende  :  e  ciò  ch'i  duci  invitti 
In  lieta  pompa  trionfale  adoma  : 
Qò  che  s'adora  ne'  possenti  regi , 
0  ne'  purpurei  padri  oggi  s'onora, 
È  bellezza  e  tesoro  e  cara  merce 
Dei  Mare ,  anzi  dei  Mar  cortese  dono. 
BfiU'altre  aggiungi  ancor  bellezze  e  feste, 
E  marittime  vaghe  altere  pompe. 
Spira 'I  vento  soave,  e  placid'  aura 
Con  dolce  mormorar  susurra  e  vaga, 
E  'ncrespa  l'onda;  che  spumoso  argento 
Pur  tra  li  scogli ,  o  presso  al  curvo  Udo 
Somiglia,  e  spesso  a'  luddl  zafllri 


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LE  SETTE  GIORNATE 
L'acqua  proronda  «  ed  a*  soavi  raggi 
Del  Sol  si  tiogc  di  piropi  io  guisa. 
Le  Tele  sparse  ventilar  lontano 
Yeggonsi  bianclieggiando  a  cento,  a  mlUe, 
E  'n  corso  superar  cavalli  e  carri. 
E  spiegar  le  famose  insegne  anUclie 
Dipinte  navi ,  e  co'  pungenti  rostri 
Fender  V  umili  vie  :  guizzare  intomo 
Gli  umidi  pesci  :  e  dimostrar  sovente 
Il  veloce  delfino  '1  curvo  tergo. 
E  lieti  rimbombare  a  suon  di  tromba 
Le  sponde  e  l'acque,  e  gli  arsenali  e  I  porti 
Pieni  di  navi ,  e  d' altri  in  varie  forme 
Contesti  legni  :  e  bella  antica  mole 
Far  ampia  strada  a'  cavalieri  illustri, 
E  frenar  di  Nettun  l'ira  e  l'orgoglio. 
E  i  premj  ancora,  e  l'onorate  palme 
De'  vincitori  io  scorgo,  e'n  varie  antenne 
La  gloriosa  inchino  aita  Corona,     [doso 

Ma  già  com'  uom,  che  dentr'  al  seno  on- 
Deir  Adrian  si  tuffi  in  lieto  giorno, 
E'n  celebrato  onor  di  pompa  antica , 
E  cerchi  i  più  riposti  oscuri  fondi , 
E  i  duri  e  sotto  l'acque  accolti  scogli , 
E  i  secreti  cbe'l  mare  asconde  in  grembo, 
Per  riportarne  su  gettata  gemma 
Tra  suo'  purpurei  padri  al  veglio  duce; 
Così  dal  suo  profondo  anch'io  risorgo, 
E  dagli  oscuri  e  tenebrosi  abissi , 
La  bella  verità,  ch'ivi  sommersa 
Par  che  si  giaccia ,  porto  in  chiara  luce , 
E  pure  agli  occhi  de'  moruli  esposta 
L'offro  da  contemplar  :  né  manto  appanna 
Le  care  membra,  o  velo  'i  crine  adombra. 

Or  dagli  ondosi  campi  alzarmi  a  volo 
A'  Tentosi  dell'aria  ardisco  e  tento. 
Chi  mi  dà  l'ale'n  guisa  di  colomba, 
Perch'  io  sovra  le  nubi  e  sovra  i  venti 
M'innalzi ,  e  fra'  volanti  al  Ciel  vicino 
Mi  spali  T  Quel  che  sovra '1  Clel  ne  scorse. 
M'affidi  ancor,  mi  porti  e  mi  sostegoa 
Per  questo  procelloso  e  'ncerto  regno 
Della  fortuna ,  che  si  varia  e  cangia 
In  tante  guise;  e  tanti  alberga  e  pasce 
Turbini  e  venti, e  pioggie  e  nevi  e  fiamme, 
Ond'è  turbato  degli  augelli '1  volo. 

Era  già  ornato '1  cielo ,  e  pieno '1  mare. 
Verdeggiavano  1  boschi  e  i  prati  e  i  monti. 
Quando  Dio  comandò  che  sovra '1  suolo 
Terrestre  isser  volando  i  vaghi  augelli 
Per  l'aria.  In  cui  s'accoglie  e  si  condensa 
Quell'umido  vapor  ch'esala  in  alto 
Dal  freddo  grembo  dell'opaca  terra. 


DEL  MONDO  CREATO.  145 

Talché  repente  gli  animai  pennuti 
Nell'aere  incominclaro '1  volo  e'I  canto* 
E  chi  tra'  muti  pesci  era  pur  dianzi 
Desto ,  tra  '1  suon  di  tanti  augei  canori 
Or  darà  gli  occhi  in  preda  ai  pigro  sonno 
E  neghittoso  e  lento  a'  vaghi  augelli 
Cederà  net  lodare '1  Re  superno? 
O'n  render  grazie  a  chi  ci  nutre  e  pasce? 
Quegli  due  volte  a  prova,  e  innanzi  al  gior- 
E  quando*!  Sol  da  sera  i  raggi  accogIle,[no, 
E  l'Oriente  scolorito  imbruna. 
Fan  di  soavi  note  un  bel  concento  : 
Ed  or  tacita  l' alma ,  e  non  sonoro 
Trar  vorrà  l' uno  e  l' altro  estremo  tempo, 
Che  s'appella  dal  suono,  e'n  lui  si  chiude, 
E  s'apre'l  giorno  strepitoso  e  'ntento 
All'opre  faticose  de'  mortali? 
Ah  !  non  sia  ver.  Ma  raccontiam  seguendo 
Del  quinto  di  le  buone  e  nobili  opre. 

Sono  a'  pesci  sembianti  i  vaghi  augelli  ; 
E  tra'l  notante,  e'I  volatore  alato 
È  quasi  parentado  :  a  quello '1  nuoto, 
A  questo '1  volo  die  natura  in  sorte. 
E  l'uno  e  l'altro  i  liquidi  sentieri 
Colle  sue  penne  seca  e  colla  coda. 
Or  mossa  alquanto,pr  quasi  in  giro  attorta, 
Che  'n  vece  di  timon  governa  '1  corso. 
Son  diversi  però  :  eh'  a'  pesci  '1  cibo 
Ministra  l' onda  instabile  e  vagante  : 
Agli  augelli  la  ferma  e  stabil  terra. 
Però  al  notante  necessari  i  piedi 
Non  son,  come  al  volante  ;  e  quinci  avviene 
Che  questo  n'  è  fornito ,  e  quel  n'  è  privo. 
Ma  pur  ai  crocodillo,  il  qual  sovente 
Scende  a  predar  sull'  arenose  rive 
Del  Nilo ,  1  corti  pie  natura  diede, 
Anzi  1  piedi  dal  suolo  ebbero '1  nome; 
Che  pedo  il  suol  fu  detto  in  greca  lingua. 
All'incontro  un  auge!  per  l'aria  a  volo 
'  Si  spazia ,  e  sovra  V  ali  ognora  '1  peso 
Porta  e  sostiene  del  suo  debll  corpo, 
A  cui  piedi  negò  l'alma  Natura  ; 
Come  gì*  insegni ,  nel  sublime  volo 
A  mirar  alto,  a  disprezzar  la  terra. 
E  quinci  porge  esempio  a  nobìlalma. 
Ch'aspira  al  Cielo,  e  prende'l  suolo  a  scher« 
Questo  alla  rondinella  appar  simile,  [no. 
E  tra'  sassi  pendenti  In  verde  speco 
Si  forma '1  nido  di  tenace  fango. 
In  cui  s' apre  a  gran  pena  angusto  '1  varco  : 
Cipselo*ì  nominò  la  Grecia  antica. 
Altri  de'  volatori  han  piedi  In  sorte  ; 
Ma  pur  son  male  acconci  al  far  rapina, 
7 


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146  MEMI 

Ed  al  cacciar;  e  *1  nutrimento  e  l'esca 
Cercan  nell'aria.  Annoverar  fra  questi 
SI  può  la  rondinella  peregrina, 
A  cui  di  piedi  in  vece  è  il  baaso  volo. 
Che  vicino  al  terren  coll'ak '1  ride; 
E  quella  ancor,  ch'è  dell'  erbose  rive 
Abitatrice,  onde  Riparia  è  detta. 
Sono  In  molt*  altre  guise  ancor  diversi 
Gii  augelli,  e  di  grandezza  e  di  figura, 
E  vari  di  color,  vari  di  viu, 
IT  opere  variati  e  di  costumi. 
Ora,  lasciando  addietro!  molti  modi,  [te, 
Ond'  han  le  penne  scisse,  o'  nsiemeaggiun- 
Quasi  di  pelle,  o  di  vagina  avvolte, 
0  fuor  di  modo  pur  tenere  e  nolii  ; 
Dirò  ch'altri  sian  puri  ed  altri  impuri  : 
Quegl'  innocenti  e  mansueti,  in  terra 
Scelgono '1  vitto  pur  di  seme  e  d'erba; 
Questi  son  vaghi  di  più  fero  pasto. 
Di  cruda  carne  e  d'atro  sangue  ingordi. 
Però  r  unghie  pungenti  e  curvo '1  rostro 
Ebbero 'n  vece  d'armi,  e  penne  al  volo 
Più  dell'  altre  veloci ,  onde  la  preda 
Sia  tosto  presa  e  lacerata  in  parti. 
E  non  si  fa  di  questi  o  stormo,  o  greggia  ; 
Ma  soglion  i  feroci  andar  solinghi 
Alla  rapina;  e  sol  gli  accoppia  e  giunge 
Amoroso  desio  di  cara  prole. 
Gli  altri  raccolti  sono  in  vari  stormi. 
D'amica  cotnpagnia  bramosi  e  Heti; 
Securi  no  ;  che  U  perturba  e  sparge, 
E  spesso  ancide  il  predator  rapace. 
E  tali  son  le  semplici  colombe , 
A  cui  sì  prezioso  e  bel  monile 
Fa  la  natura  di  colori  e  d*  auro , 
K  le  gru  peregrine  e  i  magri  stomi  : 
Di  questi,  altri  soggetti  a  grave  impero 
Non  sono,  e'n  libertà  tranquilla  vita 
Vivon  quasi  con  proprie  antiche  leggi  : 
Altri  hanno  '1  duce ,  ed  ordinali  a  squadre 
Seguon  la  soorU  lor  per  l'aria  a  volo; 
Altri  son  propri  abitatori  antichi 
Del  suol  nativo  :  altri  volar  da  lunge 
Sogliono  In  terra  estrana ,  e  'n  altro  clima 
Cercar  più  caldi  Soli  innanzi  al  verno  : 
Altri  ritoman  pur  co'  freddi  giorni 
Peregriuaudo  alla  stagione  estiva. 
Tornano  al  fin  d'autunno  i  tordi  a  volo 
Nel  tepido  confin  del  verno  algente , 
Dove  son  tesi  lor  ben  mille  agguati 
Neil'  inospite  terra  :  altri  gì'  inganna 
CoU' infedele  insidiosa  gabbU  : 
Alcun  gli  prende  col  tenace  tìsco  : 


SACRL 
E  nelle  reti  alcun  gì' involge  e  lega. 
E  la  cicogna,  ritornando,  Inoalia 
La  primavera  le  sae  verdi  insegne. 
Altri  son  della  mano  a'  vessi  av^eid. 
Che  dolcemente  gli  lusinga  e  moke. 
Ed  alla  mensa  dei  signore  usatL 
Altri  son  timorosi  :  e  i  dolci  nidi 
Fann'  alcun' altri  n^i  umani  albergbL 
Altri  selvaggi  quasi ,  e  quasi  alpestri. 
Prendono  i  iuogiii  solitari  in  grado. 
Ma  gran  varietà  la  voce  e1  moiM 
Fa  ne*  volanti  augelli ,  e  gran  divario. 
Altri  taciti  sono,  altri  hiquad 
Senza  musica  alcuna  e  senza  canto  : 
Alcun' altri  canori  :  ad  altri  insegna 
D' assomigliar  del  suono  i  vari  acceoU 
La  Natura  maestra,  e  l'uso  «  l'arie  : 
E  la  pieghevol  voce  In  dolci  modi 
Incfatoa  ed  alza  :  altri  ritrosi,  kidaiti. 
Con  perpetuo  tenore  in  un  sol  tuono , 
Mandan  fuor  sempre  l' Immutabil  voce. 
£  pomposo  '1  pavon  :  superboM  gallo  : 
È  la  colomba  placida  e  lasciva  : 
È  la  pernice  perfida  e  gelosa, 
Ch'  a  depredare  I  cacciatori  aiuta. 
Amano  alcuni  di  raccorsi  insieme, 
E  congiunger  le  forze,  e  1  cari  alberghi, 
<}uasi  in  una  città  comune  a  tatti, 
Sott'  un  lor  proprio  re  :  l' impero  e  *1  telo 
Bicusan  altri  del  signor  superiM»; 
Talché  ciascuno  a  se  provvede  e  pensa. 

Sia  da  quegiì'l  principio,  onde  l'esempio 
Prendiam  per  l'uso  deH'uauina  vita. 
Comujii  han  l'api  le  cittadi  e  1  tetti 
Dì  molle  cera ,  e  le  odorate  ceUe  : 
Comune  '1  volo  e  la  fatica  e  l' opre 
Di  mirabil  lavoro,  e  i  cari  pascM  : 
E  comune  hanno  ancor  la  prole  e  i  figli , 
Che  non  son  nati  in  doloroso  parto. 
D'amor  lascivo,  il  qual  congiange  e  mesce 
L'aflaticate  insieme  immonde  memlmi; 
Ma  colla  bocca  fuor  succhiati  e  scelti , 
Dagli  odorati  e  rugiadosi  fiori. 
Poi  tutte  insieme  in  bella  schiera  accolte 
Sott'  un  ordine  solo ,  un  solo  impero 
Seguon  d'un  re,  ch'è  venerato  a  prora. 
E  non  sostiene  alcuna  uscire  a'  prati. 
D'erbe  vestiti,  e  di  bei  fior  dipinti. 
Se  prima  '1  re  non  incomincia  'I  volo. 
E  non  è  questo  re  per  caso  «letto, 
0  per  Fortuna,  che  so\-enle  innaia 
A  somala  i^odestà  1*  Indegno  e '1  vile; 
Né  per  giiidido  dett'errilB  volgo  z 


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LE  SETTE  GIORNAXE 
Né  COI— iiaJe  éelTantieo  Ngoa 
DegO  Mi  ratioU  ad  tupeiboMli» 
S*asiide,  gmifio  del  pMeiM  tei*, 
E  'meoeiilo  tk  Imiiiglie  é  Taal, 
Nell'arti  peUegfine  ineeHo  e  rouo  ; 
Mi  ptr  mtara*!  oobll  fefno  «oqulBU, 
E  dtaalura  te  le  mli  Integie 
D'oro  Ineena,  omà/t  s' adorne  «  aplende  : 
E  gU  altri  di  «raBdeca  e  di  flgnn^ 
E  di  cosfri  wMienpli  awia, 
È  ben  d'acnlae  il  re  ponfente  armato. 
Ma  r  acaleo  non  Ma  in  far  vendetta. 
Perchè  Ma  leggi ,  aon  in  breve  carta. 
Od  in  iride  fegUe, o 'n  Irale  Mona, 
0  'n  dorisBlflM  pietna  lapreMe  e  atrìtUt, 
Mi  di  ICatura  eatfo  le  meati  iaflae; 
Ch'Off  è  pie  di  poeeMìw<  di  vakii«. 
Più  Ti  sia  di  deaienia  e  di  piotate. 
Ma  qnaliiaque  dell'api  il  re  aon  segue» 
O  pur  ei  BMStia  In  ubbidir  ritrosa, 
Ddteaierario  ardir  tosto  si  peate, 

0  di  saa  traootaaM,  e  sente  '1  colpo^ 
Fiero  gastigo  in  sé  medcsmo,  ad  asparo, 
Cbe  «ià  joleMO  osir  gii  inticbi  Persi, 
Dmdo  1  sé  slessi  volontaria  ummIo. 
Moa  barbaro  re  di  Persi ,  o  d' ladL, 
Odi  Saraurti  par,  o  nuovo  a  prtsM, 
Con  tanta  riverenea  al  regio  scettro 
Vide  lacbiaatsi  1  popoU  devoti; 
Quanti  ae  vede  nel  alinolo  stuolo 

Il  fonanate  re  deM'api  industri, 
Cberarae,  onde  natura '1  Itoe  adorno. 
Non  usa  ne'  aoggetti  e  negli  umUL 

Odan  di  Cristo  1  Mrvl,  a*  quaU  è  imposto 
Che  non  si  renda  mai  per  male  il  male. 
Ma  che  nel  bene  il  mal  s'avanzi  e  vinca; 
Odaa  dell'api  caste  il  santo  esempio. 
Né  d'imitarlo  alcun  si  prenda  a  sdegno; 
Ch'  ella  nei  procurarsi  il  proprio  vitto 
Non  guasu  r  iltnii  cibo,  e  aol  oorroa^M  ; 
Mi  di  cera  si  inge  i  dold  alberghi. 
La  quii  da  vari  fiorì  acoogUe  e  mesce. 
E  pur  di  fiori  V iagegnosa,  e  d'erbe 
D* ogn'tetonio  spiraati  '1  vario  odore. 
Loca  alla  sna  capace  angMta  reggia 

1  primi  foadimenti ,  e  mvti  asperge 
D' umor  celeste  rugiadose  stille  : 
Liquido  prima,  e  poi  tenace  e  dcasob 
S  con  cera  aottil  divide  e  parte 
Minolisslme celle,  a  cui  di  sovra 

La  somma  parte,  ch'è  pendente  e  cava. 
Fa  taatBdini,evolte;e  i'unaaU'altra  [vre 
S'appiWMÌBgniutai,cfa'aggiaDiaeaca- 


JDBL  MONDO  CREATO.  147 

La  vidnaaza  lor  distringe  e  lega 
Più  foste  insieme  la  tenace  aiole, 
E  fa  non  roinoso  a  lei  sostegna; 
Sicché  può  sostenere  '1  dolce  peso, 
E  ritener  che  giù  non  caggia  'i  mele.       , 
E  ben  si  mostra  l'ingegnosi  poccfaia 
Architetto  nell'  opra,  e  nel  lavoro 
Manvigliosi ,  e  saggii  e  dotti  ipplcno 
Di  quinto  '1  i^eometn  insegni  e  troia 
Perchè  lormò  le  celle  in  giusto  spMio 
Con  sei  ingoli  tutte,  e  fiinchi  «fl^i  ^ 
E  non  per  dritto  l' uno  ili'  altro  4ppoggi% 
Ma  quelle  Infime  sedi  in  guisa  adatta 
Alle  sovrane  sue  concave  parti. 
Che  nulla  ne  patisce  'i  sommo  e  l'ino. 

Ma  come  annoverar  potrò  natraada 
De*  cari  augelli  le  si  varie  vite  ì 
L' estrane  gru  dentro  l'adunco  piede 
Portano  '1  sasM,  onde  si  folce,  e  Ufan 
Tra  l'aure  incerte  l'agitato  volo, 
Mentre  ne'  giorni  nubilosi  e  brevi ,  [bro, 
Lasdand' addietro  '1  Termodonte,  o  l'E- 
Passano  1  larghi  mari ,  e  'n  suU'  aprioho 
Sponde  soglion  vernar  dell*  ampio  Nilo. 
Tal  per  savorrainmartra'  venti  el'oade. 
Altre  rive  cercando,  ed  altre  partii 
Regge  '1  suo  corso  la  spalmata  nave» 
Queste  han  di  notte  sentinelle  e  scorte» 
Che  mentre  l'altre  in  placida  quieta 
Dormon  sicure,  van  girando  intomo, 
E  le  notturne  insidie ,  e  i  venti  e  l'aure 
Spian  da  tutte  le  parti  impigre  e  pronte. 
E  poi  fornita  quella  guardia,  e  '1  tempo 
Di  lor  vigilia,  a  suon  quasi  di  tromba  [no 
Destan  gli  addormentati  :  e  gli  occhi  al  son- 
Danno  per  breve  spazio  :  e'  n  quella  vece 
Altri  succede  al  faticoso  ufficio. 
Una  precede  l'altre,  e  quasi  avanti 
L' alte  insegne  precorre  :  e  poi  si  volge 
Nel  tempo  dato  :  e  la  sua  sorte  e  1  loco. 
Che  si  conviene  al  duce,  altrui  concede, 
Dimostran  molto  di  ragione  e  d*  arte 
Le  cicogne,  e  'n  tal  guisa  al  tempo  btessa 
Quasi  a  spiegate  insegne  in  queste  parti 
Vengon  da  più  lontano  ignoto  dima» 
E  le  nostre  comici  amica  guardia 
Lor  fanno  intomo ,  in  ampio  stuol  cob> 
E  son  fldaU  scorual  lungo  volo  [  giunte. 
Contea  la  fona  de'  nemici  augelli; 
Come  soglion  guerrieri  inglesi  e  scoti, 
0  germani  ed  iberi  uniti  in  lega. 
Ed  in  quella  stagione  in  loco  alcuno 
Non  d  appai  la  cornice,  e  poi  ritoma 


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148  POEMI 

Tinta  le  piume  d'onorate  piaglie, 
E  del  già  dato  aiuto  i  segni  mostra. 

Deb  I  chi  descrisse  lor  sì  certe  leggi 
Di  si  pietoso  officio  ?  o  chi  minaccia 
Si  grave  accusa ,  o  pur  si  giuste  pene 
Achl  gli  ordini  infermi,  e  '1  proprio  loco 
Per  Yiltate  abbandona  in  guerra,  oin  cam-* 

pò? 
Quinci  prendete  esempio,  egri  mortali: 
£  l'uomo  impari  dagli  augel  volanti, 
Quai  degli  ospiti  slan  le  giuste  leggi  : 
Né  chiuda  avaro  albergator  superbo 
Le  dure  porte  a'  peregrini  erranti 
A  mezza  notte ,  o  lor  dineghi  '1  cibo  ; 
Se  per  gli  estrani  augelli  i  nostri  augelli 
Non  ricusan  d' espor  la  vita  in  guerra , 
E  de'  perìgli  altrui  si  fan  consorti. 
E  guai  altra  cagion  di  fiera  morte 
In  Sodoma  versò  di  fiamme  ardenti 
Dal  Ciel  turbato  spaventosa  pioggia , 
Che  la  ragion  del  violato  albergo 
Sprezzata,  e  rotta? e  queir  iniquo  oltrag- 
Ma  la  pietosa  provvidenza  e  cara,  [gio? 
La  quai  delle  cicogne  è  vecchia  mastra , 
Destar  ben  può  de'  figli  il  dolce  amore 
Verso  gli  antichi  loro  e  stanchi  padri. 
Quelle  d' intorno  al  genitor  languente , 
A  cui  per  lunga  età  cadere  a  terra 
Sogliono  i  vanni  e  le  minute  piume , 
Stanno  pietose  :  e  le  già  afflitte  membra 
E  nude  di  pennute  e  lieve  spoglie , 
Scaldano  al  voiator  lassato  e  grave 
Soavemente  colle  proprie  penne  ; 
E  gli  porUno  '1  cìbo,ond'ei  si  pasca: 
E  sollevano  ancora  e  quinci  e  quindi 
Coli*  ale  il  tardo  veglio  :  e  'n  questa  guisa , 
Le  disusate  membra  air  uso  antico 
Già  richiamanti ,  danno  aiuto  al  volo. 

Ma  quai  fra  noi  di  sollevar  1*  infermo 
Padre  non  sembra  fastidito  e  lasso  ? 
Chi  n'  impone  alle  spalle  il  grave  pondo. 
Quel  eh' è  creduto  nell'istorie  appena? 
E  non  più  tosto  disdegnoso  e  schivo 
All'  altrui  braccia  le  caduche  membra 
Commette,  e  '1  mal  locato  officio  a' servi  ? 
Ora  prendiam  lodato  e  caro  esempio 
Di  materna  pietate ,  e  non  si  dolga 
Di  povertate ,  o  di  miseria  alcuno , 
Né  della  vita  sua  disperi  e  pianga  ; 
Mentr'el  riguarda  '1  magistero  e  l'opra 
Della  pietosa  rondinella  industre. 
La  rondinella  di  minuto  corpo , 
Ma  di  sublime  egregio,  e  chiaro  affetto 


SACRI. 
Povera  e  bisognosa,  'I  proprio  nido 
Ella  medesma  pur  compone  e  finge. 
Prezioso  vieppiù  di  gemme  e  d' auro. 
Perchè  d'ogni  tesoro  è  vile  '1  pregio 
Allato  a  quell'albergo,  in  cui  s'annida 
La  sapienza  ;  e  ben  è  saggia  e  scaltra 
Mentr'  ella  del  volar  mantiene  e  serba 
La  vaga  lii>er(ate  :  e  nutre  e  pasce 

I  pargoletti,  ancor  teneri  figli, 
Sicuri  dall'  insidie  e  dagli  assalti 
Degli  altri  augei,  sotto  i  sublimi  tetti. 
Là  dove  l' uom  ricovra  :  e  per  usanza 
Al  conversar  uman  cosi  gli  avvezza. 
È'  mirabile  ancor  l'ingegno  e  l'arte« 
Ond'  a  sé  stessa  le  sue  proprie  case 
Fa  senz'aita  d'architetto  o  fabbro; 

E  le  festuche  pria  prepara  e  sceglie, 
E  le  cosparge  di  tenace  fango , 
Per  congiungerle  insieme;  e  se  co' piedi 
Non  può  in  alto  portar  tenero  limo. 
L'ali  d'acqua  si  sparge,  e  poi  di  polve 
Arida  e  leve  ;  ond'  ella  fa  di  nuovo 
La  fangosa  materia  all'umll  casa. 
Con  questa,  quasi  colla,  aggiunge  insieme 
Le  già  scelte  festuche,  e  di  lor  forma 

II  nido  a'  figli  :  a  cui  se  gii  occhi  accieca 
Pungendo,  alcuno;  ella'i  perduto  lume 
A'  ciechi  rende  colla  medie' arte. 

Or  chi  di  povertà  si  lagna  e  plora  « 
Miri  la  rondinella  :  e  grazia  speri 
Da  quel  Signor,  eh'  a  lei  si  larga  dote 
Diede,  e  sì  ricco  don  d' arte  e  d*  ingegno  : 
Onde  di  povertate  e  di  fortuna 
Ogni  sciagura,  ogni  difetto  adempie 
In  sì  lodata  e  si  felice  inopia. 
L'alcione,  del  mar  picciolo  augello. 
Forma  di  palla  in  guisa  '1  dolce  nido 
D'arido  fior,  che  '1  mare  in  sé  produce; 
E  i  pargoletti  figli  a  mezzo  '1  verno 
Dalla  tenera  scinde  e  frale  scorza 
Neil'  arenoso  lito ,  in  cui  depone 
Dell'  ova  'I  caro  suo  portato  peso. 
E  questo  awien ,  quando  da  fieri  venti 
Il  Mare  a  terra  si  percuote  e  frange: 
E  biancheggiando  di  canuta  spuma 
Sparge  le  molli  arene ,  e  i  duri  scogli. 
Dell'  alcione  al  desiato  parto 
È  sopito  'I  furor  d' orridi  venti , 
Son  quete  l' onde  tempestose ,  e  'ntomo 
Sgombre  le  nubi ,  e  serenato  '1  cielo  : 
In  si  tranquillo  e  si  felice  aspetto 
De*  fidi  augelli  alla  progenie  arride  : 
E  'n  sette  prima  di  si  lieti  giorni 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Suol  covar  Tuova  la  pennuta  madre. 
Negli  altri  sette  nutre  i  nati  Agli , 
Ed  a  questi  ed  a  quelli  ba'mposto'l  nome 
Dall'alcione  '1  navigante  esperto  : 
Ed  al  candor  di  lucido  sereno 
Da  tutti  gli  altri  gli  distingue  e  segna. 
Questo  ci  rassicuri  e  ci  conforti , 
Percliè  chiediamo  a  Dio  le  grazie  e  i  doni  ; 
Loqual,se  'n  grazia  d*un  minuto  augello 
L'orribil  placa,  e  grande  e  vasto  mare, 
In  mezz*  al  tempestoso  ed  aspro  verno, 
E  lo  ritiene,  e  il  fa  tranquillo  e  piano; 
Cile  fari,  s'egli  intende  al  nostro  scampo? 
O  se  provvede  all'uom,  suo  figlio  eletio, 
Di  sua  divinità  sembiante  inimago? 
La  tortorcila  dal  suo  amor  disgiunta^ 
Non  vuol  nuovo  consorte  e  nuovo  amore  ; 
Bla  solitaria  e  mesta  vita  elegge 
In  secco  ramo,  e  'n  perturbalo  fonte 
J^  scic  estingue  :  e  de!  marito  estinto 
Così  rinnova  la  memoria  amara. 
A  lui  sua  castità  consena  e  guarda 
A  lui  di  moglie  ancora  '1  caro  nome  ; 
Perchè  solver  non  può  l'iniqua  Morte 
Le  sante  leggi  di  vergogna ,  e  i  patti , 
A  cui  s'astrìnse  volontaria  in  prima. 
Quinci  la  vedovella  esempio  prenda; 
Né  baldanzosa  alle  seconde  nozze 
S'affretti,  e  tuffi  nell'  obblio  profondo 
L'amor  suo  primo  e  la  sua  prima  fede. 

L'aquila  in  allevar  la  nobil  prole 
É  vieppiù  d'altro  disdegnosa  e  'ngiusta; 
Che  di  tre  figli  i  due  percuote,  e  scaccia 
Con  gli  aspri  colpi  de'  suo'  duri  vanni  ; 
E 1  terzo  alleva ,  a  cui  non  manchi  '1  cibo. 
Che  suol  rapire  '1  predator  volante; 
£  forse  altra  cagion  più  l>ella  e  giusta, 
Non  avarizia  del  nutrir  la  spinge 
Ma  severo  giadicio ,  onde  riprova 
(Com'a  lei  non  convenga)  indegno  parto: 
Perchè  volge  i  suo'  figli  inverso  '1  Sole , 
Sospesi  in  aria  nell'  adunco  artiglio  : 
E  quel  che  non  dechina  a' raggi  ardenti 
La  ripercossa  vista  e  1  debil  guardo. 
Ma  'ntrepido  nel  Sol  l'affisa  e  ferma, 
É  scelto  a  prova,  e  gli  altri  abborre  e  sde- 
(Pur  com'  indegni  di  reale  onore)    [gna 
Con  quel  suo  generoso  e  gran  rifiuto. 
Ma  gli  scacciati  entro  '1  suo  nido  accoglie 
Quella  che  rompe  1*  ossa,  e  quinci  '1  nome 
Prende,  od  aquila  sia  bastarda,  e  nata 
DI  genitor  deforme,  od  altro  augello: 
Né  gli  liscia  perir  d' orrida  fame , 


DEL  MONDO  CREATO.  149 

Ma  co'  suo'  figli  lor  nutrisce  e  serba. 
E  tali  son  quei  duri  acerbi  padri , 
Ch'espongono  i  bambini ,  o  sono  iniqui 
Nel  compartir  fra'  suol  l*  avere  e  l' esca 
E  tutti  quei,  ch'hanno  l' artiglio  adunco. 
Allorch'i  figli  timidetU  '1  volo 
Tcntan  primiero ,  e  spiegan  l' ale  appena 
Con  mal  sicure  ancora  e  'ncerte  penne. 
Gli  spingon  tosto  dal  paterno  nido  ; 
E  s' alcuno  al  partir  è  tardo  o  lento. 
Coli'  ali  sue  percosso  e  ripercosso 
Precipitando  '1  caccia  'l  fiero  padre. 
Ma  verso  i  figli  suoi  l' amore  e  'l  zelo 
Della  cornice  assai  dì  laude  è  degno. 
Che  'n  atto  di  pietosa  e  fida  madre 
Raffrena  nel  lor  primo  ardito  volo 
La  debil  prole ,  e  lor  ministra  '1  cil>o 
Lunga  stagion,  perchè  s'avanzi  e  cresca. 
E  molti  sono  ancora ,  e  vari  augelli. 
Cui  non  fa  d'uopo,  in  generare,  il  maschio. 
Come  gravidi  sian  di  vento  e  d'aura. 
Ma  son  poscia  infecondi  i  nati  figU , 
Né  fan  perpetua  la  ventosa  prole 
D' Euro  i  nipod,  o  pur  di  Noto  e  d'Austro. 
Ma  senza  mescolarsi ,  e  senza  coppia 
Di  maritale  amor  concepe  e  figlia 
L'avvoitor,  che  si  tardi  a  morte  giunge; 
Meraviglioso  al  mondo,  e  raro  mostro, 
Che  col  secolo  suo  la  vita  agguaglia. 
Or  se  deride  alcun  gli  alti  misteri 
Della  nostra  divina  invitta  Fede, 
Né  creder  può  che  da  virginei  chiostri 
Dell' inutu  Regina  il  Figlio  uscisse. 
Di  sua  verginità  servando  '1  fiore  ; 
Miri  qual  dia  famoso  e  certo  esempio 
Alle  cose  divine  alma  Natura  : 
E  quel  che  può  nell' aria augel  volante, 
Posslbil  creda  a  Dio,  che  puote'l  tutto. 
E  i  medesmi  avvoltoi  presagio  e  senso 
Hanno  quasi  divino,  ond'  è  prevlsu 
De'  guerrieri  la  morte;  anzi  talvolta 
Sogliono  accompagnar  l' armate  squadre, 
Antevedendo  la  sanguigna  strage 
Dell'orrida  battaglia,  e  '1  fin  dolente. 
Ma  chi  potria  delle  locuste  appieno 
Gli  spaventosi  eserciti  narrarti  ? 
Ch'  ad  un  quasi  di  guerra  orribil  segno 
Sogliono  a  schiere  sollevarsi  in  alto , 
Ed  accamparsi,  ed  ingombrar  d'intorno 
Quant'  è  largo  '1  paese ,  e  i  dolci  frutti 
Pria  non  toccar,  che  dal  sovrano  impero 
Lor  sia  permesso  '1  depredare  i  campi  ? 
Debbo  anco  dir,  come  al  meriggio  estivo 


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fSO  POEBfl 

Le  esmort  dette  I  TercD  boscM, 
Quasi  nel  petto  iTeado  intema  Hra^ 
FMdan  sonar  con  que'  conttnni  accenti? 
0  come  'ncontro  ad  Sol  ripari  e  schemi 
Df  Inoflil  tenebrosi,  e  d*ore  Cvde 
Gerdii  1'  ati«el ,  che  dalF  antica  Atene 
Alla  sua  Diva  fti  nutrito,  e  saero? 
E  com*  d  soie  infra  gfi  auge!  volanti 
Adoprl  i  dend ,  e  in  quattro  pie  si  fermi  ? 
Benché  due  n*abl>la  ralTricano  angelio, 
Cti'  ha  tà  gran  corpo ,  e  di  si  grave  peso, 
Sovra  dne  tanto  egK  i  leggero  appoggia  , 
E  l'aB  sue  qnad  di  cnoto  spiega: 
E  cono  penda  Tun  dall'altro  avvinto. 
Quasi  catena  Inandiata  e  lunga  r 
E  'u  qnesta  guisa  por  Natura  insegni 
Di  scambievol  amore  i  fermi  nodi  : 
E  come  gli  occhi  delTaugd  notturno 
Sian  somiglianti  ad  uom,  che  tvtto  intenda 
D'omana  sapfensa  a*  vani  stndj? 
Perchè  ài  qndio  in  tenebroso  orrore 
La  vista  è  forte,  e  poscia  Im  lumi  infermi. 
Laddove  1  Solle  tenebre  disperda. 
Cosi  di  questi  appare  acuto  ingegno 
Nel  vano  contemplar;  ma  in  vera  luce 
La debii  mente  imbruna,  e  tntu  adombra. 
Delibo  ancodir,  come  ti  svcgH  aB*opre 
Qi  canoro  angellin  l'acuta  voce,    [desta 
Che  Innfe  Intuona,  e  '1  Sol  richiama,  e 
Il  peregrin,  e  'I  buon  cultor  ne*  campi, 
L*uno  al  suo  faticoso  aspro  vlag^. 
L'altro  a  secar  k  gUi  mature  spicbe  7 
0  dir  come  ne  rompa  1  dolce  sonno, 
E  nMnviti  a  vegghiar  con  ida  guardia 
Contra  1*  hisidie  d*  avversario  antico 
11  tardo  auge! ,  che  già  sottrasse  al  rìsoe 
La  gran  città,  dd  mondo  aka  regimi, 
A  tei  scoprendo  la  notturna  fraude, 
E  *l  barbaro  crvdel  ndt' ombra  occulto. 
Che  per  oscure  vie  saUva  in  allo 
A  quel  suo  trionfale  altero  nonfe , 
Ove  già  sorse  fai  macstale  aognsia 
Altaroccaall'imperlo,aGiovell  tempio? 
0  descriver  degg'io  dd  bianco  dgna 
U  divino  presagio,  e  1  dolce  canto. 
Anzi  l' antivedma  e  Beta  morte? 
Onde  r  alma  immortai  s*  aSda ,  e  spera 
Farsi  là  sovra  *1  Od  per  gtasia  eterna. 
0  del  verme  bidiano,  a  cui  natnn 
MirabOmente  fi  lo  coma  e  rai , 
Sspor  si  varie  e  si  cangiate  forme  7 
I%r6,voi,  che  seétndo,  Htnstri  donne, 
Teasete  t  ritessele  in  tronchi  e 'n  fiori. 


SACKL 

E  'n  pM  maravIgKooe  dire  figure 

Prezioso  lavoro ,  e  cari  stami , 

Da  lunge  a  voi  mandati  indn  dagf  Indi , 

Per  adontar  di  vaga  e  moHe  veste 

Le  care  membra  ;  voi,  nell*  opra,  o  donne. 

Dovete  rlcblamar  nell'  dta  mente 

Quel  ch'altre  volte  ragionare  udiste. 

Che  risorger  dobbiam ,  ripreso  1  manto 

DI  nostra  nmanltate ,  e  fard  etemi. 

Tutte  vestite  allor  di  foce  e  d'amo 

Rlsplenderete  d  Sol ,  che  P  alme  Ulostrn, 

Assise  in  gloriosa  ed  dta  sede, 

E  &  dtro  ornate  che  di  perle  e  d'ostro. 

Or  a  te  mi  rivolgo ,  e  tu  supremo 
Fra  gli  dtri  onore avrd  negli  dd  carmi, 
Immortd,  rinascente,  unico  aogdto: 
E  questo  fta  quasi  odorato  rogo 
Di  chiare  laudi ,  In  cui  la  fama  antica 
Si  rinnovi  nel  mondo,  e  TaH  spandi, 
E  per  questo  sereno  e  poro  ddo 
Lieta  si  spari  e  gforiosa  a  volo, 
A  scherno  avendo  omal  gR  arabi  monti. 

Dio,  fra  gli  dtri  dipinti  e  vaghi  augelli. 
Quel  di ,  che  prima  dispiegar  le  penne 
Per  l'aria  vaga  d  suon  dell'alta  voce. 
Fé'  la  fenice  ancor,  come  si  narra. 
Se  pur  degna  di  fede  è  vecchia  fan». 
E  'n  sì  mìrabil  forma  il  Padre  etemo 
DI  mortd ,  rinascente,  unico  augello 
Figurar  volle  quad  in  raro  esempio 
LMounortd,  e  rinato,  unico  Figlio, 
Che  rinascer  dovea,  come  prescrisse, 
Qvand'  ei  ne  generò  V  etemo  parla 

Loco  è  nd  più  remoto  ulthno  cBmn 
Den*  odorato  e  focid'  Oriente, 
Là  dove T  aurea  portad  cid  disserra  [now 
Uscendo  *1  S<rf,  cbe  porta  In  fronte  1  giof^ 
Né  questo  loco  è  già  ricino  all'Orto 
Estivo ,  o  pur  ai* Orto,  onde  si  mosttm 
n  Sol  cinto  di  nnbl  a  bmzzo  *I  verno  ; 
Blasolo  a  qndlo,  ond*  el  n*  appare,  ed  esco 
Quand'l  (^mie  le  notti  Insieme  i 
Iri  si  stende  negU  aperti  campi       [g 
Un  torghlssiaw  pian  :  né  valle,  opoggi» 
In  qoelP ampiezza  sua  dechina,  o  sorge. 
Ma  qud  loco  è  credulo  alzare  d  del» 
Sovra  I  nostri  famosi  orridi  monti 
Sd  volte  e  sei  la  verde  ombrosa  fronte. 
E  quivi  senza  bace  d  Sole  èsacra 
Opaca  selva  :  e  con  perpelno  onoro 
Di  non  caduche  fronte  è  verde  *1  bosco. 
Che  r  ondoso  Ocean  dffconda  intorno^ 
E  quando  dei' bicendio  i  segni  adimH 


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LE  SETTE  GIOKf  ATE 
Nel  del  Iisdd  nel  carreggiar  Fetonte  « 
Securo  1  loco  fu  da  quelle  fiamme. 
Equando  giacque  in  gran  dlluTio  1  mondo 
Sommerso ,  ei  superò  le  orribili  acque. 
Né  giongon  quivi  mai  pallidi  morbi , 
Opur  regra  Tecchieza,  o l'empia  Morte  ; 
Non  cupidigia,  o  &me  infame  d'oro» 
ffon  scellerata  colpa ,  o  fiero  Marte , 
0  pure  insano  amor  di  morte  iniqua. 
Sono  r  ire  lontane ,  e  1  duolo  e  *\  lutto , 
E  Povertà  di  orridi  panni  involu, 
E  I  mal  desti  pensieri,  e  le  pungenti 
Spinose  cure,  e  la  penuria  angusta. 
Quivi  tempesu,  o  di  turbato  vento 
Orrida  forza  1  suo  furor  non  mostra. 
Né  sovra  i  campi  mai  l'oscure  nubi 
Stendono  1  negro  e  tenebroso  velo , 
Né  d*alto  cade  impetuosa  pioggia  ; 
Ma  'n  mezzo  mormorando  in  vivo  fonte 
Lucido  sorge  e  transparente  e  puro , 
E  d'acque  dolci  e  cristalline  abbonda  : 
E  ciascun  mese  egff  si  versa  e  spande  , 
Talché  dodici  volte  'I  bosco  irriga. 
Quivi  alza  rami  da  sublime  tronco 
Arbor  frondosa,  e  non  caduchi  e  dolci 
Prodono  I  pomi  tra  le  verdi  fronde. 
T^  queste  piante,  e  'n  quella  selva  alberga 
Appresso  1  fonte  Tunica  Fenice, 
Che  della  morte  sua  rinasce  e  vive  : 
Augello  eguale  alle  celesti  forme , 
Che  vivace  le  stelle  adegua ,  e  1  tempo 
Consuma,  e  vince  con  rifatte  membra. 
E  come  sia  del  Sol  gradiu  ancella  « 
Ha  questo  da  Natura  officio  e  dono« 
Che  quand*  In  Cleto  ad  apparir  comincia 
Sparsa  di  rose  la  novella  Aurora, 
E  dal  del  caccia  le  minute  stelle , 
Ella  tre  volte  e  quattro  hi  mezzo  all'acque 
SomBMrge  1  corpo,  e  pur  tre  volte  e  quat- 
Liba  quel  dolce  umor  del  vive  gorgo,  [tro 
fascia  a  voto  s'imalia,  e  riede  in  cima 
Dell'arbore  frondosa,  e  quinci  intomo 
La  selva  tutu  signoreggia  e  mira  : 
Ed  al  nascer  del  Sole  Indi  conversa, 
Itol  Sol  già  nato  aspetu  i  raggi  e  1  lume. 
Ma  poiché  l'aura  di  quel  lucld'auro, 
Ondeflanmeggiat  Sol,  risplende  espira, 
A  sparger  glA  comincia  '■  dolci  medi 
Il  awro  canto  :  e  la  novella  luce 
Colla  mirabil  voce  affetta  e  chiama; 
A  coi ,  voce  di  Cinto,  •  df  Paraas» 
Dolce  armonèa  non  si  pareggia  In  parte. 
Kè  di  Mcreorlo  la  canora  ceira 


DDL  MONDO  CREATO.  iSì 

V  assembra ,  né  morendo  *1  bianco  cigno. 
Ma  poiché  Febo  del  celeste  Olimpo 
Trascorre  I  luminosi  aperti  campi , 
E  perquell*  ampio  cerchio  Intorno  é  volto. 
Ella  tre  volte  ripercossa  al  petto 
L'ali  d'oro  e  dlphite,  al  Sole  applaude 
Con  non  errante  snon  la  notte  e  1  gioma 
E  la  medesma  ancor  parte  e  dlstlngiK 
L'ore  veloci ,  e  queO* accesa  fironte , 
Venerata  tre  volte,  allln  si  tace« 
Pur  come  sta  del  sacro  oscuro  bosco, 
E  di  que'  tenebrosi  ed  alti  orrori 
Sacerdote  soRnga ,  a  cui  son  conti 
1  secreti  del  Cielo  e  di  Natura  : 
Però  di  riverenza  e  d'onor  degna* 
Ma  poi ,  fomiti  cento  e  cento  lustri  « 
NeHa  vetusta  età  più  grave  e  tarda , 
EUa,  che  già  passare  a  voto  i  nembi 
Poteva  e  to  sonore  afte  procelle. 
Per  rinnovar  b  stanca  vita  e  1  tempo 
Chiuso  e  ristretto  pur  da  spazj  angusti. 
Fugge  del  bosco  usato  il  dolce  albergo. 
E  di  rinascer  vaga ,  i  lochi  sacri 
Addietro  bsda,  e  vola  al  nostro  mondo, 
Ov'ha  suo'  regni  Timportuna  Morte. 
E  già  drizza  Invecchiata  1  lento  volo 
In  qoella  di  Soria  famosa  parte, 
A  cui  died'  ella  di  Fenice  '1  nome. 
E  di  selve  deserte  Ivi  ricerea 
Per  non  calcate  vto  secreta  stanza, 
E  si  ricorra  nelF oscuro  bosco. 
Ed  altor  coglie  delT  aereo  giogo 
Forte  palma  sublime,  a  cui  pur  anco 
Compartì  di  Fenice  1  caro  nome , 
Cui  romper  non  potrla  co' feri  denti 
Serpe  squammosa ,  o  pure  augel  rapace, 
Od  altra  ingiuriosa  orrida  belva. 
E  chiusi  allor  nelle  spelonche  I  venti 
Taccion  fra'  cavernosi  orridi  chiostri , 
Per  non  turbar  co'  lor  tort>Ìdf  spirti 
Del  belfaer  purpureo  '1  dolce  aspetto. 
Né  condensato  turbo  i  vani  cunpl 
Del  del  ricopre ,  ed  al  felice  angelo 
Togffe  la  rista  de'  soavi  raggi. 
Quind  1  nido  si  1^  :  sia  nido,  o  tonte 
Quelto  in  cui  pere ,  aedo  rinasca  e  vtv» 
L'augd,  che  di  sé  stesso  é  padle  e  flgBo, 
E  sé  medesrao  egli  produce  e  cria. 
Quind  raccoglie  dell' antica  selva 
I  doki  succhi ,  e'  più  soavi  odori , 
Che  scelga 'I  Tiro,  o  l'Arabo  Mice, 
0  Pigmeo  favoloso ,  od  Indo  a^Nisto, 
0  che  produca  por  nd  molto  grembo 


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J52  POEMI 

De'Sabei  fortunati  aprica  terra. 
E  quinci  l'aura  di  spirante  amomo, 
Colle  sue  canne  '1  balsamo  raguna; 
Uè  cassia  manca,  o  l'odorato  acanto, 
Né  dell'  incenso  lagrimose  stille , 
E  di  tenero  nardo  i  nuovi  germi  ; 
E  di  mirra  v'aggiunge  i  cari  paschi; 
Quando  repente  '1  varlabil  corpo, 
E  le  già  quete  membra  alluoga  e  posa 
Nel  vital  letto  del  felice  nido: 
E  nel  falso  sepolcro  ardente  cuna 
AI  suo  nascer  prepara  anzi  la  morte. 
Sparge  poi  colia  bocca  i  dolci  succhi 
Intorno,  e  sovra  alle  sue  proprie  membra. 
Ivi  l'esequie  sue  si  fa  morendo: 
E  debol  già  con  lusingliierl  accenti 
Saluta  '1  Sole,  anzi  l'adora  e  placa: 
E  mesce  umil  preghiera  all'umil  canto. 
Chiedendo  i  cari  incendj ,  onde  risorga 
Col  nuovo  acquisto  di  perpetua  forza. 
Fra'  vari  odori  poi  1*  alma  spirante 
Raccomanda  al  sepolcro  ;  e  non  paventa 
L'ardita  fede  di  sì  caro  pegno. 
Parte  di  vital  morte '1  corpo  estinto 
S' accende,  e  l' ardorsuo fiamme  produce, 
E  del  lume  lontan  concepe'l  foco, 
Ond'egli  ferve  oltra  misura,  e  flagra, 
Lieto  del  suo  morir,  perchè  veloce 
Al  rinascer  di  nuovo  egli  s'affretta. 
Splende  quasi  di  stelle  ardenti '1  rogo, 
E  consuma '1  gii  lasso  e  pigro  veglio. 
Li  Luna'l  corso  suo  raffrena  e  tarda, 
E  par  che  tema  in  quel  mlrabil  parto 
Natura  faticosa  e  stanca  madre. 
Che  non  si  perda  l'Immortale  augello; 
Ma  di  gemina  vita  in  mezz'ai  foco 
Posto  in  dubbio  confin  distingue  e  parte. 
Nelle  ceneri  aduste  alfln  converso. 
Le  sue  ceneri  accolte  egli  raduna 
In  massa  condensate ,  e  quasi  in  vece 
£  l'occulta  virtù  d'interno  seme. 
E  quinci  prima  l'animai  ci  nasce, 
E  'n  forma  d'ovo  si  raccoglie  'n  giro. 
Poi  si  riforma  nel  prlmier  sembiante  : 
E  dalle  nuove  sue  squarciate  spoglie 
Alfin  germoglia  l' Immortai  Fenice. 
Gii  la  rozza  fanciulla  a  poco  a  poco 
Si  comincia  a  vestir  di  vaga  piuma, 
Qual  farfalla  talvolu,  a'  sassi  a>^inU 
Con  debil  filo,  suol  cangiar  le  penne. 
Ma  non  ha  per  lei  cibo  '1  nostro  piondo  : 
Né  di  nutrirla  alcun  si  cura  intanto; 
Ma  celesti  rugiade  intanto  liba; 


SACRL 

Dall'auree  stelle  e  dall'argentea  Luna 
Cadute  in  cristallina  e  dolce  pioggia. 
Queste  raccoglie,  e  fra  ben  mille  odori, 
Sin  che  dimostri '1  suo  maturo  aspetto 
Nelle  cresciute  membra,  indi  si  pasce. 
Ma  quando  giovinetta  omai  fiorisce. 
Fa  ri  tomo  volando  al  primo  albergo. 
E  quel  ch'avanza  del  suo  corpo  estinto 
E  dell'aduste  e  'ncenerlte  spoglie, 
Unge  di  caro  ed  odorato  succo , 
In  cui  balsamo  solve ,  incenso  e  mirra , 
E  con  pietosa  bocca  indi  1*  informa , 
E  tondo '1  fa  :  siccome  palla,  o  spera: 
E  portandol  co'  piedi ,  al  lucld*  orto 
Si  rivolge  del  Sole,  e  '1  volo  affretta. 
E  l'accompagna  innumerabil  turba 
D'augei  sospesi,  e  lunga  squadra  e  densa  ; 
Anzi  esercito  grande  intomo  intorno 
Fa  quasi  nube,  e  '1  volator  circonda. 
Né  di  tanti  guerrieri  alcuno  ardisce 
Al  peregrino  duce  andare  incontra  ; 
Ma  dell'ardente  re  le  strade  adora. 
Non  il  fiero  falcone  ardita  guerra 
Gli  move,  o  quel  ch'i  folgori  tonanti 
(Com'  é  favola  antica)  ai  elei  ministra. 
Qual  le  sue  barbaresche  orride  torme 
Scorgea  dal  fiume  Tigri  11  re  de'  Parti  ; 
Di  preziose  gemme ,  e  d' aurea  pompa 
Altero,  e  di  corona '1  crine  adorno, 
Purpureo  1  manto ,  eh'  é  dipinto  e  sparso 
Dal  lago  di  Soria  di  perle  e  d' oro , 
E  col  fren  d' oro  al  suo  destrier  spumante 
Regger  soleva '1  polveroso  corso 
Per  le  città  d' Assiria  alto  e  superbo , 
Ov'  ebbe  fortunato  ed  ampio  Impero  : 
Tale  ancor  va ,  meraviglioso  in  vista, 
L'augel  rinato,  e  con  reale  onore 
E  real  portamento  i  vanni  ei  spiega. 
Il  color  è  purpureo,  onde  somiglia 
Il  papavero  lento,  allorch'  al  cielo 
Le  sue  foglie  spargendo,  al  Sol  rosseggia. 
Di  questa  quasi  velo  a  lui  risplende 
Il  collo ,  la  cervice,  il  capo  e  '1  tergo. 
Sparge  la  coda,  che  di  lucld' oro 
Rassembra  e  d'ostro  poi  macchiata  e  tinta. 
Nelle  sue  penne  ancora  orna  e  dipinge. 
Pur  come  in  rugiadosa  e  curva  nube , 
L' arco  celeste ,  in  cui  si  varia  e  mesce , 
Verdeggiante  smeraldo  a*  bel  vermigli. 
Edagli  altri  cerulei  e  bianchi  fiorì. 
Ha  duo  grand'  occhi,  eguali  a  duo  giacinti, 
E  riluce  da  lor  vivace  fiamma  ; 
E  pur  gemma  somiglia '1  rostro  adunco. 


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LE  SETTE  GIORNATE 
La  tesu  ie circonda  egual  corona. 
Come  la  cinge  al  Sol  co'  raggi  ardenti. 
Son  le  gambe  squamroose,  e  d'or  distinte, 
L'ungliie  rosate,  e  la  sua  forma  illustre 
Tra  quella  del  pavon  mista  simigUa , 
E  dell'  augel  che  'n  riva  al  Fasi  annida. 
Grande  è  così  ch'appena  augello,  o  fera 
Nata  In  Arabia  sua  grandexza  agguaglia  ; 
Pur  non  è  tarda ,  ma  veloce  e  pronta , 
E  con  reale  onor  nel  ratto  volo 
La  reggia  maestate  altrui  dimostra. 
Del  verde  Egitto  una  cittate  antica 
Ne'  secoli  primieri  al  Soi  fu  sacra  : 
Quivi  sorger  solea  famoso  tempio 
Di  ben  cento  colonne  altero  e  grande , 
Già  svelte  dal  tebano  orrido  monte; 
E  quivi,  com'  è  fama,  il  ricco  fascio 
Ripor  solea  sovra  i  fumanti  altari  : 
E 1  caro  peso,  destinato  al  foco. 
Alle  fiamme  credea  tre  volte  e  quattro. 
Adorando  del  Sol  l'ardente  immago. 
Fiammeggia  '1  seme  acceso,  e  '1  sacro  fumo 
Con  adorate  nubi  ondeggia  e  spira, 
Talch'egli  aggiunge  agli  stagnanti  campi 
Di  Pelusio  ;  e  spargendo  odori  intomo, 
Di  sé  riempie  gU  EUopi  e.gl'Indi. 
Meravigliando  alla  mlrabil  vista 
Tragge  l' Egitto,  e  '1  peregrino  augello 
Lieto  saluta,  e  festeggiando  onora 
Repente  :  e  la  sua  forma  in  sacri  marmi 
Scolpita,  è  in  lor  segnato '1  nome  e  '1  gior- 
O  fortunato,  e  di  te  padre  e  figlio,    [no. 
Felice  augello,  e  di  te  stesso  erede. 
Nutrito  e  nutritor,  cui  non  distingue 
Il  vario  sesso  e  lunga  età  vetusta 
Non  manda,  come  gli  altri ,  al  fine  estremo  : 
Né  Venere  corrompe,  o  'I  suo  diletto 
Non  cangia  indebolito,  e  van  dissolve  : 
Cui  di  Venere  in  vece  è  lieta  morte, 
Onde  rinasci  poi  l' istesso  ed  altri, 
E  colla  morte  immortai  vita  acquisti. 
Tu ,  poiché  la  vecchiezza  i  mari  e  i  monti 
Cangiato  ha  quasi,  e  variato  '1  mondo. 
Perpetuo  ti  conservi,  e  quasi  eterno, 
A  te  medesmo  ognor  pari  e  sembiante. 
E  tu  se' pur  del  raggirar  de'  tempi, 
E  de'  secoli  tanti  in  lui  trascorsi , 
Di  tante  cose  e  di  tant'  opre  illustri 
Sol  testimonio,  o  fortunato  augello  : 


DEL  HONDO  CREATO.  f  53 

E  felice  vieppiù,  perch'  a  noi  mostri. 
Quasi  in  figura  di  colorì  e  d'auro, 
L' unico  Figlio  del  suo  padre  Iddio, 
Dio,  com'  é  '1  padre  a  lui  sembiante  e  pari. 
E  la  Natura  col  tuo  raro  esempio 
Insegna  pure  all'  animosa  mente 
(S'ella dubita  mai)  com'EI  risorga 
Dalla  sua  morte,  e  dal  sepolcro  etemo. 
E  benché  nostra  pura  e  'nvitta  fede 
Abbia  lume  più  chiaro  onde  e'  illustri. 
Te  non  disprezza,  e  con  perpetuo  onore 
11  tuo  bel  nome  al  suo  Fattor  consacra, 
Ch'é  sommo  Sole,  ond'  ha  sua  luce  il 
Sole. 
Fatto  avea  tutto  ornai  gli  umidi  campi , 
Ch'  agitar  suole  '1  vento  obliquo,  o  1*  onde, 
Co' propri  abiutori  il  Padre  eterno, 
S' abitatori  pur  dell'  aria  vaga 
I  volatori  augelli,  e  non  più  tosto 
Son  della  terra,  ond'  hanno  '1  cibo  e  '1  volo  ; 
Quand'  egli  vide  '1  suo  lavoro  e  l' opre 
Tutte  esser  buone,  e  gli  animai  feroci 
Buoni  pur  anco  :  e  sua  bontate  impressa 
In  lor,  qual  nota  del  suo  Mastro  o  segno; 
Però  gli  benedisse.  E  'n  quesU  guisa 
Disse  :  Crescete;  e  numerosa  prole 
Tutte  l'acque  riempia,  e  'n  sulla  terra 
In  gran  numero  ancor  s' avanzi  e  cresca 
Ogni  progenie  de'  volanti  augelli. 
E  della  santa  voce  il  santo  impero 
Ancora  é  certa  e  'nvTolabil  legge. 
Perchè  dopo  tant'  anni  e  tanti  lustri  ; 
Tanti  secoli,  a  volo  omai  trascoesi 
Da' principi  del  mondo  a  quest'estrema 
E  tarda  etate,  in  cui  s'appressa  'I  fine; 
Né  progenie  di  lor,  né  fera  stirpe, 
0  per  diluvio,  o  per  incendio  ardente, 
0  per  lunga  mortale  orrida  peste, 
0  per  lor  feritate,  o  per  l'insidie 
D' umano  ingegno,  o  per  l' orribil  armi 
Estinta  non  rimase,  o  scema  unquanco; 
Ma  quasi  etema  si  perpetua  e  serba. 
Tanu  della  divina  e  santa  Voce 
È  la  virtù  che  lor  difende  e  guarda  ; 
Perché  sia  appieno  e  'n  ogni  parte  adomo 
Questo  che  tutti  abbraccia  e  tutti  accoglie 
Neil'  ampissimo  sen,  capace  mondo. 
Cosi  fu  fatto;  ed  al  mattino  il  vespro 
Giungendo,  impose  fine  al  Quinto  Giorno. 


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tu 


rOOOSACML 


dORKATA  SESTA. 

«dia qiito  ertali» «pdtpMfo di  Broli  e  nTomo. 


Là  doTc  iaBaii»  1 ^ 

Creduto  degli  M  lueeate  alboyo» 
8o?n  tutte  Ift  nabl,  e  iO¥n  i  la 
Nell'aria  qntli  Ili  screM  froate, 
E  dove  AKea  seUe  ave  hidd'  Mét 
Portar  lolea  f|4  l'oooraU  pohre 
I^e'viBcUorisa  ari  le  BMnbra  asperse^ 
Propose  i  lad  prcnj  a'gteodii  lOostrì 
L'amica  Pisa  :  e  i  più  veloci  e  I  forU 
Vide  so¥ealo  ia  àwàMA  lotta^  •  'd  corso 
AlUicaU:  o  &  coidkfl  1 1  cani 
Colle  fianride  raole  air  alta  aMta 
Girarsi  intomov  o'a  ?aric  altre  coateie 
Ricercar  pregio  •  tana  e  driato  giMo  : 
E  vide  a  prova  aacor  saWlail  iagegai 
Far  di  8è  paragoae,  e  ti  Mec  santa^ 
0  eoo  soave  por  f^coada  Ilaria 
GU  «ft  auMwiiliaado  ;  e  ben  csaobbo 
Cbo  pari  aoa  atea  aieteeée  o  paÉna  7 
BU  i  priad  dà  acik  touaaft  aaticha 
Talvolu  sen  passar  àuMilari  «  "aeertl 
Scasa  coroaa,  e  sol  ael  glaraa  ssUfo» 
la  cui  naggiof  (m  ìm  fnka  e  1  rlsco 
Del  coDtrasiarey  a  1  vesffogaeso scorao 
Di  ceder  violo,  diede  i  cari  pregi 
Fermo  giadldo  al  visdtar  feUce  : 
E  rìailMNBbar  tf  lalonM  il  clAva  bmoo 
Udissi  al  saoa  della  caoara  txmàbm. 

Ma  iaquestoqiiaiil  agone  0  qaasl  caapo 
Di  sapleaca,  ov*  adoriaaM»  assiso 
In  altissiiaa  sede,  a  Dio  seaiòisatev 
Quel,  cui  perariso'i  gMlcarat  la  terra 
Giudice  BOA  seveso^ ansi  ckmcate; 
Più  sollecka  cara,  e  più  gravasa. 
Cura  Inctftatfonorao  pteawo'iigwibi  a 
Mal  glorao  estresMv  o  nelL' estreno  corso  ; 
Io  cui  di  Csticosaaspra  caascsa 
Quasi  coroaa,  o  ptóiio  è  posto  lanaasl. 
Dura  pena  all' loGoaCro  aUrui  ailaacda^ 
Già  non  è  parli  giaoco,  o  pari  n  fratto 
"teqyelcholattacai  aenlea,ocanU 
ài  dolce  suoa  dallo  sonoro  coe*^ 
E'I  odo  (se  lece  dlt>  caotraslaliidegnot 
Cb'  Ivi  1  periglio  è  sai  tetldio  o  sdMBO 
Degli  uditori  :  e  'n  questo  è  danno  e  morte. 

Amici,  adunque  a  me  pietoso  aiuto 
Date,  vi  prego,  e  quasi  lena  e  spirto  : 
E  di  par  meco  entrate  in  quest'  adomo 


llaraviglloso,  grande,  ampio  teatro 
Mie  cose  create;  la  cui  mirando 
U  magistero  del  gran  Padre  etemo. 
Quasi  per  gradi  alziam  la  pura  mente 
All'  invlsibil  suo  felice  Regno, 
Ove  gì  uHini  premj  altrui  riserba. 
Né  già  ricerco  io  qui  verde  ghirlanda 
D'alior  frondóso,  che  si  sfronda,  e  perde 
In  breve  tempo  la  vaghezza  e  1  pr^io  r 

0  di  palKda  pur  ftnnosa  oliva, 

Qual  da*  gran  fonti  già  dei  gelid*  btro 
La  riportè  d^ Anfitrione  il  figlio; 
Ma  sieno  I  preg|  miei  sahite  e  pace 
In  terra,  e  pie  negii  stellanti  chiostrL 
Intanto  a  voi  questa  corona  eccelsa 
È  pesta  imansi,  evoi  medesmi  al  vostro 
Faro  gfvdleio  cH  lodevol  opra 
Bramo  di  coronate.  Udite  aduuque 
Con  pietosa  adfena,  o  fidi  amici. 
L'aspra  natnra  deirestraaie  belve. 
Dell'  urna  gregge  e  de'  terreni  armenti, 
E  dell'uose,  cui  di  terra  il  Padre  eterno 
Cre4  dssezso,  e  da  principio  omUe^ 
FormoUo  tmperlaeo  a  scettro,  a  regno, 
E  41  vka  iamortal;  se  propria  colpo 
Non  era  a  M  di  fatfeeso  esiglfo 
Dora  cagione,  e  d^  odiosa  morte.    [CMo- 
Poicb'ebbe  *l  grande  Iddio  spiegami 
Sovrano,  e  stesa  ancor  Flnima  terra, 
E  fermato  1  rltegao  io  sKsz'airaeqae:, 
Che sa«ra  e  sotto  le  dbtfaigtte  e  parte: 
E  cnmandsto  cbe  s' aduni  insieme 
Quella  Matura  instaMlee  vagante  r 
E  imposto  al  bnto  ed  alla  terra  1  nenev 
E  l' arida  di  piante  oraau  e  d^erbe; 
Indi  si  valso  a  far  più  bello  1  Mondo, 
E  dbsdr  al  giorno  ed  an*  algente  noeta 

1  doo^  Inali  maggiori  e  pie  feuenti, 
E  tutti  varie^di  stette  e  d^aaro 
Coa  diverso  figuro  e  va^  gferl 

I  primi  corpi,  0  con  perpetue  tempre 
Maravigiieaa  fa'  la  vista,  o  1  corsow 
Poscia  psodotH  entr"  alT  ondoso  giussbo 
Dell' ac^Bo  amaro  e  dekl  i  vari  pesd, 
E  nell'aria i  volanti  e  levi  augelli; 
Disse  Dio  Creator  (e  '1  sacro  detto 
Fu  certo  impero,  e  'nvlolabll  legge) 
L'anime  de'  viventi  ancor  produca 


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LE  SETTE  GIORICATE; 
Fogni  atrte  la  t«m,  •  *iii  quattro  piedi 
Altri  appoggi  1  corporeo  e  grare  pondo 
AUrt  nel  suol  distea»  1  porti  e  serpa  : 
Ria  prcgenàe  anc»  prochna,  e  Agli 
Di  qoaliii^iiftaltEO  va  repende,  e  kufiraie 
Colle  fere  pradim  amentf  e  gregge. 
Cori  Dio  fece  le  terrene  belve, 
E  le  cornute,  o  pttr  lanose  mandre 
De'mansuetit  e  quei  ch'ai  snol  congiunti 
Strisciando  se  n'  andar  col  |^  obliquo. 
Donqne  animau  è  quest'antica  Madre? 
Dunque  anlmaba  la  Terra^ond'eflii  alpar- 
Quasi  femmina,  fu  bramosae  pronta  ?  [to, 
E  loco  ban  pure  i  Manichei  superbi 
Di  saper  vano^  e  le  meniogne  antiche 
Di  chi  filosofando  e  mente  e  spirtD 
Died*  a  quesU mondana  ed  ampia  mele? 
Lo  qual  per  eatr'a  lei  trapassa  e  spirav 
Com'a  lor|^anre,elcieloel'h»ateffra; 
E  la  spera  del  Sol  hicente  e  va^pa, 
E  '1  globo  deUa  Luaa,  e  V  auree  stette; 
E  dell'aria  e  del  mare  1  larghi  campi 
Nutre^e  misto  al  gran  corpo  lo  Tari  bmmU 
Muove  agitando  le  diverse  membra? 
Ma  citi  vestire  osù  d'alma  spirante 
La  terra,  o  volle  dar  sua  mente  al  mondo, 
fi  farlo  Dio,  non  che  spirante  e  vivo 
Animai,  che  tuu'  altri  accoglie  In  grembo  ; 
Male  intese  di  Dio  qjuc'  sacri  detti, 
E  'n  peggior  parte  la  sentenxa  torse^ 
Pcrch'ahna  non  avca l'arida  terra; 
Ma  chi  le  comandò,  largUle  ancora 
La  \irtù  di  produrrei  nuovi  partL 
Né  quando  detto  fu  :  Germogli  'I  fieno, 
E  ferace  di  frutti  il  verde  tronco; 
Ella  1  produsse  allor,  siccome  occulto 
11  si  traesse  nel  profondo  seno  :     [elee. 
Né  palma,  o  quercia,  o  bel  cipresso,  od 
Pur  come  ascoso  dal  fecondo  ventre 
Di  fuor  mandò  sovra l'Inculto  suolo; 
Ma  delle  cose,  che  si  fanno,  o  fersi, 
È  il  divino  parlar  natura  e  vita. 
Dunque  quando  '1  Signor  disse  :  Germo^ 
Intese  In  sua  divina  alta  favella  :       [bo. 
Non  cacd  fuor  quel  che  raccoglie  in  grem- 
Maqnelch'ellanon  ha,  di  nuovo  acquisti; 
E  la  forza  a  lei  diede  il  Padre  etemo. 
E  *n  questa  guisa  or  le  comanda,  e  dice  t 
Produca  l'ahna;  e  non  dell'alma  imiau 
Intender  vuoi,  ma  di  virtù  largiu 
Coffa  mirabll  sua  divina  voce.  [so  ; 

Ma  non  comanda  alT  acque  al  modoistes- 
Soli*  impone  tt  produrcfat  serpe  e  strisda 


KL  MONDO  CREATO.  |5S 

Coli' alma  viva  :  ed  alla  terra  impone 
Che  partorisca  r  anima  vivente. 
E  cosi  disse  Dio,  se  dritto  esthno. 
Perchè  neH' acque  agli  umidi  notanti 
Compartir  voile  men  perfetta  vita; 
E  men  degna  natura  :  e  quinci  avviene- 
Ch' entr*  al  denso  elemento,  e 'mpuro  e  nri- 
Abbian  via  men  acuti  e  puri  i  sensi,    [sto 
Grave  è  r  udire,  e  '1  tor  vedere  ottuso, 
E  memoria  non  hanno,  e  non  s' imprime 
Nel  senso  Interno  Immaginata  immago. 
Né  contessa  è  fra  loro,  o  per  lung'uso 
Notìzia  alcnna,  onde  'n  si  rozza  vita 
Lar  carne,  e  '1  ventre  signoreggia  e  regna» 
Ma  ne'  terrestri  Imperatrice  e  donna 
ÈrafanaingMisa,  chotalorsi  crede 
Che  di  ragione  e  d^  Immortale  ingegno 
EU' abbia  larga  parta  e  ricca  dote. 
Interi  i  sensi,  e  nt'  presenti  oggetti 
Acuti  sono,  e  del  pulsato  impresa 
Alti  vestigi,  e  non  dubbiose,  o'ncerta 
Son  le  memorie;  e  lor  virtà  non  langne 
E  colla  voce  non  osenra  i  segai 
Sogliono  dar  de'  lor»  htfeml  afl^ttL 
E  quinci  'n  lieto,  o'nsuoncMenteemesfta, 
L'allegrezza  si  mostra,o  1  duolo  apparei 
0  di  cibo  '1  desio  di  fuor  si  scopre, 
0  rimbombal'amor  ch'ealiogi*  i 
E  non  può  starsi  in  fero  petto  ] 
Sotto  tenera  lana,  o  duro  ed  j 
Ispido  vello  :  onde  1  belar  dell*  a 
E 1  nitrire  e  '1  ringhiar  son  quasi  note, 
E  '1  latrar,  l' ululare  in  monte  e  'n  bosMi, 
0  pur  lungo  un  corrente  e  chiaro  fiume 
E  '1  muggir  e  '1  ruggir,  d'affetto  iotema^ 
Miir  altri  affetti  ancor  con  mille  voci 
Suol  variando  dimostrar  Natura. 

Dall'  altra  parte,  degH  ondosi  regni 
L'errante  abitalor  non  solo  è  muta. 
Ma  immansueto,  e  dall'  usanza  abbam 
Di  nostra  vita,  e  per  lusinga  o  vezza 
Hai  non  s'avvezza,  e  nulla  apprenda,  • 

prende 
Di  nostra  umanitft  :  ma  schiva  e  luggi& 
D*  esser  consorte  all'anima  che  regna. 

In  questa  guisa  Dio  creò  nell'acque 
Corpi  animati,  e  nella  terra  ei  volle 
L' ahne  crear,  da  cui  si  regge  1  corpo. 
Quinci  t  suo  possessor  fu  noto  al  hce. 
Conobbe  l' asinel  l' umil  presepio 
Del  suo  signor;  ma  non  conobbe  1  pasca 
Il  nutritor  :  tale  entro  l' acque,  e  tanto 
Fb  Io  stupor  di  lardo  e  grave  senso  I 


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156  POEMI 

Conobbe  rasinel  l'usata  voce^ 
E  conobbe  la  via  eh'  egli  trapassa, 
E  fu  duce  talora  air  uomo  errante 
Nell'incerto  sentier,  ond*  el  travia. 
Né  di  più  acuto  udire,  o  più  sottile 
(Se'l  ver  si  narra)  altr' animai  terrestre 
Vantar  si  può  sott*  a  si  rozie  membra; 
Ma  nel  cammello  portatore  eslrano 
Di  gravi  pesi,  ed  AflTrican  dcrorme, 
£  dell* ingiurie  alla  memoria  e  salda, 
Ed  Ira  grave  al  vendicar  costante  ; 
E  percosso  talor  l'ira  profonda 
Lunga  stagion  riposta  In  scn  riserba. 
Pur  come  estinta,  e  la  ripiglia  a  tempo, 
Rendendo  '1  male  e  '1  ricevuto  oltraggio. 

Udite  voi,  che  di  virtute  in  guisa 
La  memoria  dell'onte  In  voi,  di  sdegno 
E  d'astio  e  di  rancor  nutrite  occulta. 
Udite  '1  paragone,  a  cui  sembianti 
Fate  voi  stessi,  mentre  l' ire  ascose 
Tenete  pur,  come  faville  ardenti 
Sott'ingannevol  cenere  sepolte  : 
Ch'accendendosi  poscia  in  secco  legno, 
O  'n  arid'esca,  flammeggiar  repente 
Sogliono,  e  rinnovare  '1  foco  estimo. 
In  cotal  guisa  l' anima  superba 
Fu  ne'  bruti  prodotta,  e  voi  l' esempio 
Seguite  pur  delle  sdegnose  belve. 

Ma  qual  si  fosse  già  nel  primo  p&rio 
L'alma  vostra  immortai,  fia  noto  appresso: 
Or  dell'alma  ferina  a  voi  si  parìa. 
L' alma  d'animai  fero  è  vita  e  sangue  : 
Ma'l  sangue  'n  carne  si  condensa  e  cangia  : 
E  la  carne  corrotta  alfln  in  terra 
Pur  si  risolve;  onde  mortale  è  l'alma 
Di  feroce  animale,  anzi  piuttosto 
Un  non  so  che  di  morto.  Udite  adunque 
Perch'  alla  terra  Dio  produrre  Impose 
L'anima  de'  viventi  :  e  come  segua 
Che  l'alma  in  sangue  si  trasmuti  e  volga, 
E'I  sangue  In  carne,  e  quella  carne  in  terra, 
E  per  le  stesse  vie  si  volge  e  riede 
La  terra  In  carne,  e  poi  la  carne  in  sangue, 
E  '1  sangue  in  alma;  onde  ritrovi  e  vedi 
Che  l'anima  de'  bruti  è  sangue  e  terra. 
E  non  pensar  che  più  del  corpo  antica 
Sia  l' alma  fera,  onde  rimanga  in  vita 
Poscia,  che  '1  suo  mortale  estinto  giacque  ; 
Ma  riconosci  le  cangiate  forme, 
E 1  variati  giri;  e  fuggi  intanto 
Degl'ingegnosi  le  canore  ciance. 
Che  starian  meglio  In  lor  silenzio  occulte. 

Non  hanno  questi  pur  rossore  e  scorno 


SAGRL 
Di  far  che  rafant,onde  uom  ragiona  e'n* 

tende, 
Sia  quella  stessa  onde  latrando  '1  cane 
Sen  corse,  e  sibilando  empio  serpente. 
E  flngon  sé  medesmi  in  varie  forme 
Esser  mutati,  e  non  pur  servi  e  regi 
Sott'  a  vari  sembianti  e  varie  membra 
Esser  già  stati  ;  ma  vezzose  donne, 
0  pur  marini  pesci,  o  piante,  o  sterpi. 
E  ciò  scrivendo,  più  di  pesce,  o  tronco. 
Si  nioslran  di  ragione  ignudi  e  d'alma. 

Ma  fra  tanti  superbi  e  varj  ingegni 
Non  sorse  alcuno  In  quell'età  vetusta. 
Che  l'anima  stimasse  o  llmo,o  terra. 
Ma  seguendo  del  moto  o  pur  del  senso 
(Incerti  duci)  le  vestigia  e  i  segni, 
Altri  la  credea  spirto  ed  aer  leve, 
Altri  foco  sottile,  o  viva  fiamma. 
Altri  pur  la  stimò  nativo  umore. 
Altri  vapor  da  quel  fumante  e  misto  : 
Terra  nessun.  Cosi  la  Madre  antica. 
La  Terra,  dico,  che  produce  e  figlia 
L'alma  de' vivi,  quasi  inculto  germe. 
Fu  defraudata  allor  del  proprio  onore 
Da  que' superbi,  e'n  contrastar  costanti^ 
E  discordi  fra  lor  ritrosi  ingegni. 

Ma  noi  rendiamo  aìla  gran  Madre  antica 
L'onor  dovuto  del  suo  nobil  parto; 
Kstia  figlia  cliiamiam  l'alma  spirante 
Di  feroce  animale.  Or  non  ci  caglia 
Se  nui'a  ora  di  nuovo,  o  di  vetusto 
Delle  figure  della  vasta  Terra 
Osiamo  d' alfennar  con  certe  prove. 
Quasi  giudici  giusti  in  tanta  lite. 
l*ercir  altri  vuol  ch'ella  figura  e  forma 
Abbia  di  sfera  :  altri  la  varia  e  finge. 
Quasi  un  cilindro,  e  simigllante  al  disco  t 
Altri  la  fa  come  sia  cesta,  od  aia, 
Vacua  e  cava  nel  mezzo,  e  d'ogni  parte 
Pur  egualmente  la  polisce  ed  orna. 
E  que! ,  che  ratto  immaginando  al  Qelo 
Fu  come  scrisse  ne*  toscani  carmi , 
Indi  pur  vide,  o  di  veder  gli  parve 
La  Terra,  che  ci  fa  tanto  feroci , 
Quasi  una  bassa  e  piccioletta  aiuola  ; 
Ma  pur  in  giro  ei  la  circonda  e  forma. 
Ed  altri  ancor  nelle  due  estreme  fasce, 
E  neir  ampia  di  mezzo  e  larga  zona 
La  privò  d'abitanti  :  e  nuda  ed  erma, 
E  con  squallido  aspetto  orrido  in  vista 
La  ci  dipinse,  e  'n  alta  neve  e  'n  gelo 
Sepolte  figurò  le  partì  estreme. 
E  '1  maggior  cìnto  dalle  fiamme  acceso 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Sol  due  zone  iasdò  soggette  al  Soie , 
Che  mai  per  dritto  non  l'infiamma  e  scalda, 
In  due  grandi  emlsperi,e  sempre  avrerso 
Fa  con  obliqui  rai  più  dolci  tempre. 
E  noi  runa  abitiam,  cliè  quinci  e  quindi 
ViTiam  ristretti  in  breve  spailo  angusto 
Dal  gel  perpetuo,  o  dall*ardor  soverchio. 
L*attr9  sott'  altro  ciel  barbare  genti 
Accoglieva  cui  sparito  è  il  Carro  e  l'Orsa. 
Ma  la  novella  età  discopre  e  mostra 
Ch*ogni  di  lei  gelata,  o  accesa  parte, 
L'uom  dalla  prima  sua  terrena  stirpe 
Duro  animai  costante  alberga  e  pasce. 
Talché  non  sembra  l'abitau  terra 
Timpano  più  come  affermando  insegna 
Il  gran  maestro  di  color  che  sanno  : 
Né  'n  forma  di  lorica  agli  occhi  appare  ; 
Ma  pur  in  cerchio  si  rivolge  e  gira , 
Di  pomo  in  guisa  che  si  fende  ed  apre. 
Isola  no,  che  non  si  giace  in  seno 
Al  gran  padre  Ocean,  ma*l  tiene  in  grembo, 
G>me  osa  d'affermar  l'età  novella, 
Che  per  troppo  veder  men  alto  intende. 
Ma  sia  di  ciò  quel  che  ragione  e  senso 
Può  dimostrar  ne'  più  vicini  obbietti. 
Or  taccjam  sue  figure,  e  1  larghi  spaij 
Non  misuriam  qual  geometra  in  giro, 
E  non  voglìam  superbi  al  Re  dei  cielo 
DI  sapere  agguagliarci  e  di  possanza. 
Perch'ei  la  terra  nelle  man  rinchiuse, 
E  misurò  pur  colla  mano  i  mari , 
E  tutte  r  acq  uè  insieme,  e  '1  elei  col  palmo: 
Chi  pose  i  monti  spaventosi  in  libra  ? 
E'n  giogo  1  boschi  e  l'aspre  rupi  in  lance? 
Chi  tien  dell'ampia  terra '1  largo  giro? 
E  in  guisa  di  locuste  in  lei  dispose 
Gli  sparsi  abitatori  e'I  ciel  sublime. 
Quasi  camera  sua,  si  fece  in  volta , 
Se  non  il  Re,  che  lui  sostiene  e  folce? 
Non  affermiamo  ancor  con  vano  orgoglio 
Quanto  l'opaca  e  tenebrosa  terra 
L*  ombra  fosca  ed  algente  innalzi  e  stenda; 
Né  come  privi  di  splendor  l'errante 
Luna,  quand'ella  giunge 'ncontro  al  Sole: 
Né  s' ella  di  Ciprigna  ancora  adombra 
li  vago  aspetto  e  la  sua  luce  imbruni  ; 
Ma  tutti  slam  per  meraviglia  intesi 
Alla  voce  di  Dio,  che  corre  e  passa 
Alle  cose  create ,  e  compie  '1  mondo 
Nelle  parti  di  mezzo  e  nell'  estreme. 

Qual  ampia  8pera,o  pur  marmorea  palla, 
Ch'  é  da  robusta  man  percossa  e  spinta. 
Giunge  *n  loco  pendente,  ed  indi  a  basso 


DEL  MONDO  CREATO.  I57 

Dal  sito  che  s'avvalla  e  *n  giù  dedlna, 
E  dalla  propria  sua  volubil  forma 
Con  veloci  rivolte  in  giù  rotando 
Portata  va ,  sinché  le  arresta  '1  corso 
La  piana  terra ,  in  cui  si  giace  e  posa  ; 
Tal  della  santa  voce  al  suon  commossa 
La  Natura  trascorre,  e  passa  a  dentro 
In  tutto  quel  che  nasce  e  si  corrompe; 
E  va  servando  ogni  progenie  e  stirpe 
Simile  a  sé.  Anch' ella  al  fine  aggiunga. 
E  del  cavallo  il  successor  corrente 
Fa  che  ci  nasca  ;  e  pur  sembiante  al  padre: 
Dal  tauro  '1  tauro  con  sue  dure  corna  : 
Dal  superbo  leon  villoso  '1  tergo 
Nasce  '1  leone,  ed  ha  pungente  artiglio  : 
E  'nsieme  col  leon  l' impeto  e  l' ira 
Nacque,  e  quel  suo  magnanimo  disdegno. 
Onde  l'umil  nemico  a  terra  steso 
Trapassa  alteramente,  e  non  l'offende  ; 
Nacque  1'  amor  di  solitaria  vita. 
Per  cui  sprezzai  compagni,  e  quasi  abbor- 
E  per  deserte  arene,  o  'n  alta  selva    [re. 
De*  Mauri tani ,  o  de'  Numidi  errante 
In  caccia  e  ne'  perigli  ei  va  solingo , 

0  pur  fra  '1  Nesso  e  l'Aclieloo  corrente, 
Dov'  i  leoni  producea  1*  Europa. 

E  *n  guisa  di  possente  aspro  tiranno , 
E  per  natura  indomito  e  superbo, 
Né  degna  egual,  né  dell'estremo  cibo 
Pascer  la  cruda  sua  fame  profonda  : 
Cotanto  schiva  il  disdegnoso  gusto 
L'avanzo  di  non  presa  immonda  preda. 
Si  larghe  canne  ancor  le  diede  'n  sorte 
Natura,  e  grande  e  sì  l'orribil  voce. 
Che  r  aito  suo  ruggir  di  tema  ingombra 

1  più  veloci  e  1  più  leggieri  al  corso, 

E  sbigottito  alfin  gli  arresta  e  prende  : 
Ma  dopo  'I  pasto  egli  é  giocoso  e  lieto, 
E  festeggiando ,  con  gli  amici  ei  scherza 
Quasi  di  nulla  tema  e  non  sospetti. 
Poi  fatto  grave  nell'età  vetusta, 
E  tardo  in  caccia,  osa'l  feroce  veglio 
Alle  città  dar  periglioso  assalto , 
E  gli  uomini  infestar  fra  l'alte  mura. 
Ma  questa  cosi  fiera  orrida  belva. 
Quando  più  superbisce,e*n  maggior  rabbia 
Divenuta  crudcl  lo  sdegno  accende , 
Teme  d'ardente  face,  e  fugge  M  foco. 
E  sbigottito  ancora  el  fugge  '1  gallo, 
E  impaurito  é  più  dove  biancheggia 
Il  bel  candor  delle  spiegate  penne. 
E  la  pantera,  impetuosa  belva , 
£  repente  agiUU  :  a*  varj  moti 


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158  POEMI 

Dèli' dntsu  Tdece  hai  corpo  aecoodo, 
E  le  membra  pfegheroH  e  leggiere. 
E  delle  macchie  sue  qoasi  dipinto 
Mostra  *1  bel  pardo  varlau  pelle  : 
Ed  ascondendo  1  soo  feroce  aspetto. 
Coita  pittura  delle  spoglie,  alllce 
1  semplici  animali ,  e  troppo  incauti  : 
Còsi  gli  prende,  e  'nsidTosa  fraude 
Le  giova  più  nella  selvaggia  preda. 
Che  'I  suo  corso  veloce,  o*I  Icggier  salto. 
Ma  l'orsa  è  neghittosa  e  pigra  e  tarda, 
E  di  costumi  occulti  e*n  alto  ascosi  : 
E  di  simil  figura  ammanta  e  veste 
L*  alma  feroce  :  ha  grave  e  rozzo  1  corpo. 
Quasi  indistinta  e  mal  composta  mole. 
Ch'entro  l'algente  ed  orrida  spelonca 
Ha  sue  latebre,  ove  s'agghiaccia  e  torpe. 
Ma  poscia  nel  furor  s' infiamma  e  ferve 
E  cerca  d'ogni  ingiuria  aspra  vendetta. 
E  'ncontr'  al  ferro  ella  s' avventa  e  ruota 
Ne'montl  alpestri  e  piaga  aggiunge  a  piaga. 
Correndo  quasi  a  volontaria  morte. 
Ma  pur  con  lingua  industre  informa  e  finge. 
Di  fabbro  in  guisa,! suoi  deformi  orsacchi. 
E  tu,  più  rozzo  assai  d'orsa  silvestre, 

I  costumi  de'  figli  incolti  ed  aspri , 
Mentr'  è  1*  etate  ancor  tenera  e  molle , 
Non  formi,  non  polisci  e  non  adomi? 
Né  'n  pietosa  opra  hai  lusinghiera  lingua. 
Ma  in  officio  cnidel  pungente  e  dura? 

E  r  orsa  ancora  alle  sue  proprie  piaghe 
Sa  (com' insegna  la  Natura  industre  ) 
Ritrovarci  rimedio,  onde  risana; 
Perchè,  quando  più  son  profonde  e  gravi, 
Col  verbasco  le  tura,  e  l'arld*  erba 
Terge  la  parte  sanguinosa  e  secca, 
E  la  serpe  d'inferma  e  scura  vista 
Di  finocchio  si  nutre  :  e  cosi  scaccia 
Quell'  infelice  umor  che  gli  occhi  appanna. 
L'aquila  ancor  colla  lattuca  agreste 
Conferma  1  vacillante  e  debil  lume; 
La  testudine  allor ,  che  1  fero  tosco 
Della  serpe  l'andde,  e  dentro  serpe 

II  pasciuto  velen  ,  salute  e  vita 
Dall'origano  cerca,  e  non  indarno. 

E  r  egra  volpe  in  discacciar  la  morte. 
Che  le  sovrasta,  osa  nel  proprio  male 
Due  lagrimette  di  stillante  pino. 
E  la  montana  capra,  aUorch'  affisso 
Di  pennata  saetta  in  meizo  al  fianco 
Ha  '1  duro  ferro,  medicar  sé  stessa 
Sa  con  quell'arte  che  Natura  insegna: 
E  dittamo  pascendo ,  il  duro  strale 


SACRI. 

L*esce  pm*  dalT  Interna  e  grave  piaga. 
Della  schnia  1  leon  languente  ed  egro 
Avidamente  cerca  1  fero  pasto. 
E  beve  1  pardo  della  capra  '1  sangue. 
E  pasce  I  ramoscel  d'olivo  li  cervo. 

E  tu  delPalma  tua  languida  a  morte, 
II  rimedio  non  trovi?  e  non  conosci 
La  vera  medicina?  e  non  delibi 
Succo  vital  dalle  sacrate  carte? 

E  i  presagi  del  tempo  ancora  insegna 
ìlastra  Natura,  e'I  variar  del  cielo 
Dal  caldo  al  freddo ,  dal  sereno  al  fosco; 
E  qual  tempesta  indi  minacci,  o  tubo. 
Talché  in  antiveder  la  pioggia  e  i  venti, 
E  le  procelle  torbidi  e  sonanti 
Talor  men  dotti  son  gli  umani  ingegni , 
La  pecorella  all'appressar  del  verno 
Di  largo  cibo  si  provvede  e  pasce  « 
Quasi  antcvegga  la  futura  inopia. 
Che  l'oscura  stagion  gelando  apporta  : 
E  i  buoi  rinchiusi  nel  più  freddo  tempo 
Entr'  alle  calde  loro  immonde  stalle. 
Quando  la  primavera  a  noi  ritorna. 
Mossi  dal  lor  nativo  e  certo  senso 
La  domita  cervice ,  e  *1  collo  irsuto 
Stendono  oltr'i  presepi,e  pur  guardando 
Braman  d' uscire  al  tepido  sereno. 
L'istrice  ancor  nelle  sue  proprie  lustre 
Fa  doppia  quasi  porta ,  onde  req>irl  ; 
E  di  lor  una  è  volta  al  nobil  Austro, 
E  l'altra  al  fiato  d'Aquilone  algente; 
E  se  teme  di  Borea  *1  fiero  spirto, 
Contra  'ISettentrion  si  tura  '1  varco; 
Ma  se  '1  vento  aiTrican  l'offende  e  turba. 
Quel  suo  foro  ventoso  incontra  chiude, 
E  si  ricovra  alla  contraria  parte. 

E  quinci  chiaramente  a'  sensi  appare 
Che  l' alta  Provvidenza  in  ogni  lato 
Trascorre  e  passa,  e  '1  tutto  adempie  ed Of 
E  per  le  cose  eccelse  e  per  le  Ulostri  [na: 
Non  mette  ella  in  non  cai  l' oscuree  basse  ; 
Ma  nel  vile  animai  un  certo  senso 
Suol  destar  nel  futuro,  onde  proweggia 
Egli  a  sé  stesso.E  l'uom  mai  sentire  intento 
Si  starà  nel  presente ,  e  quasi  a  bada 
Senza  pensar  nella  futura  vita  t 
Deh!  rimiri  '1  lodato  e  rar»  eaempio 
Della  formica  faticosa  e  'ndustre. 
Che  '1  vitto,  onde  si  pasca  al  freddo  verno, 
Ripon  la  state  :  e  benché  lunge  ancorm 
Slan  di  stagion  molesU  i  giorni  algeoU  , 
Neghittosa  non  cessa,  e  non  s'allenta 
La  negra  turba  ;  anzi  sé  stessa  awexia 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Nelle  fttfdie,  e  per  gli  idnsd  campi 
Pene  Popra  non  men,  che  fon  et  gìonio, 
Siodi'aòbia  oe*  suol  spechi  1  gran  riposto. 
Essa  ceH'mighie  proprie  indde  e  sega 
I  cari  frutti,  e'nomidlti  al  Sole 
Gli  asciuga  e  secca;  e  1  bel  tempo  sereno 
Spiando,  già  prerede  1  lieti  giorni; 
Talché,  qoand* ella  I  grani  a' raggi  espone. 
Pioggia  non  stilla  dalToscnre  nubi , 
E  di  serenità  V  indlcio  è  certo. 
Quinci  ripon  nelle  sue  celle  anguste 
L'asciutta  messe,  e  poi  la  serba  e  parte; 
Custode  e  dlspensiera  e  *ntenta  all'  opre. 
E  non  sol  mentre*!  Sole  accende  1  campi. 
Ma  le  fatiche  sue  notturne  ancora 
Dal  del  rimira  la  rotonda  Luna  ; 
E  quelle  più  serene  e  calde  notti 
Toite  al  dolce  riposo,  al  queto  sonno, 
E  giunte  al  traTagliar  conUnno  e  lungo. 
Tanta  in  minuto  corpo  industria  e  Iena 
IH  spirto  infirtfcablfe  e  "ngegnoso 
Pose  Natura,  ch'^è  mirabii  madre; 
Anzi  della  Natura  il  sommo  Padre 
Tanta  tirtà  le  diede  in  raro  dono. 

Oh  come  grandi  sono^  oh  come  eccelse. 
Cene  merarigUose pollastro  etemo. 
Tutte  r opere  tue,  che  tu  facesti 
Con  Ininiu  sapienza  ed  arte  ì 

Ma  noi  nepoti  del  vetusto  Adamo, 
Pur,  quasi  doni  di  natura  e  doti, 
Abblam  molte  virtù,  che  proprie ,  e  nate 
CblTignudO  bambUi  d'^un  seme  istesso 
Sono ,  ed  uscite  da*  materni  chiostri , 
Né  legge,  od  arte,  o  pur  antica  usanza , 
0  nuovo  esempio  le  dimostra  e  *kisegna, 
AB* alma  ancora  semplicetta  e  vaga. 
Ole  pargoleggia  entr*  alle  moin  membra; 
Mi  sua  propria  vaghezza  e  suo  desio 
L*  indiina ,  e  move  con  amico  affètto. 
Chi  ne  hisegnadVMllar  la  febbre  e  i  morbi 
Seguad  e  gravi,  ond*è  languente  ed  egra 
L'umanltateTe  d' abborrir  la  morte 
Senza  maestro  e  senz'altrui  consiglio  T 
Non  arte ,  non  ragion,  non  uso,  o  legge; 
Mi  quella,  che  ne  la  cotanto  amld 
A  noi  medesmi ,  lusinghiera  e  dolce 
nostra  natura,  ano!  rbisegna  edetta. 
In  questa  guisa  aneor  la  nebO  afana 
Dechfan  1  vizio ,  e  volontaria  '1  fugge 
Senz*altnicura,o  magistero,  od  uso. 
E  veggendoThrtè,  eh'èbeUatn  vista. 
Se  n'inviq^hisce  e  la  ricerca  e  segue; 
Takh*  è  Alga  dfe^  tizi  it  primo  passo. 


BBL  MONDO  CREATO.  f  50 

Ond'eDa  I  suo*  vestigi  indrizza  al  Qela 
Ed  ogni  vizio  è  male  Interno  e  morbo 
Delf  alma  inferma,  e  "h  van  deslre  accesa. 
E  la  Virtù,  eh*  è  sempre  al  vizio  opposta, 
È  sanità  dell'alma;  ond'è  nell'opre, 
E  negli  offici  suoi  costante  e  salda. 
E  quind  a  tutti  la  Giustizia  è  cara  : 
È  cara  la  Prudenza  :  e  grazie  e  laude 
Ha  la  Modestia  :  e  *n  più  mirabH  vista 
La  Fortezza,  virtù  dell' ahna  invitta, 
(  Malgrado  di  Fortuna  empia  e  superba) 
S'onora  e  cole,  e  simolacri  ed  archi 
Le  sono  alzali,  e  sacri  altari  e  tempj. 
E  queste  ha  per  fedeli  e  care  amiche 
L'alma  domesticata,  e  se  n'adorna, 
Più  che  di  sanità ,  le  membra  e  1  corpo. 

Amate  1  padri ,  o  voi  pietosi  figli  : 
E  voi ,  pietosi  padri ,  1  figli  amate 
Senza  irritare  il  giovenile  sdegno  ; 
Che  Natura  il  v'  insegna  e  ven  costringe. 
S'ama  la  leonessa,  orrida  belva, 

I  pargoletti  suoi  :  se  1  fero  lupo 
Difende  1  hipicinl ,  e  *nsino  a  morte 
Per  ior  combatte;  avrà  suoi  nati  a  scherno. 
Più  crudel  delle  fere ,  il  crudo  padre? 
Tanto  rigor,  tant'  odio,  e  tanto  obbtio 
Di  Natura  sarà  nel  petto  umano  ? 

0  del  materno  amor  soave  e  dolce 
Forza,  che  pieghi  la  feroce  tigre , 
E  daHa  preda ,  a  cui  vidna  e  stanca 
Corre  anelando ,  la  rivolgi  indietro 
Alfei  difesa  de'  suol  cari  parti  ! 
Com'ella  trova  depredato  e  sgombro 

II  suo  covil  della  gradita  prole  , 
Repente  corre  :  e  le  vestigia  impresse 
Preme  del  cacciator,  che  seco  poru 
La  cara  preda  :  e  quel  rapido  innanzi 
Fugge  portato  dal  destrier  corrente  : 
E  per  sottrarsi  alla  veloce  belva 
(Ch'altra  fuga  non  giova,  od  altro  scampo) 
Con  questa  fraude  d*  ingegnoso  ordigno 
Delude  la  rabbiosa,  e  sé  difende. 
Perchè  di  trasparente  e  chiaro  vetro 
Una  palla  le  getu  innanzi  agli  occhi  ; 
Onde  schernita  dalla  falsa  immago 

La  si  crede  sua  prole,  e  ferma  n  corso, 
E  l'impeto  raffrena,  e  U  dolce  parto 
Brama  raccor  nel  solitario  calle , 
E  riportario  alla  sua  fredda  cava. 
E  ritenuta  pur  dal  falso  inganno 
Delle  mentite  forme ,  anco  ritoma 
Ma  più  veloce  assai  (ch'ira  raffretta) 
Dletr*  a  quel  predator  eh'  innanzi  fìigge, 


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160  POEMI 

E  gli  sovrasta  ornai  rabbiosa  al  tergo. 
Ma  quel  di  nuovo  col  fallace  obbictto 
Dello  speglio  bugiardo  aflrena  e  tarda 
Il  corso  della  tigre,  e  si  dilegua. 
Né  dalla  madre  per  obblio  si  perde 
La  sollecita  cura,  e *1  pront*  amore. 
Ma  IMnfelice  si  raggira  intorno 
A  quella  vana  e  ingannatrice  immago , 
Quasi  dar  voglia  a*  propri  figli  il  latte. 
E  'n  questa  guisa  la  schernita  belva 
La  cara  prole,  e  la  vendetu  ancora 
Perde  in  un  tempo,  cb'  è  bramata  e  dolce. 
E  se  *n  (al  guisa  suol  amar  la  tigre , 
0  la  consorte  del  leon  superbo , 

0  del  famelic'  orso ,  i  propri  figli  ; 
Qual  maraviglia  fia,  s*amar  vedrassi 
La  mansueta  ed  innocente  agnella 
E  la  cerva  selvaggia  e  fuggitiva 

Il  dianzi  nato  ancor  tenero  parto  7 
Fra  molte  pecorelle  in  ampia  mandra 
Il  semplicetto  agnel ,  scherzando  a  salti , 
Esce  dal  chiuso  ovile ,  e  di  lontano 
Ei  riconosce  la  materna  voce. 
E  ricercando  dal  suo  proprio  latte 

1  dolci  fonti  affretta*!  debii  corso: 
E  dove  sian  le  desiate  mamme 

Vote  del  proprio  umore,  ei  se  n*  appaga, 
Me  fugge  r  altre  più  gravose  e  piene  : 
Ma  le  tralascia  :  e  '1  suo  dovuto  cibo 
Sol  dalla  madre  sua  ricerca  e  brama. 
La  madre  '1  dolce  e  pargoletto  figlio 
Fra  mille  e  mille ,  al  suo  belar  conosce. 
In  questa  guisa  di  ragion  sublime 
Ogni  difetto  un  largo  senso  adempie , 
Che  per  natura  in  umil  greggia  abbonda. 
Forse  acuto  vieppiù  del  nostro  ingegno. 
Ma  nel  suo  partorir  solinga  cerva 
Mostra  vieppiù  d'accorgimento  e  d'arte, 
D'altr' animai,  in  cui  sia  parte,  o  seme 
Di  provvidenza ,  e  di  ragione  industre. 
Però  piuttosto  alla  pietate  umana 
De'  suoi  cerbiatti  crede  '1  novo  parto , 
Delle  fere  tremende  ;  e  l'aspre  rupi, 
E  le  selvagge  lustre,  e  i  lochi  inculti 
Fugge  la  paurosa  :  e  dove  scorge 
De'  piedi  umani  le  vestigia  impresse 
Press' alle  vie  da  lor  calcate  e  corse, 
Ivi  sicura  '1  suo  portato  espone  : 
E  dell'  erba  sisiclia  ivi  si  pasce, 
0  nelle  stalle  qui  ricovra,  e  scampa 
Gli  artigli  e  1  denti  di  selvaggia  belva: 
0  dura  cuna  in  rotta  pietra  elegge 
Là  dove  s'apre  un  solo  e  picdol  varco , 


SAGRI. 
E 1  pargoletti  suol  difende  e  guarda, 
E  lor  da  quattro  mamme  il  latte  istilla, 
E  da  due  mamme  quelle  a  cui  Natura 
Fu  di  tal  nutrimento  avara  e  parca. 
E  perch'  ella  di  fele  amaro  è  priva. 
Ha  lunghissima  vita;  onde  talvolta 
Candida  appare ,  e  nel  candor  senile 
È  venerata  dall'  amiche  genti  : 
Siccome  quella,  che  sen  giva  errando 
Libera  e  sciolta,  in  solitaria  chiostra. 
Che  liberolla  '1  suo  felice  Augusto. 
La  vaga  fama  alla  famosa  cerva 
Le  corna  d'oro  ancor  figura  e  finge, 
E  le  circonda  di  monile  '1  colio  ; 
Ma  dell'  onor  delle  ramose  coma, 
E  di  questa  nativa  aKera  pompa 
La  Natura  privolle,  avara  madre: 
E  ne  fu  più  cortese  e  larga  a'  cervi. 

I  quai  le  soglion  rinnovar  sovente  : 
E  lasciando  le  vecchie  a  terra  sparse 
Dal  proprio  peso,  onde  son  piene  e  dense. 
Rifar  le  nuove  alla  superba  fronte  ; 

E  ciascun  anno  un  lungo  e  nuovo  ramo 
Aggiunger  pur  delle  ramose  corna  ; 
Dalle  quali  anco  germogliò  ulvoita 
L' edra  seguace  frondeggiando  in  alto. 
Oh!  meraviglia,  onde  Natura  accrebbe 
Vaghezza  e  pompa  all'animai  fugace, 
Ch'è  pur  fugace,  e  paventoso  e  vile 
In  cosi  altero  e  cosi  fero  aspetto , 
Armato  di  sue  lunghe  e  inutili  arme. 
E  '1  suo  gran  core,  onde  '1  formò  Natura, 
Non  è  d' orgoglio ,  o  d'orgoglioso  ardire. 
Ma  di  vii  tate  e  di  timore  albergo. 
E  in  guisa  pur  di  timidetu  lepre 

II  suo  liquido  sangue  appena  ha  fibre. 
E  quinci  av>ienche  non  s'accoglie  e  strhi- 
Tenace  e  saldo,  ma  simiglia  il  latte ,    [gè 
Mal  senza  quaglio  appreso,onde  el  trascor- 
Ma  talvolta  d'amore  acceso  e  punto,  [re. 
Nella  sUgion,  che  'ntepidiu  '1  grembo 
Apre  la  verde  Terra,  e  '1  pigro  gelo 
Già  si  dilegua,  e  per  disfatta  neve 
Corron  turbati  i  rapidi  torrenti  ; 
Risveglia'!  cervo  al  cor  guerriero  ^irto; 
E  fa  battaglia,  e  di  ferire  ardisce, 

S' alcun  per  l'alu  selva  a  caso  Incontra. 
Ed  allora  non  pur  le  tigri  e  I  lupi , 
E  gU  orsi  informi  e  la  dipinta  lince 
E'i  cinghiai,  che  fregando  al  duro  tronco 
L'orride  coste,  di  tenace  fango 
Fassl  alle  dure  spaUe  aspra  lorica; 
Ma  cupida  d' amor  la  fera  madre 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Erra,  obbiiando  i  pargoletti  Inermi, 
Cbe  non  han  fatt'  ancor  gli  artigli  e  *1  Tello. 
E 1  più  timidi  ancora  in  furia,  e  in  foco 
Sospinti  son  da  stimoli  pungenti. 
Smisurato  furor  conduce  e  porta 
Oltra  il  sonante  Ascanioc  1  gioghi  alpestri 
D*lda  sublime,'  oltra  1*  Eufrate  e  '1  Tauro 
L'avide  madri  del  guerriero  armento. 
Passano  i  monti,  e  gli  alti  fiumi  a  nuoto; 
Fttggon  tra  sassi  dirupati  e  scogli , 
E  per  Talli  profonde,  e  non  incontra , 
0  Sole,  al  nascer  tuo,  né  'ncontro  ad  Euro, 
Ma  Terso  Borea  e  Cauro,  e  d*onde  attrista 
D'oscura  pioggia  i  cieli  il  nubil  Austro. 
Quinci  lento  Teneno  alfin  distilla, 
Ch'Ippomane  chiamò  la  prisca  lingua 
Degli  antichi  pastori  :  e  fu  sovente 
Scelto  già  dall'  iniqua  empia  matrigna, 
E  con  erbe  maligne ,  e  con  parole 
Non  innocenti  fu  adoprato  e  misto. 
Tanto  potea  l'amore  e  '1  dolce  zelo 
Di  più  tenera  prole  in  fero  petto  : 
Tanto  ardente  desio  di  nozze  immonde , 
Che  per  natura  si  risveglia  e  'nfiamma, 
E  negli  orridi  boschi  ad  aspra  guerra 
Move  non  pur  le  dispietate  belve 
Ma  1  duci  ancor  de'  mansueti  armenti 
Pendon  sospesi  alla  battaglia  incerU 
Che  di  piaghe  e  di  sangue  '1  petto  irsuto 
Lor  empie  e  q)arge,  e  la  fronte  superba. 
Le  mute  spose,  e  le  cornute  torme, 
Df  cui  debban  seguir  l'audace  Impero , 
E  la  vittoriosa  altera  scoru, 
E  non  osan  partir  la  fera  zuffa 
Meravigliando  I  lor  maestri  istessi. 

E  se  r  amor  de'figIi,o  quel  che  aggiunge 
Insieme  a  generar  cupida  coppia. 
Può  tanto  in  cor  ferino  e  'n  rigld'alma; 
In  quei  che  fa  di  sé  vaghi  e  superbi' 
Nostra  ragione  e  '1  nostr'  umano  orgoglio  ; 
Quanto  potrà?  Qual  meraviglia  adunque 
S*  una  e  due  volte ,  anzi  tre  volte  e  quattro 
Per  r  istessa  cagion  s' accese  ed  arse 
Dell'  odio  antica  inestingulbU  fiamma? 
E  l'Asia  contra  la  superba  Europa 
Dì  ferro  e  di  furore  armata  in  guerra. 
Strage  e  mine  e  fieri  incendj  ardenti 
Meschiando  ne  'ngombrar  la  terra  e  l'onde? 

Nel  fido  cane  ancor  (se  dritto  estimi) 
Dove  manca  ragione  '1  senso  abbonda. 
E  quel  eh*  appena  1  più  sublimi  Ingegni, 
Filosofando  nell'  antiche  scuole , 
GoDobber  degli  acuti  sillogismi , 


DEL  MONDO  CREATO.  |$i 

Mentre  varie  figure  In  varie  guise 
Tessean  di  lor  con  intricati  nodi  ; 
Quell'istesso,  dich'io,  subito  '1  cane 
Per  sua  natura  agevolmente  apprende; 
Perchè  trovando  le  vestigia  impresse 
Della  timida  lepre ,  o  pur  del  cervo , 
Arriva  là ,  dove  si  fende  e  parte 
Una  strada  in  più  strade,  e  'ntorno  a'  primi 
Principi  delle  vie  s' avvolge  e  gira , 
Odorando  1  sentieri ,  o  1  passi  sparsi  : 
E  fra  sé  stesso  in  questa  guisa  intanto 
Sembra  sillogizzar  :  La  vaga  fera  [corso, 
0  'n  quella  parte ,  o  'n  questa  ha  volto  '1 

0  per  quest'altra  almen  s' indrizza  e  corre  : 
Ma  non  sen  va  per  questo,  o  quel  sentiero, 
Dunque  per  questo  calle  1  passi  aflrctta. 
Così  conchiude  argomentando  '1  cane  ; 
E  '1  pronto  senso  è  di  lung*  arte  in  vece 
Per  cui  rifiuta  '1  falso ,  e  trova  '1  vero. 
Né  più  ne  ritrovar  le  varie  sette , 
Scrivendo  collo  stile ,  o  colla  verga 
Neir  arena  del  lido ,  o  'n  secca  polve , 
Degli  argomenti  le  diverse  forme  : 

Due  condennando ,  come  false ,  a  morte  « 
L'altra  approvaro ,  in  cui  rimase  impressa 
La  verità,  che  nel  soffiar  dell'Austro 
Poi  si  cancella,  o  nel  gonfiar  dell'  ondi. 
E  non  s' avvede  la  superba  mente 
Degli  orgogliosi  e  miseri  mortali , 
Che  'n  polve  é  scritta ,  ed  in  mhiuta  arena 
La  verità  che  trova  umano  ingegno 
Senza  lume  dlvhi  che  l'alme  illustra  : 
Onde  neir  imbrunir  d' un  breve  giorno 
La  si  porta  e  disperde  '1  mare  e  '1  turbo. 
E  bench'  antica  età  si  gloril  e  vanti 
Di  sacre  note  e  di  colonne  eccelse , 
In  cui  descritte  fur  le  nobil  arti 
In  quel  sacro  a  Mercurio  adomo  tempio  : 
E  sian  per  fama  ancora  illustri  e  conte 
L'altre  colonne ,  in  cui  serbar  credeva 
Da'  diluvi  sicure ,  e  dagl'  incendj 
Mill'  antiche  memorie  a  terra  sparte  ; 
In  queste  e  quelle ,  nel  cangiar  del  tempo. 
Non  rimane  di  lor  vestigio ,  o  polve  : 
SI  lunga  notte  'utoItc  1  nomi  e  l'opre. 
Ma  contra  '1  senso  de'  veloci  cani 

1  timidi  animali  han  senso  ed  arte. 
Onde  sovente  1  lor  vestigi  Istessi 
Sogllon  guastar,  perché  la  fuga  occulta 
Segno  palese  non  discopra  e  mostri. 

E  conoscono  ancora  1  venti  e  l' aure , 
Ond'è  portato  agli  odoranti  cani 
D  noto  odor,  che  gli  tradisce  e  j>erde« 


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162 


P(»1I  SACRI. 


G06Ì  la  Pmtridaixa  In  OBDl  parte 
Trapassa  e  giunge ,  ed  ai  fugace 
De*  paurosi  dia  talora  intende  « 
B  spesao  lor  concede  ingiuata  preda 
AgU  anlBMei ,  e  U  virtù  ferina 
Colie  spoglie  de*  finti  onora,  e  pasce 
Pur  di  rapina  le  robuste  forae. 
Ha  qua!  memoria  è  si  tenace  e  salda 
Com'  è  queHa  talor  del  fldo  cane? 

0  qual  d'animo  grato  e  di  costante 
Altri  può  meritar  più  chiara  laude, 
Se  ardisce  '1  fido  can  col  fiero  assalto 
Scacciar  empio  ladren  dal  care  albergo, 
Vietando  i  ftirti  al  predalor  notturno  ? 
Ed  al  pugnare  ed  al  morire  è  pronto 
GeU'  amato  signore,  e  per  l'amato 
Signore  almeno,  e  conservarlo  In  fila , 
Sé  stesso  offrendo  a  giorlon  morte? 
Spesso  innanzi  al  sublime  altero  seggio 
De*  giudici  severi  II  tdo  cane 

Fu  de'  nocenti  accusator,  latrando. 
E  spesso  '1  muto  testimonio  indegno 
Non  fu  di  fede,  e  cadde  in  gfusu  parte 
Sovra  1  reo  la  temuta  orrida  pena, 
fai  Antiochia  già,  come  si  narra, 
In  solilaria  parte  estinto  giacque 
Un  uom,  ch'un  fedci  cane  avea  compagno, 
Neil*  ora  che  tra  1  lume  incerto  e  1*  ombra. 
La  queta  notte  dal  sonoro  giorno 
Strepitosa  divide,  e  desta  alf  opre 

1  mortai  fiitlcosi,  e  li  richiama 
Dalle  fatiche  al  lor  riposo  amico. 

E  r  ucdsor  ch'ebbe  mercede  in  guerra. 
Era  uomcrudel ,  di  sangue  e  (fi  corrucci , 
Che  ai  pensò  celar  la  iera  morte 
Sotto  l'osant)  e  tenebroso  manto 
Della  caliginosa  e  fredda  notte  ; 
B  dal  medesmo  manto  andò  coperto 
In  più  lontana  e  più  sicura  parte. 
Glacea  nelT  atro  sangue  II  corpo  estinto 
Squallido,  immondo  e  pien  di  morte  1  voK 
Spars*  erelntorno  a  rimirarlo  1  Tolgo,  [to; 
B  can ,  gemendo  in  lagrbnevoi  suono, 
Piangea  del  suo  signor  Porrìda  morte. 
Intanto  quel  che  dell'iniquo  fatto 
Dianzi  contaminato  indi  partissi. 
Per  non  esser  sospetto,  e  intiera  fede 
D*  innocensa  acquistarsi ,  Ivi  con  gli  altri 
A  parlar  dell'  atroce,  orribii  caso 
Facea  ritome  con  sicura  fronte  r 
(Tanta  è  la  IraMie  deV  umano  faigegno) 
Entrando  fai  ^pncBa  folu  ampia  corona      1 
Del  popol  vario,  assai  pietoso  in  vista       J 


S' appresaavi  a  colui  eh'  andso  giaofiie. 
Alor  cessando  alquanto  n  fido  cane 
Dal  lamentevoi  genito  dolente. 
Prese  della  vendetta  orribii  amrf, 
E  preso  'I  tenne  eoa  gii  acuti  denti; 
fi  mormorando  il  misera^  verso , 
Tutti  converse  fai  doloroso  pianto^ 
E  fede  el  fatta  alla  mirabO  provn 
Solo  1  tenne  fra  molti  e  noe  lasciol»^ 
Né  raUentoUo  da'  teaad  morsi. 
Alfin  turbato  U  reo  del  certo  indlcks 
Ritorcer  in  altrui  la  grave  colpa 
Non  potea  più  deU'  odio  «  «eHo  sdegno, 
E  dell'  ingiurioso  e  grave  oltraggio , 
Nè'l  sospeUo  estirpar  del  proprio  lallo 
Neti*  altrui  mente  infisso;  e'nqnesuguiaa 
Far  vendetu  potea ,  ma  non  dilesa 
Da  un  quasi  anito  aocusator  latrante, 
E  preso  e  vfaito  e  condannalo  a  morte. 

Ma  chi  potrta  le  BMraviglie  antiche 
Narrar  de'  cani,  e  i  rari  illustri  esempi? 
E  chi  sepolti  entro  1*  Istessa  tomba 
Mostrarsi  col  signor?  o  'n  rogo  ardente 
Co*  medesimi  onor  gli  accesi  ed  arsi? 
0  'n  guerra  pur  tra  folte  schiere  ed  armi^ 
Celebrar  la  nativa  invitta  fede? 
Chi  da'  tiranni ,  o  da'  nemici  estinti 
Oserà  di  sacrar  sanguigne  spoglie 
Alla  gloria  de'  cani  ?  e  'n  viva  pietra 
Scolpirli?e'n  lei  segnar  l'imprese  e  1  nomi 
DI  que'  Cimosi ,  che  da  lunga  guerra, 
E  hmgo  esilio  trionfando  insieme 
Co'  Adi  amici ,  ritemaro  alfine 
Nell'alta  patria  che  circonda  1  mare? 
Seppelo  ben  la  Grecia  antica ,  e  1  vide , 
Che  tant'  Isole  in  seno  inonda  e  chiudle. 
Taccio  ne'  monti  e  nell'alpestre  selve 
Tante  vittorie  loro  antiche  e  nuove. 
Taccio  i  capi  reeisi  e  'n  alto  affissi, 
E  taccio  di  feroci  orride  behre 
In  guisa  di  trofei  sospese  spoglie. 

Ma  dove  ancora  Io  voi  tralascio  addietro, 
0  'n  brevisshno  dire  astringo  e  premo  , 
Destrier  veloci ,  e  portatori  ithistri 
De'  cavalieri  in  ghMtosa  guerra, 
E  'n  polveroso  arringo  e  'n  largo  campo  ? 
Degli  onori  compagni  o  del  perìglio 
Sete  guerrieri  voi,  che  mossi  a  prova 
Ai  chiaro  soon  della  canora  troml>a 
Avete  parte  In  sanguinosa  preda  ; 
E  'n  auree  spoglie  e  'n  onorata  palma. 
E  'I  vide  già  non  pur  r  antica  Pisa 
Ne'  vari  giuochi ,  0  *l  celebrato  Olimpo , 


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LE  SETTE  GlOlUf  ATB 
Mi  Tebe  e  Troia,  anzi  gli  spazi  e  i  lustri, 
Cih'ebi>er  d'Olimpo  misurato  1  nome, 
E  Maratona  e  Leotrìa,  e  posda  ed  ante 
DcUa  nobil  FarsagUa  i  piani  e  i  monti , 
Ore  portando  pria  sui  forte  dorso 
Nelle  battaglie  1  cavalier  novello, 
Miracol  novo  e  non  yeduto  mostro , 
Somigliaste  '1  biforme  alto  Centauro. 
Chi  potrebbe  di  toì  le-spogUe  e  i  pregj 
Narrar  appieno,  e  le  fatiche  e  1  merti? 
Voi  spargeste  non  pur  ncli*  alte  imprese 
Gol  piagato  signore  il  largo  sangue  ; 
Ma  (se  creder  ciò  lece]  il  largo  pianto 
Ancor  versaste  con  affetto  umano , 
Lagrimando  sua  dura  acerba  morte. 
Voi  parte  in  gran  trionfo,  e  *n  nobil  tomba 
Co'  regi  aveste,  e  con  gli  eroi  vetusti, 
E  deste  '1  nome  alla  città  famosa 
Sepolta,  e  serba  ancor  la  fama  e  1  grido. 
B  voi  non  di  tridente ,  onde  percossa 
Partorisca  la  terra ,  altera  prole 
Poste,  né  vi  formò  terrena  destra, 
Mal'aJta  voce  del  Signore  eterno. 
Più  di  tromba  sonante ,  al  nascer  vostro 
Principio  die,  pria  che  di  terra  in  terra 
La  sua  possente  man  formasse  Adamo. 
E  questa  che  più  chiara  ognor  rimbomba 
Nella  Natura  ubbidiente  ancella. 
Di  voi  perpetua  la  progenie  e  'l  nome. 
Ma  quel  guerrier  in  voi  spirto  superbo, 
Ch'all'uom  quasi  vi  fa  d'onor  congiunti, 
Umilll  coli' esempio  li  Re  celeste. 
Che  fra  ben  mille  olive ,  e  mille  palme 
Premer  degnò  d'  un  asinelio  '1  tergo; 
E  voi  concesse  a'  gloriosi  Augusti , 
A'  magnanimi  regi,  a'  duci  Invitti: 
In  guisa  tal,  che  l'alterezza  e  1  fasto  , 
Ed  ogni  altra  mondana  illustre  pompa 
AD*  umiltà  conceda  1  primi  onori 
Ed  a  queil*umil  sofferenza  e  queta. 
Ch'ai  mansueto  gli  omeri  prepara, 
E  nel  presepio  ha  più  sublime  luogo  , 
E  più  vicino  al  Regnator  celeste  , 
Che  'n  del  tra'  favolosi  e  vani  onori 
Non  ha  1  destriero,  o  sua  fallace  immago. 
Ma  qua!  mi  porta  spaziando ,  e  tarda. 
Studio,  o  vaghezza  oitra  'l  prescritto  girot 
Torniamo  a  contemplar  dell'  opre  estreme 
Fatte  da  Dio  la  provvidenza  e  l'arte: 
Che  provvidenza  fu,  non  sorte,  o  caso , 
Che  dell'atroci,  immansuete  belve 
Fé*  la  progenie  indomita  e  superba. 
Quasi  infeconda,  e  la  ristrinse  in  podil. 


DEL  MONDO  CREATO.  163 

Fece  air  Incontra  fertile  e  feconda 
De'  timorosi  la  fugace  prole. 
Di  cui  suoi  (arsi  agevolmente  in  caccia 
Larga  e  diversa  preda.  E  quinci  avviene 
Che  molti  figli  suol  produrre  al  parto 
La  tlmidetu  lepre  ;  a  coppia  a  coppia 
Gli  partorisce  la  selvaggia  capra. 
E  di  gemelli  ancor  V  agna  silvestre 
Suoi  andar  grave,  e  gcnerarl' insieme. 
Perchè  non  manchi  da  vorace  fera 
Consumau  la  stirpe.  E  d' altra  parte 
La  fiera  leonessa  appena  è  madre 
D*  un  figlio  sol ,  che  '1  lacerato  ventre 
S' apre  co'  duri  artigli  ;  e  'n  quesU  guisa, 
Ancidendo  la  madre  allorch'ei  nasca. 
Al  nascer  suo  la  sanguinoso  *1  varco. 
E  la  vipera  ancor  fiera  mercede 
Rende  alla  genitrice,  e  fuor  se  n'esce 
Rodendo  l'alvo  alla  pregnante  serpe. 
Se  di  vari  animali  ancor  rimiri 
Le  varie  parti ,  a  te  non  fia  nascoso 
li  magistero  del  Fattore  etemo. 
Che  nulla  fece  In  lor  soverchio,  o  manco^ 
Perchè  volle  adattare  acuti  denti , 
E  quind  e  quindi  alle  ferod  belve. 
Divoratrici  di  sanguigno  pasto. 
Ma  d' una  parte  sola  armano  1  denti 
Quelle ,  eh'  han  vario  dbo  e  vari  pascb 
Ne'  verdi  prati  ;  e  'I  ruminar  concesse 
Alle  innocenti  in  oziosa  vita. 
E  le  gole  e  le  pelli  e  i  ventri  e  i  aeni, 
E  le  reti  coli' altre  incerte  parti. 
Ove  s'accoglie,  onde  trapassa  '1  dbo. 
Onde  nutrisce  le  diverse  membra 
Il  puro  e  leve,  e  l'altro  impuro  e  grave 
Poi  ritrova  all'  uscire  aperto  '1  varco. 
Non  son  vani  arUfid ,  o  fatti  iodamo , 
Ma  necessari  ;  e  di  dascuno  appare 
E  r  uso ,  e  '1  prò,  per  cui  mantiensi  in  vita 
0  breve ,  o  lunga ,  l' animai  terrestre. 
Del  cammdlo  aflricano  è  lungo  '1  collo 
In  guisa  tal,  eh'  a*  piedi  egli  s'adegua; 
E  ^unge  all'erbe  ove  si  pasce  e  vive. 
Quasi  alle  spalle  'l  breve  collo  Umesta 
L'orsa  e  '1  leone  e  la  vorace  tigre, 
E  gli  altri  tali  che  di  frutto  e  d'erba 
Non  hanno  '1  caro  nutilmento  usato 
Né  son  costretti  d' Inchinarsi  a  terra. 
Ma  sol  vlvon  di  sangue  e  di  rapina. 
A  qual  uso  è  prodotto  ,  e  che  ricerca 
Qud  de'  grandi  defanti  orrlbil  naso , 
Che  probosdde  ancor  l' Italia  appella  ? 
Ad  animai  si  grande  e  quasi  vasto , 


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164  POEMI 

Che  di  grandezza  ogni  terrena  avanza 
Bestia  superba ,  e  gli  fu  dato  ad  arte , 
Percliè  dar  possa  altrui  tema  e  spavento. 
Quasi  di  collo  ancor  roflicio  adempie;  [gjia 
Perocché  breve  ha  'l  collo,  e  nonTaggua- 
A'  piedi ,  e  se  l' avesse  ancor  più  lungo , 
Mal  sostener  potria  la  mole  e  H  pondo. 
Però  coi  naso  ci  si  prov\ede ,  e  prende 
Col  naso  '1  cibo,  e  *n  guisa  è  cavo  a  dentro 
L'estranio  naso,  che  raccoglie  e  serva 
Nel  voto  suo  del  radunato  umore 
I  quasi  laghi ,  onde  la  sete  estingua. 
Di  fiume  'n  guisa  poi  gì*  irriga  e  sparge. 
Come  lucido  fonte  in  bianco  marmo 
Scolpito  da  maestra  e  dotta  mano. 
E  d*  urna  in  vece  effigiata  belva 
Con  estranee  sembianze  orrida  in  atto , 
La  qual  dal  naso,  o  dall'aperta  bocca, 
O  d'altra  parte  d'acque  infonde  eversa 
I larghi  rivi,  e  *1  suol  n'asperge  intorno. 
Cosi  la  smisurata  indica  fera 
Del  pria  raccolto  umor  fa  larga  copia 
Mirabilmente ,  onde  '1  suo  naso  assembra 
Fontana,  di  Natura  emula  e  d'Arte. 
Ma  coir  istesso  naso  ancor  sovente 
Suol  far  l'officio  di  pieghe  voi  mano: 
In  tante  guise  egli  'l  ritorce  e  stende. 
E  coi  medesmo  ancor  placido  e  queto 
Ed  innocente,  ei  suol  passar  per  mezzo 
Le  mansuete  e  semplicette  gregge. 
Senza  nolar  le  pecorelle  umili , 
Che  g^i  cedono  '1  passo  e  quinci  e  quindi. 
Ma  l  più  feroci  impetuoso  afferra, 
E  leva  in  aria,  e  poi  gli  sparge  a  forza, 
Precipitando  orribilmente  a  terra. 
Cosi  gran  sasso  ancor  levato  in  alto 
Da  macchina,  talor  mina  a  basso 
Da  lei  sospinto,  o  dal  suo  proprio  pondo. 
Ma  come  il  collo  e  la  cervice  è  breve , 
Altramente  saria  soverchio  peso 
Del  vasto  corpo,  che  s'appoggia  e  ferma 
Sovra  i  suo'  mal  composti  e  rozzi  piedi , 
Che  non  mostran  giuntura,  onde  distinti 
Sieno,  e  le  gambe  son  di  trave  in  vece, 
O  di  colonne  alla  gravosa  mole. 
E  in  guisa  d'uomo  ei  sol  l' incurva  e  piega, 
Mentr'egli  siede,  masi  volge  e  pende 
Sempre  o  sul  manco  lato,  o  pursul  destro; 
Perchè  impedito  dal  soverchio  pondo , 
Sovr'  entrambi  non  può  star  dritto  e  pari. 
Però  si  vede  ognor  pendente  e  chino 
Neil'  un  de'  lati  allorché  siede  e  posa. 
Anzi  delle  ginocchia  ei  sol  ripiega 


SACRL 
Le  deretane,  e  l' uomo  in  ciò  somiglia  ; 
L'altre  rigide  stansi,  e  dure  e  salde. 
Onde  s'appoggia  ad  un  selvaggio  tronco 
D'orrida  pianta  :  ivi  riposa  e  dorme 
Un  suo  duro ,  profondo  e  pigro  sonno. 
Ma  la  pianta  si  piega  ai  peso  e  frange  ; 
Talvolta  ancora  ella  è  recisa  e  tronca 
Dal  cacciator,  che  de'  suo'  lunghi  denti 
Cerca  l'avorio;  eh'  è  si  cara  merce, 
Onde  si  faccia  poi  mlrabllopra, 
E  di  barbara  man  raro  lavoro. 
Cade  al  cader  del  suo  rotto  sostegno 
La  fera  belva  rulnosa  a  basso  ; 
Com*  edifìcio ,  die  di  scossa  terra 
11  moto  crolla,  e  vacillando  adegua 
Al  suol,  eh'  è  di  ruina  ingombro  e  sparso. 
Né  potcnd'ella  più  levarsi  in  alto, 
E  dal  gemito  suo  tradita  a  morte. 
Che  gli  passa  coli' arme  '1  molle  ventre. 
Né  potean  penetrar  l' Irsuto  dorso 
(>>n  lance  e  strali,  e  l'altre  estreme  parti 
Dell'elefante  che  si  lagna  e  more. 
Ma  so\Ta  le  sue  grosse ,  orride  spalle 
Ei  suol  portare  in  perigliosa  guerra 
Torre,  che  grave  appar  d' armata  gente. 
E  portando  il  gran  peso  ei  tutto  atterra 
Ciò  che  rincontra,  e  par  volubil  monte* 
Od  animata  rocca  '1  fiero  mostro; 
Onde  solean  già  gli  Affricanl  e  gl'Indi 
Perturbar  le  nemiche  avverse  schiere, 
E  r  armi  sanguinose  a  terra  sparse 
Calcar  sovente,  e  l'abbattute  squadre. 
Questa  gran  fera  se  non  more,  o  cade 
In  lagrimesa  guerra,  o  'n  fera  caccia, 
Anni  trecento  vive  ;  e  senso  e  spirto 
Ha  di  pietà  :  talché  devota  adora 
L'algente  Luna,  che  le  notti  illustra. 
Un'altra  fera  è  là  nel  freddo  clima. 
Dove  l'Orsa  del  cielo!  fiumi  agghiaccia. 
Né  di  pietà ,  né  di  grandezza  eguale. 
La  qual  pensando  alla  futura  fame 
Conserva  fa  del  divorato  pasto 
In  un  proprio  e  nativo  e  largo  vase. 
Ove  '1  ripone  al  maggior  uopo,  e  '1  serba  : 
Trattonel  poscia,  indi  si  ciba  e  pasce. 
Cosi  di  cibo  l' un ,  d'umore  e  d' onda 
Provvido  l'altro,  non  patisce  inopia , 
In  guisa  di  città  ch'assedio  e  guerra 
Aspetu,  e  'ntanto  si  provvede  ed  empie 
Di  ciò  eh' al  vitto  uom  chiede,  i  cari  alber- 
E  i  larghi  vasi  e  le  profonde  fosse.      [ghl. 
Ma  pur  quest' animai  si  fero  e  grande, 
Cui  Roma  vide  trionfante  e  lieta , 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Quando  Leon  sedeanell'alu  sede,  [guisa 
Domato  ali*  uom  soggiace.  E  'n  questa 
Volle  mustrar  Iddio ,  che  In  lutto  Tece 

I  feroci  animali  all' uom  soggetti; 

All' uom  sua  vi?a  e  sua  diletta  immago  ; 
Air  uom  che  'n  guisa  d' immortale  erede 
Delle  cose  dirlne  elegge  e  chiama 
AIl*alta  gloria  del  celeste  regno. 
E  non  sol  lece  contemplar  mirando 
Negli  animali  più  feroci  e  grandi  « 
Quella  diTina  proYvidenza  ed  arte. 
Che  ne'  piccioli  ancora  ella  si  mostra: 
Siccom' ancor  non  men  dell'alto  monte, 
Che  vicino  alle  nubi  al  del  s*  Innalza  ; 
Mirabil  sembra  la  profonda  valle , 
Dove  si  schivi  '1  fero  orgoglio  e  l'Ira 
De'  venti ,  usati  a  ricercar  mai  sempre 
L' eccelse  parti  ;  e  si  ricovra  e  scampa 
lo  queta  parte ,  e  sott'  un  puro  cielo , 
Che  'n  sé  conserva  tepido  e  sereno. 
All'elefante,  eh'  è  si  fiero  e  grande, 
Spavento  dà  con  paurosa  vista 
(Cfai  '1  crederebbe?)  il  vile  e  picclol  topo. 
Lo  scorpio  ancora  orrido  pare  a'  grandi. 
D'arme  pungenti  e  di  veneno  armato. 

Ma  non  però  la  temeraria  lingua 
n  suo  veneno  in  Dio  rivolga  e  versi  ; 
Né  gli  dia  colpa  che  '1  serpente  e  1  drago 
Egli  facesse  ;  e  '1  verme  e  '1  picclol  angue , 
Che  lunge  saettando  amaro  tosco, 
Andde  l' uom  con  dolorosa  morte. 
Cbè  'n  questa  guisa  ancor  s'accusa  '1  Ma- 
Se  dalla  temeraria  età  proterva,    [stro. 
Che  ribellando  alla  ragion  contrasta. 
Temer  si  fa  colla  severa  sferza , 
E  con  dure  percosse  e  dure  plaghe; 
E 1  medico  In  tal  modo  ancor  s' incolpa, 
Ch'  indi  ricerca  medicina  a'  mali. 
Tu,  se  confidi  In  Dio,  securo  ascendi 

II  basilisco  venenoso  e  l' aspe, 

E '1  leone  e  '1  dragon  sopprìmi  e  calca; 
Che  sopporranno  al  pie  sicuro  e  giusto, 
La  domita  cervice  e  '1  collo  a  forza. 
E  di  Paolo  l' affidi  '1  chiaro  esemplo. 
Alla  cui  santa  invlolabll  destra 
(Menir'ei  disceso  nell'apriche  rive 
DI  Malta,  raccogllea  materia  al  foco  ) 
La  vipera  non  die  tormento  o  morte  : 
Né  quel  che  di  leggier  s' appiglia  e  serpe. 
Tosco  micidiale  a  lui  s' apprese  : 
Tanto  la  grazia  può  d' alma  innocente. 
Ma  debb'  io  far  noiosa  e  fera  Istoria 
DI  vipere  crudeli  e  di  ceraste? 


DEL  MONDO  CREATO.  IBS 

D' Idre,  che  di  colubri  un  folto  vallo 
Sibilando  si  fan  d' intorno  al  collo 
Ceruleo  e  gonfio,  ed  all'  orribil  testa? 
Opur  d'aspidi  sordi  al  forte  carme? 
0  di  fare,  di  ceneri  e  di  chelidri? 
D' alfasi  algente,  o  del  serpente  acceso. 
Che  dardo  sembra  ?  e  come  dardo  11  tosco, 
Uccisor  de'  mortali,  avventa  e  lancia? 
0  pur  di  te,  che  più  famosa  palma 
Fra  le  pesti  affricane  ancor  l' acquisti 
Nocendo  altrui  ?  Né  solo  spirto  e  l' alma. 
Ma  '1  cadavero  istesso  a  morte  involi 
Anzi  'l  rapisci  e  gllel  consumi  a  forza? 

Come'l  plttor  che  delie  membra  estinte 
Il  pallor,  lo  squallor  dipinge,  ed  orna 
DI  colori  di  morte  esangue  aspetto. 
Parte  ci  aggiunge  orride  fere  e  mostri 
Spaventosi,  e  gli  fa  sembianti  al  vero  : 
Ma  dove  '1  vero  di  spavento  ingombra , 
Delle  finte  sembianze  il  falso  inganno 
Altrui  diletta,  e  '1  magistero  adomo  ; 
Così  con  questi  miei  colori  e  lumi 
Di  poetico  stil ,  con  queste  insieme 
Ombre  di  poesia,  terribll  forme 
Fingo,  e  fingendo  di  piacer  m' Ingegno 
Agii  alti  ingegni ,  e  dal  profondo  orrore 
Trar  quel  diletto,  che  i  più  saggi  appaghi. 
Ma  pure  ischi vo  altrui  fastidio  e  scherno, 
E  per  questa  di  fere  e  di  serpenti 
Arida,  adusta  e  spaventos'  arena 
Più  non  mi  spazio,  ed  a  più  lieti  obbietti. 
Quasi  nuovo  Caton,  mirando  lo  varco. 

Ma  1  frettolosi  passi  anco  ritarda 
Larga  schiera  di  strani  orridi  mostri , 
E  di  vari  animai  volanti  a  stuolo, 
Che  da  putride  membra  estinto  corpo 
Produsse,  o  senza  seme,  e  senza  padre 
L' antica  madre  ancor  produce,  e  figlia 
Dal  riscaldato,  e  'nslcme  umido  grembo. 
E  queste  innumerablll  e  vaganti 
Danno  anzi  noia,  che  terrore  o  doglia. 
Quante,  oh!  quante  ne  veggio  in  nubi,  o'q 

ombra 
Volarmi  in  tomo  ed  oscurarne  '1  cielo!  [bra? 
Ha  chi  gli  scaccia  in  trapassando  e  sgom- 
11  tuo  lume  gli  scaccia,  o  Padre  etemo, 
Ch'Io  chiedo  a  te,  dove  dal  Santo  11  Santo 
Par  che  discordi,  e  sia  contrario  in  parte. 
Se  tu  Dio  fosti  creator  di  mosche. 
Io,  quanto  lece  per  ragione  umana, 
Ch'  al  tuo  lume  divin  l' illustri  o  'nformì. 
Oso  affermar  che  tu  creasti  allora 
In lor  perfetu  età  maturi  I  parti; 


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tu  POEMI 

Di  piaste  e  d' anlfliai  perfette  uicire 
Nel  bel  pMse  della  chiara  luce 
Alla  alu  voce  del  tuo  santo  iBq[>ero. 
E  non  fu  akuaa  tralasciata  addietro 
Delle  selvagge  ed  lafeoondc  piante, 
O  pur  delle  feconde;  e  gii  nascendo 
Sin  dal  principio  erano  adorne  e  gravi 
Di  sue  frondi  ciascuna,  e  de'  soni  fruttL 
E  non  com*  oggi  avviene,  oggi  a  vicenda, 
Mentre  sue  volte  ogni  stagione  alterna, 
Son  generate,  e  non  gii  tutte  insieme. 

Prima  '1  fecondo  seme  è  sparso  in  terra, 
0  pur  la  stirpe  In  suol  profondo  aiBssa, 
E  poi  nascer  vegglam  le  piante  e  1*  erba, 
Ed  avaniar  crescendo,  e  d*  una  parte 
Le  radici  mandar  sotterra  a  dentro 
Di  fondamenti  In  guisa,  e  d*  altro  lato 
Verso  '1  delo  innaUarc  '1  tronco  e  i  rami  ; 
E  poscia  germogliar  le  frondec  i  fiorL 
Ultimo  nasce  'l  fratto,  e  'ncbino  ei  pendei 
Ma  non  maturo,  uè  perfetto  ancora. 
Appoco  appoco  d  si  trasmuta,  e  cangia 
Molli  vari  sembianti  e  molte  forme. 
Prima  minuto  è  si  che  gli  occhi  tt*fflin"^^ 
E  quasi  dalla  vista  egli  s' Invola, 
E  rassomiglia  gli  atomi  volanti. 
Che  d  appaion  del  Sole  a*  chiarì  raggL 
Dappoi  nutrito  dell'  umor  terrestre. 
Ed  irrigato  da  rugiade  ed  aure. 
Si  nutre  e  cresce,  e  si  colora  e  thige 
Come  opra  d  fusse  di  piuore  illustre. 

Ma  quando  Dio  creò  di  nuovo  '1  mondo. 
Tutte  le  selve  di  frondose  piante 
Perfette  egli  produsse,  e  I  ddd  frutti 
Tra'  rami  si  vedean,  non  mica  acerbi. 
Quasi  appena  cominci,  anzi  maturi 
Faceano  invito  a'  non  ancor  prodotti 
Animali,  e  dovean  la  fame  e  '1  gusto 
Lusingar  tosto  alle  dolcezze  ignote. 
Gravida  ancora,  a  quel  sovrano  impero. 
La  Terra  partorì  la  stirpe  e  l' erbe 
E  i  dold  frutti,  in  cui  virtù  nativa 
Era  nascosa  di  fecondo  germe, 
E  di  seme  immortai,  che  quasi  etemo 
Dovea  poi  rinnovar  le  cose  estinte. 
E  gli  animali  poi  creali  insieme 
VesUU  fur  delle  lorpeUi  irsute, 
0  dì  candida,  molle  e  pura  lana  ; 
0  di  sue  coma  e  di  pungenti  artigli 
Ciascun  apparve  immantinente  armato 
Neil'  eU  sua  perfetu  e  gii  matura. 
Né  della  prima  Infanzia  allor  conobbe  [bra. 
Alcuno  il  tempo  e  'a  non  cresdute  mem- 


SAGRL 

Anzi  questa  gran  mole  ancor  novella. 
Questo  grande,  dich'  io,  mirabii  mondo 
Non  conobbe  l' infanzia,  e  tutt'  insieme 
Perfetto  apparve,  e  nell'  aspetto  adorno. 
Ma  non  fur  opre  tue  gli  orridi  mostrìt 
Opre  tue  non  fur  già.  Maestro  e  Padre 
Della  Natura,  ma  sol  vlrìo  e  colpa 
Della  materia  a  dismisura  ingiusta. 
Ch'or  ha  difetto,or  nel  soverchio  abbonda. 
E  s'addivien  giammai  che  'I  maschio  i 
Debole,  e  raro  sia  dal  veglio  stanco, 
0  sparso  dal  fanciul,  né  vincer  possa 
Con  quella  sua  virtù,  che  'nforma  e  i 
Ne'  chiostri  occulti  del  femmineo  ventre 
L' indigesta  materia  umida,  e  'nforme; 
Femmina  nasce,  e  eh'  ella  nasca  è  d' uopo  : 
E  se  non  caro,  è  necessario  11  parto. 
Ma  d*  uopo  non  è  già  cbe  sia  prodotto 
Orrido  mostro  al  mondo,  e  non  d  nasce 
Per  grazioso  fin,  ma  grazia,  o  fine 
Non  ha  nascendo  :  e  la  materia  invitta, 
E  ribellante  alla  miglior  natura. 
Ch'ai  meglio  è  sempre  in  operando  intenta, 
È  impossente  cagion  dd  nato  mostro. 
Ma  la  materia  vinta,  e  non  ribella, 
Né  'n  contender  ritrosa  accoglie  'n  grembo 
Le  forme  obbediente,  e  quind  nasce 
Maschio  '1  figliuolo,  e  di  bellezze  adorno, 
E  di  fattezze  al  genitor  sembiante. 
E  chiunque  traligna,  al  proprio  padre. 
Ed  alla  stirpe  de'  maggiori  antica 
Dissimll  fatto,  é  quasi  al  mondo  un  mostro. 
E  spesso  avvien  eh'  egli  traligni  in  guisa. 
Degenerando  da  progenie  illustre. 
Che  dall'  umanità  quasi  é  diverso; 
Ned  uomo  é  più  ;  ma  d' odioso  aspetto 
Del  male  sparso  e  mal  concetto  seme 
Un  mal  nato  animai  ci  nasce  e  vive, 
Ch'  é  detto  mostro;  e  la  natura  istessa 
Lo  scili  va  ed  odia,  e  disdegnando  abborre. 
E  già,  come  divolga  antica  Istoria, 
Con  testa  di  monton  nacque  un  fanduUOt 
E  con  testa  di  bue  poi  l' altro  apparse. 
Ed  un  vitello  ancora  ebbe  nascendo 
11  capo  di  fanciul  :  l' ebbe  di  toro 
Un'  umil  pecorella  e  mansueta. 
Bla  chi  non  sa  la  mostmosa  foma 
Della  chimera?  in  cui  la  capra  aggiunta 
Era  al  leone,  e  1  leon  giunto  al  drago  t 
E  chi  non  sa  siccome  accoppia  e  metoe 
L' istessa  fama  alla  giumenta  n  grifo 
Là  fra  le  nevi  d' iperborei  monti, 
0  de*  Rlfei,  dov'  d  difende  e  giumdt 


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LE  SETTE  GIORNATE 
L' or  ai  Inaiato  da'  aortali  enaDti  ? 
E  forme  sono  ancora  illusUi  e  conte 
Quelle  che  iigurò  V  antico  Egiuo, 
O  r  Affrica  arenosa  :  e  questa  aiBsse 
Ali*  uom  di  bue  la  spaventosa  fronte, 
E  col  Tel  ricoprì  V  altere  coma 
Giove  ancor,  nominando  *1  falso  Nume; 
Ed  adoroUo  in  suo  famoso  tempio, 
Ch*  un  tempestoso  mar  d' arene  intorno 
Cinger  solea  ne'  solitari  campi. 
Quel  con  laoda  di  cane  altrui  dipinse, 
O  pur  impresse  '1  suo  latrante  Anubi, 
Oltra  mill'  altri  idoli  suoi  bugiardi. 
E  la  Giudea  dall'  aflricano  inganno 
Non  le'  diverso  il  simulacro,  o  '1  mostro 
Quando  a  Moloc  i  sacrifici  offerse. 
Ed  a  questo  fallace  e  vano  errore 
Origin  prima  die  Natura  errando 
Oltra  1  suo  fin  nel  mostruoso  parto. 
Suol  partorir  ancor  di  molte  membra 
Confusi  I  mostri,  e  sul  medesmo  busto 
Molte  giunger  insieme  orride  teste, 
O  molti  pie  sopporre  al  corpo  istesso. 
E  quinci  preso  ardir  la  fama  audace 
Briareo  fece,  ed  Egeon  gigante, 
E  gli  armò  cento  mani  e  cento  braccia. 
E  di  corone  ancora  ornò  la  fronte 
Di  Gerlone,  e  nell'antica  Spagna 
GoUocollo  in  sublime  ed  alta  sede; 
Ha  in  quesu  guisa  forse  ella  dipinse 
L'anima  umana,  imperiosa,  altera. 
In  cui  son  tre  potenze  insieme  aggiunte. 

Or,  lasciando  da  parte  occulti  sensi, 
E  di  favole  antiche  ombre,  o  misteri , 
Onde  sua  luce  al  vero  ancor  s'adombra: 
Simiglìante  cagion  produce  i  mostri , 
E  d'offeso  anima]  confonde  e  guasta 
Mentr'al  materno  sen  tenere  membra, 
O  sia  difetto  di  confuso  seme, 
0  di  mj^ria  pur  maligna  colpa, 
E  Tizio  innato  :  e  ciò  più  spesso  incontra 
In  quei,  che  fan  sì  numeroso  il  parto. 
Tal  è  del  gallo  la  pennuta  madre, 
E  tale  ancor  la  semplice  colomba , 
In  cui  figli  talor  confuse  e  miste 
Ehber  le  membra  :  e  con  due  teste  ancora 
Fu  gii  veduto  un  orrido  serpente. 
Ed  al  buon  servo  di  Gesù  diletto 
In  quei  sogno  divin  con  sette  apparse 
L'estranea  belva,  a  cui  lasciva  donna 
Premendo  assisa  alteramente  '1  teigo. 
Attrasse  i  regi  agl'impudici  amori. 
Con  KUe  è  telo  r  animai  di  Lema, 


DEL  MONDO  CREATO.  i$j 

Orrida  peste;  e  rinascenti  al  Cerro 
Fur  creduti  que'capi ,  e  'ndamo  tronchL 
Tralascio  alfin  dell'animai  rinchiuso 
Nel  laberinto  la  dubbiosa  forma. 
E  tralascio  di  Sfingi  e  di  CenUuri  ; 
Di  PoUfemo  e  di  Qdopi  appresso. 
Di  SaUri,  di  Fauni  e  di  SUvani, 
Di  Pani  e  d'Egipani  e  d'altri  erranti; 
Ch'empier  le  solitarie  inculte  selve 
D'antiche  maraviglie ,  e  queir  accolto 
Esercito  di  Bacco  in  Oriente, 
Ond'  egli  rinse  è  trionfò  degl'Indi, 
Tornando  glorioso  a'  greci  lidi, 
Siccom'è  favoloso  antico  grido. 
E  lascio  gH  Arìmaspì ,  e  quei  ch'ai  Soie 
Si  fan  col  pie  giacendo  e  schermo  ed  om- 
E 1  Pigmei  favolosi  in  lunga  guerra  [bni; 
Colle  gru  rimarransi ,  e  quanto  unquanco 
Dipinse  'n  carta  l'Affrica  iNigiarda. 
Perchè  vero  non  è  che  mai  prodotti 
Fosser  sì  mostruosi ,  e  vari  aspetti 
Dalla  Natura.  E  s'è  pur  vero  in  parte. 
Dio  non  produsse  allor  creando  i  mostri; 
Perocché  '1  mostro  è  quello,  in  cui  s'incoi- 
DifeUo  di  materia,  o  pur  soverchio,     [pa 
Ond'  ai  suo  genitor  dissimll  nasce; 
Ma  rade  volte  :  e  'n  odiosa  vista 
E  di  Natura  vergognoso  scorno  : 

0  pur  è  segno,  onde  '1  gran  Re  superno 
Sgomenta  gli  egri  e  i  miseri  mortali , 

E  minaccia  la  pena  e  morte  e  scempio. 
Non  fece  allor  creando  il  Padre  eterno 

1  muli ,  o  pur  le  mule  :  e  quella  e  queste 
Illegittima  prole  e  dubbio  parto 

Fur  poscia  d' animai,  eh'  aggiunse  'nsieoie 
Desio  sfrenato  di  natura  :  e  nacque 
D'asino  '1  forte  mulo  e  di  giumenta  : 
E  di  pronto  destrier  veloce  al  corso 
La  mula,  ma  di  pigra  e  tarda  madre; 
E  somigliando  '1  generoso  padre 
Corse  talvolta  nell'Olimpo  a  prova, 
E  riportò  correndo  '1  caro  pregio. 
Ed  or  si  gloria  di  portar  sul  dosso 
Sacri ,  purpurei  padri  in  Vaticano 
In  dì  festo  ed  altero  e  nobil  pompa  : 
E  incontra  move  a  messaggieri  eletti 
Degli  alti  regi  e  de'  famosi  Augusti. 
Nacque  talvolta  del  destrier  corrente 
Il  mulo  ancora,  e  l'asina  si  vanta 
Pur  anco  di  veloce  e  nobil  nudre; 
Ma  l'uno  sparge  non  fecondo  '1  seme, 
L' altro  l'accoglie  in  non  fecondo  ventre  : 
Però  nascer  non  suol  del  mulo  U  mulo. 


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168  POEMI 

Come  daU*  an  TeggiaDi  nascer  sorente 
L'altro  cavallo,  e  nel  guerriero  anncnto 
Succeder  generoso  al  padre  il  figlio. 
E  la  cagion  di  dò  Tarla  s*  adduce. 
A'  corrotti  meati  il  cieco  veglio 
La  reca;  quel  dich'io  per  fama  illustre, 
Ch*  al  vaneggiar  de*  miseri  mortali , 
Rider  soleva;  e  le  sciagure  e  i  danni 
Del  suo  dotto  ei  degnò  continuo  rìso. 
Ma  quel  che  si  lanciò  nel  foco  ardente 
D* Etna  sublime,  e  U  sua  viu  (ahi  foUe!) 
Volle  finir  nella  fumante  fiamma. 
Giudicò  poi  che  mal  s*  apprenda  Insieme 
Il  liquido  col  liquido  commisto  ; 
E  si  mescoli  mc^io  '1  molle  e  '1  denso. 
Come  addivlen  a  chi  fonde,  e  disface 

I  metalli  diversi  e  lor confonde. 

Che  lo  sugno  e  Fargento  in  un  condensa. 
Altri  di  più  sublime  e  chiaro  ingegno. 
Che  fu  maestro  di  color  che  sanno, 
Qnant'  in  mille  sue  scole  insegnaci  mondo, 
Della  steriliti  piuttosto  assegna 
La  più  vera  cagione  al  freddo  seme. 
Perch'  è  fredd* animale,  e  pigro  e  Urdo 
L* asino,  e  *ntollerante  al  freddo  verno. 
Però  di  Sclzia  nel  gelato  dima 
Ei  non  ci  nasce  fra  le  nevi  e  il  gelo  ; 
Benché  tra*  Franchi  ei  nasca,  e  fra*  Brìtan- 
E  dell*  asino  nato  è  freddo  il  mulo,   {ni. 
Però  sembiante  al  padre  il  freddo  seme 

II  figlio  non  produce  in  freddo  grembo; 
Ma  s*  addita  talor  per  raro  mostro. 
Meravigliando,  della  mula  il  parto. 

E  *1  mulo  ancor,  quando  selt'  anni  ei  coni- 
Si  mesce  alla  giumenta,  ed  ella  espone  [pie 
Nuovo  portito  del  mirabil  figlio. 
Ma  dove  ardente  Sol  la  Siria  accende 
Sovra  Fenicia  gii  ne'  tempi  antichi 
Solean  le  mule  partorir  sovente, 
E*  de  muli  nasce  an  sembianti  1  muli  : 
Talché  passò  negli  ultimi  nipoti 
La  memoria  degli  avi ,  e  lungo  tempo 
La  bastarda  progenie  'n  pregio  fue. 
Or  mancata  é  la  stirpe ,  e  spento  *1  nome 
Tra*  nuovi  Siriani  e  tra*  Fcnid , 
Né  vantar  se  ne  può  Sidone ,  o  Tiro. 
Nascer  soleva  ancor  ne*  primi  tempi 
Di  cavallo  e  di  cervo  il  figlio  misto. 
Che  prendeva  Tonor  di  lunga  chioma, 
E  di  vaghe  ramose  altere  coma 
D*  entrambol  suo*  parenti  insieme  aggiun- 
Illegittimo  si ,  ma  bello  e  grande        [ti  : 
Mlrabll  figlio,  e  leve  e  pretto  al  corso. 


SACRL 

!  E  poi  crescendo  gli  pendeva  al  mento, 
'  Pur  come  barba  fosse,  il  lungo  vello. 
Fra  gli  AiaceU  gii  1*  antiche  selve 
Libera  già  pascendo  errante  fera , 
Dove  pascer  solcano  i  buoi  sdvaò(i  • 
Con  muso  adunco,  e  con  ritorte  coma , 
Con  nero  pelo,  e  con  robuste  membra. 
Or  non  so  chi  la  veggia ,  o  dove  appaia. 
Benché  ne*  diml  algenti ,  orridi  boschi 
Sogliano  anco  nutrire  1  buoi  sUvestrì , 
E  sian  fra  noi  famosi  e  gli  uri  e  Talee. 
Ma  del  cavallo  e  del  corrente  cervo 
Par  che  non  sia  più  noto  *1  misto  figlio; 
Né  *1  feroce  destrier  si  giunge  al  pardo 
In  guisa  tal  che  ne  veggiamo  *l  figlio. 
Siccome  11  rimirò  Tetà  vetusta  : 
Tanto  Tonor  della  bastarda  prole 
Manca,  volgendo  gli  anni,  e  *1  nome  e  *1  grì- 
Equest*awien,  perché  fatture  ed  opre  [do: 
Non  fur  di  quel  celeste  etemo  Fabbro, 
li  qual  perpetue  fé*  le  varie  stirpi 
Degli  animali ,  e  le  rinnova  e  serba. 
Mancate  son  ancor  l'estranee  e  miste 
Forme  confuse  d'animai  ferod. 
Che  press*  a'  fiumi  accoppia  Affrica  adusta, 
D'orribil  vaniti  fiera  e  superba, 
0  van  mancando  :  che  serbarsi  In  vita 
Lungamente  non  può  di  vario  seme 
La  progenie  illegittima  ed  inceru. 
Sol  legittima  stirpe  é  quasi  etema. 
Siccome  piacque  al  suo  Fattor ,  creando. 

Ma  gii  vidno  all'alta  e  nobil  meta, 
A  cui  lasso  cursor  m* affretto  e  corro, 
Del  bonaso  m*av>-eggio,  e  dell'Iena 
Lasdata  addietro,  e  dell' orribll  fera. 
Che  r  ossa  umane  trae  d' oscura  tomba, 
E  la  voce  dell'  uomo  assembra  e  finge. 
Veggio  *1  rinoceronte  adunco  '1  naso, 
E  veggio  te ,  che  d'un  bel  corno  altero. 
Purghi  del  tosco  le  turbate  fronti. 
Veggio  che  fra  le  nevi  e  l'alto  ghiaccio 
Il  rangifero,  occulto  al  nostro  mondo. 
Porta  correndo  le  velod  rote. 
Veggio  miir altri,  e  nell'algente  Zona, 
E'n  quella  che  più  ferve  e  più  s'infiamma. 
Qui  non  visti  animai ,  ma  chiari  e  conti 
Per  lungo  grido  di  perpetua  fama. 
Ma  però  non  ritardo  '1  lento  corso. 
Gii  stanco  e  grave,  e  li  m*  appresso  e 

giungo, 
Dove  tra  le  fiorite  ombrose  piante , 
E  tra  mille  vaghezze  e  mille  odori , 
L' uoffi  creato  da  Dìo  m*  aspetta  e  chiama. 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Quale  esperto  figliuol ,  che'o  festa  e  'n 
Spaziò  per  città  calcata,  e  piena   [pompa 
Delia  minuta  errante  e  bassa  plebe; 
Se  Tede  alfine  in  più  sublime  parte 
Del  caro  padre  *1  venerato  aspetto. 
Là  dov'  adorno  di  lontan  rispiende 
Un  re  possente  di  corone  e  d'ostro; 
Sdegna  la  Tarla  turba ,  e  l'umil  volgo, 
E  là  ricovra ,  ove  l' alfida  e  'nvita 
Presso  all'altera  maesude  augusta 
Del  genitore  antico  il  lieto  cenno, 
0  pur  l'imperiosa  e  nota  voce  : 
Tal  per  questo  creato,  adomo  mondo, 
Cb'è  città  di  mortali  e  d'immortali 
Grande  e  sublime ,  in  cui  perpetue  leggi 
Son  prefisse  ab  etemo  al  viver  nostro. 
Por  dianzi  io  m' avvolgea  bramoso  e  vago 
Di  tante  meraviglie,  a  parte  a  parte 
Tutte  cercando ,  e  rimirando  intorno  : 
Onde  fermai  talvolu  i  tardi  passi 
Fra  gli  animai ,  che  son  l' ignobll  volgo. 
Or  che  mi  s*  offre  in  venerabli  fronte 
Nel  Paradiso  il  Genitor  vetusto 
Non  diviso  anco  dal  suo  Re  sublime, 
Obbllando  tutt' altro,  a  lui  mi  volgo, 
Ed  odo  voce  che  nel  cor  rimbomba. 
Non  già  da  statua  del  bugiardo  Apollo, 
0  da  ruvida  quercia  o  da  spelonca. 
Né  d'Idolo  scolpito  in  legno  o  in  marmi. 
Ma  sin  dal  Cielo,  e  ben  celeste  assembra  : 
Uom,  conosci  te  stesso,  o  santa  scorta. 
Che  per  questo  sentiero  a  Dio  conduci. 
Perchè  la  nostra  mente  a  Dio  s'indahca 
Sovra  sé  stessa  e  lui  conosce  e  'ntende. 
Né  contemplando  i  bei  stellanti  chiostri , 
E  '1  gran  giro  del  Sol ,  che  tutto  illustra, 
Co^  possiam  nell' invisibil  luce 
Conoscer  U  gran  Dio  che  fece  '1  mondo  ; 
Come  dal  contemplar  la  nostra  mente 
A  conoscer  la  sua  leviamo  in  alto 
L'ali  del  pronto  e  fervido  pensiero. 
Che  non  si  ferma  negli  umani  obbietti. 
Ma  qual  luce  degli  occhi ,  ove  si  giri , 
Ore  si  fermi,  ivi  rimira  e  scorge 
Prati ,  selve ,  campagne  e  mari  e  fiumi. 
Aspri  monti ,  erti  poggi  ed  ime  valli  : 
Pur  non  vede  sé  stessa  ;  e  'n  chiaro  speglio 
Sol  di  sé  può  veder  la  vera  Immago  : 
Tal  mente  umana ,  che  tutt' altro  intende. 
Quanto  di  fuor  di  lei  dipinge  ed  orna 
La  mano  e  l'arte  del  gran  Mastro  eterno  ; 
Non  Intende  sé  stessa,  e  non  conosce 
Quel  eh'  ella  sia ,  se  non  s' Illustra  al  Sole 


DEL  MONDO  CREATO.  169 

Di  verità ,  quasi  cristallo  ardente  : 
Ed  illustrata  non  rimira ,  e  guarda 
Come  in  ispeglio  pur  la  propria  forma, 
E  quel  Signor,  che  della  propria  immago 
La  fece  adoma ,  e  di  beltà  sembiante. 
S' ella  adunque  é  di  macchie  orride  asper* 
Tergasi,  e  puro  in  sé  raccoglia  '1  raggio  [sa. 
Delia  Divinità,  che 'n  lei  fiammeggia. 

Poich'ebbe  fatti  gli  animai  terrestri, 
L' opre  sue  buone  Dio  conobbe ,  e  disse  : 
Facdam  noi  l'uom,  com'è  la  nostra  Imma- 
Simil  a  noi.  Fece  la  Terra  e  '1  Cielo,  [go. 
Pur  dianzi  e  *1  Sole  e  gli  stellanti  chiostri; 
Né  chiese  aiuto,  o  dimandò  consiglio , 
Ed  or  creando  l'uomo  ei  si  consiglia  ; 
Tanta  opra  fu  !  Giudeo  protervo  ed  empio^ 
Odi  la  voce  del  Signor,  che  parla. 
Ed  a  chi  parla?  a  sé  mcdesmoe  seco. 
Tu ,  che  di  verità  sol  vedi  '1  lume. 
Siccome  per  finestra  acceso  raggio , 
Ritroso  e  rìbellaiìte  ancor  repugni? 
Né  tre  varie  persone  In  Dio  conosci , 
Quasi  sotto  un  bel  velo  a  noi  dimoslre? 
Qual  sollecito  mai  notturno  fabbro, 
0  qual  maestro  di  men  nobil  arte, 
Solo  sedendo  fra*  suo'  propri  ordigni. 
Là  dove  nlun  altro  insieme  adopra. 
Dice  a  sé  stesso ,  e  sé  medesmo  affretta 
Con  importuno  e  frettoloso  impero: 
Facciam  la  spada ,  o  pur  l'adunca  falce 
Facclamolmmantinente,o'lcurvoaratro? 
Ciance  son  quélte,  anzi  calunnie  espresse 
DI  falsa  lingua  alle  menzogne  avvezza; 
E  s'infinge  '1  Giudeo,  mentre  figura 
A  sé  medesmo  pur  mentite  larve. 
E  come  orride  belve  all'uomo  infeste. 
In  angusta  prigion  ristrette  e  chiuse. 
Non  potend* adempir  l'ardente  rabbia. 
Fremono  in  quel  serraglio,  e'n  fero  suono 
Dimostran  l'amaror  deli'  Ira  accolto , 
E  la  natia  lor  ferìtate  interna  : 
Cosi  gii  Ebrei  sospinti  a  passi  angusti 
Osano  d'affermar  che  '1  Padre  eterno 
Con  gli  Angeli  ragioni  in  questa  guisa. 
Con  gli  Angeli,  che  stanno  a  lui  d'intorno  ; 
E  gli  Angeli  ministri  all'  opre  Inviti. 
Quasi  egli  chiami  del  consiglio  a  parte 
I  servi  suoi, che  sono  ail'uom  conserti, 
E  gli  faccia  signori  in  sì  grand' opra. 
In  cui  l'uomo  è  creato  a  Dio  sembiante. 
Qual  magistero  al  suo  maestro  eguale 
Esser  potrebbe?  oh  sorda  e  cieca  mente« 
Oh  sciocchezza  e  follia  d'alma  profana  I 
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170  POEBU 

Molli  seni  raccorre  «  e  fargli  degni 
DI  tant* officio,  e  rifiutare  *!  Figlio? 
Pensa  a  quel  che  poi  segue:  A  nostra  Immi- 
L'uom  facciam.  Forse  unlmmagin  sola  [go 
Ha  con  gli  Angeli  Dio?  come  una  forma 
ktessa  è  necessaria  al  Padre  e  al  Figlio? 
Ma  nell*  uomo,  ed  In  Dio  r  alta  sembianza 
Non  è  figura,  o  qualità  del  corpo, 
Ma  solo  è  proprio  aDa  divina  mente 
L'immago,  onde  V  umana  ancor  sMnforma 
E  'n  tre  potenze  interne  Iddio  figura. 
Perchè  siccome  Dio  sé  stesso  intende , 
E  sé  stesso  intendendo,  ama  sé  stesso  ; 
E  quinci  nasce  V  Intelletto  etemo  ; 
Ed* ambo  quinci  e  quindi  etemo  Amore 
Spira  ;  e  tre  lumi  sono,  e  non  tre  Dei , 
lui  tre  persone  in  un  sol  Dio  congiunte  ; 
Così  la  nostra  mente  io  noi  produce 
La  coloniale,  e  la  memoria  appresso 
Di  questa,  e  quella  si  figura  e  forma: 
Io  guisa  tal,  die  la  natura  umana, 
Bencir  una  sia  da  tre  virtù  distìnta. 
In  sé  dimostra  la  diviua  immago. 
Ed  in  sé  stessa  Dio  conosce  ed  ama. 
Fece  ancor  somigliante  il  Padre  eterno 
L*  anima  e  la  ragion,  eli*  è  i*  uomo  esterno 
A  sé  medesmo ,  di*  é  divino  amore. 
E  dell'esterno  Adam  vestilo  intorno, 
U  tenne  occulto  »  e  ricoperto  a*  sensi. 
E  si  perdi*  egli  è  buono  e  saggio  e  giusto, 
Pietoso  e  forte  in  tollerar  gii  oltraggi , 
Lunga staglon  ne  soffre,  e  non  s* affretta 
A  vendicarsi  ;  e  poi  si  placa  e  molce. 
Tale  ei  creò  i*uom  primo,  e  'l  feo  sembiante 
Nel  puro  amor,  eh'  è  la  virtù  primiera , 
E  d*ogm  altra  virtù  divina  e  sacra 
Impresse  In  lui  mirabilmente  i  segni. 
Come  *i  pittore  alia  sua  l>ella  iounago 
Col  suo  leggiadro  sili  colori  e  lumi 
Vari, e  diversi  ognora  aggiunge  e  sparge; 
Ed  ombreggiando  anco  le  va  d'inioroo. 
Sin  eh*  è  perfetta  la  figura  e  1*  arte  ; 
Cosi  *i  Pittor  di  nostra  umana  mente 
Colorò  Tahiia  e  de*  suo*  raggi  Illustre 
TMU  la  fece,  e  dd  color  distinto  [lumi. 
Sempre  accrescendo  a  lei  splendori  e 
E  come  lo  scultore  al  bianco 
Col  doro  ferro,  e  toglie  sempre,  e 
Quel  eh* è  soverchio,  e  daU*  iodsa pietra 
Spira  alfin  quasi  \iva  e  vera  forma; 
Cosi  togliendo  alla  materia  *1  Fabbro 
Odia  nalwa  glorioso ,  eterno, 
fiadch'avea  di  più  doro  e  di  terrestre,    I 


SACRI. 

L*  uman  sembianle  in  viva  terra  i 
Talché  divenne  l'uom  seml>lanle  1 
Deffa  DiviniU,  che  *n  Dio  rìspleide. 
Ma  quel  colori,  e  la  mirabll  luce 
D'altri  falsi  colorì  asperge  e  myyMf 
La  progenie,  di*ognor  traligna,  e  perde 
Le  sue  prime  sembianze  e  tutto  adombra. 
Talché  Dio  non  somiglia,  e  quasi  Msciahra 
Pittura  tinu  col  pennd  d*  Avemo; 
Ed  affumata  in  Flegetonte  o  in  Lde, 
La  nostra  umaniUi  macchiaU  e  lorda. 

Dunque  in  sé  stesso  l*uomo  ornai  eooosca 
Contaminate  le  divine  forme. 
E  mentre  può,  si  ripulisca  e  terga,  [corpe; 
E  sempre  all'  alma  aggiunga,  e  togUa  al 
Perché  simll  si  veggia  al  primo  esempio, 
E  Tuom  figliuolo  al  Re  del  Od  si  mostri, 
E  degno  erede  dd  celeste  Regno. 

Poi  benedisse  Dio  la  cara  hnms^ 
Di  sé,  da  sé  creata,  e  disse  appreso: 
Crescete  In  numerosa  e  bella  prole  : 
Riempite  la  terra ,  e  lei  soggetu 
Fate  ali*  arbitrio  vostro,  al  vostro  Impero. 
Signoreggiate  in  mar  gli  umidi  pesci, 
E  ne'  campi  dell'aria  i  vaghi  augelli, 
E  qualunque  animai  si  move  in  terra. 
Soggetto  sia  non  meno  al  vostro  regno. 
In  questa  guisa  tu  creato  appena, 
Uom,  creato  re  fosti,  e  l'alto  impero, 
E  la  sublime  potestatc  impressa 
Nou  ti  fu  data  in  secco  o  fragil  legno, 
0  nelle  pieghe  pur  di  breve  carta , 
Perché  la  rodaalfìn  putrido  venne: 
Ma  la  Natura  scritta  in  sé  rìscrba 
L'alta  voce  divina,  e  'i  chiaro  suono. 
Comandi,  e  '1  ualurale  e  giusto  impero 
In  terra  estenda,  e  dcntr'al  mar  sonante, 
E  nel  sublime  ancor  deli'  aria  vaga. 
Imperioso  tu  nascesti  in  prima  ; 
Or  perché  dunque  servi  a'  propri  afletti , 
E  la  tua  dignità  disprezzi  e  perdi , 
Ligio  ornai  fauo  dd  peccato  e  ser>o? 
Perché  te  stesso  prlgionier  cattivo 
Fai  di  Satanno,  in  sue  catene  avvolto. 
Se  gii  nascendo  sei  prìndpe  detto 
Delle  cose  creale,  e  re  terrestre? 
Perché ,  quasi  gettando ,  a  terra  spargi 
Quel  eh' ha  nostra  natura  In  sé  più  degno 
Di  riverenza  e  di  sublime  onore? 
Qual  all'Imperio  tuo  prescritto  hi  terra 
É  fine?  o  pur  nell*  aria,  o *n  mar  profondo  ? 
Se  ben  te  stesso  e  lui  misuri  e  scorgi. 
Non  hai  tu  peone  da  volar  nd  dclo; 


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LE  SETTE  GIOHNATE 
lUrardiUi  Ragion  nuUa  riUene. 
Qoesu  con*  ali  soe  trapassa  a  toIo 
MoB  por  delTaria  I  pia  TenCosI  campi. 
Ma  del  del  gn  steOantl  ed  aurei  chiostri. 
E  via  meo  capo  e  men  profondo  1  mare 
£  del  ano  peràgrìoo  e  vago  ingegno. 
Che  fa  spiando  dentro  a*  salsi  regni 
1  secreti  dell'onde  e  i  sensi  e  i  fondi 
E  le  soe  oocolte  meraviglie  :  e  quindi 
Vìttovioso  alfln  ritoma  In  alto , 
IH  saper  ricco  e  d'Immortal  tesoro. 
Cosi  per  arte  dell*  ornano  Ingegno 
Prende  tutte  le  cose  e  fa  soggette. 

E  disse  Dio  di  doto:  Ecco  a  voi  diedi 
Ogn'erba,  die  da  seroe  in  terra  sparso 
OermoglI,  ed  ogni  pianta.  In  coi  sembianza 
È  dì  soa  stirpe:  e  quinci  1  dbo  e  Fesca 
Avrete  t  e  *1  vitto  insieme  ancor  n*  avranno 
1  volanti  dd  del  sublimi  augelli , 
E I  più  gravi  animai ,  che  'n  sulla  terra 
Move  e  trasporta  1*  anima  vivente. 
£  'n  quesu  guisa  nell'antico  stato 
DeO* innocenza,  anco  innocente  1  dbo 
Non  macchiato  di  sangue,  o  d*empia  mprte 
Contaminato,  o  da  rapina  ingiusta. 
Fu  conceduto  all'uomo,  e  dato  insieme 
AB*  animai ,  che  senza  sdegno  ed  ira 
Era  soggetto  al  mansueto  impero. 
Iton  ucddeva  ancor  d*erba  nocente 
Mafigno  tosco ,  o  pur  d'orribll  angue. 
Ma  tutto  qud  che  producea  nel  grembo 
La  madre  terra  era  salubre  e  caro. 
I^è  tinto  ancor  s*  avea  l' artiglio  e  i  denti 
L'affamato  leone,  o'I  lupo,  o  Torso, 
Kè  l'avvoltolo  allor  da  corpo  estinto 
Cercava  1  dbo,  perchè  morto  ancora 
Non  era  alcuno ,  e  delle  morte  membra 
Non  era  ancor  molesto  e  grave  '1  lezzo: 
Ma  pascolar  ne*  verdi  erbosi  prati, 
In  guisa  di  canori  e  bianchi  cigni , 
E  siccome  veggiam  talvolta  i  cani , 
•Coi  la  Natura  è  mastra,  andar  pascendo. 


DEL  MONDO  CREATO.  171 

E  ritrovar  la  medicina  occulta  : 
Cosi  pascevan  quel  Ferbe  novdle. 
Ch'or  son  voraci  di  sanguigno  pasto. 
Non  si  faceva  ancor  ingiuria  in  cacda. 
Non  eran  tese  ancor  l'Insidie  ascose 
Alla  selvaggia  e  solitaria  vita. 
E  i  feroci  aoimali  ali' uomo  amid. 
Tutti  con  lieto  e  con  benigno  aspetto 
Piaddi ,  umili  Ivano  errando  intorno 
Ubbidienti  a  quel  si  giusto  Impero. 
Perchè  non  solo  re  d'orride  belve, 
E  di  serpenti,  o  pur  d'augei  sublimi ^    * 
E  di  volanti  In  mare  umidi  pesd 
Era  l'uom  primo  :  ma  signore,  e  donno 
Ne*  propri  affetti  avea  lo  scettro  e '1  regno, 
E  1  suo'  propri  pensier  teneva  a  freno. 
Saldo  e  costante,  imperioso  e  grave. 
Ma  polche  ribellante  al  santo  impero 
Del  Creator  sprezzò  l*  alto  dirieto; 
A  lui  mostrarsi  ancor  rit>e]ie  in  guerra 
L'orride  belve  :  e  le  caduche  membra. 
Che  strugger  poi  dovea  Torrida  morte, 
Altro  cibo  nutria  di  sangue  asperso , 
Cibo  mortale,  a'  miseri  mortali 
Dato  per  esca  in  men  felice  stato. 
Dappoiché  r  acque  nel  diluvio  accolte 
Ondeggiando  coprir  le  piagge  e  i  monlL 
Ma  perchè  l'uom,  divina  e  sacra  immago, 
L'aita  orìgine  prisca  anco  riserba; 
Non  perde  il  naturai  suo  primo  impero 
Sovra  le  fiere  :  e  può  con  giusta  legge , 
Anzi  con  giusta  e  conceduta  guerra. 
Fame  preda  e  rapina,  e  cibo  e  veste 
AUe  sue  faticose  e  dure  membra. 
Né  questa  legge  è  ingiuriosa  ed  empia , 
Ma  di  Natura,  anzi  del  Re  superno, 
Che  fece  serve  ali'  uom  l'orride  l>eive, 
E  le  gregge  e  gli  armenti  e  1  vaghi  augelli , 
E  gli  abitanti  ancor  del  mare  ondoso. 
Cosi  fu  fatto.  E  Dio  conobbe  e  vide 
L'opere  sue  perfette.  E  'i  sesto  giorno 
Ebbe  qui  fine,  ed  egli  in  sé  riposo. 


GIORNATA  I^TTUfA. 

KdU  qoale,  trattaodod  del  Giodicio  finale,  e  della  gloria  etema,  si  dimostra  il  fine  per  coi  fti 
da  Dio  creato  V  Uomo. 


Roma,  dappoi  die  *1  glorioso  impero 
Ebbe  disteso  dalT  Occaso  all'Orto, 
E  posto  1  freno  air  Aquilone  e  air  Austro: 
Al  j>opol  vlndtor  mirabii  vista 
DI  dno  teatri  In  on  sol  giorno  offerse, 


!  qua!  si  congfongean  volgendo  attorno  : 
Sicché  le  genti  In  Ìor  divise  e  scevre. 
Di  cui  r  una  pur  dianzi  all'  altra  parte 
SI  suva  occulta,  coir  unirsi  insieme 
Neil'  ampia  forma  <r  nn  perfetto  giro, 


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in  POEMI 

Sivider  tutte;  e  non  rimase  ascoso 
Alcun  di  loro ,  anzi  mirando  a  cerchio 
Bipieni  i  gradi  dell*  assisa  turba. 
Meraviglia  e  diletto  ebber  repente 
Pur  dell'aspetto  inusitato  e  novo. 
Ma  in  questo  eli'  allor  fece  *1  Mastro  eterno 
Gran  teatro ,  e  volubile  e  rotante , 
Ch'  anfiteatro  di  sua  gloria  assembra  ; 
Bench*una  spera  sola  in  sé  congiunti 
Duo  rinchiuda  diversi  ampi  emisperi , 
Pur  r  uno  all'altro  si  nasconde  e  cela. 
E  deir  opposte  in  lor  divise  genti 
Questa  mal  quella  non  rimira  o  scorge. 
E  gii  nulla  ne  'ntese,  e  *n  dubbio  *isse, 
Se  pur  altri  abiunti  avesse  'l  mondo, 

0  fosse  in  parte  solitaria  ed  erma 

La  terra  ignuda,  o  sott'  all'  onde  ascosa: 
Né  perchè  sempre  intorno  M  elei  si  volga, 
Sari  giammai ,  che  la  girante  scena 
Mostri  1  popoli  a  noi,  eh  'han  fissi  incontra 

1  lor  vestigi  nella  prisca  terra, 

0  noi  co'  nostri  alberghi  a  lor  discopra 
In  questi  quasi  pur  distinti  gradi. 
Per  cui  s' innalza  e  si  dechina  '1  polo. 
Ma  quel  che  far  non  può  voiubll  giro 
Di  UnU  cieli,  e  Infaticabil  corso. 

Fa  della  mente,  che  si  volge  e  riede 
In  8Ò  medesma,ii  rapido  pensiero, 
Gh'  è  quasi  un  suo  perpetuo  e  vario  moto. 
Perchè  dinanzi  a  lui  si  toglie  *1  velo 
Della  terra  interposU  ;  e  'n  Dio  mirando. 
Scorge  nel  suo  gran  lume  '1  mondo  accolto. 
Che  divien  quasi  angusto  all'alma  accesa. 
Che  fuor  del  mondo  è  ratta  ;  e  nulla  adom- 

1  popoli  co'  regni  a'  lumi  interni,      [bra 
Talché  ne'  gradi  lor  disposti  intorno 
Sol  contemplando,  il  pellegrino  ingegno 
Scopre  i  ferini  ed  ultimi  filarmi, 

E  scopre  insieme  gli  Etiopi  e  gì'  Indi. 
E  d' un  lato  gli  appare  '1  freddo  Carro , 
E  'l  pigro  Arluro;  e  pur  nel  tempo  islesso 
Altro  polo,  altri  lumi  Insieme  el  scorge. 
Non  perchè '1  mondo  a  luì  s'accorci  e  sirin- 
Ma  perché  la  sua  mente  in  Dio  s'avanza  [ga, 
E  divien  ampia  si ,  eh'  a  lei  soggetto 
L'universo  in  un  guardo  accoglie  e  mira. 
Come  già  vide  '1  benedetto  Padre, 
Ch'  all'  alto  elei  di  mille  accesi  lampi , 
Parte  seguendo  '1  suo  pensicr  sublime. 
Ricerca  pur,  s'ove  '1  Cultore  eterno 
Segnò  morendo  '1  luminoso  calle , 
li  Paradiso  a  maraviglia  adomo 
Facesse  :  e  'n  qual  estranio  ignoto  clima 


SACRI. 

Fiorìsser  le  felici  e  nuove  piante 
Quando  pria  fu  creato  '1  padre  Adamo. 
Era  dunque  compiuta  ornai  la  Terra, 
Compiti  i  cieli,  e  gli  ornamenti  e  i  fregj 
L'opere  di  sci  giorni  avean  distinte, 
E  quel  meraviglioso  alto  lavoro; 
Quando  cessando  Dio  d' opra  novella, 
E  del  crear,  ebbe  nel  di  seguente. 
Che  fu  settimo  giorno ,  alto  riposo. 
Né  fu  poi  Creator  di  nuova  prole  ; 
Ma  le  prodotte  conserTando  in  vita , 
Di  lor  prese  il  governo.  E  di  quetarsi 
Nelle  cose  create  a  lui  non  piacque. 
Già  fece  '1  cielo;  ed  acqueUrsi  in  cielo 
Non  prese  in  grado.  E  i  bei  stellanti  giri 
Fece;  e  col  vago  Sol  l'errante  Luna: 
Né  volle  riposar  nell'auree  stelle, 
0  nella  sfera  del  sovran  pianeta, 
Ovver  nel  cerchio  della  Luna  algente. 
Fece  la  terra  ancor,  eh' è  ferma  e  salda; 
Né  riposò  nella  gravosa  terra , 
Che  'n  sé  medesma  si  mantiene  e  giace. 
Dove  dunque ,  ed  in  chi  quiete  e  posa 
Ebbe  il  Fattor  di  cose  eteme  e  magne? 
Ben  è  ragion  che  le  cosunti  e  gravi 
Sien  quelle  sole,  in  cui  non  prenda  a  sde- 
DI  riposare  :  anzi  quiete  e  moto,     [gQO 
Non  fu  giammai  senza  la  stabil  parte. 
Però  sempre  si  muove  '1  elei  non  tardi 
Sovra  i  suo'  poli,  e  quinci  e  quindi  affissi^ 
E  non  si  moveria,  se  stabii  centro 
Ei  non  avesse  al  suo  perpetuo  corso. 
Onde  si  finge  '1  favoloso  Atlante, 
Che  'ntomo  a'  poli  opposti  il  ciel  rivolge, 
E  nella  ferma  terra  i  piedi  appoggia. 
E  gli  animali  ancor  mobili  e  vaghi 
Mover  non  si  potrian,  se  'n  lor  non  fosse 
La  stabil  parte  che  s'acqucu  e  posa. 
E  però  quella,  che  si  curva  e  piega 
Nel  movimento ,  é  lor  di  centro  In  vece. 
Dunque  se  mover  debbe  il  Motor  primo 
Non  sol  convenne  ch'egli  imniobil  fosse. 
Ma  che  'n  non  mobil  parte  il  moto  eterno 
Fermasse  ancora.  E  di  fermarlo  in  terra 
Ei  non  degnò.  Dove  fermollo  adunque  t 
Qual  delia  terra  é  più  costante  mole? 
Nell'uom  quetullo  e  l'uomo  ai  fin  dell' o- 
Volle  crear  perclié  cessasse '1  moto,  [prc 
E  so  moto  non  fu ,  l'arte  divina 
Restasse  di  crear  l' opre  moderne. 
Più  della  terra  adunque  è  l' uom  costante. 
Siccome  quei  che  dell'  eterno  esempio 
È  vera  immago ,  e  '1  suo  caduco  e  grava 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Spogliar  si  deve  ;  e  'ncoirattibil  forma 
RlTestendo,  lassuso  alfin  s'eterna 
Nella  quiete  d' invisibil  regno. 
In  questa  guisa  volle  Iddio ,  creando , 
Mostrar  delia  sua  morte  alto  mistero, 
Quasi  in  figura  ;  anzi  predir  da  lunge 
Ch'anzi  i  tormenti  della  morte  il  Figlio 
Dovea  nell'  uom  quetarsl  ;  e  'n  membra  u- 
A  guisa  di  mortale,  al  dolce  sonno  [mane, 
Conceder  gli  affannati  e  lassi  spirti. 
Dunque  s*  acquetò  Dio  nelP  uom  terreno  : 
E  l'uomo  in  sé  non  ha  quiete  o  pace? 
Non  ban  quiete  In  sé  gli  egri  morull  ; 
Ned  opra  di  Natura  in  sé  riposa. 
Ma  gira  '1  foco  nel  perpetuo  corso 
Del  ciel  sempre  inquieto,  e  sempre  vago. 
L'aria  agitata  da  contrari  Tenti, 
È  da  sé  stessa  ognor  divisa  e  sparsa. 
L'acqua  trascorre,  e  senza  pace  ondeggia. 
E  questa,  ch'a  noi  par  gravosa  e  ferma , 
Terrestre  mole  ancor  si  scuote,  e  crolla 
Da*  fondamenti  :  e  rulnose  atterra 
Le  cittadi,  e  le  terre  eguali  a'  monti, 
E I  monti  stessi;  e  scissa 'I  petto  e 'l  grembo, 
Talor  nelle  voragini  profonde 
Scopre  i  regni  di  Pluto  e  l  ciechi  abissi  ; 
E  l'ultima  ruina  altrui  minaccia. 

Ma  nel  suo  Creator  pace  e  riposo 
Han  le  create  cose.  E  'n  sé  medesmo 
Egli  s*acqueu:  né  d'esterna  gloria. 
Né  d'altro  ben,  fuor  di  se  8tesso,ba  d'uopo: 
Ch'é  sommo  bene;  e  con  riposo  etemo 
Governa  l*  immortai  felice  regno 
Ld,  've  dal  travagliar  ne  cliiama  a  parte. 
E  se  'n  terra  nel!* uom  queUrsl  elvelle. 
Fu  perché  l'uomo  in  Dio  s'acqueU  alfine. 
Però  quand'egli  in  si  mirabil  tempre 
L'umanitade  al  suo  divin  congiunse. 
Pose  alla  vita  faticosa  e  stanca 
in  sé  medesmo  alfin  dolce  resUuro. 
E  gloria  e  grazia ,  onde  s' adempie  e  bea 
Nostra  natura  d' esaltar  cotanto , 
In  lui  si  vide.  Adunque  'I  sesto  giorno 
All'opre  nove  fin  sul  vespro  impose. 
Né  poi  nova  progenie,  o  nova  stirpe 
Egli  dovea  creare.  E  ben  convenne 
Che  del  gran  mondo  producesse  '1  parto, 
E  di  tutte  le  specie  in  lui  raccolte, 
Col  numero  di  sei,  ch'é  più  fecondo. 

Ma  dica  quel  eh'  ha  la  scienza  e  V  arte 
Del  numerar,  com'è  pregnante  il  sei; 
E  nelle  parti  sue  perfetto  e  pieno. 
Generar  poi  di  5è  varie  figure 


DEL  MONDO  CREATO.  173 

Di  numeri  egli  possa  :  e  tutto  aggiunga 
Qò  che  nelle  sue  scole  insegna  '1  mondo. 
Dicavi  ancor,  com'è  infecondo  il  sette, 
Pcrocch'egli  di  sé  nulla  produce  ; 
E  di  nulla  é  prodotto;  e  poi  sen  vanti, 
Com*  ei  farla  di  gran  tesoro  occulto. 
Or  tralasciam,  quasi  sprezzando,  addietro 
Quello ,  onde  tanto  va  gonfia  e  superba 
Mondana  sapienza  ;  e  sol  ci  caglia 
Dell*  uso  de'  fedeli  antico  e  sacro. 
Onde  al  settimo  di  s'aggiunse  onore. 
L' onoraro  i  Giudei  nel  sesto  giorno , 
Quando  lieti  innalzar  frondose  tende  ; 
E  ricovrar  sott'  a'  selvaggi  alberghi. 
E  l'onorar  nel  di  famoso  ancora, 
Che  per  le  trombe,  e  celebrata  pompa, 
E  sonoro ,  e  festante,  e  pregio  al  sette 
Non  men  degli  altri  11  di  propizio  accrebbe. 
E  '1  settimo  anno  fra  gli  antichi  Ebrei 
Fu  d'ogni  riverenza  e  d'onor  degno. 
Perché  ne'  sei,  cli'eran  trascorsi  avanti. 
Lecito  era  a  ciascun  fender  la  terra 
Col  duro  aratro,  e  ne'  solcati  campi 
Sparger  con  larga  mano  11  fertil  seme: 
Ma  nel  settimo  poi  contento  e  pago 
Ei  raccogliea  dal  non  arato  grembo 
Sol  quanto  volontaria  ella  produce. 
E  sei  anni  serviva  '1  prisco  Ebreo  : 
Libero  da  fatica  e  da  servaggio 
Era  '1  settimo  poscia.  E  '1  duro  giogo 
Degli  Assiri  superbo  oltra  l'Oronte, 
Oltra  r  Eufrate  in  Babilonia  oppresse 
Anni  settanta  1  miseri  cattivi, 
E  nove  appresso,  e  candida  rifulse 
L' antica libertade  al  popol  servo. 
Quando '1  sette  col  dieci  ha  pieno '1  giro. 
Or  trapassiam  senza  dimora  a*  nostri. 
Ben  sette  volte  il  di  cade  e  risorge 
11  giusto  cui  d'Adamo  11  grave  incarco, 
E  la  natura  sua  caduca  atterra , 
Ma  la  grazia  '1  solleva;  e  'n  questa  guisa 
Di  tal  numero  noi  consorti  andremo. 
Settimo  Enoch  dal  genilor  primiero 
Morte  non  vide  :  e  '1  gran  mistero  adombra 
Questa ,  eh'  or  vive,  ed  all'  impero  estinto 
Sorvive  ancor  Chiesa  immortale  e  santa, 
E  settimo  Mosé  dal  padre  Abramo 
Prese  la  legge,  e  la  cangiala  vita, 
L*  Iniquità  scacciata,  e  '1  varco  aperto 
Alla  giustizia  ;  e  Dio,  eh'  a  noi  discende 
Con  membra  umane,  ef'av^icina  e  giunge, 
E  più  santa  virtute  insegna  al  mondo 
Mln^Umente,  e  nova  legge  apporu, 


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174  POEMI 

Pur  daNosè  son  figurati  In  parte. 
Ed  aggiungendo  pure  al  diece  n  sette, 
E  sette  appresso,  dal  vetusto  Adamo 
n  Figlio  di  Maria  prodotto  apparve. 
E  poi  conobbe  ancora  *1  vecchio  Pietro 
Dei  numero  del  sette  aito  mistero , 
Cile  di  perdono  e  di  quiete  è  segno,  [  to. 
Ma  noi  conobl>eappien,che  dubbio  e  *ncer- 
Prima  ne  pane,  e  poscia  el  pur  l'intese. 
Che  rivelollo  il  suo  Signore  e  Mastro, 
Lo  quale  in  perdonando  aperse  *i  grembo 
Delie  sue  grazie,  e  de*  tesori  etemi: 
Né  sette  volte  sole,  anzi  setunta 
Sette  flato  a  perdonare  insegna. 
Onde  alla  pena  di  Caino  ingiusto, 
E  già  macchiato  dei  fraterno  sangue, 
U  perdono  di  Pietro  allor  risponde. 
Quasi  dall'  altra  parte  il  fallo  opposto. 
Ma  *1  pcrdon  del  Signore  adegua  e  passa. 
Di  Lamech  condannato  antica  colpa  : 
Perchè  di  leve  error  perdono  angusto 
Par  che  si  dia  :  ma  se  '1  peccato  abbonda, 
Ivi  la  grazia  oltra  misura  avanza. 
Ed  a  chi  molto  si  perdona  e  'ndulge. 
Molto  concede  di  fervente  amore 
Quel  eh* è  verace  amante  e  non  s'infinge. 
È  di  perdono  adunque  e  di  riposo 
Segno  '1  settimo  giorno,  in  cui  cessando 
D  Padre  etemo,  di  cessare  esempio 
Diede  all'antico  Ebreo,  ch'ìndamo  or  cessa 
D'opre  e  di  fede  neghittoso  e  tardo. 
E  quel  settimo  di  mattino  ed  all>a 
Ebbe,  né  vide  poi  la  sera  II  vespro,  [giorno, 
Ch' ancor  non  giunge,  e  non  adombrali 
Lo  qual  s'Illustra  di  perpetua  luce. 
Ma  le  veci  del  tempo,  e  *1  corso  e  1  girl 
Chiudono  1  nostri  di  fra  mane  e  vespm , 
In  cui  ciascuno  ancor  s' adopra  e  cessa , 
Ed  al  riposo  le  fatiche  alterna , 
Insin  che  giunga  spaventoso  in  vista 
Quei  che  dee  consumar  la  terra  e  'I  delo, 
Settimo  giorno  minacciato  innanzi 
Orribilmente.  Allor  le  mura  eccelse 
IH  questa  luminosa  antica  mole 
Espugnate  faranno  alte  mine, 
E*!  foco  vinci lor,  pre<lando  intomo 
Gli  umidi  regni,  e  1  già  fumanti  e  negri 
Campi  della  fervente  arida  (erra , 
Parrà  che  tutto  abbia  converso  in  fiamma: 
Sicché  appena  dei  mondo  omai  disfatto 
Vedransl  l'arse  e  *ncenerite  spoglie. 
Quasi  trofeo  della  Giustizia  etema. 
Ma  od  princìpio  deU*  orribU  giorno, 


SAGRI. 

In  aspettando  I  nrinacdatl  InceiKlJ, 
Nozze  non  si  faran ,  né  liete  pompe; 
E  non  si  cambleran  le  care  merd 
Frarindoo*lMauro,o  fra  lo  SdU  i 
E l' Etiopo  :  anzi  1  timore  adusto, 
Né  la  coltura  de*  fecondi  campi 
De'  mortali  sarà  studio  e  fatica. 
Ma  d' un  novo  stupor  la  terra  ingombra 
Attonita  parrà;  parran  tremanti 
Tutte  l*opre  di  Dio  create  in  prima , 
Per  l'improvviso,  insolito  spavento. 
E  1  giusti  ancor  della  sentenza  estrema 
Timore  avranno.  Allora  il  padre  AbnoB» 
Temerà,  non  di  foco,  o  di  tormento. 
Ma  del  grado  d' onore,  a  cui  sortiUo 
La  provvidenza  del  suo  Re  supemo: 
E  'n  qual  ordin  de'  giusti  a  lui  riserbi 
La  Giustizia  divina  i  premj  e  '1  loco, 
0  sia  '1  primo,  o  '1  secondo,  o  siasi  *1  temo. 
E  'i  Re  del  del  foigoreggtando  in  alto 
Dìmostrerassi  in  bianca  nube  accolto. 
E  come  nube,  ch'é  8quarcÌaU,ovelo« 
Icidi  a  lui  dinanzi  aperti  e  scissi 
Vedrand  rivelar  l'alu  possanza. 
E  mille  appariranno  e  mille  ardenti 
D' eserdto  divin  falangi  e  squadre , 
Risplendendo  lassù  di  luce  e  d'arme. 
Fiammeggerà  coli' oro  il  fino  elettro 
Entr'alle  spaventose  oscure  nubi  ; 
E  vedransi  ir  vagando  a  nembo  a  nembo* 
E  più  di  tuoni  spaventod  udransl 
Terribilmente  le  canore  trombe. 
Crollati  e  scossi  i  bei  stellanti  chiostri 
Tremar  tutti  vedransi  al  gran  rimbomba. 
Tremerà  nell'orror  confusa  evinta 
La  Natura  creata;  avran  temenza 
Gli  Angeli  stessi,  e  riverenti  in  alto 
Al  fulminante  Re  staranno  intomo. 
Qual  re  de*  Persi  mai,  d'Assiri  o  d' Ina, 
Si  coronato  fu  d'orride  schiero 
Entr*  a  presa  città,  che  '1  foco  e  '1  sangue 
Correndo  inonda,  e  orribilmente  'ngom- 
E  di  redse  membra,  e  di  cosparte    [  bri  • 
Ruine  '1  ferro  ancor  riempie  e  colma? 
0  qual  immago  d'illon  superbo. 
Che  fu  dal  greco  ince odio  arso  e  conibuito: 
Qual  dell*  imperiosa  alta  Cartago 
Ruinosa  caduta,  o  di  Corinto, 
0  di  Numanzia  pur  mina  e  scempio  ; 
Qual  di  tutti,  dich*Ìo,  confusa  e  mista 
Lagrimosa  e  sanguigna ,  orrida  immago 
Potrà  rassomigliarsi  al  già  distrutto 
Entr*  a  fumanU  incendU ,  e  vasto  i 


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LE  SETTE  GIOAMATE 
Che  di  aè  steaso  a  sé  fiat  rogo  e  tomba? 
AUor  npiH  fiano  a  toIo  i  giusti , 
£  le  nubi  aaran  carri  TolaiUi , 
C^  parterangU,  e  i  duci  Angeli  eleUi, 
D'auiigain  vece  al  nubiloso  carro 
Qasaui  lari  Teloce  ed  alto  il  corso. 
Ri^lenderan  come  lucenti  stelle 
Allora  i  giusti.  E  dal  gravoso  pondo 
De*  lor  peccati,  e  di  lor  colpe  avvinti , 
Cadranno  i  rei  nel  precipizio  eterno 
Oppressi:  e  non  sarà  cb'indi  risorga 
Alcun  giammai  dall'odioso  incarco. 
O grande,  spaventoso,  orrido  giorno! 
E  fia  pur  ver  eh' abbia  mattino  ed  alba? 
Né  fine  imponga  a  tan l'orrore  11  vespro? 
Ower  termine  fia  pur  anco  affisso 
A  quel  |ran  di  de'  premj  e  delle  pene , 
In  quell'ultima  sera?  E  nova  luce 
Risplenderà  meravigliosa,  etema 
Nel  giorno  ottavo,  onde  le  menti  illustri 
Qual  Roma  già  famosa ,  e  nobii  opra 
Del  gran  Quirino  e  del  nipote  Augusto, 
Del  novo  imperio  fondatore  e  padre  ; 
Da  barbarica  man  percossa,  e  vinta 
Cadde  in  sé  stessa,  e  fra  mine  e  morti , 
Io  sé  medesma  poi  sepolta  giacque; 
Col  vicario  di  Cristo  indi  risorse 
Più  bella  agli  occhi  della  mente  intema, 
E  maggior  di  sé  stessa,  anzi  del  mondo. 
Che  capace  non  è  del  santo  e  sacro 
Tuo  regno  già  fondato  in  salda  pietra: 
Tal  (s'agguagliar  si  può  la  parte  al  tutto) 
Avrà  suo  fin  questa  caduca  mole 
Dell'universo,  e  col  girar  del  tempo 
n  girevol  teatro  a  terra  sparso 
Cader  vedrassi  iu  cenere  e  'n  faville: 
Poi  rilauo  sarà  dal  Fabbro  eterno; 
E  risorgendo  in  più  mirabii  forma. 
Non  Ù»  soggetto  al  variar  de'  lustri  ; 
Né  mal  più  temerà  mina  o  crollo. 
Ma  questo  ora  del  del  volubil  tempio 
Fermo  sarà  col  Sole,  e  '1  torto  corso 
Fermo  ancor  fia  dell'alte  stelle  erranti. 
Talché  i  beati  avran  costante  albergo 
Là  dov' etema  fia  pace  tranquilla, 
E  non  commossa  da  tempesta  o  turbo. 
Pura invisibil  luce,  e  stabil  giorno. 
Cui  termine  non  fia  l'orrida  notte. 
Né  correr  si  vedrà  da  mane  a  vespro  ; 
E  non  avrà  coli' ombra  il  giro  alterno. 
Né  con  varia  stagion  vicenda  e  corso  : 
Ma  premio  avran  lassù  le  nobili  alme , 
Di  riposo  e  di  gloria  in  un  congiunte , 


DEL  MONDO  CREATO.  ]7S 

E  fia  somma  quiete  11  sommo  onore. 
Là  dispensate  fian  corone  e  palma  * 

A'  gloriosi ,  e  seggi  alti  lucenti.  '^ 

E  quei,  che  guerreggiaro  in  lunga  guerra, 
Quant'é  la  viu  de'  mortali  erranti 
Sovra  la  terra ,  e  riporur  vincendo  : 

Dal  nemico  Satanno  in  duro  campo 
Mille  vittoriose  e  sacre  spoglie , 
Lassù  vedransi  trionfando  a  schiera 
Nel  gran  trionfo  eterno,  e  '1  gran  vessillo 
Coronati  seguir  del  Re  possente 
Degli  altri  regi.  E  la  divina  destra 
In  quel  d' eternità  lucido  tempio. 
Onde  precipitando  angel  rubello 
Cadde,  sospenderà  le  spoglie  eccelse, 
E  i  trofei  della  Croce.  0  lieto  giorno. 
Giorno  sacro  e  felice,  in  cui  s'eterna 
Da  pompa  trionfai ,  la  gloria  e  '1  canto 
E  la  quiete.  Allor  quiete  e  pace 
Avran  le  menti  rapide  e  rounti, 
Qi'  han  sì  vari  i  pensicr,  sì  vario  '1  moto: 
Ed  or  fuor  di  sé  stesso  un  dritto  corso 
Fanno,  alle  cose  pur  caduche  e  basse 
Quasi  inchinando,  e  con  distorti  giri 
Corron  talvolta  oblique  ;  e'n  sé  medesme 
Si  rivolgon  talora  ,  o  fanno  '1  cerchio, 

0  'ntorao  a  quel  divino  immobìl  centro. 
Di  cui  l'anima  vaga  é  quasi  sfera. 

E  di  Fortuna  ancor  l'instabil  rota 
Ferma  allor  fia,  s'ella  col  Ciel  si  volga. 
Riposo  ancora  avranno  1  nostri  affetti , 
Che  'ncontra  la  divina  eccelsa  mente 
Fanno  ritrosi  passi ,  e  torto  calle , 
Siccome  opposti  al  più  sublime  cielo 
Soglion  volgersi  ancor  Giove  e  Saturno, 
E  la  stella  di  Marte  e  di  Ciprigna. 
E  giusto  é  ben  che  s' allor  fine  avranno 

1  moti  delle  stelle  erranti  e  fisse , 
L'abbiano  quegli  ancor  di  mente  e  d'alma 
Umana,  ch'assembrar  del  cielo  '1  corso. 
Tutti  avran  pace  allor  nel  fisso  punto 
Della  Divinità.  Riposo  eterno 

Sarà  l'intender  nostro  e  '1  nostro  amore. 
Che  'n  tante  guise  ora  si  varia  e  cangia, 
E  con  tante  volubili  rivolte. 
Riposo  eterno  fia  la  grazia  e  '1  merlo, 
E  'n  seggio  eterno.  Or  chi  fra  noi  s'aUempa 
In  aspettando  '1  giorno,  e  soffra  e  speri, 
E  del  tempo  e  del  Fato  i  duri  colpi 
Vinca  sol  tollerando ,  e  giusto  oltraggio 
Faccia  alia  displeuu  orrida  Morte,  [pio 
E  mentre  il  gran  Qemente  al  primo  esem- 
La  Chiesa  informa,  ed  all'Idea  celeste. 


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176  POEMI 

Seco  ciascuno  ancor  nel  puro  tempio 
Della  mente  serena  Iddio  raccoglia  ; 
E  gli  figuri  il  simulacro  interno 
Di  sua  pietà.  Sia  1*  alma  il  sacro  altare  ; 
Vittima  r  innocente  acceso  core  ; 
Amor  di  carità  sia  foco  e  fiamma: 
Così  prepari  in  sé  I*  interno  albergo. 
Pur  volubile  ancora ,  e  pur  costante 
Ne'  giri  incerti,  insin  die  *i  nudo  spirto 
Voli  a  quella  sublime  eterna  reggia , 
Là  dov*è  *i  sacerdozio  aggiunto  al  regno. 
Ma  dove,  oh  dove  mi  trasporta  *1  corso 
Del  fervido  pensier?  dal  giorno  estremo 
Torniamo  a  quello,  in  cui  creato  in  prima 
Fu  dal  celeste  il  gcnitor  terreno. 
Dio  sparsa  non  avca  la  pioggia  ancora 
Sovra  r arida  faccia,  e  *1  secco  grembo 
Dell'ampia  terra  ;  e'I  buoncultorde*campi 
Nato  non  era  faticoso  air  opre. 
Ma  sorgea  dal  terreno  un  chiaro  fonte. 
Che  tutto  l'irrigava,  e  i  monti  alpestri 
Talvolta  ancor  bagnava,  e  l'aspre  rupi; 
Siccome  M  Nilo  il  verde  piano  inonda 
Dell'  Egitto  fecondo,  e  i  lieti  campi 
Di  negra  arena  ricoperti  impingua. 
E  fosse  quello  o  nube  aerea,  o  fonte, 
Era  sublime  sì,  ch'agli  erti  gioghi 
Mormorando  spargea  l' onde  correnti. 
Fonte ,  fonte  fu  quella ,  e  d' alu  parte 
Me'  principi  del  mondo  ancor  novello 
Fu  a*  monti  in  vece  di  piovosa  nube, 
Non  pure  al  polveroso  ed  umil  suolo,  [no, 
Formò  adunque  'I  Signore,  e  '1  Padre  eter- 
Etemo  Dio  l' uom  di  terrestre  limo. 
Ed  in  far  questa  della  specie  umana 
Quasi  statua  vivente ,  ei  pura  elesse, 
E  sincera  materia,  allor  di  nuovo 
Dall'acque  separata  :  e  '1  misto  umore  [glio 
Colonne  e  spresse,  e  quinci  e  quindi '1  me- 
Della  terra  ei  v'  aggiunse  a  prova  scelto  : 
Sicché  'n  so  non  aveva  o  colpa  o  vizio, 
Quella  prima  materia.  In  cui  l'albergo 
Fabbricar  volle  alla  più  nobll  alma 
Fornita  di  ragione,  e  quasi  il  tempio. 
Fu  la  malizia  poi  difetto  e  colpa 
Nella  materia  del  corrotto  seme , 
Onde  la  fame  e  l' importuna  sete, 
E  di  languide  febbri  esangue  sclilera, 
E  la  pallida  morte  alfìn  deriva. 
Buon  era  '1  Fabbro,  e  la  materia  e  l'arte 
Fa  buona  anch'  ella  ;  onde  leggiadre  ed  ai- 
fi  bea  (ormate  fur  le  nove  membra    [te, 
A  maraviglia,  e  forti  insieme  e  belle 


SACRI. 

Del  padre  Adamo  :  e  da  vermiglia  lem 
Preser  vago  color  le  guance  e  '1  pelo. 
K  '1  nome  egli  medesmo  Indi  sortio. 
Misterioso  nome,  in  cui  s'espresse, 
Ch'egH'n  terra  nascea  signore  e  donno 
Dell'  Oriente  e  del  contrario  Occaso  ; 
E  delle  parti  d'Aquilone  e  d'Austro. 
Nell'alma  ancora  usò  mlrabil  arte; 
Nò  'n  farla  riguardò  creato  esempio, 
Ma  'n  sé  medesmo,e  nel  suo  proprìoVerbo, 
Di  cui  fece  nell'uomo  divina  immago. 
E  'n  faccia  gli  spirò  spirto  di  vita  : 
Non  di  sé  stesso  già  divina  parte. 
Coni' altri  stima,  ma  creato  spirto, 
E  soffiato  da  lui ,  perch'egli  avvivi , 
Ed  animato  faccia  'i  nobll  corpo. 
Siccome  Fidia  d'Alessandro  invitto 
Dappoi  facendo  'I  simulacro  Illustre, 
La  magnanima  fronte  al  Ciel  rivolse; 
E  ripiegando  la  cervice  altera , 
Gli  alti  di  lui  costumi  in  guisa  espresse, 
Ch'ei  non  contento  del  terreno  impero. 
Par  eh'  aspiri  alle  stelle ,  e  chieda'!  Qelo, 
Così  '1  Fabbro  primler  la  fronte  e  gli  occhi 
Alzò  deil*  uomo  alle  stellanti  sfere  ; 
Perchè  là  guardi ,  onde  celeste  orìgo 
Ebbe  l'alma  immortai,  ch'eterno  regno 
Parche  chieda  per  grazia  al  Padre  eterno. 
Ma  tutt' altri  animali  a  terra  ei  volse 
Pendenti  e  proni ,  a  rimirar  costretti 
Pur  sempre  la  comune  ignobil  madre; 
Come  sien  nati  ubbidienti  al  ventre  ; 
Perchè  *l  lor  fine  è  pure  '1  pasto  e  *!  cibo, 
E  terreno  piacer  gli  alletta  e  molce. 
Ma  se  talora  olirà  ragione  in  alto 
Intende  l' uomo ,  e  senza  grazia  o  merto 
Aspira  al  Cielo ,  e  superbisce  ed  osa  ; 
Miri  la  terra,  e  'n  sé  rivolga  e  pensi 
Circgll  nato  di  polve,  alfin  In  polve 
Sarà  converso;  e *n  cor  superbo  appiani 
Ogni  pensier,  che  di  sé  stesso  '1  gonfia. 
E  come  quel ,  che  serva,  Ignobil  madre 
Di  nobll  genitor  produsse  in  vita , 
Spira 'I  paterno  orgoglio,  e  l'iree'l  fasto 
Della  progenie  antica;  e'n  alte  imprese, 
Generoso,  talor  s'arrischia  e  tenta: 
Poi  ripensando  alla  materna  stirpe , 
Al  soverchio  ardimento  ci  stringe  1  freno: 
Così  l'uom  dell'antica  e  bassa  madre 
L'umll  principio  suo  contempli  e  guanfi 
Il  seno,  ond'egli  uscì,  ch'eipr^jneecaka 
Con  pie  superbo,  irriverente,  audace, 
Come  8*  egli  dal  Ciel  recato  avesse 


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LE  SETTE  GIORNATE 
Di  materia  celeste  aspetto,  e  membra. 
Pensi  fra  sé  eh* egli  è  animai  terrestre; 
Cile  per  terra el  cammina  ;  c*n  terra  ei  cer> 
11  nutrimento,  e  si  riposa  in  terra;    [ca 
E  per  la  terra  ancor  è  in  lite  e  guerra 
Sovente,  e  corre  forsennato  all'arme; 
E  non  fa  grande  mai ,  né  lieve  impresa. 
Se  non  sovra  la  terra  :  e  1*  ire  estingua, 
E  gli  ardenti  dcsirl  ammorzi  e  queti. 
Questo  pensier,  che  ali'  umiltà  V  inchina 
Alcune  volte,  altre  solleva  al  Cielo 
n  suo  spirto  immortai,  che '1  fine  affisso 
Non  loca  in  terra ,  o  pur  neir  auree  stelle, 
Ma  nel  Signore ,  al  cui  sublime  seggio 
11  del  del  cielo  è  quasi  terra  umile  : 
Tanto  è  lontano  alla  divina  altezza! 

Ma  non  sol  nell'aspetto  e  nella  fronte, 
Mlrabil  arte  fu  dei  Mastro  eterno , 
Che  'n  ogni  parte  ella  trapassa  a  dentro, 
E  la  celeste  ancor  figura  e  forma. 
Ma  pur  siccome  in  rocca,  e  in  torre  eccelsa 
Son  disposte  le  guardie  intorno  intorno. 
Onde  sccura  da  notturna  insidia 
Il  nemico  lontan  discopre  e  vede; 
Cosi  a  guardia  i  veloci  e  desti  sensi 
Collocò  nella  testa  il  Fabbro  etemo. 
Fé'  quasi  vallo  le  palpebre  ag^l  occhi , 
E  le  ciglia  pelose  ;  e  '1  varco  aperse 
Alle  sonore  voci ,  onde  trapassa , 
Di  messaggiero  in  guisa  addentro  *1  suono, 
£  di  fuor  le  novelle  al  core  apporta. 
Ma  fece  all'altre  cose  '1  passo  angusto, 
E  quell'umide  vie  rivolse  in  giro 
Qual  laberinto,  e  più  spedito  calle 
Per  doppia  strada  a'  dolci  odori  aperse. 
Umida  e  molle  die  la  lingua  al  gusto, 
Che  distingue  ì  sapori  ;  e  sparse  '1  tatto 
Per  ogni  membro  umano,  e  'ntorno  al  capo 
Fece  delle  sue  proprie  e  vaghe  chiome 
Quasi  natia  corona,  ond'ei  s'adorna 
Qnestm  mole ,  che  l'ossa  insieme  avvinse 
Co'  nervi ,  che  son  quasi  1  lacci  e  1  nodi 
Tenaci  e  lenti ,  ond'  ei  s'incurva  e  piega. 
Fece  quasi  di  sangue  un  vivo  fonte 
Il  core,  ed  altre  fonti  inteme  appresso, 
E ,  quasi  rivi  di  corrente  umore , 
Le  Tene,  che  dal  core  all' altre  membra 
PorUno'l  sangue, onde  s' irriga '1  corpo. 
E  tutta  in  tutto  lui  diffuse  e  sparse 
L' alma ,  che  'n  ogni  parte  è  tutta  ancora  : 
Bencbè  tre  sieno  in  una ,  e  sien  congiunte 
Le  due  moruli  all'  immortai  sorella  ; 
Perch'ella  avvolta  entr'a'  corporei  chiostri 


DEL  MONDO  CREATO.  177 

Non  sdegni  d'abiur  terreno  albergo. 
Sin  che  '1  Signor  la  si  richiami  al  Cielo 
Da  quella  guardia ,  ch'ei  la  pose  In  terra. 
Nell'alta  dunque  della  nobli  testa 
Rocca  fondoUa,  e  quasi  In  propria  reggia. 
Ivi  dell'uom,  ch'è  quasi  un  plcciol  mondo, 
A  lei  concesse  l'onorato  impero: 
L'altre,  come  soggette  al  giusto  regno 
Nelle  più  basse  parti  il  Fabbro  eterno 
Dispose;  e  rimovendo  1  lochi  e  I  seggi. 
Dalle  profane  separò  la  sacra 
Potenza.  E  l'ira, eh' 6  di  fiamme  ardente, 
E  di  vendetta  ingorda  avvampa  e  ferve. 
Precipitosa  pose  in  mezz'ai  petto. 
Ed  albergolla  nel  sanguigno  core  : 
Né  rinchiusa  starà  ne*  segni  angusti  : 
Ma  spesso  per  timor  s'aggliiaccia  e  stringe. 
E'I  ventoso  polmone  appresso  el  giunse. 
Che  di  mantice  'n  guisa,  accoglie  e  rende 
L'aure  di  fuori,  e  quel  calore  interno 
Col  dolce  respirar  tempra  e  rinfresca. 
La  cupidigia  le  supreme  parti 
Altrui  concesse ,  e  quasi  a  forza  spìnta, 
SI  ritirò  nell'ime -.ivi  ricovra. 
E  quel  cinto,  che  l' uom  traversa  e  cinge, 
La  divise  dall' altra  ;  e  quasi  belva 
Al  suo  presepio  ivi  rimase  avvinta. 
Avidamente  ivi  si  nutre  e  pasce  ; 
Anzi  mille  rabbiose ,  ardenti  brame 
Empier  non  può  famelica  'e  vorace, 
Ch'  ora  avaro  pensier  la  fiede  ed  angc 
Con  dura  sferza;  or  della  face  avvampa 
Di  mille  amori,  e  tutta  é  foco  e  fiamma,  [to 
Questo  or  avvlen,  che  l'una  e  l'altra  appun- 
Della  Ragione  ha  scosso  'I  giogo  e  'I  freno  ; 
E  nemica  si  mostra  e  ribellante. 
Ma  quando  pria  creolle  li  Padre  eterno. 
Né  tumulto,  né  guerra  era  nell'alma,  [di 
Ma  somma  pace,  e 'n  sommo  amor  concor- 
Ubbidlan  della  Mente  al  giusto  impero. 
E  'l  suo  volere  era  costante  legge 
All'  alma  di  giustizia  ancor  amica. 
In  questa  guisa  la  divina  destra 
Formò  l'uom  primo  non  soggetto  a  morte; 
Ma  per  grazia,  immortai,  non  per  natura. 
Come  l'Angelo  pria  di  pura  mente  : 
E  lui  formò  là  sovTa  '1  polo  aprico 
Dell'antica  Damasco  ;  e  vecchia  fama 
^Se  degna  é  pur  di  fede)  ancor  l' afferma. 
Poi  trasportollo  entro  l'ameno  e  lieto 
Suo  Paradiso,  che  d'ombrose  piante, 
E  di  feconde  a  meraviglia  adorno 
Fé'  l'arte  e  l'opra  del  Cu